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Maria Lucia Riccioli

~ La Bellezza salverà il mondo (F. Dostoevskij).

Maria Lucia Riccioli

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LA CIVETTA DI MINERVA non si ferma

28 sabato Mar 2020

Posted by mlriccioli in Eventi culturali, Letteratura, Musica

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LA CIVETTA DI MINERVA in questo periodo non è in edicola, ma continua regolarmente le sue pubblicazioni on line.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=4076:giornale-la-civetta-di-minerva-anno-2020&catid=45&Itemid=253

Causa pandemia vi regaliamo i pdf della nostra Civetta di Minerva. Se potete inoltrateli ai vostri amici. È una voce libera persino dalla più piccola pubblicità.

Nel sito trovate anche i pdf delle scorse annate!

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Il quindicinale La Civetta di Minerva è impegnato nella difesa dell’ambiente e del territorio, dei diritti civili, della legalità, dello sviluppo economico ecosostenibile, di una società inclusiva e solidale.

Editore del giornale è l’Associazione Culturale Minerva autofinanziata dai giornalisti e da alcuni soci, tutti insieme impegnati a sostenere una sfida coraggiosa e difficilissima, soprattutto in una provincia come la nostra dove è difficile poter affermare le proprie idee senza alcun timore, a dare la parola a chi non ce l’ha e pubblicare inchieste e notizie che non si trovano sui giornali di maggiore diffusione.

Oggi il giornale si trova in grave crisi economica e l’autosostentamento tra soci e giornalisti non basta più. Ritorniamo in edicola, dopo la pausa estiva, ma non sappiamo garantire per quanto tempo ancora. Chiediamo, pertanto, a quanti apprezzano il nostro modo di fare informazione di aiutarci. L’appello è rivolto sia alle Associazioni ai Movimenti di impegno sociale e civile (ai quali ci offriamo come loro voce e sicuro alleato) sia alle singole individualità che apprezzano il nostro lavoro e ci trovano in edicola. A tutti chiediamo di sottoscrivere un abbonamento annuale (Sostenitore, di almeno 50 euro oppure Ordinario di 25 euro). In cambio promettiamo il nostro rinnovato impegno di cronisti scrupolosi e intellettualmente onesti e l’attenzione verso le loro istanze insieme al piccolo privilegio di poter ricevere il giornale per posta, direttamente a casa, invece di ritirarlo in edicola. Ci rivolgiamo inoltre agli operatori economici, a chi gestisce un’attività commerciale: siamo disponibili ad offrire spazi pubblicitari e redazionali a prezzi veramente contenuti.

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Grazie per l’attenzione. Con i più cordiali saluti.

Franco Oddo

Marina De Michele

Tutta la Redazione

Sono fiera, nel mio piccolo, di far parte dei collaboratori di questo giornale che dalla Sicilia, da Siracusa e dalla sua provincia, fa sentire la propria voce…
Più giù, alcuni pezzi recenti… 
http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=4303:certamen-1246-il-gioco-letterario-di-giovanni-casella-piazza&catid=17&Itemid=143

CERTAMEN 1246, il gioco letterario di Giovanni Casella Piazza

MARIA LUCIA RICCIOLI
Giovedì, 07 Maggio 2020 20:28
“Signore, che cos’è un uomo perché te ne curi? Un figlio d’uomo perché te ne dia pensiero? L’uomo è come un soffio, i suoi giorni come ombra che passa…”

 

Giuliano Aielli, notaro, è inviato dal patriarca di Aquileia, il cardinale Gregorio da Montelongo, con due missioni: la prima, di consegnargli un malloppo di vecchie carte e dispacci; e la seconda, di chiedergli di accogliere, per qualche mese, Zirìolo de la Mora, uno studente allo Studium di Bologna.

Questo il colpo di dadi che avvia il gioco letterario di Giovanni Casella Piazza, “Certamen 1246” (Besa Editrice).

Monasteri, delitti, misteri ed è subito Eco. Alla prima impressione, perché questo romanzo è un mix di generi e registri linguistici al fine di regalare al lettore non solo una ricostruzione di alcuni anni del convulso intensissimo regno, anzi impero, di Federico II di Svevia, lo stupor mundi – poliglotta, esperto di arti e lettere, di musica e filosofia, poeta egli stesso e autore di un trattato sulla caccia col falcone, ricco di simbologie relative alla funzione stessa del potere temporale e quindi della propria stessa figura –, delle lotte tra guelfi e ghibellini, impero e papato, della nascita dei liberi Comuni, del ruolo dei monasteri, delle corporazioni, della diplomazia, ma è anche e soprattutto un romanzo d’avventura, con tratti di picaresco, un romanzo d’amore – le storie parallele di Veronica e della Manna, dell’abate e del giovane Zirìolo sono uno dei teaser della narrazione –, un romanzo nel tentativo di restituire un Medioevo che è storico e immaginario insieme.

I dialetti e un Italiano che l’autore ha tentato di inventare per conferire una patina d’antico alla propria fantasia letteraria, il “latinorum” di manzoniana memoria, gli arcaismi, l’alternarsi di toni elevati e popolareggianti, l’affacciarsi dei documenti e delle fonti storiche a puntellare l’invenzione: ecco la lingua di questo libro, che con la sua corposità si presta molto bene a riempire di pagine la nostra quarantena letteraria.

Si alternano dialoghi, descrizioni e riflessioni, come ad esempio questa, applicabile al 1246 della fabula e al 2020 del lettore: “È proprio vero che li conflitti tra i potentissimi de la tera colpiscono fatalmente prima de ogni altro li homini humili et deboli, seminando pianto”.

Non mancano gli accenni alla Sicilia di Federico II, che vi fondò la scuola poetica, culla di arte e lingua raffinatissime, modello per gli epigoni toscani: “il ricordo dello scirocco, che in Sicilia soffia per giorni e giorni, immergendo il paesaggio, gli animali e gli uomini in un placido sonno”; “L’arsa terra tra il cielo e il mare. Le note melanconiche dello oud e i gorgheggi del mizar. Il profumo della ginestra e del mandorlo”; “[…] c’era un ambiente perfetto per alimentare allegria e bellezza. La natura, il clima aiutano tanto” e ai siciliani, “riconoscibili dall’inventiva e sussultante parlata”, al “fasto” nelle “regge di Sicilia”, a Palermo, a Girgenti e ai loro capolavori (e invitiamo l’autore a visitare i luoghi che tanto hanno influito nella formazione del piccolo Federico e che aiutano a comprenderne il disegno di grandezza e bellezza).

E ancora: “[…] assistevano al travalio de l’historia quando s’apressa a generar un novo evo, poi ch’è vero ch’ogni venente evo resiste fieramente a lo nascente. Et ciò non è sin dolore, perché con essa moiono li homini a esso partenuti et le lor idee. Per questo criterio par saggio affirmare ch’ogni cambiamento saporisce il tempo passato, ma sopra tuto exalta il presente, sì come è per causa de’ mutamenti che percepiamo de viver un novo evo, poi che lo saporiamo diferente de lo trascurso et per tal razone ci può parer più dulce o ancho più amaro. In razon de ciò il mutar dà a noi la perceptione de nostra exsistentia”.

 http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=4249%3Aluis-sepulveda-il-virus-spegne-la-voce-non-zittita-neanche-dalla-dittatura-di-pinochet&catid=17%3Acultura-diario-in-epidemia&Itemid=143&fbclid=IwAR2TW0yfbDBFEwFkJobT3pXfHqEkgSHWTKhFgzoFx77Kf7Fbwda1laBJ-oM

Luis Sepulveda: il virus spegne la voce non zittita neanche dalla dittatura di Pinochet

MARIA LUCIA RICCIOLI
Giovedì, 16 Aprile 2020 18:57
Il coronavirus falcia le vite di anziani e giovani, contagia persone comuni, premier e reali.

Non ha risparmiato la voce dello scrittore cileno Luis Sepúlveda, che neppure la dittatura di Pinochet era riuscita a tacitare.

Sì, perché per Sepúlveda la penna e l’azione, la mano e il pensiero non erano scissi ma uniti nella coerenza di un sentire appassionato, di un’adesione completa alle cause sostenute, che fossero la sorte delle balene e delle altre creature marine difese insieme a Greenpeace, il destino degli ultimi indios – baluardo contro la capitalistica cieca cupidigia dell’uomo bianco nei confronti della natura –, la lotta per la democrazia e la libertà in un mondo che ci vuole sempre più sottomessi alla dittatura del mercato e del pensiero unico.

“Abbiamo bisogno delle opinioni, abbiamo bisogno di scienziati coraggiosi che si giochino tutto per dire “Eppur si muove” anche nel peggiore momento, abbiamo bisogno del politico che è capace di dire “La politica non è semplicemente una forma per difendere un interesse determinato”; la rivoluzione che sognava era quella contro il lucro, l’individualismo, l’egoismo, la prepotenza, per una “società di cittadini e non di miserabili consumatori”: queste le sue parole in occasione della sua ultima partecipazione al Salone del libro di Torino.

Nei suoi libri si trasfigurano l’impegno militante, il trauma – un marchio di fuoco – dell’uccisione di Allende, che lo scrittore aveva conosciuto, i viaggi – da curioso viaggiatore, non da turista –, la passione per la scrittura – amava i nostri Fo e Strehler e sognava di diventare un autore di teatro –, gli amori, specie quello che lo ha unito nella lotta contro la dittatura e contro il coronavirus alla prima e ultima moglie, Carmen Yanez.

Ospite a Catania nel 2016, aveva omaggiato la Sicilia con queste parole: “Tanti anni fa, la mia casa editrice, che è la stessa di Camilleri, mi dice che lui sarebbe arrivato da lì a poco in Spagna e aveva il desiderio di salutarmi. No, dissi io. Sono io che voglio salutare lui. Ho un’ammirazione enorme verso Camilleri, così come verso tanti altri autori siciliani da Luigi Pirandello a Leonardo Sciascia. La sicilianità è qualcosa di straordinario, l’aspetto che amo di più della Sicilia. È un’attitudine umana, una forma dell’essere che si traduce in qualità come per esempio l’ospitalità, un pregio tipico dei siciliani”.

Rimangono – oltre lo sgomento, penso ai messaggi dei nostri alunni, che hanno amato e letto e perfino portato in scena, alle elementari e alle medie, i suoi lavori, “La gabbianella e il gatto che le insegnò a volare” – la scrittura limpida di Sepúlveda, le sue idee e soprattutto i suoi libri.

“Sapeva leggere. Fu la scoperta più importante di tutta la sua vita. Sapeva leggere. Possedeva l’antidoto contro il terribile veleno della vecchiaia”.

 

https://www.facebook.com/siracusadifferenzia.it/

 

 

 

 

 

 

 

 

 

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=4248%3Ace-l-hai-il-coraggio-di-leggermi-l-anima-e-non-il-volto-la-libreria-editrice-urso-pubblica-la-nuova-raccolta-di-poesie-di-miriam-vinci&catid=17%3Acultura-diario-in-epidemia&Itemid=143&fbclid=IwAR0tlRZi5HGCPspLNF4o6C-NtR2SZt8BA8drT9TY3rj0zKQfvUr8h-xv494

La Libreria Editrice Urso pubblica la nuova raccolta di poesie di Miriam Vinci. “Sono un grumo di sogni, un grumo di emozioni”

 

Salutiamo l’uscita di “Parole che ho dentro”, la nuova raccolta di Miriam Vinci, giovane penna netina che si è distinta in vari concorsi di poesia, specie in quello indetto dalla Libreria Editrice Urso – meritoria per le iniziative culturali –, che ne ha pubblicato i versi.

“La vita non si programma, / si respira”: così i versi quasi programmatici del primo componimento. E in effetti poesia è creazione, soffio vitale e vivificante.

Tornano l’infanzia e i suoi sogni, spesso forieri di disillusione; l’amore per il mare – odiosamato, ambivalente, simbolo di vita e morte insieme – e la natura in generale, in cui si riflette l’animo della poetessa. Tornano i tormenti interiori, le domande incessanti a se stessi e alla vita.

Rispetto al primo volume di poesie di Miriam Vinci, “È in questa nudità che vorrei vestiti di poesia”, si nota una maggiore densità narrativa: i versi sono grumi di significato, folate di pensieri riflessioni emozioni.

Ma che cos’è la poesia per la nostra autrice? Cosa rappresenta, in generale, per chi scrive?

“Poesia è ricordare”, “giardino di memorie”; e ancora: “Poesia è uno stato mentale”, uno stato, una modalità dell’essere.

E scrittura, scrivere, incidere se stessi su carta o sullo schermo senza cicatrici di un computer, cos’è?

“Scrivere, a volte, è un disperato bisogno”: bisogno di vita, di espressione, di corrispondenza: “Non mi trovo. / Non mi trovo nel cuore di nessuno. / Cercami in una Poesia”.

Scrivere è anche sfida, sfida a scrivere e leggere l’anima propria ed altrui: “Scrivimi. Ti scrivo. / Poeticamente ti sfido. / Ti leggo. Leggimi. / Poeticamente ti sfido”.

Scrittura è soprattutto il cuore che trabocca per troppa pienezza: “Tutto è sacro. / Tutto è canto. / Oh cuore! / Voglio Poesia. / Poesia”.

Stilisticamente, segnaliamo la particolare presenza di anafore e ripetizioni: in “Diluvia” martellano il concetto di pioggia fisica e interiore, come in “Poeticamente ti sfido”, in cui sono funzionali a scandire il quasi-duello tra l’io poetico e il suo interlocutore; in “Pensieri” rendono il martellare ansiogeno delle preoccupazioni, delle “curae” che appesantiscono il cuore e affastellano la mente di gravami, in “Calzino gemello” sottolineano l’ironia amara dei versi.

Com’è nata la tua nuova raccolta?

La nuova raccolta di poesie “Ce l’hai il coraggio di leggermi l’anima e non il volto?” nasce da un grumo di emozioni che la società moderna mi porta a vivere, piccole sfide interiori ed un groviglio di pensieri che trovano cura e consolazione nella loro manifestazione poetica.

Cosa è maturato nella tua scrittura rispetto alle prime esperienze?

Nella mia scrittura, rispetto alle prime esperienze, maturano le emozioni.

Le mie emozioni sono un continuo crescere, per questo il titolo della raccolta che è anche il verso di una mia poesia. E nel contempo invito attraverso la lettura dei miei scritti alla ricerca della mia essenza. Questa raccolta è un invito al lettore affinché possa conoscere la parte più intima di me e rispecchiarsi attraverso le mie emozioni e riconoscersi. In questa vita girovaghiamo smarriti e perduti ed attraverso l’arte che ci ritroviamo e ci riconosciamo. L’arte è la bellezza che salverà le nostre anime erranti. Lettore, ti sfido a leggermi dentro e non solo la copertina.

