LA CIVETTA DI MINERVA è un periodico di inchiesta per il quale collaboro… vi invito a leggere non solo i miei pezzi ma anche quelli relativi a politica e società.
Vi esorto a informarvi su quanto altre testate ignorano o misconoscono.
Non è un caso che a LA CIVETTA DI MINERVA, nelle persone di Marina De Michele e Franco Oddo, sia stato conferito nel 2012 il Premio Mario Francese.
Non è un caso che di questo periodico di provincia si siano occupati Report e Spotlight…
“CAREZZE TRA ANIME”, IL ROMANZO D’ESORDIO DI LIDIA GERACI Maria Lucia Riccioli Luglio 20, 2022 “Tutte le persone che agiscono in bellezza, e con la bellezza, la espandono e la instillano in tutto ciò che contattano: cose, fatti e persone. Questo è l’amore che ci forma e ci indica la via della salvezza. Accorgersi di questo è salvarsi dalla vacuità, dallo squallore, dalle brutture, dalla meschinità, da tutti i limiti, dal labirinto spesso inestricabile della nostra interiorità”. “Carezze tra anime” (Bookabook) è il romanzo d’esordio di Lidia Geraci, palermitana trapiantata a Ravenna. La pubblicazione è stata resa possibile grazie a una campagna di crowdfunding: i lettori hanno contribuito sostenendola e il 23 giugno 2022 “Carezze tra anime” ha visto la luce. Lidia Geraci: “Come immaginerete è un momento di grande gioia, la realizzazione di un sogno che circa un anno fa ho deciso di tirare fuori dal cassetto”. Il romanzo (rosa? Sentimentale a sfondo sociale? Poco importano le classificazioni) narra la storia di Farah e Tancredi. Un salvataggio rocambolesco, Lampedusa – paesaggio e metafora, sfondo e personaggio essa stessa: i sapori odori sentori dell’isola e della Sicilia sono quelli cui la letteratura ci ha abituati -, genitori biologici e di cuore, l’immigrazione e i suoi problemi, amicizia e amore, silenzi e dialogo, conflitti e risoluzione. La prefazione è stata curata dalla professoressa Paola Villano, ordinaria di Psicologia sociale all’Università di Bologna. E pedagogica è la formazione della scrittrice (formatrice impegnata nell’ambito della comunicazione efficace) che si riflette nelle sue pagine: le “carezze tra anime” sono insegnamenti di vita (sul rapporto amicale, su quello genitori-figli, sulle varie sfumature dell’amore, etero, omo, fisico, platonico, intellettuale, spirituale…, sul razzismo – è presente anche la famigerata –n word –, sul senso dell’esistenza… ). Qualche anno fa Whitney Houston cantava: “Tell me are you really ready for love boy/ Or is it just the lonely talking again/ Are you really ready for love boy/ Or is it the lonely talking again/ Now the time before/ When we got together/ You promised you’d be forever true to me/ But all I got from you/ Was lots and lots of talking/ Lonely nights filled with misery”. Le carezze tra i personaggi del libro – la cacofonia “tra anime” è indicativa di come i primi approcci tra le varie figure del testo siano impatti più che incontri – sono soprattutto verbali: ogni sentimento ogni emozione ogni sfumatura delle loro azioni è sviscerata, sminuzzata, sezionata in monologhi, commenti e descrizioni minuziose del narratore e soprattutto dialoghi che hanno quasi il sentore di una seduta terapeutica. È come se, infatti, il libro fosse un’unica lezione d’amore declinata in tutte le sfaccettature possibili. In esergo al romanzo, il titolo della splendida canzone dell’indimenticato Franco Battiato: “Tutto l’universo obbedisce all’amore”. La lingua è standard, con qualche incursione felice nel dialetto siciliano, molto più naturale del dettato del romanzo. Il ritmo a tratti accelera con le sinossi, spesso rallenta con le parti riflessive e dialogiche in cui trovano riflesso gli avvenimenti (molti dei quali avvengono “fuori scena”, specie i più tragici, mentre altri vengono approfonditi con uno scavo che vuole essere catartico). Il libro quindi presenta tutti i pregi e i limiti dell’opera prima: l’entusiasmo narrativo, il descrittivismo, il gioco con le strutture narrative e la lingua, il desiderio di lanciare un messaggio al lettore. Qui la pagina Facebook dedicata al libro: https://www.facebook.com/carezzetraanime/ ; il 15 luglio il l’autrice sulla pagina Instagram della casa editrice: https://www.instagram.com/bookabook_it/ . Auguriamo all’autrice – sensibile, cordiale, amante della bellezza – ogni successo e la esortiamo a camminare nel difficile, esaltante sentiero della scrittura, in attesa di nuove pagine.
https://www.lacivettapress.it/2022/07/20/carezze-tra-anime-il-romanzo-desordio-di-lidia-geraci/
Dal Teatro Greco di Siracusa al Teatro Grande di Pompei: il 15 e 16 luglio Ifigenia in Tauride di Euripide per la regia di Jacopo Gassmann. Maria Lucia Riccioli Luglio 19, 2022 Cultura , homepage L’INDA, chiusa il 9 luglio scorso la stagione 2022 con 140mila presenze, torna in tournée nei teatri di pietra italiani. E non è tutto: la coproduzione internazionale Après les Troyennes , uno spettacolo di teatro danza creato da Claudio Bernardo, sarà in scena al teatro greco il 26. Il 9 luglio, dicevamo, che ha coinciso con l’iconica sfilata di D&G (anche a Piazza Duomo e alla Grotta dei Cordari possiamo dire sia andato di scena il mito, dalla Sicilia barocca delle processioni a quella dell’immaginario cinematografico, dalla Madonna delle Lacrime a Santa Lucia, da Mascagni e Cavalleria rusticana al bianco/ nero della luce luttuosa isolana fino alle esplosioni di colore degli abiti del parterre vip e del rosso in passerella), ha visto riproporsi nella magica cavea del Temenite l’Orestea , l’unica trilogia teatrale rimasta del 500 a.C. – e ricordiamo l’interessantissima mostra Orestea atto secondo presso Palazzo Greco. Quattro ore circa di spettacolo, trenta minuti di intervallo, scena sontuosa dai colori accesi per Agamennone , livida, raggelata, quasi da lago di Cocito dantesco per Coefore ed Eumenidi : Davide Livermore si riconferma regista contemporaneo e barocco insieme, specie in Agamennone , Giuseppe Sartori, splendido Edipo per Carsen, qui è un Oreste convincente, dolente e loico insieme, Laura Marinoni è la primadonna assoluta, regina sfacciata e superba dall’imponente presenza scenica, così come Sax Nicosia, la splendida Cassandra Linda Gennari, Stefano Santospago, Giancarlo Judica Cordiglia, l’ottima Gaia Aprea, Rosario Tedesco e il cast tutto; un plauso particolare alle maestranze e a tutta la parte tecnica. Delitto e castigo, karma e purificazione, vendette di sangue legalità e giustizia in un trionfo di paillettes pellicce coppe di champagne, atmosfere da regime in sfacelo, con tanto di Flaminia in scena: il rito, la liturgia catartica del dramma sono spettacolo in cui si celebra il ritorno dell’uguale. Disgraziata la terra che ha bisogno di eroi: la sfilata di frammenti sulle italiche stragi e i delitti eccellenti che hanno macchiato il XX secolo (quanti applausi per Falcone e Borsellino a trent’anni dalla mattanza del 1992, o per Impastato) rende l’Orestea eternamente – e sì, tragicamente stavolta – attuale. Un evento vero e proprio, a quattordici anni di distanza dal quel 2008 che ha visto riproporsi (dopo il 1960) la trilogia eschilea nella traduzione di Pasolini. Un fuori programma al termine dello spettacolo: una proposta di matrimonio con tanto di scritta e cuoricino sul monolite animato dalle ipnotiche immagini che hanno – per una volta – comunicato gioia anziché i travagli dei Pelopidi. photo credits: Franca Centaro
“IL TRAMONTO DELL’OCCIDENTE” NELLA RIFLESSIONE DI CACCIARI A SIRACUSA Maria Lucia Riccioli Luglio 2, 2022 Il 30 giugno, presso il Caffè che prende il nome dal Parco Archeologico della Neapolis, si è svolto il secondo dei due incontri con Massimo Cacciari, invitato dal Collegio siciliano di filosofia. Come ha ribadito Roberto Fai nell’efficace introduzione all’incontro, i temi della due giorni sono scaturiti da questioni emerse proprio pensando a Siracusa, alla Sicilia, ad argomenti cogenti come appunto il mito (di Ifigenia si è parlato giorno 29) e il tramonto dell’Occidente, la sua – apparente? – parabola discendente a partire dal secolo breve. Come non pensare ad Ernst Junger, al primo Novecento come stagione di totale mobilitazione, al crepuscolo della Kultur e al concomitante meriggio della civilizzazione faustiana con la sua terrena laicissima spesso esiziale triade capitalismo tecnica denaro? Come non rileggere i maestri del sospetto Marx Freud e Nietzsche, specie quest’ultimo, filosofo-evento, martello contro l’impianto teleologico della storia in favore di uno studio di casi, contro ogni ordine gerarchico in favore di una tyche ? Come non tornare alle pagine di Dostoevskij o a quelle incompiute de “L’uomo senza qualità” di Musil, il cui protagonista – aporetico, sospeso tra ironia e misticismo, soggetto della possibilità, uomo spossessato, senza “proprietà”, parola ambigua come poche, più che senza qualità – si muove tra anima ed esattezza? (Fu tra l’altro Musil con il suo saggio “L’Europa inerme” del 1921 a preconizzare la “bancarotta metafisica” dello spirito europeo). Come non riandare alla lezione di Max Weber – più scienziato rispetto allo Spengler de “Il tramonto dell’Occidente” – e al suo sguardo sociologico su “La politica come professione” e “La scienza come professione”? Certo risultano profeticamente attuali le considerazioni sulla scienza come inventio , scoperta, slancio – “essere” quindi – in correlazione a un “dover essere” della politica, che presuppone dei fini; la scienza del Novecento non è più intesa (soltanto) come episteme ma nella sua dimensione post cinque-seicentesca, cioè operativa, diremmo ancora faustiana. È in questa temperie storica, economica, sociale, politica, culturale che è maturata la riflessione di Oswald Spengler sulla “morfologia” della crisi. Tramontate le metafisiche della storia è possibile tracciare delle statistiche di casi dati e parlare di occaso. Europa, terra occidentale per eccellenza, occidente dell’oriente, luogo del tramonto, vive nietzscheanamente il suo tramonto, un tramonto al quadrato, specie nella nostra epoca di unificazione globale in cui l’europeismo – con il suo codazzo di nazionalismi colonialismi ed altri esiziali –ismi – sembra aver fatto il suo corso. Ma davvero tramonto è decadenza? Miseria impotenza squallore? Può essere una stagione felicemente matura? L’Europa dell’età bismarckiana è già al tramonto politico, pronta com’è nella lotta fra stati al suicidio; si prepara anche quello demografico ed economico, ma dicevamo che il tramonto del vecchio continente può essere visto come la compiutezza – ricca, potente – di un ciclo espansivo. Il mondo è visto come totalità di casi e la storia, ridotta a una casistica ordinabile, studiabile secondo una prospettiva panoptica; non dimentichiamo che la riflessione di Spengler matura mentre si affermano la nuova fisica e matematica probabilistiche, statistiche, auto deterministiche, trascendenze e Provvidenza sono escluse dalla storia e le varie civiltà sono appunto casi, organismi non organicistici, però con forma e struttura proprie, nelle quali si possono rinvenire delle regolarità (analogie, ricorrenze cicliche, il ritorno dell’uguale ma a spirale), delle leggi evolutive in cui non sono previste gerarchie – non c’è eurocentrismo in Spengler – e per cui il principio causa-effetto non è esaustivo: paradossalmente il principio di ragione è sufficiente e insufficiente insieme, non c’è fine ma fini (al contrario, l’illusione strutturale di una civiltà funziona, agisce, è effettuale: pensiamo a Zwecke vs Ende). L’Europa è un unicum nella storia delle civiltà: dal mito alla razionalità e quindi alla polis, alla forma-stato tipica dell’Occidente, con il suo modello burocratico centralizzato, ha generato l’homo oeconomicus schiavo del denaro, “maledetta mota, comune bagascia del genere umano” (qui è Marx che cita lo Shakespeare del “Timone d’Atene”) e del ciclo lavoro-produzione-consumo: dunque lo spirito faustiano di rivolta contro i padri e il passato, contro gerarchie e valori religiosi, spirito d’avventura, d’impresa, della trasformazione permanente, volontà di potenza prometeica sulla natura, generatore della tecnica, si è trasformato in volontà di assicurazione per l’autoconservazione, quindi l’età faustiana segna anche il proprio stesso tramonto insieme a quello dell’Europa. Per il principio dell’eterogenesi dei fini, dunque, lo spirito faustiano si rovescia: una società di individui proprietari diventa massa del lavoro comandato, nuovo soggetto che per assicurarsi la continuità del possesso e l’autoconservazione vuole dei capi, dei cesari, gregge di potenziali disobbedienti che vuole dei pastori per risolvere i propri conflitti. Questi, in sintesi, i temi dell’opera di Spengler, dibattuta a lungo quando uscì e ancora oggi gravida di interrogativi e spunti di riflessione, specie in questo periodo attraversato da crisi politiche economiche sanitarie climatiche: siamo a Siracusa, terra di fede e fedi, dello spirito greco, del mito, che ormai sembrano banditi o forse hanno esaurito la propria carica propulsiva – le stesse rappresentazioni classiche non sono più riti, liturgie, ma spettacoli. Chiedevamo a Cacciari quale fosse il destino dell’Europa (le guerre civili?) e soprattutto se fosse proprio la mancanza di un nuovo “mito” dell’Europa, o modernamente di una “narrazione” – l’Europa non sa più raccontare o raccontarsi? – la causa o una delle cause del suo tramonto. Un’eloquente alzata di spalle.
IFIGENIA IN TAURIDE AL TEATRO GRECO DI SIRACUSA: LE MILLE RILETTURE DEL MITO Giugno 24, 2022 Unità di tempo di luogo d’azione… tutti abbiamo studiato le regole canoniche della tragedia, conosciamo il suo ruolo catartico e la sua funzione sociale. Ma siamo nel 2022 e il famoso pirandelliano strappo nel cielo di carta è ormai uno squarcio quasi insanabile: assistiamo alle vicende della stirpe dei Pelòpidi ma quello che si allestisce è uno spettacolo, non più – purtroppo – un rito, una liturgia, un lavacro dalle passioni mitiche e quindi sempre contemporanee, eterne, di Agamennone Menelao Elena Clitennestra Egisto ricadute sui figli. Il regista Jacopo Gassmann si è ritagliato uno dei ruoli che attengono ai registi di oggi: un’operazione archeologico-archivistica per schedare ciò che nei secoli ci è giunto – stratificandosi, acquisendo sempre nuove chiavi di lettura – del mito di Ifigenia. Non per questo il suo è un lavoro di statica musealizzazione: non solo grazie al visual design di Luca Brinchi e Daniele Spanò, che ci mostrano lo splendido Tiepolo pintore di un vertiginoso “Sacrificio di Ifigenia”, manoscritti e iscrizioni, financo la stessa traduzione del testo di Eschilo “letta” dagli stessi interpreti, in un gioco speculare tra opera e recitazione, ma anche grazie alla scenografia – avveniristica, straniante, opera di Gregorio Zurla – e agli allestimenti scenici, che permettono il rispecchiamento, uno dei giochi registici della rilettura: la silhouette, il gioco a nascondere dei pannelli, il teatronelteatro delle schiave greche, contemporaneamente coro, coriste e groupie in fila su uno straniante red carpet en attendant il compiersi della vicenda/ rappresentazione, gli oggetti scenici, reliquie imbalsamate da guardare (d’altronde “teatro” viene dal latino theatrum , e questo dal gr. ϑέατρον, quindi dal tema del verbo ϑεάομαι «guardare, essere spettatore») che dalle loro teche suggeriscono, evocano, rimandano nel loro essere cosa e simbolo – e dialogano anche con le altre tragedie, come avviene per il grammofono che sembra “rubato” alla reggia di Agamennone, la corona aurea che ci riporta agli splendori micenei e all’avventura di Schliemann; “Il sacrificio del cervo sacro (The Killing of a Sacred Deer )” è un film del 2017 diretto da Yorgos Lanthimos su una sceneggiatura di Lanthimos e Efthymis Filippou , interpretato da Colin Farrell , Nicole Kidman e Barry Keoghan , presentato in concorso al Festival di Cannes 2017 e vincitore del Prix du scénario : la cerva in scena “conversa” con il mito originario e le sue superfetazioni. Anna Della Rosa – statuaria, regale – sagoma un’Ifigenia nevrotica, convulsa, diremmo scissa nella sua doppia condizione di prigioniera/ sacerdotessa di riti primitivi; i dialoghi con Oreste-Ivan Alovisio, anche lui dilaniato dalla colpa e vittima sacrificale insieme all’inseparabile Pilade, un Massimo Nicolini guerriero-amico-sposo fedele, eroico, in certi tratti assumono toni da teatro borghese – un “abbassamento” quasi da commedia, fino all’agnizione –; Stefano Santospago, già Egisto in Agamennone, qui è un Toante perfettamente in parte, tiranno vinto dalla superiore volontà degli dei oltre che dall’astuzia del terzetto cospiratore, complici le schiave greche Anna Charlotte Barbera, Luisa Borini, Gloria Carovana, Brigida Cesareo, Caterina Filograno, Leda Kreider, Maria Cortellazzo Wiel, Roberta Crivelli, Giulia Mazzarino, Daniela Vitale. Il bovaro Alessio Esposito dipinge bene l’atmosfera “arcadica” della storia, così come i Tauri (Guido Bison, Gabriele Crisafulli, Domenico Lamparelli, Matteo Magatti, Jacopo Sarotti, Damiano Venuto) ne interpretano la componente terragna, pregreca. Rosario Tedesco è un nunzio sui generis – anche con il suo personaggio notiamo l’abbassamento di tono della vicenda al registro quasi “comico” –, un messaggero-fonico-attrezzista che fa da trait d’union tra la vicenda e la sua “trasmissione”-“tradizione”: letteralmente consegna la storia della fuga di Ifigenia, Oreste e Pilade a Toante e contemporaneamente la tramanda, permette che si consegni alla memoria e alle sue infinite rielaborazioni. La traduzione di Giorgio Ieranò è un buon compromesso fra antico e moderno: le parole immortali di Euripide ci giungono gravide di antica saggezza eppure familiari; il progetto sonoro è di G.U.P. Alcaro, quello audio di Vincenzo Quadarella, mentre il disegno luci – efficace, “teatrale”, a illuminare il gioco di specchi tra vicenda, interpretazione e ribaltamento finale – è di Gianni Staropoli, assistito da Omar Scala (light designer); regista assistente è Mario Scandale mentre Bruno De Franceschi è il maestro del coro; direttore di scena è Giovanni Ragusa, Marco Branciamore il coordinatore degli allestimenti, i movimenti di scena e le coreografie sono disegnati da Marco Angelilli, i costumi – eleganti, a disegnare in bianco nero e rosso i personaggi/ attori che si vestono/ spogliano della loro identità giocando con le loro maschere/ personae – sono di Gianluca Sbicca. Un plauso ai laboratori di scenografia e sartoria della Fondazione e in generale a tutte le maestranze tecniche (Aldo Caldarella e Marcella Salvo coordinano trucco e parrucco e sartoria).