Hai esordito con la narrativa: hai in animo di tornare a questo genere o preferisci la poesia?

Amo scrivere e vivo la scrittura come una necessità incontrollabile. Io penso e senza rendermene conto ho carta e penna e già scrivo. Pensieri, poesie, racconti…

Ho esordito con la narrativa perché è stata una necessità, un sentire, un impulso che parte da dentro. Ma nel contempo scrivevo anche pensieri e poesie che sono state successivamente raccolte. Le emozioni mutano continuamente, la vita ti mette di fronte a continue sfide e tutto diviene arte. Sento il bisogno di scrivere ancora, aspetto che il frutto sia maturo, aspetto l’impulso che mi faccia dire: sono pronta, sto per nascere.

Quindi sì, tornerò a scrivere narrativa. E continuerò a scrivere di tutto, come una necessità incontrollabile, perché è questo che sono, “un grumo di sogni”, un grumo di emozioni.

Miriam Vinci ben rappresenta l’anelito giovanile alla Bellezza nonostante il grigiore del quotidiano e le difficoltà dell’esistenza e ci piace chiudere proprio con i suoi versi, che con voce fresca in ritmi franti ricantano i temi eterni della poesia, tra illusioni ingenue dell’età ed echi leopardiani: “Ed è in questa nudità / che vorrei / vestiti di poesia”.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=4240:il-fil-rouge-delle-epidemie-nel-nostro-passato-letterario-e-non-solo&catid=17&Itemid=143

Il fil rouge delle epidemie nel nostro passato, letterario e non solo

MARIA LUCIA RICCIOLI
Martedì, 14 Aprile 2020 20:53
L’otto aprile – data che ricordiamo per l’inizio del viaggio dantesco oltre che per altre “coincidenze” storiche – del 1860, alle cinque del mattino, presso la Cattedrale di Siracusa, Mariannina Coffa Caruso, poetessa e patriota netina, si univa in matrimonio con il possidente ragusano Giorgio Morana.

Un evento di 160 anni fa che coincide con i moti risorgimentali e che prelude allo sbarco dei Mille e alla tormentata unificazione della penisola.

Lo studio della figura della Coffa – oltre che critico, filologico, sociologico… ­– permette di illuminare non solo molti aspetti del nostro secondo Romanticismo, e più in generale del secondo Ottocento (la poetessa nasce nel 1841 e nel 2021 ricorreranno quindi 170 anni dai suoi natali; muore a trentasei anni, tre mesi e sei giorni nel 1878), ma anche fatti e problemi che possiamo comparare alle questioni attuali.

Oggi la pandemia da Cov-id19 miete vittime in Italia e nel mondo e studiare il passato e le epidemie con cui hanno dovuto convivere e lottare i nostri antenati può gettare una luce sul presente.

Nel 1835 muore a Siracusa il poeta tedesco August von Platen, probabilmente di enterocolite o forse di colera; nel 1837 divampò il colera che probabilmente uccise Leopardi e che a Siracusa fece scoppiare una rivolta contro dei presunti “untori”: la città perse il ruolo di capovalle in favore della vicina e rivale Noto.

Il colera del 1854-’55 esilia Mariannina Coffa, quattordicenne enfant prodige dei salotti netini, presso il podere di famiglia in contrada Falconara: oggi diremmo che la ragazza trascorse un periodo di quarantena fra timore e tremore, non solo per via dell’epidemia ma anche a motivo dell’impegno politico del padre, legato ai liberali antiborbonici.

Il patrono di Noto, San Corrado, il cavaliere piacentino divenuto eremita, viene dalla Coffa invocato in versi perché interceda presso Dio per la cessazione dell’epidemia:

Corrado, oh no, la grazia / Non ci saprà negar. // Ei che nostra patria / Ricopre col suo manto, / Ei che rimira il popolo / Fra tante angosce e in pianto, / Ei ci vorrà protendere / La salvatrice man. // Salve, o celeste Spirito, / O nostro Protettore / Fuga l’orrenda e squallida / Paura d’ogni core / E le dolenti lacrime / Sian di contento alfin…

La poetessa ci dà notizie del colera, potremmo dire, di sbieco: l’epistolario – le lettere indirizzate non solo all’amore mancato, al maestro di pianoforte e drammaturgo Ascenzio Mauceri (di cui il 13 aprile ricorre l’anniversario della morte, avvenuta nel 1893), ma anche a parenti, amici, al precettore – ci offrono uno spaccato di storia della Sicilia ottocentesca, anche dal punto di vista delle quasi periodiche epidemie di colera (Mariannina temerà non solo il colera del 1854 ma anche le sue recrudescenze degli anni ’60, quando la poetessa è già a Ragusa). Non solo: la lotta contro il colera s’insinua nel conflitto tra liberali moderati e repubblicani democratici, spesso rivoluzionari, che oppone i medici allopatici agli omeopatici; i rimedi contro il colera e le malattie delle viti e del bestiame rendono benemeriti i medici che riescano a salvare vite umane, animali e colture. Pensiamo ad esempio a Giuseppe Migneco, cui Mariannina Coffa affiderà la propria salute: i rimedi del medico augustano saranno adottati e riceveranno pubblici encomi da Comuni e autorità.

Le epidemie di colera, lungi dall’arrestarsi, continuano per tutto il XIX e per parte del XX: per citarne una trasfigurazione letteraria nostrana, nel 1918 la compagnia di Angelo Musco mette in scena al Teatro Nazionale di Roma “’U contra”, commedia di Nino Martoglio in cui nel caratteristico quartiere catanese della Civita si scontrano “baddisti” (da “badda”, polpetta avvelenata), che credevano agli untori prezzolati dal Governo per decimare la popolazione in sovrannumero, e “culunnisti”, che credevano in una pseudoscientifica “culonna” d’aria, una corrente di Scirocco che propagava la malattia dall’Asia minore

 

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http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=4239:giuseppe-la-delfa-giornalista-regista-attore-alla-terza-laurea-76-anni-e-non-sentirli&catid=17&Itemid=143

Giuseppe La Delfa, giornalista, regista, attore, alla terza laurea: 76 anni e non sentirli

MARIA LUCIA RICCIOLI
Martedì, 14 Aprile 2020 20:44
La cultura e lo studio come passione, come arricchimento personale, al di là di ogni limite e preclusione dovuti all’età o ad altre condizioni.

“La Civetta di Minerva” ha incontrato – virtualmente – per voi il neolaureato Giuseppe La Delfa (Assoro, 1944), che scrive in lingua e in dialetto, è socio dell’Accademia Pen Club di Milano e dell’A.S.A.S. (Associazione Siciliana Arte Scienza) di Messina, cavaliere dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, direttore responsabile e giornalista di bimestrali culturali, regista e attore, ed è fresco di laurea in giurisprudenza, la terza (dopo quella in Scienze della comunicazione e in Scienze cognitive e psicologia).

Da dove viene questa passione per lo studio?

È nata da diverse circostanze: innanzitutto mio nonno paterno era ufficiale giudiziario presso la pretura di Leonforte, in provincia di Enna, e fungeva anche da aiuto privilegiato al Pretore avendo frequentato l’università di Catania in Giurisprudenza senza mai laurearsi per via della sua salute precaria; a mio zio e padrino per laurearsi in giurisprudenza mancava una materia (eravamo in tempo di guerra), poi partimmo per l’Argentina, al ritorno studiò per il concorso per l’insegnamento, risultò secondo in tutta Italia e gli assegnarono la cattedra a Racalmuto, paese dello scrittore Leonardo Sciascia del quale diventò collega e poi direttore didattico.

Per ricordarli ho dedicato loro la tesi di laurea. Uno stimolo importante a riprendere gli studi è stato un alunno di mia figlia che aiutavo con dei riassunti; un giorno, incuriosito, gli chiesi notizie sull’andamento delle lezioni, sui professori e altro e decisi di tentare questo nuovo percorso.

Di cosa ti occupi attualmente?

Mi occupo di cultura, dopo una pausa di riflessione dovuta alla stanchezza. Come ben sai sono giornalista, ma per adesso scrivo solo una tantum. Dedico il mio impegno alla socio-cultura occupandomi di volontariato, inoltre mi dedicherò alla presentazione di libri presso i cenacoli culturali della città, naturalmente non appena ci saremo liberati del coronavirus; riprenderò poi a compilare antologie poetiche in omaggio ai grandi poeti italiani e siciliani del passato e a scrivere altri libri miei di saggistica in corso di elaborazione.

Propositi e riflessioni per questo periodo particolare…

Veramente mi sento prigioniero in casa: un uomo libero come me si trova a disagio e direi in pericolo di vita sia per l’età sia per le condizioni di salute. Sopravviviamo perché amiamo la vita, la filosofia, il prossimo e Dio. Con la consapevolezza di un avvenire migliore per i figli e i nipoti affidiamo le nostre intenzioni al Padre Celeste per debellare un male di cui non sappiamo ancora gli sviluppi futuri e che ha invaso tutto il mondo

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=4204:storie-europee-al-tempo-del-coronavirus&catid=15:attualita&Itemid=139&highlight=WyJyaWNjaW9saSJd

STORIE EUROPEE AL TEMPO DEL CORONAVIRUS

MARIA LUCIA RICCIOLI
Domenica, 05 Aprile 2020 15:53
L’epidemia, poi pandemia, di Cov-id 19 va affrontata e discussa non solo dal punto di vista scientifico o sociopolitico o economico: è interessante anche l’approccio sociologico, il vedere come cambia la nostra vita ai tempi del coronavirus sia per noi che per i nostri connazionali. E per gli stranieri che vivono o hanno vissuto per qualche tempo in Italia? E per gli Italiani che vivono all’estero?

Neelam S., chimica indiana, poliglotta, che ha vissuto e lavorato tra Italia (ama in particolare la Sicilia, specie Catania e Siracusa), Germania e Lussemburgo, ci racconta la sua autoquarantena – non sempre compresa da colleghi di lavoro e conoscenti -, dovuta sia all’attenzione ai dispositivi tipica dei suoi studi e del suo lavoro che al fatto di aver seguito e di continuare a seguire la situazione italiana: spesa e lavoro, smart working e laboratorio, autoreclusione per evitare il contagio; situazione simile per Margareta K., appassionata viaggiatrice, corista dalle esperienze internazionali, tedesca innamorata di Siracusa, si è chiusa a casa in autoquarantena proprio perché segue l’evolversi della situazione italiana e teme che possa ripetersi per la Germania; Savitri J., mongola ormai “siracusanizzata”, ci racconta l’esperienza del suo paese di origine, che pur confinando con la Cina, ha saputo – memore forse del suo passato, disciplinato rigore comunista? – imporre misure di contenimento del virus.

“La Civetta di Minerva” ha incontrato per voi – seguendo le regole del distanziamento sociale, ovvero via mail – la siracusana Roberta Romano, che da anni vive in Olanda e ci offre il suo punto di vista di Italiana all’estero.

Presentati ai nostri lettori: chi sei? Che cosa ti ha portato in Olanda? Che lavoro fai?

Mi chiamo Roberta Romano e sono nata e cresciuta a Siracusa. Essendo un po’ ribelle da giovane, e lo sono ancora adesso in effetti, sono andata a vivere a Bologna: L’amore mi ha portata in Olanda. Più in là si vedrà…

Lavoro da circa 20 anni per un’azienda lattiero-casearia (una multinazionale distribuita in 34 paesi sparsi nel mondo) e mi occupo della sicurezza informatica per i dispositivi elettronici e per tenere il tutto un po’ più movimentato, sono responsabile per l’AppStore interno che distribuisce app create per la nostra azienda.

Nel mio tempo libero studio, coltivo il mio orto biologico e cucino molto volentieri.

Com’è cambiata la tua vita in questo momento di emergenza da coronavirus? Raccontaci la tua giornata tipo.

Io ho seguito attentamente l’evoluzione dell’epidemia (poi proclamata pandemia) in Italia ed ho anche potuto costatare quanti olandesi siano andati a sciare proprio quando già da settimane veniva sconsigliato. Poi è arrivato il carnevale ed il virus ha iniziato ad espandersi, senza che ce se ne rendesse conto. Alla fine hanno è stata chiusa una provincia, dove sono stati accertati la maggior parte dei casi, soprattutto ragazzi reduci dalle settimane bianche e dal carnevale. Ma logicamente anche tanti anziani.

Per questo io già mi ero messa in quarantena prima che l’azienda per cui lavoro chiudesse e ci ordinasse di lavorare da casa, cosa che già facevo prima del coronavirus un paio di volte a settimana, visto anche che la mia azienda è abbastanza avanti tecnologicamente.

La cosa scioccante è stata andare al supermercato senza ancora essermi resa conto che, dopo i provvedimenti del governo olandese di chiusura delle scuole, bar, ristoranti e palestre fino al 6 Aprile, la popolazione si era riversata nei supermercati a fare incetta di prodotti alimentari e carta igienica.

In lingua nederlandese il verbo “hamsteren” (che deriva da hamster, criceto), indica l’accumulo di risorse alimentari proprio come fa il criceto che accumula tutto il cibo possibile all’interno delle sacche guanciali.

Nella foto, Irma Sluis, interprete di lingua dei segni per non udenti, durante la conferenza stampa del governo, ha tradotto così l’esortazione del governo a non accumulare provviste (“Niet hamsteren!”).

E non solo nei negozi, ma anche online. Qui siamo abituati a fare la spesa online, ma se guardi il planner – il piano consegne -, la prossima possibilità di consegna è il 16 aprile. Tutta la logistica è andata in tilt e così anche la vendita online… e così mentre in Italia si lasciavano le penne lisce sugli scaffali, qui gli olandesi lasciavano lasagne e cannelloni di cui io ho prontamente comprato qualche scatola.

Gli italiani in Olanda: qual è la percezione dell’emergenza rispetto ai connazionali? Ci sono aspetti della cultura olandese che sono venuti fuori in questo periodo?

Allora… qui in Olanda, come del resto in tutti gli altri paesi (compresa l’Italia), hanno iniziato a rendersi conto della gravità dell’epidemia un po’ tardino. Quello che è interessante è che l’Olanda ha deciso di adottare il principio dell’immunità di gregge.

Questo ha causato il panico totale tra gli Italiani in Olanda, quindi anche da qui c’è stato un esodo verso l’Italia con ogni tipo di mezzo

Per quel che riguarda i social, non riferisco cosa si scrive su Facebook nei gruppi di Italiani in Olanda, ma posso assicurarvi che è sconcertante e che ho anche smesso di leggere i messaggi postati: non bisogna sempre essere d’accordo con gli altri, ma in questi gruppi ci si scanna tra italiani stessi. È scaturito il peggio di noi stessi, senza poi parlare dei commenti riguardo l’Olanda e gli olandesi.

Io sono molto grata per le possibilitá che questo paese mi ha offerto e non sputerei mai nel piatto da cui ho mangiato soltanto perché qui regnano altri modi di pensare e fare. In fondo ho scelto io di venire a vivere qui! E come me, lo stesso lo hanno fatto molti altri Italiani che adesso lasciano il paese insultando e infierendo contro tutti e tutto.

Anch’io non sono d’accordo sul fatto che qui non sia stato ordinato il lock down, ma io faccio la mia parte stando a casa ed uscire solo per fare la spesa.

Gli olandesi sono stati disobbedienti ed hanno fatto precisamente cosa hanno fatto gli Italiani all’inizio dell’epidemia: con il primo sole primaverile tutti si sono riversati in spiaggia… questo dà l’impressione che non prendano sul serio situazioni come queste. Si vedrà, spero che tutto questo passi in fretta e che si ricominci a vivere.

Ma fino a quel momento non mi stanco di dire a tutti di stare a casa se non c’è un motivo valido per uscire.

 

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Don Raffaele Aprile: “Siamo pietre vive che camminano

MARIA LUCIA RICCIOLI

Categoria: Chiesa e dintorni
Lunedì, 06 Aprile 2020 20:28
Non chiudiamoci nella paura: Dio non è mai assente dalla nostra vita”

 

“La Civetta di Minerva” ha intervistato per voi don Raffaele Aprile, presbitero presso la Basilica Santuario “Madonna delle Lacrime” di Siracusa e vi ricorda che sia su TeleTris Siracusa che in streaming sulle pagine social della Basilica (sul sito web http://www.madonna dellelacrime.it) e dell’emittente sarà possibile seguire le dirette dei riti della Settimana Santa, Giovedì 9 Aprile (ore 18) con la Santa Messa in Coena Domini, Venerdì 10 Aprile (ore 18) con la celebrazione della Passio Christi, Domenica 12 Aprile (ore 11) con la Santa Messa di Pasqua. Le celebrazioni per la Domenica delle Palme saranno invece alle ore 8, 12 e 18.30. Per la preghiera personale gli orari di apertura sono invece la mattina dalle 8.30 alle 12.30 e il pomeriggio dalle 16 alle 18.30.

Qual è la risposta che può offrire la fede in questo tempo così strano, paradossale, tragico? Il periodo liturgico della Quaresima è un tempo “forte” in attesa della Pasqua e sembra che l’umanità stia vivendo un cammino nel deserto…

Nell’attuale periodo storico che stiamo vivendo, segnato dall’insorgere dell’epidemia del coronavirus, solo nel Vangelo possiamo trovare l’invito a salire sul Tabor per rifornirci di quella speranza che il virus vuole toglierci, buttandoci in braccio alla paura che ci fa chiudere egoisticamente in noi stessi, e ci fa dimenticare che c’è Dio, che può aiutarci a uscir fuori da questo flagello. Facciamo esperienza della grandezza della bellezza dello stare con Gesù nella Santa Messa, perché Cristo si rende presente nel pane e nel vino: quel pane e quel vino che si trasfigurano, manifestano la grandezza, la luminosità, il fulgore, la bellezza del divino che appaga il nostro anelito d’infinito, di cielo.

Oh, se questo momento tragico potesse essere l’occasione propizia per scoprire la necessità di salire sul Tabor, di partecipare alla Santa Messa con fede, anche se con i nuovi mezzi digitali, mezzi che permettono di partecipare alla Messa, di stare lungamente in adorazione davanti al tabernacolo!

Pensavo al Papa che ogni giorno celebra dalla casa di Santa Marta, al momento straordinario di venerdì 27 marzo a San Pietro, al dialogo profetico tra Gesù e la Samaritana: le chiese sono chiuse e forse sta arrivando il momento di pregare Dio in spirito e verità… “Ecclesia” è la comunità, non le pareti che la ospitano e non possono certo rinchiuderla.

È molto triste il momento che stiamo vivendo. Le chiese sono chiuse per l’epidemia che c’è in corso, ma voglio ricordare a tutti che ognuno è la casa di Dio, il tempio di Dio. È necessario non trascurare la preghiera e l’adorazione personale a Gesù Cristo oltre alla lettura quotidiana della Parola di Dio. Non spegnete lo Spirito Santo che vive in voi, ma fate in modo che il fuoco dello Spirito arda sempre nel vostro tempio. Noi siamo pietre vive che camminano, pietre che si danno la mano. Dobbiamo attivare la fantasia: io penso che nei momenti di crisi come questo che siamo vivendo, il primo rimedio consiste nel non farci carcerare dalla paura, perché Dio non è mai assente dalla nostra vita. Il coraggio va declinato con silenzio orante, meditazione della parola di Dio, riscoprendo la gioia delle sane relazioni familiari, attivando un dialogo costruttivo con i propri cari, dando un senso al dialogo virtuale, non facendo sentire nessuno solo, abbandonato.

Qual è il ruolo dei sacerdoti in questo momento? Come vive la Basilica Santuario questo periodo?

Il presbitero è un angelo che non si tira indietro davanti al pericolo e con le dovute cautele deve farsi presente e stare accanto per consigliare, dare speranza, confortare, dare senso a questo tempo, per capire quanto è grande la nostra fragilità e quanto è immensa la potenza di Dio. Non dimentichiamo quanto ci dice Gesù, coraggio io ho vinto il mondo.

Nel santuario in cui opero, la Madonna delle Lacrime di Siracusa, abbiamo sospeso tutte le attività in programma, ma abbiamo avviato, sin dall’inizio dell’emergenza sanitaria, le Sante Messe in diretta streaming sul sito web http://www.madonna dellelacrime.it, sempre celebrate, naturalmente, a porte chiuse.

Il santuario ha come orari di apertura per la preghiera personale la mattina dalle 8.30 alle 12.30 e il pomeriggio dalle 16 alle 18.30.

In tanti invocano Maria in questo periodo così travagliato. In particolare tanti sguardi sono rivolti alla Vergine di Siracusa, Madonna delle Lacrime, invocata sempre e in tutto il mondo anche nelle epidemie: sono certo che, con il suo amore materno e le sue lacrime, toccherà i nostri cuori induriti e ci renderà docili affinché possiamo accogliere in umiltà e semplicità Gesù.

In tutto il paese si elevano preghiere per invocare l’intercessione della Madonna per chiedere che il mondo sia libero da ogni male. Lasciamoci bagnare dalle sue lacrime.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=4152:incredibile-e-tenera-storia-d-amore-emersa-dalla-polvere-del-tempo&catid=17&Itemid=143

INCREDIBILE E TENERA STORIA D’AMORE EMERSA DALLA POLVERE DEL TEMPO

MARIA LUCIA RICCIOLI
Giovedì, 19 Marzo 2020 08:51
“La Civetta di Minerva” intervista per voi Aldo Agostino Dugo, già direttore di un istituto bancario, presidente dell’Associazione Plemmyrion e consigliere dell’AMP (area marina protetta), qui in veste di autore di “Lettere d’amore dal Panama” (Carthago edizioni, Catania), che avrebbe dovuto essere presentato domenica 15 marzo ma rinviato a nuova data per l’emergenza Covid 19.

“È una storia che mi è letteralmente esplosa tra le mani”, ci racconta Dugo – appassionato lettore che però non avrebbe mai immaginato di diventare scrittore –, un signore d’altri tempi, dal garbo raro, che a tratti si commuove ricordando la struggente storia d’amore dei suoi genitori, i protagonisti del libro. “Tutto nasce da un sogno”, una sorta di messaggio che confermerebbe la “corrispondenza d’amorosi sensi” tra noi e chi ci ha lasciato: una toletta tarlata diventa una capsula del tempo, il legno dov’è incassato il marmo del ripiano diviene lo scrigno che nasconde un certificato di matrimonio e un fascio di lettere, un epistolario dei primi del ‘900.

Come nelle storie più intriganti, parte da qui l’indagine dell’autore, che risale fino al 1860 per chiarire i misteri della storia della propria famiglia. Le nozze datano 21 ottobre 1926, eppure una lettera straziante del padre di Dugo, datata dicembre 1927, lamenta la separazione dalla donna amata. Perché? Ecco la scoperta sorprendente e commovente insieme: il matrimonio segreto dei genitori – ventenne lui, quindicenne appena lei –, celebrato civilmente, alla presenza dei soli testimoni, le fedi tolte pochi minuti dopo, una separazione forzata di due anni, che dà vita a questo scambio di lettere belle e struggenti.

A cosa si riferisce il titolo?

“La copertina di Francesca Nobile raffigura un panama, il tipico cappello di paglia usato da Roosevelt, che d’estate sostituiva quello di feltro. C’è poi una farfalla che infila una letterina nel nastro del cappello: questo fu l’escamotage di mio padre per comunicare con mia madre. Il panama apparteneva al cognato; i due frequentavano lo stesso circolo ricreativo e il fratello di mia madre, pur non tollerando mio padre, inconsapevolmente ne divenne il postino, dato che mia madre sapeva dei bigliettini, piccoli come francobolli, nascosti nel panama”.

Storie che profumano d’antico, di un romanticismo che oggi sembra smarrito, ora che una relazione d’amore si consuma in fretta e non si nutre della passione dell’attesa, della distanza che piaga il cuore ma rende il desiderio legame profondo e indissolubile, della scrittura come filo d’inchiostro labile eppure indelebile tra i corrispondenti.

Dugo per un certo periodo è stato incerto se consegnare o meno al pubblico sentimenti così privati e personali, ma poi ha trovato conforto in “padre Dante”, come ama chiamarlo – Aldo Dugo è tra l’altro un appassionato culture della “Commedia” – che ha squadernato nelle sue opere anche gli intimi pensieri e afflati del cuore, e si è deciso a pubblicare la storia: il romanzo ha incontrato l’entusiastica adesione di Gaspare Edgardo Liggeri, presidente della Carthago edizioni, anche perché a detta dell’editore potrebbe essere un buon soggetto cinematografico.

La storia del matrimonio segreto dei Dugo si intreccia non solo con quella degli altri componenti delle due famiglie (rocambolesca e a tratti manzoniana la vicenda di una zia monaca che lascia il convento dopo dodici anni, diventa una dirigente del PCI e sposa uno zio di Dugo), ma anche con quella di Siracusa – il fascismo, la costruzione della Siracusa-Vizzini, il dopoguerra, le vicende del molino poi pastificio Conigliaro, lo sviluppo socioeconomico della città… –

“Credo di aver compreso il messaggio di mio padre. Per essere eroi nella vita non occorre essere persone importanti o compiere chissà quali imprese: eroe è anche una persona comune, che con le sue scelte e le sue lotte si fa uomo e trasmette dei valori veri ai figli. Mio padre ha fatto follie per amore di mia madre e poi sono rimasti insieme per 68 anni; nonostante sacrifici e privazioni si sono sempre amati, mi ha fatto studiare e diventare quello che sono: è stato un uomo comune, ma per me di dimensioni omeriche”.

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LA LETTERATURA AI TEMPI DI COVID 19

MARIA LUCIA RICCIOLI
Domenica, 15 Marzo 2020 11:34
   “Il buon senso c’era ma se ne stava nascosto per paura del senso comune”: parole profetiche come visionaria è sempre la letteratura, che stende il suo sguardo sulla distesa apparente del tempo per far risuonare la sua parola di verità.

La citazione è naturalmente tratta da “I Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni, di cui il 7 marzo ricorre l’anniversario della nascita (1785), e si riferisce all’epidemia di peste del 1630: occorre proprio ripetere che basta dare un’occhiata ai capitoli XXXI-XXXII per comprendere la psicosi di questi giorni? Untori, monatti, lazzaretti… ospedali, virologi e immunologi, influencer, paura del contagio. Parole come influenza, virus e virale, viralità (pensiamo ai post, alle fake news bufale false notizie più o meno dolose che si diffondono come e peggio dei morbi) ci rimandano ad un’umanità che ha sempre dovuto combattere con le epidemie e le loro nefaste conseguenze sulle comunità e sul senso stesso dell’umanità (influenza viene da “influere”, scorrere dentro, e si riferisce anche all’agire dei corpi celesti sulla salute umana; virus invece in latino significa “morbo, malattia” e soprattutto “veleno”): quanto veleno in tanti gesti contro presunti infettatori, quanto malata certa informazione distorta o certa sciagurata condivisione di contenuti falsi o tendenziosi.

Oltre al Manzoni del romanzo, c’è un altro suo scritto che andrebbe riletto, cioè la “Storia della colonna infame”, saggio che originariamente accompagnava “I Promessi Sposi”: l’autore infatti desiderava che il lettore, avvinto dal suo componimento misto di storia e di invenzione, leggesse poi la vicenda giudiziaria di Giangiacomo Mora e Guglielmo Piazza, che vennero accusati di essere untori e condannati a morte, dopo che le confessioni erano state estorte loro con la tortura.

Se dovessimo consigliare altre letture per una quarantena da coronavirus, immancabile il riferimento a Boccaccio e al suo Decameron: il senso di coralità ritrovata, di umanità coltivata nel senso della speranza e della parola, il racconto come ri-creazione, la comunità rinovellata come tessuto ricucito dopo lo strappo della peste del 1348, sono il vero “sugo” delle cento novelle e della loro drammatica cornice.

Boom di vendite in Francia per “La peste” di Camus: evidentemente i libri del passato sono la lente che ci permette di vedere meglio il presente.

«Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, ciechi che, pur vedendo, non vedono»: Saramago nel suo “Cecità” narra il morbo dell’indifferenza che appanna e spegne ogni barlume di humanitas.

Niccolò Ammaniti e il suo “Anna” ci prospettano invece una Sicilia devastata da “La Rossa”, un misterioso male che annienta gli adulti e risparmia i bambini.