Arturo Aversente, calabro di origine ma spagnolo di adozione, si presenta al pubblico.
Maria Lucia Riccioli Giugno 21, 2022
Sensaciones VarIas y eVentuAleS è la raccolta (per in tipi di Piediciones – la huella de la palabra) con cui Arturo Aversente, calabro di origine ma spagnolo di adozione, si presenta al pubblico.
Il libro – che presenta per ogni scritto sia la versione in castigliano che quella in italiano – è diviso in due parti, una più propriamente poetica, l’altra di pensieri e riflessioni.
“Escribo para recordar, / para recordar todo lo que está lejos de mí” (“Scrivo per ricordare, / per ricordare tutto ciò che è lontano da me”) e contemporaneamente “Escribo para olvidar, / para olvidarme de todo lo que está cerca de mí” (“Scrivo per dimenticare, / per dimenticarmi di tutto quello che mi è vicino”): questo forse l’intento più profondo e solo apparentemente contraddittorio di Aversente, ovvero allontanare tutto ciò che ferisce, contemporaneamente trattenere ciò che si allontana e, più sottilmente, “ricordare” un qualcosa o qualcuno che non è mai stato davvero nostro, sognarlo, desiderarlo, reinventarlo grazie alla parola.
Proviamo a ritornare al titolo per riscoprirla, la magia della parola, la sua capacità di rivelare e nascondere, di distruggere e creare: Sensaciones VarIas y eVentuAleS nasconde infatti la parola VIVAS, rivelata dalle maiuscole, che rende VIVE le SENSAZIONI del poeta sotto il velo della varietà e della casualità – e non è il solo gioco di parole presente nel testo: vi invito a scoprire gli altri, disseminati in tutta la raccolta (Il gusto per la parola traspare ad esempio anche negli incroci linguistici di ¿Dóndevoy? ).
Nel volumetto è evidente l’amore di Arturo Aversente non solo per la poesia, la letteratura e la lingua, ma anche quello per la musica: l’autore è un corista di vaglia in diverse formazioni corali, spagnole e non solo (ha preso parte a VC6, ovvero Virtual Choir numero 6, “SingGently”, l’ambizioso progetto virtuale di Eric Whitacre, in cui sono confluite 17572 voci; il brano è divenuto uno dei pezzi del CD “SingAsOne”; da una costola italiana di VC6 è nato, grazie allo stesso Aversente e ad Emanuele Piras, “Note Tricolori”, coro virtuale italiano che ospita anche presenze internazionali, come Isa García di “Sigamos Cantando” e in occasione della Festa della Musica il 21 giugno è prevista la première de “La stagione dell’amore”, un omaggio a Franco Battiato: https://www.youtube.com/watch?v=N5cH0SEseU0 ) e i componimenti della raccolta sono accompagnati da suggerimenti musicali, una sorta di playlist cui il lettore può abbandonarsi durante la lettura per vivere le suggestioni di note e parole.
Ludovico Einaudi, Yiruma, António Pinho Vargas… e ancora Ēriks Ešenvalds, Chopin e Cremonini, Rino Gaetano, i Queen e i Coldplay, Cacciapaglia, il Modern Jazz Quartet, Joaquín Rodrigo e Joe Hisaishi contrappuntano e probabilmente ispirano la scrittura accompagnandola, così come Gustavo Adolfo Bécquer “duetta” in esergo con i versi e le riflessioni di Arturo Aversente.
Ripetizioni, anafore: questi gli espedienti retorici maggiormente usati dall’autore. I luoghi in cui si ambientano i versi sono sia naturali che urbani – scorci di Spagna lampeggiano dalle poesie, come pure le altre terre visitate da Aversente, oltre alla terra natia. Il tempo delle poesie è quello di una contemporaneità piuttosto interiore che esterna: passato presente e futuro si mescolano nelle reverie del poeta e diventano anticipazione, ricordo, attesa. I temi poi sono prevalentemente quelli del viaggio, anche qui interiorizzato più che fisico, dell’amore, della famiglia, del sentire, del pensare, del vivere. Pensieri e riflessioni, paesaggi naturali – spesso notturni –, le architetture spagnole (e qui emerge prepotentemente la seconda patria dell’autore, diviso tra la natia Calabria e la Spagna), l’amore declinato nelle sue sfumature gioiose o tristi, la vita e il suo senso, la sua destinazione-destino (quanto è significativa e legata all’origine latina quest’ultima parola…).
Ma ecco le parole dello stesso Arturo Aversente-MacondoExpress (lo pseudonimo è un altro degli espedienti formali e sostanziali del libro; a proposito: potrete contattare sia su Facebook che su Instagram l’autore per averlo).
Come mai lo hai scelto? Macondo… tre sillabe che evocano l’universo di uno scrittore immenso come García Márquez, poi Express che ci dà l’idea del viaggio come pure dell’immediatezza della comunicazione social…
È un nome in codice utilizzato quasi tutti i giorni: “Macondo” è diventato una sorta di soprannome. Nello specifico indica qualcosa di immaginario, di onirico, che ha a che fare con i sogni e il mondo della notte, presente in gran parte nel libro, fatto di speranze, di pensieri e sogni positivi ma anche reali, presenti, che richiamano al vissuto – un viaggio, il raggiungimento di un obiettivo; “express” dà l’idea del viaggio, dell’immediatezza, della rapidità, della possibilità di arrivare a tutto e a ciascuno, di comunicare con tutti in maniera quasi istantanea e totale, oltre che del mutare continuo, velocissimo, delle emozioni provate. Se volessimo parafrasare lo pseudonimo lo tradurrei con “viajero soñador”, viaggiatore sognatore che scopre nuovi mondi immaginandoli prima e lasciandosi emozionare quando vi giunge.
Anche il titolo della tua raccolta incuriosisce… il “varie ed eventuali” del titolo rimanda a un diario di bordo, quasi ad un verbale da redigere per registrare appunto le “sensazioni”…
Dici bene, e si riferisce a quelle sensazioni che non ti aspetti – eventuali – e diverse tra loro: amorose, tristi, giocose, melanconiche… frutto del caso, dell’azar come direbbero gli Spagnoli; nello stesso tempo è una pista, una clue (una chiave, un simbolo, una traccia) per definire le sensazioni e comprendere che sono presenti e vive – per l’occhio ben attento si legge nel maiuscoletto del titolo.
Come ti sei approcciato al mondo della poesia? Chi sono i tuoi autori di riferimento?
Io non mi definisco poeta, mi piace leggere poesia e leggere in generale; credo di essere nato poeta ma ho cominciato a scrivere per caso: mi sono sempre interfacciato alla poesia nel mio percorso di studi approcciandomi poi alla poesia spagnola durante il mio percorso universitario l’ho molto apprezzata. Non ho autori di riferimento o da seguire nello stile, anche se se mi vedo affine a Bécquer per la tematica amorosa specialmente.
Cosa stai scrivendo adesso? Credi che le due passioni parallele che ti contraddistinguono continueranno a caratterizzarti?
Per adesso non sto scrivendo nulla; ho una miniraccolta di tre poesie, due contenute qui e un inedito collegato alle precedenti, ma non c’è un progetto di pubblicazione – magari il formato non sarà quello fisico. Le mie due passioni continueranno ad esistere: abbinare la poesia alla musica, che mi piace tantissimo, è spettacolare; cambiare il proprio carattere è difficile e soprattutto è giusto coltivare le proprie passioni. Sono presenti in me entrambe quindi credo che proseguirò.
Salutiamo Arturo Aversente con quattro versi della poesia “Bien – mal… O mejor dicho!” (p. 78): Estimado lector, / o también escuchador, / hoy he decidido / que quiero que entres en mi vida .