Tanta altra narrativa storica e distopica potrebbe essere riportata a quanto stiamo vivendo, ma non sarebbe male ripensare alla nostra storia recente: l’epidemia di febbre spagnola, quelle di tifo, vaiolo, morbillo, difterite, tubercolosi, poliomielite…

La nostra Siracusa – e certi tragici fatti dovrebbero ammonirci – ha vissuto varie epidemie: pensiamo alla peste che ci descrive Tito Livio nel libro XXVI della sua opera storica “Ab urbe condita” (“Postremo ita adsuetudine mali efferaverant animos, ut non modo lacrimis iustoque comploratu prosequerentur mortuos sed ne efferrent quidem aut sepelirent, iacerentque strata exanima corpora in conspectu similem mortem exspectantium, mortuique aegros, aegri validos cum metu, tum tabe ac pestifero odore corporum conficerent; et ut ferro potius morerentur, quidam invadebant soli hostium stationes”: “infine i mali per l’abitudine rendevano insensibili gli animi così che non solo con le lacrime e un giusto pianto non seguivano i morti, ma neppure li prendevano e li seppellivano, e i cadaveri sdraiati giacevano sotto la vista di quelli che aspettavano una simile sorte, e i morti infettavano i deboli e i deboli i sani sia con la paura, sia con l’epidemia e con il pestifero odore dei corpi; e per morire piuttosto per mezzo della spada alcuni da soli assalivano le stazioni dei nemici”) e a quelle del 1524 e 1575.

Pensiamo anche alle ondate di colera, di cui quella del 1837 provocò addirittura l’invio dell’esercito comandato dal generale Del Carretto per via della rivolta popolare e delle violenze.

Si credette, ancora una volta, a presunti untori prezzolati dal governo, voce artatamente rafforzata dai liberali che speravano in un rivolgimento politico. Vennero così trucidati l’intendente Vaccaro, l’ispettore Li Greci e suo figlio che era “percettore” delle imposte, il commissario Vico, nonché innocui viandanti e forestieri, incorsi casualmente nella cieca furia popolare. Altri, come “il cosmorama” Francesco Giuseppe Schweitzer e la di lui giovane e bella moglie Maria Lepyck, a stento in un primo tempo vengono sottratti al linciaggio e rinchiusi in carcere (saranno poi massacrati, insieme ad altri infelici, il 5 agosto al piano del Duomo), mentre si svolge l’incredibile parodia dell’istruttoria pubblica e degli esami chimici, durante i quali salterà fuori, in circostanze mai del tutto chiarite, una piccola quantità di arsenico, ritrovata, si dice, tra gli oggetti sequestrati in casa del defunto intendente Vaccaro”, come ci narra il De Benedictis. La repressione borbonica declassò Siracusa (definita “città scellerata”), che perdette a favore di Noto il capoluogo.

Concludiamo con le parole di Edgar Allan Poe – da rileggere i suoi racconti in cui mistero, incubo e terrore si fondono: “La morte rossa” farebbe al caso nostro – su Manzoni, il cui capolavoro recensì sul “Southern Literary Messenger”: “Le scene descritte dal Manzoni ci danno cognizione di vera vita vissuta […] saggio della potenza espressiva di questo scrittore”.

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OMAGGIO A UMBERTO ECO

MARIA LUCIA RICCIOLI
Sabato, 07 Marzo 2020 12:31

Morte: è buco.

Non pretendo con questo anagramma di omaggiare un intellettuale dal multiforme ingegno quale Umberto Eco, che ci ha lasciati quattro anni fa, ma sappiamo quanto amasse giocare con le parole – come dimenticare l’estate dei miei sedici anni, trascorsa sulle pagine de “Il nome della rosa” a cercare di indovinare l’enigma celato versi sibillini tratti dalle Scritture? E ci riuscimmo, io e un paio di compagne di scuola incaponite a leggere un testo così ricco di riferimenti letterari storici politici metalinguistici che capimmo solo a metà ma che continua ad affascinarmi – e adesso che il professore non c’è più e nomina nuda tenemus ritrovo nei fonemi e nei grafemi del suo nome il tombeur d’intelligenza che è stato, le trombe di quegli angeli medievali che amava tanto studiare e quelle il cui suono struggente si fa poesia ne “Il pendolo di Foucalt”. Sorprendo un Cuore che è tanto una rivista troppo famosa per spenderci ancora parole sopra quanto quell’organo il cui linguaggio esortava a seguire, lui che sui segni e sulle lingue ci aveva speso la vita.

Morte: è buco.

E sì, per noi che restiamo la morte è uno smagliarsi della trama del mondo.

Da quel paradiso in forma di biblioteca in cui lo immagino con Jorge lo vedo sorridere di quell’umore che ho trovato nel suo nome, l’humor – alla latina – dei suoi scritti e del suo eloquio così antiaccademico.

ECO. Sì, risuoneranno ancora le sue parole.

E un ultimo guizzo. Nomen omen? Quel cognome è un acronimo, com’ebbe a spiegare egli stesso.

Ex Coelis Oblatus.

Professore? Mi conservi uno spazio, anche piccolo, nella Grande Biblioteca.

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ADELAIDE DI MAURO: UNA MISTICA “SCOMODA”!
MARIA LUCIA RICCIOLI Sabato, 07 Marzo 2020 12:11

Nel 1951 usciva, a cura della Postulazione per la Causa, un volumetto di Mons. Giuseppe Cannarella intitolato “Suor Chiara di Gesù Agonizzante / (Adelaide Di Mauro) / 1890-1932”, ripubblicato l’8 settembre 1983 nell’imminenza dell’introduzione della Causa di Beatificazione e Canonizzazione di Suor Chiara Di Mauro.

Lo riproponiamo ai nostri lettori nella ricorrenza dei 130 anni dalla nascita di Suor Chiara e – si auspica, per far conoscere la vita e i carismi di questa nostra concittadina – nell’imminenza di una riapertura della causa e di un pronunciamento sulla sua beatificazione.

Nello stile agiografico dell’epoca, il volumetto narra la storia di questa “figlia spariglia”, cioè eccezionale, di Raffaele Di Mauro, cancelliere del Tribunale, e di Concetta Navanteri, stupiti della vocazione precoce della figlia, dei suoi atti di mortificazione e carità, del suo amore per Cristo.

Colpiscono, della vicenda biografica di Adelaide Di Mauro, non solo gli atteggiamenti interiori ed esteriori della futura sposa di Cristo, ma anche i dolori di una donna cui fu imposto il matrimonio con un certo Giuseppe Cortada, poi morto presumibilmente di febbre spagnola, da cui ebbe tre figli, di cui due morti in tenera età: la morte della madre, la vedovanza, l’assistenza nei confronti dei poveri e dei malati, le cure verso l’unico figlio rimastole ci dipingono un quadro della vita di una donna tra XIX e XX secolo, che per il suo carattere e il suo stile di vita improntato alla preghiera, alla penitenza e alla carità venne chiamata con il familiare stigmatizzante appellativo di “pazza”.

Esattamente cento anni fa, il 4 marzo 1920, Adelaide Di Mauro diventa Dama Sacramentina per la sua devozione al SS.mo Sacramento; inizia a frequentare la Chiesa di Grotta Santa, che all’epoca non era in una zona centrale e frequentata, poi decide di ricoverarsi insieme al figlio a Messina nell’Istituto delle Figlie del Divino Zelo, in attesa di diventare Clarissa – e qui entra in gioco anche la figura molto nota di Padre Annibale Maria Di Francia –; nel frattempo decide di lasciare l’Istituto e di tornare a Siracusa, ospite dell’Ospizio di Mendicità dei Cappuccini, e inizia una vita di eremitaggio nel santuario di Grottasanta, all’insaputa della famiglia, col figlio al seguito, vivendo di elemosina. Inizieranno a farle compagnia vicine e amiche.

L’arcivescovo dell’epoca impone alle tre donne di separarsi: le due amiche vengono ammesse in istituti religiosi, Adelaide affida il figlio ai congiunti – singolare poi la sorte di Alfredo, prevista pare dalla madre, fucilato dai tedeschi nel 1944 – ed entra nel monastero delle Clarisse di Montevergine alla Giostra, sobborgo di Messina, con il nome di Suor Chiara Francesca di Gesù Agonizzante.

Alterne le vicende della vita claustrale, tra mortificazioni, incomprensioni, estasi e perfino stimmate, fino al ritorno definitivo a Siracusa, dove il canonico Sebastiano Uccello diverrà il suo direttore spirituale – porterà il caso di suor Chiara all’attenzione del vescovo e del vicario generale per accertare che i fenomeni che la riguardavano fossero soprannaturali.

Dalle Suore del Sacro Cuore all’Istituto Natività delle Figlie della Carità e poi di nuovo nella casa paterna: sembra che questa mistica sia scomoda, che ogni tentativo di “normalizzazione” fallisca: dal Villino Leone Sirchia ad un altro, a quello dei coniugi Gattuso, poi a Ragusa e infine in una stanza presa in affitto a Grotta Santa, dove muore nel 1932 in odore di santità per l’austerità della sua vita e la voce che guarisse gli ammalati, non con l’abito di Clarissa ma di terziaria francescana, umile e povera com’era vissuta per tutti gli anni di una vita all’insegna del mistero della fede.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=4005:in-morte-di-piero-terracina-cittadino-onorario-di-siracusa-uomo-che-ha-guardato-in-faccia-l-inferno-di-auschwitz&catid=17&Itemid=143

In morte di Piero Terracina, cittadino onorario di Siracusa uomo che ha guardato in faccia l’inferno di Auschwitz

MARIA LUCIA RICCIOLI

Giovedì, 09 Gennaio 2020 12:33

L’8 dicembre scorso è morto a Roma Piero Terracina, uno degli ultimi testimoni della Shoah, sopravvissuto all’inferno di Auschwitz.

Forse non tutti sanno che piangiamo non solo la scomparsa di un martire di una delle pagine peggiori della Storia – e ci teniamo a ricordarlo perché i rigurgiti nazifascisti e l’antisemitismo strisciante devono farci tenere la guardia alta –, ma di un nostro concittadino, perché a Piero Terracina, oltre a quella di Palermo e di diverse altre città, era stata conferita la cittadinanza onoraria di Siracusa nel 2005, promotore Elio Tocco; ringrazio Maurizio Landieri per l’immagine reperita, per la preziosa testimonianza sulla successiva visita a Siracusa di Terracina nel 2015 e per aver recuperato la motivazione del conferimento della cittadinanza onoraria: “Il Sindaco / Avv. Giambattista Bufardeci / Onorando in / Piero Terracina / L’instancabile ambasciatore di memoria e di umanità, che / ha suscitato, nel nostro Paese, partecipata coscienza nei / confronti della Shoah, / Su proposta dell’Istituto Mediterraneo / di Studi Universitari / gli Conferisce / La Cittadinanza Onoraria di Siracusa.

Piero Terracina, sopravvissuto alla Shoah, attraverso la Sua Parola, che ha trasformato il dolore in testimonianza di vita e di speranza, ha saputo creare argini di ragione e di coscienza, nei nostri giovani, contro ogni fanatismo, intolleranza, razzismo, cause di ogni orrore. Egli ci ha insegnato che ricordare è l’unico modo per difendere il nostro futuro dagli incubi dell’odio”.

Recupero gli appunti scritti sull’onda dell’emozione del pomeriggio del 27 gennaio 2008, quando ho avuto modo di conoscere personalmente Terracina e di ascoltare la sua testimonianza e mi piace riparlarne a ridosso della festa di Hanukkah (tra l’altro sul canale per bambini Rai Gulp domenica 22 dicembre alle 15:25, andrà in onda il cortometraggio “Hanukkah-La festa delle luci”, prodotto da Rai Ragazzi e dalla Graphilm Entertainment di Roma, opera di un maestro dell’animazione italiana come Maurizio Forestieri; il film racconta la storia fantasiosa della giovane pasticciera Anna, ricorda l’origine di una delle più antiche e affascinanti feste ebraiche e sarà visibile anche su Rai Play), che per la simbologia delle luci, lo scambio dei doni, il senso dello stare insieme si può apparentare al nostro Natale.

A Siracusa, nella Chiesa di San Martino, per ricordare la figura di Monsignor Sebastiano Gozzo (che era recentemente scomparso e che aveva programmato quest’evento poco prima della sua morte), si era tenuto l’ultimo incontro della settimana dedicata alla cultura ebraica e promosso dalla Provincia Regionale di Siracusa e dall’IMSU (Istituto Mediterraneo di Studi Universitari).

Moderatore Elio Tocco, hanno offerto la propria testimonianza nel giorno della memoria (il 27 gennaio, se ci fosse ancora bisogno di ricordarlo, è dedicato dal 2000 alla memoria della Shoah) Franco Perlasca, figlio di Giorgio Perlasca, ed un sopravvissuto di Auschwitz, Piero Terracina.

Franco Perlasca ha rievocato la figura del padre, che durante la seconda guerra mondiale si trovava in Ungheria e per un rocambolesco caso del destino (destino?) si è ritrovato ad essere eroe suo malgrado. Fingendosi il nuovo ambasciatore di Spagna, è riuscito a salvare all’incirca 5200 ebrei ungheresi dalla deportazione.

Un eroe. Ma Franco Perlasca ci tiene a distinguere l’eroe dal giusto: pensiamo a Pirandello per cui è “molto più facile essere un eroe che un galantuomo. Eroi si può essere ogni tanto, galantuomini sempre”. L’azione eroica a volte viene ostentata e un singolo gesto eroico può essere perfino in contrasto con la natura profonda di un essere umano. Giorgio Perlasca, invece, come i veri giusti, ha compiuto un gesto da eroe ma quasi suo malgrado e, cessata la situazione straordinaria in cui si è trovato a scegliere il bene opponendosi con coraggio e determinazione al male, è tornato alla vita di sempre, mantenendo il silenzio anche con le persone care.

Questa storia, scritta in un memoriale di cui una copia andò al governo italiano, l’altra a quello spagnolo, che l’ignorarono completamente, sarebbe rimasta per sempre nel cassetto e nel cuore di Perlasca se non fosse accaduta una serie di fatti: un ictus, che lo portò a rivelare alla nuora e al figlio l’esistenza del memoriale, di cui però ancora una volta i familiari stessi sottovalutarono l’importanza. Perlasca, una volta guarito, come prima cosa ripose lo scritto nel cassetto. Altro motivo per cui ritenerlo un vero giusto: solo la morte imminente l’aveva indotto a quella rivelazione perché temeva che quel passato andasse perduto per sempre.

Decenni di silenzio. Poi, accade qualcosa che fa riemergere potentemente quell’atto di eroismo, di compassione, di solidarietà umana. Delle donne ungheresi, all’epoca dei fatti ragazzine, avevano cercato notizie di quell’Jorge Perlasca sedicente diplomatico spagnolo e riescono a scovarlo in Italia, a Padova, nella sua casa di Via Guglielmo Marconi 13, giusto di fronte alla basilica di Sant’Antonio da Padova.