https://www.lacivettapress.it/2022/05/25/22994/ Edipo Re: tragedia fondativa della civiltà occidentale, mito visitato dalla psicanalisi Maria Lucia Riccioli Maggio 25, 2022 Edipo Re: tragedia fondativa della civiltà occidentale, mito visitato dalla psicanalisi, potente metafora della hybris punita, delle crepe della ragione e degli abissi dell’animo. Questa messa in scena di Robert Carsen è all’insegna della nudità: nudità della scena, nudità della parola senza lenocinio di canto, nudità del colore, ridotto all’essenzialità degli estremi (il bianco e nero dei costumi di Luis F. Carvalho, dei guanti dei servi-messaggeri-portaborse, del lenzuolo-sudario di Edipo e Giocasta, della cintura della regina, del suo abito che ne diventa la sineddoche, la spoglia, la presenza-assenza, degli abiti-corpi dei Tebani uccisi dalla misteriosa epidemia, sinistra rievocazione delle vittime del Covid), nudità di Edipo bambino consegnato a un destino di morte e poi nudità di Edipo adulto spogliato del potere, del raziocinio, della baldanza arrogante, di ogni sicumera, di tutti gli orpelli del potere per ricongiungersi – ciclo di vita, spirale di violenza che genera nuovi mali – al sé-bambino abbandonato. La parola riprende prepotentemente la scena, grazie anche alla traduzione di Francesco Morosi. Il silenzio, ieratico, tragico in ogni senso, pausa e dà sostanza alle voci, riempie di senso il vuoto della ragione e scava nell’angoscia individuale e collettiva. Impattante la scalinata altissima, scabra, essenziale che riempie la scena – i Palazzi del potere, le piazze delle adunate oceaniche di folle acefale, i gradini da allucinazione kafkiana: queste le suggestioni evocate dal lavoro di Radu Boruzescu. Giuseppe Sartori, non nuovo al lavoro anche estremo sul corpo dell’attore, rende in maniera asciutta, misuratissima, giusta il progressivo disvelamento del vero tragico, fino all’epilogo nudo, terrificante, della razionalità falsamente “vedente” ora accecata, della luce di giustizia e verità ora spenta, del viaggio avventuroso, dell’impresa eroica ora penitente pellegrinaggio, dell’indagine quasi da giallo ante litteram finita in noir, in horror quasi splatter, dove il detective si scopre assassino, l’inquisitore sospettato e colpevole, il giudice condannato; la Giocasta di una straordinaria Maddalena Crippa è affettuosa madre-amante-sposa, dalla voce sinuosa, regale e morbida insieme nelle movenze, fino all’ultimo chiusa alla verità cui ostruisce prima mentalmente e simbolicamente, poi fisicamente il passaggio con la sua tragica fine; Paolo Mazzarelli incarna un moderno Creonte, a metà fra l’uomo d’affari e il membro di una dinastia dei cui onori godere ma dalle responsabilità cui demagogicamente sfuggire, al contrario di Edipo, simbolo del buon governo nonostante la spada di Damocle del suo destino; l’ottimo Graziano Piazza è un Tiresia raziocinante e “posseduto” insieme, dai toni e timbri dosati armonicamente; perfettamente in parte il servo di Laio Antonello Cossia, così come il primo e secondo messaggero (Massimo Cimaglia e Dario Battaglia). Un plauso particolare va non solo al capocoro Rosario Tedesco e alla corifea Elena Polic Greco, tra l’altro responsabile del coro, ma appunto al coro di Tebani, dai movimenti coordinati, fluidi, energici, sincronizzati nelle battute, una vera e propria massa (intesa anche metaforicamente: popolo-massa ora plaudente ora dissenziente, ora dolorante ora furente) fisica, visiva e sonora: il lavoro di Marco Berriel ha costruito coreografie simboliche ed eleganti, sicuramente d’effetto. Vale la pena nominarli tutti – la coralità implica un lavoro di gruppo in cui la totalità è superiore alla somma delle parti e l’apporto delle individualità è fondamentale -: Giulia Acquasana, Caterina Alinari, Livia Allegri, Salvatore Amenta, Davide Arena, Maria Baio, Antonio Bandiera, Andrea Bassoli, Guido Bison, Victoria Blondeau, Cettina Bongiovanni, Flavia Bordone, Giuseppe Bordone, Vanda Bovo, Valentina Brancale, Alberto Carbone, Irasema Carpinteri, William Caruso, Michele Carvello, Giacomo Casali, Valentina Corrao, Gaia Cozzolino, Gabriele Crisafulli, Simone D’Acuti, Rosario D’Aniello, Sara De Lauretis, Carlo Alberto Denoyè, Matteo Di Girolamo, Irene Di Maria di Alleri, Corrado Drago, Carolina Eusebietti, Lorenzo Ficara, Manuel Fichera, Caterina Fontana, Enrico Gabriele, Fabio Gambina, Enrica Graziano, Giorgia Greco, Carlo Guglielminetti, Marco Guidotti, Lorenzo Iacuzio, Ferdinando Iebba, Lucia Imprescia , Vincenzo Invernale Althea Maria Luana Iorio, Elvio La Pira, Domenico Lamparelli, Federica Giovanna Leuci, Rosamaria Liistro, Giusi Lisi, Edoardo Lombardo, Emilio Lumastro, Matteo Magatti, Roberto Marra, Carlotta Maria Messina, Moreno Pio Mondì , Matteo Nigi, Giuseppe Orto, Salvatore Pappalardo, Marta Parpinel, Alice Pennino, Edoardo Pipitone, Gianvincenzo Piro, Bruno Prestigio, Maria Putignano, Riccardo Rizzo, Francesco Ruggiero, Rosaria Salvatico, Jacopo Sarotti, Mariachiara Signorello, Flavia Testa, Sebastiano Tinè, Francesco Torre, Francesca Trianni, Gloria Trinci, Damiano Venuto, Maria Verdi, Federico Zini, Elisa Zucchetti. Ricordiamo naturalmente anche Ian Burton per il suo lavoro di drammaturgia, Giuseppe Di Iorio che insieme al regista ha disegnato le luci di scena, il regista assistente Stefano Simone Pintor, le musiche di scena essenziali, scarnificate, “nude” anch’esse, di Cosmin Nicolae, i direttori di scena Angelo Gullotta e Carlotta Toninelli, il coordinatore degli allestimenti Marco Branciamore, la responsabile di sartoria Marcella Salvo, il coordinatore audio Vincenzo Quadarella, Aldo Caldarella responsabile trucco e parrucco e tutte le maestranze Inda.
Agamennone di Eschilo, al Teatro Greco di Siracusa Maria Lucia Riccioli Maggio 24, 2022Davide Livermore ci ha ormai abituati al suo stile Gesamtkunstwerk : il suo lavoro di regista non solo per il teatro di prosa ma anche per l’opera contribuisce sicuramente a generare la sua visione del testo rappresentato, che diviene appunto opera d’arte totale, in cui parole canto musica distortori del suono luci coreografia scenografia insieme alle videoinstallazioni impattano lo spettatore come un unicum. L’Agamennone di Eschilo, che ha aperto il cinquantasettesimo ciclo di rappresentazioni classiche al teatro greco di Siracusa, ne è la riprova. Un convalescenziario? Un sanatorio? Un ospedale psichiatrico forse, dove gli anziani (Tonino Bellomo, Edoardo Lombardo, Massimo Marchese) sono veterani afasici, menomati nel fisico e bisognosi di interpreti-infermieri-medici, non sempre voci fedeli dei loro pensieri (Gaia Aprea è la straniata corifea insieme a Maria Laila Fernandez, Alice Giroldini, Marcello Gravina, Turi Moricca e Valentina Virando), e in cui Oreste e Ifigenia sono condotti in esilio e a morte come malati o pazzi, al suono stridulo di un’ambulanza? Un cabaret tedesco, un fumoir dove bicchieri bottiglie grammofoni pistole sembrano i relitti di un Titanic anni Trenta-Quaranta? Questa la scena (a cura dello stesso Livermore e di Lorenzo Russo Rainaldi), raddoppiata e replicata da un muro di specchi – che alludono alla doppiezza di Clitennestra (una superba Laura Marinoni, regina magnifica, femme fatale e Bond girl insieme, autocrate imperiosa e seduttiva, vestita da Gianluca Falaschi in nero e in rosso, i colori del lutto, del sangue, della passione, del tradimento) e rendono gli spettatori parte del dramma, riflettendoli e facendone parte in causa: de te fabula narratur . Il gioco apparenza-verità è complicato dagli enormi oblò con le ipnotiche immagini multimediali che fanno della scena la plancia di comando di una (astro)nave – una Stazione Spaziale Internazionale che visualizza fenomeni atmosferici o fuochi della follia bellica umana, voli di uccelli che attendono àuguri a interpretarne i presagi di sventura, la farfalla-ψυχή, psiche-anima di Ifigenia, il video-propaganda di Agamennone e Clitennestra coppia reale con tanto di microfoni d’antan a farne risuonare i discorsi conditi dalle acclamazioni della massa asservita, che riportano alla memoria le dittature del XX secolo, fabbriche di un consenso distorto. Doppi i movimenti, da personaggi e automi insieme, come se un Fato-puparo manovrasse senza posa le dramatis personae. Doppia, ancora, la stessa Ifigenia, un’Alice horror, una vergine-bambola assassina: come le gemelle di Shining, le due Ifigenia (Maria Chiara Signorello e Carlotta Messina) sono Erinni da placare con un duplice sacrificio, che non interromperà la catena di mali della stirpe di Atreo. Doppio il finale: parte “Glory Box” dei Portishead con i suoi giochi di arco e frecce “Bow and arrow”, la sua “temptress”, la sua ricerca di “a reason to love you” (e molte altre sono le parole che giocano ai rimandi con la rappresentazione, sineddoche anch’esse come tutte le parti di questo spettacolo-tutto: “picture”, “frame”, “a thousand flowers” come quelli sparsi in scena a segnare il cammino falsamente glorioso di Agamennone tornato in patria e a casa, scarlatti come Giocasta in rosso, come il sangue in scena, oscaenum per definizione ma ossessivamente presente. Sax Nicosia (re-dittatore-comandante elegante, misurato, spaventosamente attuale dati gli strani giorni di guerra che stiamo vivendo) e Laura Marinoni si confermano perfetti partner (in crime nel caso della spettacolare Elena, qui sposi “doppi”), toccante la Cassandra di Linda Gennari, straziata e straziante profetessa – anche lei doppia: principessa prigioniera, “verace” e non creduta, vittima innocente –, mentre Stefano Santospago centra il carattere di burattino vendicatore-vendicato, manovrato e complice insieme. En travesti i ruoli della sentinella e del messaggero – Maria Grazia Solano e Olivia Manescalchi, che richiamano il senso di “mascherata” tragica di tutta la vicenda, nel suo contrasto fra trionfo e caduta, morte e vittoria, potere onore sacrificio dovere e sentimenti passioni odi, gloria del ritorno e destino incombente –, Oreste ed Elettra bambini sono i giovanissimi Margherita Vatti e Giuseppe Fuscello. Splendida la traduzione di Walter Lapini, antica e contemporanea insieme, efficaci i disegni di luce di Antonio Castro come D-Wok e il suo video design, stranianti le musiche originali di Mario Conte, che duettano con rock e barocco restituendo con i suoni percussivi e metallici dei pianoforti le dissonanze emotive dei personaggi – bravissimi Diego Mingolla e Stefania Visalli, musici che evocano le orchestre di transatlantici alla deriva; il progetto audio è di Vincenzo Quadarella –, e ricordiamo Giancarlo Judica Cordiglia, regista assistente, Anna Missaglia, costumista assistente, Aurora Trovatello assistente alla regia, Alberto Giolitti direttore di scena, oltre che tutte le maestranze dell’Inda. Photo credits: Franca Centaro