Le donne, un po’ in ungherese, un po’ in tedesco, un po’ in italiano, un po’ nel linguaggio universale dei gesti, rievocano quella storia davanti agli occhi allibiti di Franco, che inizia finalmente a capire che suo padre Giorgio forse aveva compiuto qualcosa di veramente straordinario. Franco Perlasca racconta con garbo, perfino riesce a far sorridere, ma la commozione gli vela la voce quando narra cosa quelle donne regalarono a suo padre in segno di gratitudine. Pacchi e pacchettini dei tipici prodotti ungheresi. Quello che ogni turista porta in dono. Poi, tre oggetti. Che Franco Perlasca tuttora conserva religiosamente. Piccole povere cose cariche di un dolore indicibile. Una tazzina, un cucchiaino, un medaglione. Perlasca rifiuta. Le donne insistono. Il balletto di offerte e rifiuti si ripete per qualche minuto. Perlasca dice: “Dovete tenere voi queste cose, per lasciarle in ricordo ai vostri figli, che poi le lasceranno ai vostri nipoti”. E quelle donne, in un italiano perfetto che ha del miracoloso, gli rispondono: “Queste cose deve averle lei. Se non fosse per lei, noi non avremmo figli né nipoti”.

La storia di Perlasca inizia così a diventare conosciuta. Se ne occupano Enrico Deaglio, che dopo una lunga serie di interviste scrive “La banalità del bene” (poi uscirà anche “L’impostore”) e Giovanni Minoli con la sua trasmissione “Mixer”. La vita di Perlasca viene allo scoperto ed è tutto un susseguirsi di incontri con le scuole, di interviste, di riconoscimenti anche internazionali, alcuni preziosi e importanti. Ma quello a cui Perlasca tiene di più sta sulla scrivania del suo studiolo. Una targa consegnatagli da ragazzi di una scuola della provincia vicentina. La semplice iscrizione dice: Ad un uomo al quale vorremmo assomigliare. In un tempo mediocre, di falsi miti ed eroi, Perlasca il giusto, riconosciuto tale anche dalla commissione dello Yad Vashem in Israele, che esamina le cause di chi, non ebreo, si è comportato da giusto (e non si autopresenta ma è presentato da terzi, le cui testimonianze sono attentamente vagliate), Perlasca il giusto dicevamo, rappresenta sicuramente un modello positivo, una luce per le nuove generazioni. Un uomo che ha vissuto nel silenzio, che ha risposto con sincerità e semplicità disarmante a chi gli chiedeva come avesse fatto a compiere quell’impresa disperata: “Lei non avrebbe fatto lo stesso al posto mio?”.

Hannah Arendt, a proposito di Eichmann e altri nazisti, ha parlato di banalità del male. Il mostro, il torturatore, possono essere anche i nostri vicini di casa. Il male non ha corna né puzza di zolfo ma può avere il volto di ognuno di noi. Di chi ubbidisce agli ordini ricevuti senza discuterli. Di chi volta la faccia dall’altra parte per non essere coinvolto. Anche il bene è banale, in fondo. Un gesto semplice può salvare una vita. E come dice il Talmud, chi salva una vita salva l’universo intero.

C’è una leggenda ebrea meravigliosa. Esistono nel mondo 36 giusti, sempre. Neanche loro sanno di essere giusti, ma quando c’è da dire un sì o un no, quando c’è da prendere posizione, lo fanno e basta. Poi tornano alla vita di sempre, neanche consci loro stessi fino in fondo di aver cambiato la storia. E grazie a loro Dio non distrugge il mondo.

Vi invito a visitare il sito della fondazione intitolata a Giorgio Perlasca, dove troverete altro materiale interessantissimo – bibliografia e filmografia, storia della Shoah e vari documenti – : http://www.giorgioperlasca.it.

Dopo il racconto emozionante di Franco Perlasca – che ci narra anche del film tratto dalla vita del padre, interpretato da Luca Zingaretti, giudicato dalla moglie di Perlasca bravissimo ma molto, molto meno bello del marito… – attendiamo tutti le parole di Piero Terracina. Non è un film. È vita vissuta, sangue e lacrime. Una disperazione senza fine.

Piccolo uomo vestito di verde, ti riconosco ebreo dall’aspetto mite che Umberto Saba seppe così bene ritrarre. Occhialetti tondi a difendere gli occhi pensosi scrutati da occhi attenti, rispettosi sì, ma che indugiano su di te come su una bestia da fiera, l’animale da circo che deve fare il suo numero da deportato testimone speranzoso nonostante tutto.

Ma tu non ci stai. Da subito. “Per me non c’è stato un Giorgio Perlasca”. Voce scura, bassa e dignitosa.

E il dolore fluisce come una piena, trattenuto dalle parole ferme di chi si sa innocente eppure perseguitato, di chi è vittima e ha subito le sevizie di carnefici infernali eppure uomini come lui, unico scampato su una famiglia di otto persone.

Il male può essere banale, quotidiano. È il compagno di scuola sempre amico che ti volta le spalle e ti lascia da solo perché sei ebreo; è l’insegnante che salta il tuo nome nell’appello e ti dice che non puoi entrare in classe. “Che cosa ho fatto?” chiedi. E ti viene risposto con tre parole che uccidono la tua sensibilità, il tuo amore per lo studio, la tua innocenza di bambino di otto anni. “Perché sei ebreo”. È il traditore che consegna te e la tua famiglia per 5000 lire ciascuno – 40000 lire durante la seconda guerra mondiale sono soldi – mentre avete deciso di riunirvi per la Pasqua ebraica, finalmente insieme dopo essere stati separati perché protetti in case diverse da persone buone – i giusti senza nome – che avevano avuto pietà di voi.

Piero ha 8 anni quando vengono emanate le leggi razziali e 14 anni quando viene arrestato con i suoi dai nazisti che non hanno pietà neanche del nonno anziano. Ed è dolore infinito: il carcere di Regina Coeli – avete idea di cosa sia entrare in carcere quando si è innocenti? – dove, faccia a muro, con la consegna del silenzio, il padre di Piero, lucido profeta di ciò che sarà, intima ai figli di conservare la dignità, almeno quella. “Siate uomini”.

Ma è proprio quello che i nazisti vogliono distruggere: l’umanità di questa povera gente, stipata sul treno che parte dalla stazione Tiburtina di Roma per Fossoli, tappa intermedia del viaggio verso Auschwitz, l’inferno di un pazzo.

Niente cibo né soprattutto acqua, implorata a mani tese di stazione in stazione a gente indifferente. Piero si interrompe spesso scusandosi con noi, noi che dovremmo baciargli le mani, quelle stesse mani di ragazzo tese disperatamente dal carro bestiame di un treno, per la commozione che gli stringe la gola e che taglia la nostra. Il silenzio in chiesa è tangibile, solido e compatto. Le lacrime scendono e ci domandiamo che cosa potrebbe risarcire sofferenze così grandi. “Nemmeno uno sguardo di pietà”.

Cinque giorni cinque notti escrementi urine un bambino è nato per morire ad Auschwitz.

E l’arrivo. E la verità, subito. Di qui si esce solo per il camino.

E gli appelli, e la neve gelata da bere, che non sia troppo contaminata. E la supplica con gli occhi all’aguzzino perché affondi un’altra volta il cucchiaio nella brodaglia immonda. Qui non c’è più dignità, quella che aveva raccomandato ai figli il padre di Piero. Ma un ragazzo di quattordici anni vuole vivere, anche un giorno soltanto di più.

Piero parla e i suoi occhi sono oltre noi, fuori dal portone di questa chiesa dove lui si sente fuori posto, perché è fuori anche da questo tempo Piero, forse perché è il 27 gennaio e nel 1945 i Russi aprirono quei dannati cancelli da cui i suoi cari non sono usciti. E non c’è esultanza e non c’è scampo al senso di colpa per essere ancora vivi.

Piero non ci narra l’orrore, non ci narra la follia cieca e stupida di gente che era capace di indicibili crudeltà eppure amava la famiglia l’arte la letteratura la musica. Piero si scusa ancora. “Mi sento lì. Scusatemi, non ce la faccio a continuare”.

Lo applaudiamo e sfiliamo fuori. Qualcuno di noi va a stringergli la mano. Il peso che quest’uomo porta è troppo grande, ma che lo abbia condiviso con noi è bellissimo. Penseremo a lui, pregheremo per questo piccolo uomo che ha guardato in faccia l’inferno e ne è uscito vivo.

LA CIVETTA DI MINERVA del 7 marzo 2020

07 sabato Mar 2020

Posted by mlriccioli in Eventi culturali, Letteratura, Musica

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Adelaide Di Mauro, approfondimenti, articoli, articolo, Franco Oddo, giornale, giornalismo, inchieste, La Civetta di Minerva, Maria Lucia Riccioli, Marina De Michele, news, Siracusa, Suor Chiara Di Mauro, Umberto Eco

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Sono fiera, nel mio piccolo, di far parte dei collaboratori di questo giornale che dalla Sicilia, da Siracusa e dalla sua provincia, fa sentire la propria voce…
Un video di Rainews del giugno 2012…

Più giù, alcuni pezzi recenti…

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=4123:omaggio-a-umberto-eco&catid=17&Itemid=143

OMAGGIO A UMBERTO ECO

MARIA LUCIA RICCIOLI
Sabato, 07 Marzo 2020 12:31

Morte: è buco.

Non pretendo con questo anagramma di omaggiare un intellettuale dal multiforme ingegno quale Umberto Eco, che ci ha lasciati quattro anni fa, ma sappiamo quanto amasse giocare con le parole – come dimenticare l’estate dei miei sedici anni, trascorsa sulle pagine de “Il nome della rosa” a cercare di indovinare l’enigma celato versi sibillini tratti dalle Scritture? E ci riuscimmo, io e un paio di compagne di scuola incaponite a leggere un testo così ricco di riferimenti letterari storici politici metalinguistici che capimmo solo a metà ma che continua ad affascinarmi – e adesso che il professore non c’è più e nomina nuda tenemus ritrovo nei fonemi e nei grafemi del suo nome il tombeur d’intelligenza che è stato, le trombe di quegli angeli medievali che amava tanto studiare e quelle il cui suono struggente si fa poesia ne “Il pendolo di Foucalt”. Sorprendo un Cuore che è tanto una rivista troppo famosa per spenderci ancora parole sopra quanto quell’organo il cui linguaggio esortava a seguire, lui che sui segni e sulle lingue ci aveva speso la vita.

Morte: è buco.

E sì, per noi che restiamo la morte è uno smagliarsi della trama del mondo.

Da quel paradiso in forma di biblioteca in cui lo immagino con Jorge lo vedo sorridere di quell’umore che ho trovato nel suo nome, l’humor – alla latina – dei suoi scritti e del suo eloquio così antiaccademico.

ECO. Sì, risuoneranno ancora le sue parole.

E un ultimo guizzo. Nomen omen? Quel cognome è un acronimo, com’ebbe a spiegare egli stesso.

Ex Coelis Oblatus.

Professore? Mi conservi uno spazio, anche piccolo, nella Grande Biblioteca.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=4119:adelaide-di-mauro-una-mistica-scomoda&catid=17&Itemid=143

ADELAIDE DI MAURO: UNA MISTICA “SCOMODA”!
MARIA LUCIA RICCIOLI Sabato, 07 Marzo 2020 12:11

Nel 1951 usciva, a cura della Postulazione per la Causa, un volumetto di Mons. Giuseppe Cannarella intitolato “Suor Chiara di Gesù Agonizzante / (Adelaide Di Mauro) / 1890-1932”, ripubblicato l’8 settembre 1983 nell’imminenza dell’introduzione della Causa di Beatificazione e Canonizzazione di Suor Chiara Di Mauro.

Lo riproponiamo ai nostri lettori nella ricorrenza dei 130 anni dalla nascita di Suor Chiara e – si auspica, per far conoscere la vita e i carismi di questa nostra concittadina – nell’imminenza di una riapertura della causa e di un pronunciamento sulla sua beatificazione.

Nello stile agiografico dell’epoca, il volumetto narra la storia di questa “figlia spariglia”, cioè eccezionale, di Raffaele Di Mauro, cancelliere del Tribunale, e di Concetta Navanteri, stupiti della vocazione precoce della figlia, dei suoi atti di mortificazione e carità, del suo amore per Cristo.

Colpiscono, della vicenda biografica di Adelaide Di Mauro, non solo gli atteggiamenti interiori ed esteriori della futura sposa di Cristo, ma anche i dolori di una donna cui fu imposto il matrimonio con un certo Giuseppe Cortada, poi morto presumibilmente di febbre spagnola, da cui ebbe tre figli, di cui due morti in tenera età: la morte della madre, la vedovanza, l’assistenza nei confronti dei poveri e dei malati, le cure verso l’unico figlio rimastole ci dipingono un quadro della vita di una donna tra XIX e XX secolo, che per il suo carattere e il suo stile di vita improntato alla preghiera, alla penitenza e alla carità venne chiamata con il familiare stigmatizzante appellativo di “pazza”.

Esattamente cento anni fa, il 4 marzo 1920, Adelaide Di Mauro diventa Dama Sacramentina per la sua devozione al SS.mo Sacramento; inizia a frequentare la Chiesa di Grotta Santa, che all’epoca non era in una zona centrale e frequentata, poi decide di ricoverarsi insieme al figlio a Messina nell’Istituto delle Figlie del Divino Zelo, in attesa di diventare Clarissa – e qui entra in gioco anche la figura molto nota di Padre Annibale Maria Di Francia –; nel frattempo decide di lasciare l’Istituto e di tornare a Siracusa, ospite dell’Ospizio di Mendicità dei Cappuccini, e inizia una vita di eremitaggio nel santuario di Grottasanta, all’insaputa della famiglia, col figlio al seguito, vivendo di elemosina. Inizieranno a farle compagnia vicine e amiche.

L’arcivescovo dell’epoca impone alle tre donne di separarsi: le due amiche vengono ammesse in istituti religiosi, Adelaide affida il figlio ai congiunti – singolare poi la sorte di Alfredo, prevista pare dalla madre, fucilato dai tedeschi nel 1944 – ed entra nel monastero delle Clarisse di Montevergine alla Giostra, sobborgo di Messina, con il nome di Suor Chiara Francesca di Gesù Agonizzante.

Alterne le vicende della vita claustrale, tra mortificazioni, incomprensioni, estasi e perfino stimmate, fino al ritorno definitivo a Siracusa, dove il canonico Sebastiano Uccello diverrà il suo direttore spirituale – porterà il caso di suor Chiara all’attenzione del vescovo e del vicario generale per accertare che i fenomeni che la riguardavano fossero soprannaturali.