Conoscere per amare e difendere, il concorso con finalità orientate alla conoscenza storico-critica e alla valorizzazione dei beni artistico-culturali Maria Lucia Riccioli Maggio 15, 2022 Dopo i laboratori formativi sui temi della Costituzione Italiana e della Cittadinanza Attiva (“I parametri della “cittadinanza attiva”: Costituzione e legalità”), iniziativa inscritta all’interno di un impianto progettuale più ampio, in risposta ad una richiesta espressa della Consulta Provinciale degli studenti di Siracusa, accolta e supportata dall’Ufficio X – Ambito Territoriale di Siracusa, realizzata in collaborazione con l’Università di Catania, Facoltà di Giurisprudenza, e con l’Associazione Italiana dei Costituzionalisti (relatori sono stati i proff. Castorina, Bianca e Ferro), ecco le ultime iniziative della stessa Consulta: il concorso “Conoscere per amare e difendere ” e l’installazione vivente ideata dalla Consulta anche in vista della festa Nazionale del 2 giugno.Si tratta di un progetto ad ampio raggio la cui regia è delle Istituzioni ed Enti del Territorio di Siracusa, in collaborazione con l’Organo Collegiale della Consulta Provinciale degli Studenti, sostenuto dall’Ufficio X – Ambito Territoriale di Siracusa con finalità orientate alla conoscenza storico-critica e alla valorizzazione dei beni artistico-culturali presenti nel territorio, nonché alla fruizione in termini di educazione e di rispetto per la loro salvaguardia. Il concorso, rivolto a tutti gli studenti degli Istituti superiori di Siracusa (e grazie ai protocolli d’intesa in corso, pensato per i percorsi PCTO), all’insegna della riscoperta del nostro territorio, sia dal punto di vista artistico che da quello culturale, ha inteso valorizzare siti più o meno noti nell’ottica di una loro consapevolefruizione: che idee e stimoli in tal senso vengano dagli studenti vuol dire alimentare la speranza che anche il contributo dei “piccoli” possa migliorare il nostro mondo. Due le sezioni (Letteraria e Artistico-informatica), mentre la giuria è stata costituita dal Presidente della Consulta provincialedegli studenti di Siracusa Alessandro Mangiafico, dal docente referente CPS di AT (Ambito Territoriale) professoressa Carmela Spedale, dalla dottoressa Giuseppina Monterosso referente del Museo, dalle professoresse Rosellina Frasca, Sandra Troia e Simona Assunta Mallemi.La cerimonia di premiazione si è svolta l’11 maggio presso l’Auditorium del Museo Archeologico “Paolo Orsi” di Siracusa, alla presenza del sindaco e del direttore del Museo Carlo Staffile con la partecipazione delle dottoresse Concetta Ciurcina e Mariella Musumeci; per il Prefetto era presente il dottor Antonio Gullì, mentre per l’ufficio scolastico provinciale erano presenti la prof.ssa Simona Mallemi, referente alla legalità, e la professoressa Patrizia Magnano referente sostegno dell’inclusione, oltre alla referente della CPS professoressa Carmela Spedale. Per la categoria elaborati multimediali il 1° classificato è stato il Liceo Bartolo di Pachino con il video intitolato: “Conoscere per amare e difendere” (Docente referente: Gianpaolo Ignaccolo, alunni partecipanti: Corrado Calleri, Vittoria Spatola, Agata Scivoletto, Mirella Malandrino e Matteo Collura) con la seguente motivazione: Il prodotto multimediale risulta ben bilanciato nell’articolazione tra immagini e testo. Ilcontenuto appare originale ed evidenzia un’apprezzabile ricerca documentale cheattinge al patrimonio delle tradizioni locali . 2° classificato è stato l’ITT E. Fermi di Siracusa – classe 1aB sez. informatica con il video intitolato “Le ricchezze culturali della nostra Siracusa”, docente referente Maria Di Mauro, alunno partecipante Marco Ragusa, con la seguente motivazione: l’elaborato coniuga in maniera equilibrata il racconto del patrimonio culturale territoriale con la denuncia della sua situazione di degrado e tutela inefficace ; 3° classificato è stato l’ITT E. Fermi di Siracusa – classe 3aB sez. informatica con il video intitolato “Eloro, una città da salvare”, docente referente Maria di Mauro, alunno Luca Fiorini, con la seguente motivazione:L’elaborato multimediale risulta apprezzabile per l’organica presentazione di una proposta di valorizzazione, fruizione e promozione di un’area territoriale di particolare interesse storico e archeologico. Semplice ma efficace l’esecuzione tecnica . Per la categoria elaborati letterari il 1° classificato è stato ancora l’ITT E. Fermi di Siracusaclasse IIB sez. informatica con il racconto intitolato “Un salto nel passato” (docente referente prof.ssa Rosalba Gibilisco, studentessa partecipante Alba Sandra), con la seguente motivazione:L’ideazione risulta originale, scorrevole la forma espressiva. La costruzione della trama èequilibrata, interessante l’attualizzazione del mito ; 2° classificato sempre l’ITT E. Fermi di Siracusa classe 2a A sez. elettronica con il racconto intitolato “la nascita di Trinacria”, con la seguente motivazione: La struttura risulta chiara ed efficace, ed evidenzia un lavoro di documentazione ed elaborazione del patrimonio culturale del nostro territorio ; 3° classificato l’ITT Enrico Fermi di Siracusa, classe 3a B sez. informatica con il racconto ”Luna di sangue”, docente referente Maria di Mauro, alunni partecipanti Matteo Scaccianoce, Alessandro Flavio Fontana. Questa la motivazione: L’elaborato si caratterizza per l’accurata documentazione relativa a un fatto storico. Il dettato formale appare conciso ed efficace . 100, 80 e 50 euro: questi rispettivamente i premi per i primi, secondi e terzi classificati, messi a disposizione grazie al fondo della stessa Consulta. Gioioso e produttivo anche il post premiazione, con la partecipazione degli studenti degli Istituti comprensivi che hanno interagito con i compagni più grandi e la produzione di elaborati grafici sul tema del mito, oltre ad aver visitato la mostra ospitata all’interno del Museo mostra “CrownedIdols”: protagonista l’idolo cicladico, concesso da Atene nell’accordo Sicilia-Grecia, in dialogo con un’installazione dell’artista portoghese Joana Vasconcelos. “Siracusa siamo noi” è poi l’installazione vivente ideata dalla Consulta, che utilizza materiale di facile consumo e reperibilità e gli stessi corpi dei giovanissimi studenti a significare la reciproca appartenenza tra territorio e piccoli cittadini. I ragazzini sono stati accolti nella zona biblioteca del Museo “Paolo Orsi” e “rifocillati” per valorizzare le risorse agroalimentari del territorio – con il pane di farine di grano saraceno “cunzato” con olio locale. La ritrovata socialità, le attività di studio e ricerca, grafiche, pratiche, multimediali e ludiche, l’interazione fra studenti di vari ordini scolastici, il museo come laboratorio, “casa” viva dei reperti che dialogano con le nuove generazioni, l’intera filiera della scuola, come voce delle istanze dei ragazzi e ponte fra le istituzioni culturali: ecco gli esiti di queste iniziative, che si spera siano sempre più partecipate e incisive.https://www.lacivettapress.it/2022/05/12/22884/ LA VITA CAMMINAVA A PIEDI E LIEVITO PADRE ALLA MEDITERRANEA ART GALLERY Maria Lucia Riccioli Maggio 12, 2022 Sempre all’insegna della poesia, dell’arte, della bellezza nella loro dimensione di incontro le iniziative del collettivo siracusano Poetaretusei432: sabato 14 maggio alle 18.30, presso la Mediterranea Art Gallery, in occasione della mostra d’arte contemporanea “I colori dell’anima”, si terrà la presentazione dei libri “La vita camminava a piedi nudi” di Raimondo Raimondi (Il Foglio Letterario edizioni) e “Lievito padre” (ed. Amazon) di Salvatore Randazzo Piazza. Le letture saranno curate da Lalla Bruschi ed Elisabetta Tagliamonte, non solo “fini dicitrici” ma performer a tutti gli effetti e poetesse esse stesse. A coronamento del simposio letterario, un nuovo Poetry Slam ad iscrizione gratuita che permetterà a chiunque voglia cimentarsi di leggere o far leggere i propri versi, votati estemporaneamente dal pubblico presente. Ai vincitori andranno delle opere d’arte e la soddisfazione di aver rinnovato gli antichi agoni poetici: il poetry slam infatti è una sorta di happening poetico, una “battle” poetica alla maniera dei moderni rapper ma soprattutto dei nostri avi greci (pensiamo a Mineo, alla pietra dei poeti, a Capuana, Bonaviri e a tutti i pastori e contadini che alla maniera dei personaggi delle Bucoliche virgiliane o degli idilli di Teocrito gareggiavano in versi: quanta cultura, quanta sapienza auro-orale!). Qui (https://poetaretusei432.blogspot.com/2022/05/ortigia-poetry-slam-presentazione-libri.html ) maggiori informazioni sulle modalità di partecipazione: la prospettiva è anche quella di potersi qualificare per la fase nazionale della gara. Un in bocca al lupo intanto ai primi iscritti: Pamela Nicolosi, Azzurra Lo Bello, Eleonora Marletta, Paola Salmé, Antonella Manca, Alessandra Corso, Maria Bisignani, Ludovico Leone ICO. I proventi della vendita del volumetto “Lievito padre” saranno devoluti in beneficenza; ricordiamo tra l’altro anche l’impegno di Randazzo nel diffondere la cultura della lettura e dello scambio tramite la cassetta dei libri in via Amalfitania, nel sollecitare i poeti a contribuire coi loro versi a raccolte di “ecopoesia”, quindi su temi ambientali, e nel realizzare piccole opere d’arte ottenute da materiale riciclato come i volantini di carta dei supermercati. Le liriche della raccolta raccontano poeticamente la perdita del padre e l’attraversamento del lutto verso la risalita: “Sono cose che capitano ai vivi/ Turiddu miu, ai vivi” (p. 3), ma non c’è rabbia né risentimento, solo un dolore profondo, “aloperidolo e silenzio” (p. 4); la scrittura poetica di Randazzo rifugge dal sentimentalismo, dal patetismo, dal vittimismo doloristico e il lutto lascia “la casa con le sue crepe” (p. 5), “ridisegna le presenze” (p. 6), espresso con un linguaggio scabro ma vario e mosso, ritmato e mai banale. Si direbbe che il padre lieviti nel figlio facendone fiorire nuova consapevolezza e quella “fraternità” (v. la Premessa ) non scontata in tempi di guerra e Covid: “non desidero, ricorda/ che un cuore che batte/ autenticamente d’Amore/ per l’Uomo e per l’Arte” (p. 10); il silenzio non è quello della morte ma della contemplazione (“belavo/ scoprendomi pecora/ che lodava le stelle” (pp. 16-17) in una fusione quasi panica con la Natura e della lievitazione della parola che si fa pane di poesia: “Affida all’Arte la missione/ di ricordare ai fratelli la loro” (p. 11). L’Amore e la poesia sono “Pane pane, vino vino” (ibidem ), “pane quotidiano” (p. 12): grazie ad essi “viene la primavera” (ibidem).
Pane e saline, di Rita Caramma (recensione) Maria Lucia Riccioli Aprile 22, 2022 Tu proverai sì come sa di sale/ lo pane altrui, e com’è duro calle/ lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale.” Parole di un avo di Dante, Cacciaguida, che profetizza l’esilio da Firenze del suo discendente, il sommo poeta. L’esilio comporta la perdita delle abitudini come il sapore del pane “sciapo” insieme alla propria libertà. Come l’esilio, sebbene volontaria, è l’emigrazione, specie quella dei nostri avi tra Ottocento e Novecento. “Pane e saline”, lavoro di Rita Caramma, giornalista e scrittrice (annovera tra le sue pubblicazioni favole in rima, poesie, testi teatrali di cui è anche regista, opere di narrativa e aforismi), ci presenta tutti i problemi socioeconomici del dopoguerra siciliano. Abbastanza inedito per un’opera di narrativa il fondale naturalistico in cui si svolge la vicenda di Natalino (tra emigrazione e nostalgia, guerra e lavoro, stenti e perdite), Mara e degli altri personaggi del romanzo: le saline di Augusta, né campagna né mare né montagna ma un mix originale che richiede un lavoro da coltivatori del mare, da seminatori d’acqua, da pastori di sale. Le scene di guerra suonano tristemente profetiche del nostro oggi minacciato da un nuovo conflitto alle porte dell’Europa… parlare di guerra, narrarla, farne racconto è somma impresa: non riescono le penne di scrittori e poeti, figurarsi la lingua di un ciabattino, seppure intelligente, sensibile e generoso, perbene come il protagonista della storia di Rita Caramma. A fare da contrappunto musicale alla vicenda, le voci di Claudio Villa e del Trio Lescano, di Mario Riva, di Modugno, Luigi Tenco e di anonimi popolani dei canti raccolti da intelligenti cultori della memoria; lo stesso Natalino allevia il rimpianto per gli affetti e tutto ciò che ha lasciato con lo joropo e le tarantelle, suonate con l’amato mandolino, ricordo delle prime lezioni pagate con tanti sacrifici… La narrazione è in terza persona, quasi sempre referenziale, in un discorso indiretto che più che raccontare riassume quanto accaduto in forma quasi di cronaca, referenziale, piana e senza salti lirici. Il tempo del racconto è cronologico, a parte il flashback relativo all’amore di Mara e Natalino e all’infanzia di quest’ultimo. Lo spazio della narrazione oscilla tra un Venezuela in fondo estraneo e una Sicilia continuamente vagheggiata e fonte di nostalgia: piazze, interni di botteghe e abitazioni, caffè e chiese, aule di scuola… e poi le saline, in cui l’uomo strappa al mare con fatica un raccolto come fa con la terra “amara e bella” che tanti siciliani sono stati costretti a lasciare nella speranza di un futuro migliore (quanto simili ai disperati che finiscono nel Mediterraneo, annegati nel sale dell’indifferenza per un pezzo di pane e un sogno di vita nuova). La lingua è un Italiano semplice, a tratti colloquiale, inframmezzato da qualche espressione dialettale per ricreare il colore locale della vicenda. Sfilano consuetudini, usanze, modi di dire, cibi, festività tipicamente siciliane – i Morti su tutte, con il loro mescolare dolcezza di biscotti, il ricordo dei cari defunti e retaggi di riti ancestrali: una recherche del tempo perduto in salsa sicula. Resta un retrogusto dolceamaro una volta terminata la lettura: il nostro recente passato sembra essere stato spazzato via dal consumismo, dal materialismo dilagante, dall’industrializzazione selvaggia, dalla globalizzazione che ha reciso memoria e radici, valori, tutto ciò che si portava dietro l’antica civiltà agropastorale sacrificata all’idolo delle magnifiche sorti e progressive. Il finale è infatti elegiaco: tutto sembra sparire e morire insieme ai protagonisti ma qualcosa rimane. Le saline, simbolo forse della vita, amara come il sale, avventurosa come il mare che lo genera. Si spengono ad uno ad uno i personaggi e ne resta la memoria “mentre le saline luccicavano alle loro spalle” (p. 104).
https://www.lacivettapress.it/2022/05/25/22994/ ttps://www.lacivettapress.it/2022/03/06/donne-di-carta-ledizione-2022-del-festival-la-sicilia-e-la-calabria-delle-donne/
“DONNE DI CARTA”: L’EDIZIONE 2022 DEL FESTIVAL “LA SICILIA E LA CALABRIA DELLE DONNE” Maria Lucia Riccioli Marzo 6, 2022 Al via la seconda edizione del festival “La Sicilia e la Calabria delle Donne”: dopo il successo di “Donne in scena” adesso è la volta delle “Donne di carta”, personaggi letterari e autrici ingiustamente obliate cui una squadra di ricercatori, storici, scrittori, saggisti, studenti, associazioni, enti, comuni, fondazioni cerca di ridonare voce. Il genio femminile è multiforme ed è stato declinato nel corso della Storia in molteplici campi: arte, matematica, letteratura, astronomia, politica, giornalismo, filosofia… Marinella Fiume (autrice tra l’altro del dizionario “Siciliane”) e Fulvia Toscano (“NaxosLegge” grazie a lei è ormai una splendida realtà), le anime del festival – senza dimenticare il contributo di Katia Di Blasi, Sakiko Chemi, Mariada Pansera e Giovanna Toscano – insieme a Margherita Preta, direttrice artistica de “La Calabria delle donne”, da anni studiano e fanno cultura valorizzando il femminile e legando la storia delle donne al territorio: questa è infatti la cifra distintiva di questa seconda edizione, che vedrà un fitto calendario di eventi – dirette in streaming oppure pubblicazione di video sui personaggi analizzati – scanditi in base alle province partecipanti e che prevede anche la mappatura e schedatura territoriale delle figure studiate, con l’individuazione di case, scuole, teatri, musei legati alla loro vita e al loro lavoro. Altra novità dell’edizione 2022 è la comunione di intenti tra le due sponde dello stretto di Messina: Calabria e Sicilia lavorano insieme in nome della ricerca e dello studio di queste “donne di carta” che meritano una nuova entrata in scena sulla ribalta della Storia, nella speranza che questa esperienza sia da apripista per le altre regioni, in un’ottica di collaborazione e scambio. L’assessorato al turismo della Calabria e quello ai Beni culturali e all’identità siciliana sono gli enti patrocinatori del progetto, che diventerà anche una guida pubblicata nella collana “Città di carta” della casa editrice palermitana “Il Palindromo”. Attesissime le conferenze di presentazione del festival, che fino al 31 marzo racconterà 85 donne per la Sicilia e 45 per la Calabria: la prima lunedì 7 marzo a Montecitorio su invito della presidentessa della Commissione cultura, scienza e istruzione della Camera Vittoria Sala, la seconda a Naxos e a Vibo Valentia martedì 8 in concomitanza con la Giornata internazionale della donna.