Dalle Suore del Sacro Cuore all’Istituto Natività delle Figlie della Carità e poi di nuovo nella casa paterna: sembra che questa mistica sia scomoda, che ogni tentativo di “normalizzazione” fallisca: dal Villino Leone Sirchia ad un altro, a quello dei coniugi Gattuso, poi a Ragusa e infine in una stanza presa in affitto a Grotta Santa, dove muore nel 1932 in odore di santità per l’austerità della sua vita e la voce che guarisse gli ammalati, non con l’abito di Clarissa ma di terziaria francescana, umile e povera com’era vissuta per tutti gli anni di una vita all’insegna del mistero della fede.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=4005:in-morte-di-piero-terracina-cittadino-onorario-di-siracusa-uomo-che-ha-guardato-in-faccia-l-inferno-di-auschwitz&catid=17&Itemid=143

In morte di Piero Terracina, cittadino onorario di Siracusa uomo che ha guardato in faccia l’inferno di Auschwitz

MARIA LUCIA RICCIOLI

Giovedì, 09 Gennaio 2020 12:33

L’8 dicembre scorso è morto a Roma Piero Terracina, uno degli ultimi testimoni della Shoah, sopravvissuto all’inferno di Auschwitz.

Forse non tutti sanno che piangiamo non solo la scomparsa di un martire di una delle pagine peggiori della Storia – e ci teniamo a ricordarlo perché i rigurgiti nazifascisti e l’antisemitismo strisciante devono farci tenere la guardia alta –, ma di un nostro concittadino, perché a Piero Terracina, oltre a quella di Palermo e di diverse altre città, era stata conferita la cittadinanza onoraria di Siracusa nel 2005, promotore Elio Tocco; ringrazio Maurizio Landieri per l’immagine reperita, per la preziosa testimonianza sulla successiva visita a Siracusa di Terracina nel 2015 e per aver recuperato la motivazione del conferimento della cittadinanza onoraria: “Il Sindaco / Avv. Giambattista Bufardeci / Onorando in / Piero Terracina / L’instancabile ambasciatore di memoria e di umanità, che / ha suscitato, nel nostro Paese, partecipata coscienza nei / confronti della Shoah, / Su proposta dell’Istituto Mediterraneo / di Studi Universitari / gli Conferisce / La Cittadinanza Onoraria di Siracusa.

Piero Terracina, sopravvissuto alla Shoah, attraverso la Sua Parola, che ha trasformato il dolore in testimonianza di vita e di speranza, ha saputo creare argini di ragione e di coscienza, nei nostri giovani, contro ogni fanatismo, intolleranza, razzismo, cause di ogni orrore. Egli ci ha insegnato che ricordare è l’unico modo per difendere il nostro futuro dagli incubi dell’odio”.

Recupero gli appunti scritti sull’onda dell’emozione del pomeriggio del 27 gennaio 2008, quando ho avuto modo di conoscere personalmente Terracina e di ascoltare la sua testimonianza e mi piace riparlarne a ridosso della festa di Hanukkah (tra l’altro sul canale per bambini Rai Gulp domenica 22 dicembre alle 15:25, andrà in onda il cortometraggio “Hanukkah-La festa delle luci”, prodotto da Rai Ragazzi e dalla Graphilm Entertainment di Roma, opera di un maestro dell’animazione italiana come Maurizio Forestieri; il film racconta la storia fantasiosa della giovane pasticciera Anna, ricorda l’origine di una delle più antiche e affascinanti feste ebraiche e sarà visibile anche su Rai Play), che per la simbologia delle luci, lo scambio dei doni, il senso dello stare insieme si può apparentare al nostro Natale.

A Siracusa, nella Chiesa di San Martino, per ricordare la figura di Monsignor Sebastiano Gozzo (che era recentemente scomparso e che aveva programmato quest’evento poco prima della sua morte), si era tenuto l’ultimo incontro della settimana dedicata alla cultura ebraica e promosso dalla Provincia Regionale di Siracusa e dall’IMSU (Istituto Mediterraneo di Studi Universitari).

Moderatore Elio Tocco, hanno offerto la propria testimonianza nel giorno della memoria (il 27 gennaio, se ci fosse ancora bisogno di ricordarlo, è dedicato dal 2000 alla memoria della Shoah) Franco Perlasca, figlio di Giorgio Perlasca, ed un sopravvissuto di Auschwitz, Piero Terracina.

Franco Perlasca ha rievocato la figura del padre, che durante la seconda guerra mondiale si trovava in Ungheria e per un rocambolesco caso del destino (destino?) si è ritrovato ad essere eroe suo malgrado. Fingendosi il nuovo ambasciatore di Spagna, è riuscito a salvare all’incirca 5200 ebrei ungheresi dalla deportazione.

Un eroe. Ma Franco Perlasca ci tiene a distinguere l’eroe dal giusto: pensiamo a Pirandello per cui è “molto più facile essere un eroe che un galantuomo. Eroi si può essere ogni tanto, galantuomini sempre”. L’azione eroica a volte viene ostentata e un singolo gesto eroico può essere perfino in contrasto con la natura profonda di un essere umano. Giorgio Perlasca, invece, come i veri giusti, ha compiuto un gesto da eroe ma quasi suo malgrado e, cessata la situazione straordinaria in cui si è trovato a scegliere il bene opponendosi con coraggio e determinazione al male, è tornato alla vita di sempre, mantenendo il silenzio anche con le persone care.

Questa storia, scritta in un memoriale di cui una copia andò al governo italiano, l’altra a quello spagnolo, che l’ignorarono completamente, sarebbe rimasta per sempre nel cassetto e nel cuore di Perlasca se non fosse accaduta una serie di fatti: un ictus, che lo portò a rivelare alla nuora e al figlio l’esistenza del memoriale, di cui però ancora una volta i familiari stessi sottovalutarono l’importanza. Perlasca, una volta guarito, come prima cosa ripose lo scritto nel cassetto. Altro motivo per cui ritenerlo un vero giusto: solo la morte imminente l’aveva indotto a quella rivelazione perché temeva che quel passato andasse perduto per sempre.

Decenni di silenzio. Poi, accade qualcosa che fa riemergere potentemente quell’atto di eroismo, di compassione, di solidarietà umana. Delle donne ungheresi, all’epoca dei fatti ragazzine, avevano cercato notizie di quell’Jorge Perlasca sedicente diplomatico spagnolo e riescono a scovarlo in Italia, a Padova, nella sua casa di Via Guglielmo Marconi 13, giusto di fronte alla basilica di Sant’Antonio da Padova.

Le donne, un po’ in ungherese, un po’ in tedesco, un po’ in italiano, un po’ nel linguaggio universale dei gesti, rievocano quella storia davanti agli occhi allibiti di Franco, che inizia finalmente a capire che suo padre Giorgio forse aveva compiuto qualcosa di veramente straordinario. Franco Perlasca racconta con garbo, perfino riesce a far sorridere, ma la commozione gli vela la voce quando narra cosa quelle donne regalarono a suo padre in segno di gratitudine. Pacchi e pacchettini dei tipici prodotti ungheresi. Quello che ogni turista porta in dono. Poi, tre oggetti. Che Franco Perlasca tuttora conserva religiosamente. Piccole povere cose cariche di un dolore indicibile. Una tazzina, un cucchiaino, un medaglione. Perlasca rifiuta. Le donne insistono. Il balletto di offerte e rifiuti si ripete per qualche minuto. Perlasca dice: “Dovete tenere voi queste cose, per lasciarle in ricordo ai vostri figli, che poi le lasceranno ai vostri nipoti”. E quelle donne, in un italiano perfetto che ha del miracoloso, gli rispondono: “Queste cose deve averle lei. Se non fosse per lei, noi non avremmo figli né nipoti”.

La storia di Perlasca inizia così a diventare conosciuta. Se ne occupano Enrico Deaglio, che dopo una lunga serie di interviste scrive “La banalità del bene” (poi uscirà anche “L’impostore”) e Giovanni Minoli con la sua trasmissione “Mixer”. La vita di Perlasca viene allo scoperto ed è tutto un susseguirsi di incontri con le scuole, di interviste, di riconoscimenti anche internazionali, alcuni preziosi e importanti. Ma quello a cui Perlasca tiene di più sta sulla scrivania del suo studiolo. Una targa consegnatagli da ragazzi di una scuola della provincia vicentina. La semplice iscrizione dice: Ad un uomo al quale vorremmo assomigliare. In un tempo mediocre, di falsi miti ed eroi, Perlasca il giusto, riconosciuto tale anche dalla commissione dello Yad Vashem in Israele, che esamina le cause di chi, non ebreo, si è comportato da giusto (e non si autopresenta ma è presentato da terzi, le cui testimonianze sono attentamente vagliate), Perlasca il giusto dicevamo, rappresenta sicuramente un modello positivo, una luce per le nuove generazioni. Un uomo che ha vissuto nel silenzio, che ha risposto con sincerità e semplicità disarmante a chi gli chiedeva come avesse fatto a compiere quell’impresa disperata: “Lei non avrebbe fatto lo stesso al posto mio?”.

Hannah Arendt, a proposito di Eichmann e altri nazisti, ha parlato di banalità del male. Il mostro, il torturatore, possono essere anche i nostri vicini di casa. Il male non ha corna né puzza di zolfo ma può avere il volto di ognuno di noi. Di chi ubbidisce agli ordini ricevuti senza discuterli. Di chi volta la faccia dall’altra parte per non essere coinvolto. Anche il bene è banale, in fondo. Un gesto semplice può salvare una vita. E come dice il Talmud, chi salva una vita salva l’universo intero.

C’è una leggenda ebrea meravigliosa. Esistono nel mondo 36 giusti, sempre. Neanche loro sanno di essere giusti, ma quando c’è da dire un sì o un no, quando c’è da prendere posizione, lo fanno e basta. Poi tornano alla vita di sempre, neanche consci loro stessi fino in fondo di aver cambiato la storia. E grazie a loro Dio non distrugge il mondo.

Vi invito a visitare il sito della fondazione intitolata a Giorgio Perlasca, dove troverete altro materiale interessantissimo – bibliografia e filmografia, storia della Shoah e vari documenti – : http://www.giorgioperlasca.it.

Dopo il racconto emozionante di Franco Perlasca – che ci narra anche del film tratto dalla vita del padre, interpretato da Luca Zingaretti, giudicato dalla moglie di Perlasca bravissimo ma molto, molto meno bello del marito… – attendiamo tutti le parole di Piero Terracina. Non è un film. È vita vissuta, sangue e lacrime. Una disperazione senza fine.

Piccolo uomo vestito di verde, ti riconosco ebreo dall’aspetto mite che Umberto Saba seppe così bene ritrarre. Occhialetti tondi a difendere gli occhi pensosi scrutati da occhi attenti, rispettosi sì, ma che indugiano su di te come su una bestia da fiera, l’animale da circo che deve fare il suo numero da deportato testimone speranzoso nonostante tutto.

Ma tu non ci stai. Da subito. “Per me non c’è stato un Giorgio Perlasca”. Voce scura, bassa e dignitosa.

E il dolore fluisce come una piena, trattenuto dalle parole ferme di chi si sa innocente eppure perseguitato, di chi è vittima e ha subito le sevizie di carnefici infernali eppure uomini come lui, unico scampato su una famiglia di otto persone.

Il male può essere banale, quotidiano. È il compagno di scuola sempre amico che ti volta le spalle e ti lascia da solo perché sei ebreo; è l’insegnante che salta il tuo nome nell’appello e ti dice che non puoi entrare in classe. “Che cosa ho fatto?” chiedi. E ti viene risposto con tre parole che uccidono la tua sensibilità, il tuo amore per lo studio, la tua innocenza di bambino di otto anni. “Perché sei ebreo”. È il traditore che consegna te e la tua famiglia per 5000 lire ciascuno – 40000 lire durante la seconda guerra mondiale sono soldi – mentre avete deciso di riunirvi per la Pasqua ebraica, finalmente insieme dopo essere stati separati perché protetti in case diverse da persone buone – i giusti senza nome – che avevano avuto pietà di voi.

Piero ha 8 anni quando vengono emanate le leggi razziali e 14 anni quando viene arrestato con i suoi dai nazisti che non hanno pietà neanche del nonno anziano. Ed è dolore infinito: il carcere di Regina Coeli – avete idea di cosa sia entrare in carcere quando si è innocenti? – dove, faccia a muro, con la consegna del silenzio, il padre di Piero, lucido profeta di ciò che sarà, intima ai figli di conservare la dignità, almeno quella. “Siate uomini”.

Ma è proprio quello che i nazisti vogliono distruggere: l’umanità di questa povera gente, stipata sul treno che parte dalla stazione Tiburtina di Roma per Fossoli, tappa intermedia del viaggio verso Auschwitz, l’inferno di un pazzo.

Niente cibo né soprattutto acqua, implorata a mani tese di stazione in stazione a gente indifferente. Piero si interrompe spesso scusandosi con noi, noi che dovremmo baciargli le mani, quelle stesse mani di ragazzo tese disperatamente dal carro bestiame di un treno, per la commozione che gli stringe la gola e che taglia la nostra. Il silenzio in chiesa è tangibile, solido e compatto. Le lacrime scendono e ci domandiamo che cosa potrebbe risarcire sofferenze così grandi. “Nemmeno uno sguardo di pietà”.

Cinque giorni cinque notti escrementi urine un bambino è nato per morire ad Auschwitz.

E l’arrivo. E la verità, subito. Di qui si esce solo per il camino.

E gli appelli, e la neve gelata da bere, che non sia troppo contaminata. E la supplica con gli occhi all’aguzzino perché affondi un’altra volta il cucchiaio nella brodaglia immonda. Qui non c’è più dignità, quella che aveva raccomandato ai figli il padre di Piero. Ma un ragazzo di quattordici anni vuole vivere, anche un giorno soltanto di più.

Piero parla e i suoi occhi sono oltre noi, fuori dal portone di questa chiesa dove lui si sente fuori posto, perché è fuori anche da questo tempo Piero, forse perché è il 27 gennaio e nel 1945 i Russi aprirono quei dannati cancelli da cui i suoi cari non sono usciti. E non c’è esultanza e non c’è scampo al senso di colpa per essere ancora vivi.

Piero non ci narra l’orrore, non ci narra la follia cieca e stupida di gente che era capace di indicibili crudeltà eppure amava la famiglia l’arte la letteratura la musica. Piero si scusa ancora. “Mi sento lì. Scusatemi, non ce la faccio a continuare”.

Lo applaudiamo e sfiliamo fuori. Qualcuno di noi va a stringergli la mano. Il peso che quest’uomo porta è troppo grande, ma che lo abbia condiviso con noi è bellissimo. Penseremo a lui, pregheremo per questo piccolo uomo che ha guardato in faccia l’inferno e ne è uscito vivo.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=4045:siracusa-in-mostra-collettiva-di-fotografia&catid=17&Itemid=143

SIRACUSA IN MOSTRA: COLLETTIVA DI FOTOGRAFIA

MARIA LUCIA RICCIOLI
Martedì, 21 Gennaio 2020 14:17
Il 13 gennaio alle ore 17, presso la Biblioteca provinciale dedicata e intitolata ad Elio Vittorini, situata in Via Roma 31, si terrà l’inaugurazione della mostra che vedrà esposte le fotografie di Antonio Pica, Angelo Bonomo, Corrado Sorrentino, Kevin Saragozza, Giovanni Di Giorgio, Antonio Amato, Dario Monzù, Francesco Aversa, Marco Brunetti, Bruno Sauza, Chiara Mongiovì, Vincenzo Miconi, Francesco Barreca, Domenico Lo Bue, Giuseppe Aliano, Massimo Di Stefano, Daniela Cavarra, Larita Sarta, Laura Marchetti, Ignazio Calà, Maurizio Formati, Andrea Pagliari, Stefania Genovese, Stefano Piazza, Salvatore Di Maria, Eduardo Cannata, Barbara Pindo, Giuseppe Giardina, Cristina Artale, Valentina Sorrentino, Michele Ponzio, Giovanni Tumminelli, Giovanni Fontana, Fabio Di Stefano, Giancanio Sileo, Gabriele Midolo, Eleonora Turco, Eugenio Bruno, Emanuele Liali, Giuseppe Bellofiore, Giuseppe Mazzarella, Sebastiano Pirruccio, Fausto Renda, Giuseppe La Colla.

Alcuni degli espositori hanno alle spalle la partecipazione a mostre collettive o personali, docenze e partecipazioni a laboratori e corsi di fotografia, riconoscimenti su portali relativi alla fotografia, collaborazioni con istituti scolastici e molto altro, diversi di loro sono dei semplici appassionati che tentano di catturare momenti, di “scrivere con la luce” la loro personale visione del mondo e delle cose.

Organizzatori sono Salvatore Di Giorgio, Salvo Vasile, Sebastiano Valenti, Giovanni Bove, Dario Giannobile, Marcello Bianca e Massimo Tamajo, che hanno realizzato l’evento grazie anche al supporto di alcuni sponsor; l’intento del progetto è quello di veicolare idee e immagini e raccogliere il maggior numero possibile di diverse visioni fotografiche di Siracusa e i suoi immediati dintorni: 51 fotografi, un vero record nella storia culturale della città, che espongono 110 fotografie raccontando il loro sguardo su Siracusa.

L’ingresso è gratuito e sarà possibile visitarla dalle 10.30 alle 13 e dalle 16 alle 20, dal 14 al 24 gennaio 2020.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=4046:l-orchestra-barocca-siciliana-sbarca-a-siracusa&catid=17&Itemid=143

L’ORCHESTRA BAROCCA SICILIANA “SBARCA” A SIRACUSA

MARIA LUCIA RICCIOLI
Martedì, 21 Gennaio 2020 14:19
L’OBS “sbarca” a Siracusa: l’Orchestra Barocca Siciliana, fondata a Palermo dal flautista Piero Cartosio, dal 1986 si è distinta nell’organizzazione di concerti, festival come Palermo e Madonie Musica Antica, registrazioni discografiche e corsi di perfezionamento (a Polizzi Generosa) sulla prassi storicamente informata della musica antica e dal 2020 la sua nuova sede sarà proprio la nostra città, scelta per promuovere le sue attività istituzionali anche nella Sicilia orientale la sua attività istituzionale.

Proprio a Siracusa infatti lo scorso 5 gennaio si è tenuto il primo concerto, che ha così ufficialmente aperto la nuova stagione dell’ensemble: presso la suggestiva Chiesa di San Martino nel cuore di Ortigia sono risuonate le note dell’organo suonato da Luca Ambrosio, quelle del flauto di Piero Cartosio e della voce del soprano Paola Modicano.

Il refettorio, la Biblioteca e la Chiesa dei PP. Cappuccini di Siracusa, dedicata a Maria Ss.ma della Misericordia e dei Pericoli, saranno protagonisti dei successivi appuntamenti: il clavicembalo di Sebastiano Cristaldi, il flauto traversiere e il virginale di Enrico Luca e di Luca Ambrosio, gli archi di Salvatore Lorefice, Martina De Sensi e Daniele Lorefice, le voci del soprano Giorgia Cinciripi e del tenore Salvo Fresta e del coro Doulce Mémoire accompagneranno gli spettatori lungo un percorso musicale alla ri-scoperta di Corelli, Vivaldi, Bach, Mozart – interessanti le suggestioni mariane del “Vespro della Beata Vergine” al tempo di Luigi XIV, il parallelismo tra le hit parade contemporanee e quelle del Sei-Settecento e il salotto bachiano fra note e tazze di tè.

Al pubblico interessato la gioia di seguire questo cartellone che si snoderà da febbraio a giugno.

Per maggiori informazioni, scrivete ad orchestrabaroccasiciliana@gmail.com oppure consultate i social.

Nessuna descrizione della foto disponibile.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=4049:la-voce-del-recensore-una-nuova-opportunita-per-giovani-scrittori&catid=17&Itemid=143

LA VOCE DEL RECENSORE: UNA NUOVA OPPORTUNITÀ PER GIOVANI SCRITTORI

REDAZIONE CIVETTA
Martedì, 21 Gennaio 2020 14:34
Attorno ai libri ruota tutto un mondo a molti sconosciuto: oltre ai librai vanno considerati i distributori e prima ancora gli editor e gli agenti letterari. Altre figure della “filiera” del libro sono i recensori, che tramite i siti letterari, i blog e i social come Facebook, Twitter, Instagram e altri diffondono le notizie relative al libro, al suo autore e al suo mondo.

Il recensore odierno riveste il ruolo che fino a qualche anno fa era di competenza più accademica, cioè dei critici letterari – docenti universitari, giornalisti specializzati, scrittori di riconosciuta fama e peso.

Occorre quindi ponderare con attenzione ciò che viene pubblicato in rete, specie alcune recensioni volutamente o esageratamente positive o stroncature immotivate.

Riceviamo e pubblichiamo la proposta di uno spazio nato di recente e specificamente dedicato alla promozione degli autori: La Voce del Recensore che, dopo una soddisfacente esperienza decennale in campo editoriale, diventa spazio per la valutazione delle opere letterarie: quelle ritenute meritevoli (da inviare a valutazioneopere@libero.it) saranno recensite da editor qualificati e recensori che metteranno a disposizione dell’autore la propria professionalità e competenza, il tutto gratuitamente (diffidare sempre dei servizi a pagamento, se non offerti da agenzie di riconosciuta serietà) a fronte di simbolici e volontari contributi a sostegno dello spazio stesso.

Il sito in questione sarà visionabile all’indirizzo http://www.scritturaviva.simplesite.com.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3978:niccolo-salvia-l-esemplarita-di-mariannina-coffa&catid=17&Itemid=143

Niccolò Salvia: l’esemplarità di Mariannina Coffa

MARIA LUCIA RICCIOLI
Giovedì, 19 Dicembre 2019 11:29
Mariannina Coffa, poetessa e patriota netina, donna e artista impegnata anche nella causa risorgimentale, visse la sua breve parabola tra il 1841 e il 1878.

La sua biografia e la sua opera sono state indagate con acribia e passione, anche per via degli aspetti “romantici” della sua vicenda di donna e artista, malmaritata e costretta a sublimare dolorosamente il primo amore, quello per il drammaturgo e musicista Ascenzio Mauceri, poi primo preside del Liceo classico di Noto.

“La Civetta di Minerva” ha seguito il procedere degli studi sulla Coffa – mostre, convegni come “Sguardi plurali”, pubblicazioni sulla poetessa: ricordiamo almeno “Voglio il mio cielo”, che raccoglie a cura di Biagio Iacono e Marinella Fiume le lettere che Mariannina indirizzò a familiari, ad amici e al precettore Corrado Sbano –, anche nella speranza che gli scritti della Coffa e la sua stessa figura siano svincolati dall’ambito più prettamente locale e siano sempre più oggetto di indagini accademiche, come sta accadendo da qualche anno a questa parte, grazie sia agli studiosi ed estimatori “storici” della poetessa che alla nuova generazione di indagatori di aspetti nuovi o poco studiati delle poesie e della biografia coffiana.

Venerdì 29 novembre scorso si è laureato in Lettere classiche – relatore il professor Andrea Manganaro, auspici affettuosi i familiari, gli amici, i docenti come Michela Di Rosa, Marisa Berretta e Cettina Raudino, già assessora alla Cultura e sensibile tra l’altro alle tematiche della scrittura al femminile, della toponomastica, della violenza di genere – Niccolò Vincenzo Salvia, studente netino, impegnato non solo negli studi e nella realizzazione del sogno di insegnare, ma anche di “dedicare tempo, energie, passioni, progetti per ciò che si ama”, per usare le sue stesse parole: la candidatura alle elezioni studentesche, l’interesse attivo per la politica, l’associazionismo con “Le formiche del fuoco” sono alcuni degli aspetti che ne contraddistinguono il percorso. Niccolò Salvia ha scelto come argomento per il suo elaborato il rapporto tra Mariannina Coffa e i gender studies; si tratta dei cosiddetti studi di genere, che possono fornire utili strumenti ermeneutici per la comprensione e la descrizione della storia e della produzione della Nostra: quanto conta per un letterato un artista un intellettuale uno scienziato l’appartenenza a un genere? Quanto ha influito nella vita e nell’opera della Coffa la specificità del suo essere donna, in un contesto – quello della Sicilia del secondo Ottocento, tra conservatorismo, lotte risorgimentali, primo e secondo Romanticismo – nel quale le istanze femministe erano in fieri?

L’esemplarità della vicenda della Coffa, le figure femminili della sua poesia – ad esempio le sorelle spose madri dei patrioti, l’Italia stessa raffigurata come donna negletta e schiava com’era costume letterario dell’epoca, pensiamo a Leopardi… -, la sua volontà di essere più di una “donna di casa”, i suoi impegni interessi stilemi, possono essere indagati alla luce di una critica femminista o dell’approccio degli studi di genere? Questo il tema interessante della tesi di Niccolò Salvia, cui auguriamo un proficuo prosieguo degli studi e la realizzazione dei suoi obiettivi e progetti – qualcuno riguarda anche una maggiore valorizzazione di Mariannina Coffa, gloria netina e non solo.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3828:in-fratelli-di-cielo-di-don-aprile-liriche-e-testimonianze-di-fede&catid=17&Itemid=143

In “Fratelli di cielo” di don Aprile liriche e testimonianze di fede

MARIA LUCIA RICCIOLI
Domenica, 23 Giugno 2019 22:20
Il libro comprende la prefazione di Claudio Maniago, vescovo di Castellaneta, e i contributi di vari poeti

 

La Civetta di Minerva, 15 giugno 2019

“La Civetta di Minerva” ha dedicato diversi articoli all’opera pastorale e letteraria di don Raffaele Aprile, che, dopo “Innamorato del cielo”, ha deciso di dare alle stampe il volume “Fratelli di cielo – in versi si raccontano in cammino con Maria” (Bonfirraro Editore), che verrà presentato il 20 giugno alle ore 20 presso il Salone Baranzini della Basilica Santuario Madonna delle Lacrime di Siracusa.

Don Aprile, augustano, oltre a svolgere il suo ministero presbiteriale come assistente spirituale del gruppo di preghiera Madonna delle Lacrime e del gruppo Caritas, accoglie i pellegrini che vengono a visitare la Basilica Santuario e si occupa anche delle missioni con il Reliquiario. Ricordiamo alcuni dei riconoscimenti che ha ottenuto per la sua passione per la scrittura: ha partecipato alla stesura di un’antologia poetico-letteraria in omaggio a Luigi Pirandello a cura di Giuseppe La Delfa, al libro di don Francesco Cristofaro, conduttore televisivo presso Padre Pio TV e a vari concorsi poetici (quello di Favara intitolato ad Ignazio Buttitta, “Il Federiciano”…); per iniziativa del parroco don Domenico Cirigliano, a ricordo della visita del Reliquiario della Madonna delle Lacrime, è stato collocato in modo definitivo nella parete laterale esterna della Chiesa Madre di Rocca Imperiale il quadretto della Madonnina con una sua preghiera/poesia Vergine delle Lacrime; collabora col settimanale “Notizie della diocesi” di Carpi, curando una rubrica poetica.

La pubblicazione collettanea comprende la prefazione di Claudio Maniago, vescovo di Castellaneta, e di Francesco Maria Marino OP, una introduzione di Fabrizio Mattioli, Avvocato della Rota Romana, e i contributi dei poeti Monsignor Giuseppe Greco, Loris Filippetto, Sonia Accossano, Roberto Giovanni Bizzotto, Filippo Cacioppo, Albino Fattore, Don Ernesto Piraino, Giuseppe Puzzo, Maria Lucia Riccioli, Andrea Maniglia, Nino Cardillo, Don Pasqualino di Dio, Rita Masala, Suor Vincenzina Botindari, Michele Taboni, Rafał Soroczyński, Gruppo di Preghiera Carismatica Madonna delle Lacrime, Nicola Douglas De Fenzi, Claudia Koll e le testimonianze di Salvatore Pappalardo Arcivescovo di Siracusa, Aurelio Russo, Gabriele Russo, Lucia Palmieri, Gabriele Dini, Ida Vasta, Giuseppe Aletti, Danilo Zirone, Loris Filippetto: ecclesiastici e laici, semplici devoti e studiosi, ma comunque voci che narrano, che liricamente si effondono, voci pellegrine, in cammino dunque, come suggerisce il sottotitolo del volume.

Il libro raccoglie sia poesie che testimonianze di fede e di guarigione fisica e spirituale: la parola è canale privilegiato di espressione dei sentimenti più profondi e quindi anche della contemplazione mistica, del rapporto con la Natura e con il Divino, delle lacerazioni, delle sofferenze e delle gioie; se l’arte è a suo modo testimonianza, la narrazione di un percorso di vita, dei bivi e delle svolte inattese dovute ad un incontro con qualcosa che trascende il solco dell’abitudine o peggio ancora della rassegnazione lo è ad un altro livello.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=4020:il-bimestre-di-cultura-notabilis-festeggia-i-10-anni&catid=17&Itemid=143

Daniela Tralongo: “A noi tocca ricordare che pensare non è una perdita di tempo”

Non è semplice per un giornale o una rivista cartacea giungere a tagliare traguardi importanti in termini di durata: la concorrenza dei new media e una certa disaffezione verso la lettura e l’approfondimento – spesso si preferiscono veloci post composti di poche immagini ad effetto e di ancor meno parole – rendono sempre più complicata la sopravvivenza di mezzi “lenti” come il quotidiano, il quindicinale, il mensile. Eppure.