Viaggio nell’area aretusea. Percorsi di poesia narrativa saggistica Maria Lucia Riccioli Marzo 22, 2022 Presso la sede di via Arsenale a Siracusa del centro studi arti e scienze Il cerchio, presieduto da Enzo Monica, giorno 24 marzo alle ore 18 verrà presentato il volume di Domenico Pisana “Viaggio nell’area aretusea. Percorsi di poesia narrativa saggistica” , uscito per i tipi di Armando Siciliano Editore. Relatori Corrado Di Pietro e Maria Lucia Riccioli , che converseranno con l’autore e illustreranno la poetica degli autori antologizzati oggetto dell’analisi critica operata dal poeta, scrittore, saggista, docente e teologo ospite del centro. “La Civetta di Minerva” si è già in precedenza occupata sia della produzione saggistica di Pisana che delle sue poesie e del suo impegno nella promozione e diffusione della cultura, anche tramite il lavoro presso il Caffè letterario “Salvatore Quasimodo ” di Modica (https://www.lacivettapress.it/2021/03/19/intervista-a-domenico-pisana-essere-scrittori-siciliani-aretusei/ ) e adesso è lieta di accompagnare il percorso del suo saggio. Il libro si pone come “un viaggio che fa interagire sensibilità letterarie diverse, animato dal bisogno di mettere in luce “l’identità collettiva ” contemporanea di un’area geografica della Sicilia, quella che ruota tra gli Iblei e l’aretuseo, ove, da sempre, è presente una vivacità culturale rilevante , di cui gli autori presi in esame sono una testimonianza apprezzabile nella sua oggettiva espressione. Il lavoro critico punta lo sguardo sia su opere poetiche, sia quelle di narrativa e di saggistica, focalizzando le coordinate portanti ed essenziali dei testi presi in esame, i quali si integrano nell’unità di una dichiarazione di congruenza a un insieme, a una prospettiva cognitiva, filosofica, antropologica, etica ed estetica, di cui il poeta o lo scrittore è implicitamente portatore”: sfilano così davanti agli occhi del lettore versi, prose e saggistica frutto delle penne di Giovanna Alecci (con le sue poesie tra intimismo e compartecipazione alla tragedia dei migranti); Giuseppe Blandino (con la sua ricerca poetica); Nicola Bono e la sua ricerca “onto-etica” per una buona politica, ideale dal valore regolativo; Corrado Calvo con i suoi romanzi; Luca Campi con la sua ironia esistenziale; Corrado Di Pietro e i suoi racconti borgesiani insieme ad altre sue prose e poesie, come i romanzi e i versi delle sue raccolte e pubblicazioni; Angelo Fortuna e la sua letteratura memoriale e non solo; Ignazia Iemmolo Portelli e il realismo della sua narrativa; Salvatore Ignaccolo e la sua narrativa politematica; Pina Magro e le sue memorie familiari e storiche – tutto ciò che si rammenta rammemora rimembra ricorda –; Piero Meli e il suo recupero memoriale dei riti e delle tradizioni siciliane; Gioia Pace e il suo Tabucchi epitome del “postmoderno”; Maria Lucia Riccioli con il “grande respiro culturale”, la “sapienza interpretativa” e l’avvincente “grafia letteraria” del suo romanzo storico “Ferita all’ala un’allodola” sulla figura di Mariannina Coffa; Annalisa Stancanelli e il suo viaggio tra storia e (re)invenzione letteraria della figura di Caravaggio e Stefano Trombatore con il suo viaggio umano di prete fra le pieghe e gli anfratti della Storia e delle storie.https://www.lacivettapress.it/2022/03/17/munuzzagghi-e-ratteddi-algra-editore-il-nuovo-omaggio-di-maria-lucia-riccioli-alla-lingua-siciliana/ “Munuzzagghi e ratteddi” (Algra Editore). Il nuovo omaggio di Maria Lucia Riccioli alla ‘lingua’ siciliana Concetta La Leggia Marzo 17, 2022 Maria Lucia Riccioli, professoressa di Lettere presso il liceo “O. M. Corbino” di Siracusa ed eccellente collaboratrice de La Civetta di Minerva, è feconda autrice: suoi il romanzo storico Ferita all’ala un’allodola (Premio “Portopalo – Più a Sud di Tunisi”, finalista al Caos Festival, segnalato al Premio “Alessio Di Giovanni”, racconto incentrato sulla figura e l’opera della poetessa e patriota netina Mariannina Coffa, oggetto anche di un saggio di imminente pubblicazione), la raccolta di cunti siciliani Quannu u Signuri passava p’ o munnu (Algra Editore), i libri per bambini La bananottera e Chi ha rubato la mia mamma? (VerbaVolant edizioni). In questi giorni è in libreria la sua nuova raccolta “Munuzzagghi e ratteddi ” (Algra Editore), poesie sparse in vernacolo siciliano. Già l’immagine del libro rievoca ricordi lontani, di casa, famiglia, comunione, tradizioni nostrane. Abbiamo chiesto a Maria Lucia di parlarci di questo suo ultimo lavoro.Perché il titolo “Munuzzagghi e ratteddi”? I munuzzagghi sono le cose minute, le briciole, e danno testimonianza del testo che è, appunto, una raccolta di frammenti poetici. I ratteddi sono i lavori, spesso compiuti a margine o come secondari, rispetto all’impegno principale. Il titolo dell’opera consente da subito di capire che si tratta di poesie di vari temi, generi e forme. Nati a margine della prima raccolta di cunti, hanno trovato spazio in questa nuova pubblicazione.Tutto il libro sceglie la lingua siciliana. Perché? Alcune di queste poesie, traduzioni dall’Italiano al Siciliano, sono state valorizzate proprio attraverso la scelta del nostro dialetto e la sua musicalità in versi endecasillabi in rima baciata; quasi tutte le altre invece vengono concepite nella mia stessa mente in siciliano; infine ci sono i cunti che vengono trasmessi di generazione in generazione proprio in siciliano e così vanno scritti altrimenti la pregnanza linguistica ne risulterebbe fortemente intaccata e il senso, la musicalità, la bellezza sarebbero di certo ridimensionati. Insomma le sfaccettature del nostro siciliano e i significati non si possono rendere con una traduzione in italiano sic et sempliciter. Ecco perché il testo a fronte di ogni poesia e cuntu è semplice trasposizione in italiano dei testi siciliani, traduzione di servizio per chi non conosce il dialetto, mentre quello delle traduzioni letterarie è un necessario riadattamento a un codice differente. I versi che mi nascono dentro trovano la loro vita proprio in siciliano e una trasposizione letterale in italiano non renderebbe minimamente giustizia alla nostra lingua dialettale. Il tuo legame con la tradizione della nostra lingua siciliana è fortissimo. Alcune poesie ricordano i tuoi cari, chi ti ha lasciato in dote “proverbi, detti e storie, l’amore e il rispetto per il passato”. Tutte le poesie sono in rima e la maggior parte in endecasillabi. Uno sforzo non indifferente. Quanto hanno inciso i tuoi familiari sul tuo amore per il siciliano e sulla tua formazione? Io sono nata bilingue. Mia madre mi insegnava la stessa parola in italiano e siciliano. Mia zia Maria Blundo è una poetessa siciliana dialettale. Madre e zia mi raccontavano sin da bambina detti e cunti in dialetto. Molto hanno inciso le radici familiari, i miei cugini emigrati. Ma anche la mia passione per il teatro: ho recitato Martoglio, riscritto testi teatrali. E poi c’è lo studio. Non ho mai perso il legame con la nostra lingua, anzi. Lo coltivo perché lo ritengo una radice portante per tutti i siciliani. Esistono espressioni siciliane così pregnanti che perderebbero il significato tradotte in italiano. Ecco perché la traduzione dei testi e delle poesie di Dante e Leopardi non è letterale ma una “ri-creazione”, al contrario di quella letterale degli altri testi. A quali testi siciliani ti sei ispirata e perché? Martoglio, Buttitta e molti altri ma mi piace anche leggere la poesia contemporanea siciliana: sia testi totalmente siciliani o rivisti come avviene con la lingua di Camilleri. La nostra lingua siciliana è dotata di una musicalità e di una pregnanza lessicale che la rende unica e splendida sempre. Diverse poesie sono un legame con la nostra religione cristiana: quanto ha inciso nella tua formazione? Già il primo libro di cunti nasceva con forte base morale e religiosa. Di certo il retroterra familiare, la devozione e l’attaccamento religioso alle tradizioni siciliane confluiscono nella mia formazione. Ad esempio mi è venuto spontaneo dedicare versi a santa Lucia ma dapprima ho riletto la sua storia in latino e greco e solo allora ho realizzato il poemetto alla nostra Patrona che è anche omaggio al mondo contadino e alla devozione popolare che, con le sue storie e racconti, con la sua semplicità ma insieme con la sua saggezza, ci ha trasmesso un bagaglio di conoscenza ed un patrimonio non indifferente. Maria Lucia, in alcune poesie c’è una forte critica sociale: la gelosia, la caduta dei valori sociali, il disinteresse politico. È l’impegno sociale che viene dalla tradizione e dal dialetto: la voce popolare che si leva contro soprusi ed ingiustizie. La voce corale del popolo che, usando la lingua dialettale siciliana e la sua pregnanza espressiva, denuncia ciò che non va. Alcune poesie come “Cos’è la poesia? Chi è il poeta?” ricordano la funzione di guida che ad esse è attribuita nei secoli. Cos’è oggi per te la poesia? Oggi abbiamo tanti scrittori e scriventi ma non autori nel significato di “auctoritas” dunque il poeta vate, guida per la società, non è attuale ed in linea con quanto succede nel mondo. Ma la poesia non ha perso la sua funzione: smuove le coscienze, dà voce ai sentimenti del cuore umano. Anche nei momenti di maggiore difficoltà l’uomo cerca l’arte che acquisisce ancor più valore in una società disumanizzata. La poesia è resistenza culturale e politica a tutto ciò che c’è di invasivo perché essa è Umanità e rimette al centro l’uomo e i suoi valori. Ma è anche memoria: salva un mondo che scompare come la nostra società contadina, ormai dimenticata e superata dalla frenesia quotidiana. l siciliano è il codice che la recupera, un modo di salvare un mondo che scompare, un ricordo, una voce, un bisogno, un grido che non si può sopprimere. Tra tante poesie una, Haiku, assomiglia alle scelte ungarettiane e quasimodiane ermetiche. Qual è il significato di questo specifico testo? La poesia in forma di haiku presenta uno schema 5-7-5. Da quando sono state fatte le prime traduzioni di haiku in Occidente a questo genere poetico si sono ispirati autori come Ungaretti e Quasimodo. Nonostante il buio e la morte c’è sempre una rinascita; questo il senso di quella poesia. Ma l’obiettivo è altro: trasportare la poesia ermetica, giapponese e contemporanea nel siciliano: i dialetti non sono comicità e battuta facile. Il dialetto è lingua con cui produrre poesia contemporanea. Del libro ci hanno colpito diversi cunti. Come li hai raccolti e dove? I cunti vengono anch’essi dalla tradizione orale trasmessa da mia madre e mia zia ma non ho trovato fonti scritte. Recuperare il dialetto non è semplice, così come le biografie e le opere delle minoranze finora neglette: proprio per questo è nato il progetto “La Sicilia delle donne” (con la partecipazione quest’anno della Calabria) con l’obiettivo di valorizzare le donne dimenticate dalla storia. Il filo conduttore di questa edizione è “Donne di carta”: scrittrici, saggiste e poetesse dimenticate. Per il C.S.T.B ho curato la scheda di Tecla Navarra Masi, docente, saggista e critica letteraria pachinese che ha scritto dei riflessi della rivoluzione francese nel dialetto e nella etteratura siciliana. Uscirà il 28 marzo un video su di lei e poi una guida per i tipi de “Il palindromo” di Palermo, dove si raccoglieranno le schede su queste donne per creare percorsi ulturali e turistici alternativi e inclusivi. Donne oscurate dalla storia che vanno riscoperte, geni al femminile declinati in tutte le espressioni. Un modo per valorizzare figure che altrimenti ricadrebbero nell’oblio. Una rete di donne moderne che riscoprono il passato. Ecco che il recupero del dialetto non è passatismo ma anche progettazione di nuove modalità, creazione di percorsi culturali per tutti, strumento di conoscenza e cultura. Passato e presente, lingua e sapere, storia ed attualità passano insomma anche dalla lingua siciliana e questo per noi… vantu fu.
L’ORCHESTRA BAROCCA SICILIANA A SAN MARTINO E AL CONVENTO DEI CAPPUCCINI Maria Lucia Riccioli Febbraio 4, 2022 “La Civetta di Minerva” segue per voi le attività dell’Orchestra Barocca Siciliana, che ha inaugurato con un concerto tenuto presso il Convento dei Cappuccini di Siracusa il cartellone della nuova stagione 2022: l’oboe di Gioacchino Comparetto, il clavicembalo di Luca Ambrosio e l’OBS hanno vestito di musica la luce dell’Epifania, ma come preannunciato durante la presentazione della stagione, i concerti successivi saranno “Per ogni sorte de strumenti!”. Si spazierà dalla dulciana al fagotto barocco, classico e romantico di Alessandro Nasello alla viola da gamba, al violone e ai contrabbassi di Marco Lo Cicero, dal liuto e dalla chitarra barocca di Paolo Rigano al clavicembalo di Cinzia Guarino, Luigi Vincenzo e dello stesso Luca Ambrosio, dall’arpa barocca di Loredana Gintoli alla tromba naturale di Davide Giacuzzo; non mancheranno le voci, ovvero quella del controtenore Hugo Bolívar, del tenore Nicolò Giuliano e dei soprani Nicoletta Guarasci, Lia Battaglia e Paola Modicano; ascolteremo anche le voci del coro “Giuseppe De Cicco” diretto da Maria Carmela De Cicco. La stessa OBS sarà diretta da Valerio Losito e Giorgio Matteoli, mentre ci sarà ancora una volta spazio per la danza grazie a Carla Favata e “Harmonia suave”; Rosalba d’Annibale e Alessia Camera saranno rispettivamente scenografa, costumista e regista dell’evento conclusivo della stagione. Nel mese di febbraio, Siracusa ospiterà un doppio evento curato dall’Associazione Orchestra Barocca Siciliana: sabato 12 febbraio, ore 19.15, presso la chiesa di S. Martino Vescovo, direttamente dalla prestigiosa Basilica di S. Marco in Venezia si esibirà l’organista Nicola Lamon (ingresso libero con super green pass; la prenotazione è consigliata al link dedicato sul sito, sia per questo che per gli eventi successivi). Domenica 13 febbraio alle ore 17.00, presso il Convento dei Cappuccini, secondo appuntamento della stagione 2022 con “Seicento Stravagante” che vedrà impegnati David Brutti al cornetto e Nicola Lamon al virginale. Occasione imperdibile per ascoltare il raro e bellissimo suono del cornetto, strumento a fiato impiegato in Europa dal medioevo fino al tardo barocco, al giorno d’oggi utilizzato solo da pochi esecutori specializzati. Entrambi i concerti costituiscono anche l’occasione per valorizzare i gioielli del nostro patrimonio storico-architettonico e per offrire – nel desolante deserto della programmazione culturale della città, specie in periodo di pandemia – eventi significativi e di spessore (doveroso il ringraziamento alla comunità dei frati cappuccini di Siracusa e a don Salvo: i luoghi di culto sono spazi di una socialità ri-trovata). L’Orchestra Barocca Siciliana, fondata dal maestro Pietro Cartosio nel 1986, ha formato decine di giovani educandoli alla prassi storicamente informata tramite l’esecuzione su strumenti d’epoca. Trasferitasi a Siracusa nel 2020, è diretta da Luca Ambrosio, ha organizzato due stagioni concertistiche e durante le due scorse estati ha ospitato la Settimana barocca e delle seguite e apprezzate masterclass con docenti ed esecutori di livello internazionale. Un progetto di OBS – il relativo concerto, registrato a Palazzo Ducezio a Noto nel celeberrimo Salone degli specchi, si può visionare qui: https://vimeo.com/508637390 – è stato selezionato per “Vivere all’italiana in musica”, iniziativa “di promozione e diffusione della cultura italiana all’estero che mira a sostenere la ripresa delle produzioni italiane nel settore dello spettacolo dal vivo e al rilancio internazionale grazie alla Rete di Ambasciate, Consolati, Rappresentanze e Istituti Italiani di Cultura nel mondo”, messa a punto dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. Tra l’altro i membri dell’OBS vivono esperienza musicali anche con altre formazioni in un’ottica di arricchimento e di studio continui: ad esempio, il bravissimo flautista Enrico Luca ha recentemente esordito al Teatro “Romolo Valli” di Reggio Emilia durante lo straordinario concerto della prestigiosa orchestra da camera “Il Giardino Armonico” diretta da Giovanni Antonini. Per maggiori informazioni, https://www.orchestrabaroccasiciliana.it ).
“NINA”: ADELIA BATTISTA TRA MEMORIA E NARRAZIONE, REALISMO E SOGNO Maria Lucia Riccioli Gennaio 8, 2022 “Nina – Vico Storto Concordia”, pubblicato per i tipi – prestigiosissimi, selezionati, preziosi – di Dante & Descartes, è l’ultima fatica letteraria di Adelia Battista, che sceglie di raccontare una piccola storia che sin sarebbe spersa nei meandri a volte smemorati e colpevoli della Storia grande: quella di una Nina qualunque, una figlia, una sorella, una nipote, una ragazza che sembra segnata in partenza dalla sorte e che invece trova nel canto e nel lavoro umile la chiave per il proprio riscatto. Al termine del racconto – una narrazione semplice, pulita, che sa di sapone, di braccia stanche eppure volenterose, che profuma di gelsomini, di vicoli che cambiano stagione, di buoni sentimenti ma senza sentimentalismi… quanto abbiamo perso il gusto per le cose e le persone perbene, per le storie senza sofisticazione, per il pane che sa di fatica e di lavoro onesto, per la scrittura senza orpelli, senza ombelichismi postmoderni – scopriamo anche l’importanza memoriale del lavoro di recupero di Adelia Battista: ridonare voce, ridare corpo a storie e nomi che avrebbero rischiato di finire seppelliti tra le carte del Real Albergo dei Poveri a Napoli, sepolte a loro volta dal terremoto del 1980. Quanto sia fondamentale, addirittura fondante per una comunità, per una città una regione uno Stato, innanzitutto conservare i documenti – benedette le leggi che lo prescrivono – e poi farne riascoltare le storie nascoste, ce lo ricorda la psicoterapeuta Lia Sellitto, scrittrice a sua volta. Benedetti gli archivi, gli archivisti e la loro missione di custodia. E benedette le penne degli autori come Adelia Battista, autrice di piccoli ma significativi volumi che sono soprattutto incontri – con l’amata Anna Maria Ortese, con Dario Bellezza, con in poeti e la poesia, e adesso con Nina e i suoi traumi, i suoi dolori, le sue mancanze. E leggendo questo piccolo significativo volume impariamo che la speranza ha il sapore di una frittella, la voce di un’orfana, di un venditore ambulante, il colore dei cieli di Napoli. E che il destino scrive dritto su righe storte, che un ossimoro come Storto Concordia può farsi armonia di sentimenti, vita nuova.