Eppure qualche giorno fa “Notabilis”, bimestrale di cultura che mette in risalto “Persone, fatti ed eventi degni di nota in Sicilia” e che si è posto l’ambizioso obiettivo di difendere la cultura siciliana sul territorio e nel mondo, ha tagliato il nastro dei suoi primi dieci anni: grazie alla caparbia dolcezza di Daniela Tralongo, che lo dirige e lo pubblica, affiancata da una squadra di validissimi collaboratori e simpatizzanti – pensiamo ad Egidio Ortisi, Mario Blancato, Paolo Fai, Elio Cappuccio, a docenti operatori culturali studiosi artisti e scrittori come Salvo Zappulla, Emanuela Abbadessa, Marinella Fiume e Maria Lucia Riccioli, a Carmen Dollo, Antonio Raciti, Maria Cristina Picciolini, Giovanna Caggegi, Orazio Mezzio, Paolo Sanzaro… – questo periodico raffinato è riuscito a ritagliarsi uno spazio importante nell’editoria siciliana e oltre.

La sfida è quella di seguire la tradizione e si sapersi rinnovare: la grafica gioca un ruolo importante così come l’individuazione di nuovi target (ad esempio una sezione è dedicata ai piccoli lettori); la costola digitale di Notabilis offre inoltre un aggiornamento quotidiano sugli eventi di maggiore spessore – fondamentale il lavoro di Ilenia Nicolosi, Federica Miceli, Claudio Ruggeri, una cui splendida illustrazione raffigurante Luca Parmitano, siciliano di Paternò a capo della Stazione spaziale internazionale, è stata offerta in dono agli ospiti della serata per festeggiare il decennale di Notabilis.

Si è parlato di moda in Sicilia grazie alle creazioni sartoriali di Lovemà, di festival culturali come Sicily Fest, di teatro con Gisella Calì, di scrittura che si unisce al volontariato con Aldo Mantineo e “Serafiche frequenze”, la raccolta di racconti edita da Sampognaro & Pupi il cui ricavato finanzierà l’acquisto di un defribillatore per un istituto scolastico di Siracusa e la formazione per gli operatori che lo utilizzeranno… e molto altro.

Ecco le parole di Daniela Tralongo: “… è stata una vera e propria festa, che attraverso la voce dei presenti, ma anche di chi non è potuto esserci, ha permesso di raccontare questi dieci anni di attività del lavoro di Notabilis: fare informazione culturale, consegnare approfondimenti che generino letture critiche e scoprire risorse umane e territoriali che siano di esempio e ispirazione. Fare informazione culturale è davvero una scommessa, e decidere di farlo con un’edizione cartacea e una online forse è follia. Riconoscere le professionalità diventa fondamentale. Viviamo bombardati da informazioni che ci aggiornano minuto per minuto di tutto ciò che ci circonda e al 90% tutto assume toni sensazionalistici (l’urgenza dei click). Diventa facile in questo modo perdere di vista non solo la complessità di alcuni eventi che necessitano letture critiche, ergo spazio per una narrazione polivalente, ergo tempo per leggere questi approfondimenti; ma diventa fondamentale anche offrire letture che siano di ispirazione, che facciano maturare nuove considerazioni e spingano a lavorare a un cambiamento. Degli stereotipi e delle lamentele sterili non se ne può più. E questo tocca a noi! Tocca a chi fa informazione culturale. A noi tocca ricordare che pensare non è una perdita di tempo. Che le competenze vanno riconosciute e valorizzate perché quelli sono gli esempi a cui bisogna dare una voce seria. In pochi secondi siamo informati su tutto, ma solo in alcuni minuti riusciamo a costruirci un’idea. E quell’idea è quella che ci garantisce di non perderci in mezzo alla valanga di fake news e di modelli effimeri. Quell’idea ci consente di poter avere discussioni in cui ci si confronta discutendo guardandosi negli occhi, senza urlarsi contro ma con il solo potere delle idee, dei ragionamenti e delle relazioni che arricchiscono sempre. Perché in fondo di questo si tratta. Di relazioni tra persone che guardandosi in faccia capiscono di non essere sole, in quello che pensano, in quello che fanno, in quello che sperano. Lo spirito della Festa di Notabilis sta tutto in queste righe. Essere insieme e insieme costruire un cambiamento. Le narrazioni si sono intrecciate con i volti di chi le scrive e chi le legge. Tutti insieme, pronti per iniziare i prossimi anni…!”.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=4073:il-centro-interculturale-di-via-piave-festeggia-un-anno&catid=75:mondo-solidale&Itemid=201&highlight=WyJyaWNjaW9saSJd

IL CENTRO INTERCULTURALE DI VIA PIAVE FESTEGGIA UN ANNO

MARIA LUCIA RICCIOLI
Giovedì, 06 Febbraio 2020 12:09

Gentile (assessore): L’Amministrazione sostiene e promuove integrazione e volontariato

 

 

“Fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce” (Lao Tzu).

Purtroppo siamo maggiormente attirati da notizie urlate, da fake news ossessivamente ripetute che da buone pratiche vissute in silenzio o senza una grande copertura mediatica.

Stimolati dalla pubblicazione di un video sul primo compleanno del CIAO, ovvero Centro Interculturale di Aiuto e Orientamento di via Piave a Siracusa, ne abbiamo parlato con Rita Gentile, assessora comunale il cui incarico riguarda, tra le altre materie afferenti, le politiche per l’economia solidale, il dialogo interculturale e il volontariato.

Rita Gentile, sia per motivi istituzionali che per una propria personale propensione e vicinanza alle attività di volontariato, ci ha così narrato a grandi linee la storia e di una realtà che va certamente conosciuta e accompagnata, nell’ottica dell’offerta di servizi anche ai siracusani in situazione di disagio, come pure dell’intesa tra Asp e la struttura “Mater Dei” di Belvedere per il corso tenuto a Santa Rita che ha formato e collocato badanti.

Qual è l’impegno del Comune di Siracusa verso queste realtà di volontariato?

Ci tengo a precisare che CIAO è un’esperienza nata tutta dalla realtà del non-profit. L’assessorato e il Comune manifestano la propria vicinanza: anche se non in termini economici l’ente locale avalla, sostiene e auspica che il tutto vada avanti nel segno dell’integrazione e del tentativo di colmare situazioni di svantaggio socioculturale. La Borgata in questo è un quartiere-laboratorio, ricco di associazioni come Assoraider – che riunisce gli scout laici ai fini dell’inserimento nel movimento di bambini di ogni fede religiosa –, Astrea-In memoria di Stefano Biondo, la Biblioteca, la ProLoco, MareLuce, tutte realtà profondamente radicate nel territorio e che rendono la Borgata un quartiere dalla forte identità e specificità.

Quali sono i progetti che il Comune e il suo assessorato stanno attuando in questo senso?

Il Comune di Siracusa ha intenzione di creare “Il Comune dei popoli”, un punto che accoglie divenendo un facilitatore di integrazione: è un progetto già avviato – la nostra città ha partecipato ad uno dei bandi FAMI, Fondo asilo migrazione e integrazione 2014-2020, aggiudicandosi il 19esimo posto, unica città siciliana fra i 28 territori finanziati, a fronte dei 117 progetti presentati –, che permetterà sia di gestire l’immigrazione con tutte le sue implicazioni in termini di regolarizzazione, sanità, scuola e quant’altro, sia di migliorare la realtà dei nostri uffici, formando gli impiegati in modo che forniscano adeguate risposte agli immigrati decodificando le loro richieste di aiuto, accoglienza, orientamento.

“Il Comune dei popoli” vuole essere anche un riferimento associativo, una sorta di hub nel segno della scoperta di una “casa” nella quale si può trovare non solo un sostegno ma anche uno spazio all’interno del territorio, per appropriarsene e sentirla parte della propria identità: naturalmente questi sono processi di lunga durata, da innescare e accompagnare nel loro sviluppo insieme alle associazioni e agli enti che da anni lavorano nel campo.

LA CIVETTA DI MINERVA del 22 febbraio 2020

22 sabato Feb 2020

Posted by mlriccioli in Eventi culturali, Letteratura, Musica

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Franco Oddo

Marina De Michele

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Sono fiera, nel mio piccolo, di far parte dei collaboratori di questo giornale che dalla Sicilia, da Siracusa e dalla sua provincia, fa sentire la propria voce…
Un video di Rainews del giugno 2012…

Più giù, alcuni pezzi recenti…

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=4005:in-morte-di-piero-terracina-cittadino-onorario-di-siracusa-uomo-che-ha-guardato-in-faccia-l-inferno-di-auschwitz&catid=17&Itemid=143

In morte di Piero Terracina, cittadino onorario di Siracusa uomo che ha guardato in faccia l’inferno di Auschwitz

MARIA LUCIA RICCIOLI

Giovedì, 09 Gennaio 2020 12:33

L’8 dicembre scorso è morto a Roma Piero Terracina, uno degli ultimi testimoni della Shoah, sopravvissuto all’inferno di Auschwitz.

Forse non tutti sanno che piangiamo non solo la scomparsa di un martire di una delle pagine peggiori della Storia – e ci teniamo a ricordarlo perché i rigurgiti nazifascisti e l’antisemitismo strisciante devono farci tenere la guardia alta –, ma di un nostro concittadino, perché a Piero Terracina, oltre a quella di Palermo e di diverse altre città, era stata conferita la cittadinanza onoraria di Siracusa nel 2005, promotore Elio Tocco; ringrazio Maurizio Landieri per l’immagine reperita, per la preziosa testimonianza sulla successiva visita a Siracusa di Terracina nel 2015 e per aver recuperato la motivazione del conferimento della cittadinanza onoraria: “Il Sindaco / Avv. Giambattista Bufardeci / Onorando in / Piero Terracina / L’instancabile ambasciatore di memoria e di umanità, che / ha suscitato, nel nostro Paese, partecipata coscienza nei / confronti della Shoah, / Su proposta dell’Istituto Mediterraneo / di Studi Universitari / gli Conferisce / La Cittadinanza Onoraria di Siracusa.

Piero Terracina, sopravvissuto alla Shoah, attraverso la Sua Parola, che ha trasformato il dolore in testimonianza di vita e di speranza, ha saputo creare argini di ragione e di coscienza, nei nostri giovani, contro ogni fanatismo, intolleranza, razzismo, cause di ogni orrore. Egli ci ha insegnato che ricordare è l’unico modo per difendere il nostro futuro dagli incubi dell’odio”.

Recupero gli appunti scritti sull’onda dell’emozione del pomeriggio del 27 gennaio 2008, quando ho avuto modo di conoscere personalmente Terracina e di ascoltare la sua testimonianza e mi piace riparlarne a ridosso della festa di Hanukkah (tra l’altro sul canale per bambini Rai Gulp domenica 22 dicembre alle 15:25, andrà in onda il cortometraggio “Hanukkah-La festa delle luci”, prodotto da Rai Ragazzi e dalla Graphilm Entertainment di Roma, opera di un maestro dell’animazione italiana come Maurizio Forestieri; il film racconta la storia fantasiosa della giovane pasticciera Anna, ricorda l’origine di una delle più antiche e affascinanti feste ebraiche e sarà visibile anche su Rai Play), che per la simbologia delle luci, lo scambio dei doni, il senso dello stare insieme si può apparentare al nostro Natale.

A Siracusa, nella Chiesa di San Martino, per ricordare la figura di Monsignor Sebastiano Gozzo (che era recentemente scomparso e che aveva programmato quest’evento poco prima della sua morte), si era tenuto l’ultimo incontro della settimana dedicata alla cultura ebraica e promosso dalla Provincia Regionale di Siracusa e dall’IMSU (Istituto Mediterraneo di Studi Universitari).

Moderatore Elio Tocco, hanno offerto la propria testimonianza nel giorno della memoria (il 27 gennaio, se ci fosse ancora bisogno di ricordarlo, è dedicato dal 2000 alla memoria della Shoah) Franco Perlasca, figlio di Giorgio Perlasca, ed un sopravvissuto di Auschwitz, Piero Terracina.

Franco Perlasca ha rievocato la figura del padre, che durante la seconda guerra mondiale si trovava in Ungheria e per un rocambolesco caso del destino (destino?) si è ritrovato ad essere eroe suo malgrado. Fingendosi il nuovo ambasciatore di Spagna, è riuscito a salvare all’incirca 5200 ebrei ungheresi dalla deportazione.

Un eroe. Ma Franco Perlasca ci tiene a distinguere l’eroe dal giusto: pensiamo a Pirandello per cui è “molto più facile essere un eroe che un galantuomo. Eroi si può essere ogni tanto, galantuomini sempre”. L’azione eroica a volte viene ostentata e un singolo gesto eroico può essere perfino in contrasto con la natura profonda di un essere umano. Giorgio Perlasca, invece, come i veri giusti, ha compiuto un gesto da eroe ma quasi suo malgrado e, cessata la situazione straordinaria in cui si è trovato a scegliere il bene opponendosi con coraggio e determinazione al male, è tornato alla vita di sempre, mantenendo il silenzio anche con le persone care.

Questa storia, scritta in un memoriale di cui una copia andò al governo italiano, l’altra a quello spagnolo, che l’ignorarono completamente, sarebbe rimasta per sempre nel cassetto e nel cuore di Perlasca se non fosse accaduta una serie di fatti: un ictus, che lo portò a rivelare alla nuora e al figlio l’esistenza del memoriale, di cui però ancora una volta i familiari stessi sottovalutarono l’importanza. Perlasca, una volta guarito, come prima cosa ripose lo scritto nel cassetto. Altro motivo per cui ritenerlo un vero giusto: solo la morte imminente l’aveva indotto a quella rivelazione perché temeva che quel passato andasse perduto per sempre.

Decenni di silenzio. Poi, accade qualcosa che fa riemergere potentemente quell’atto di eroismo, di compassione, di solidarietà umana. Delle donne ungheresi, all’epoca dei fatti ragazzine, avevano cercato notizie di quell’Jorge Perlasca sedicente diplomatico spagnolo e riescono a scovarlo in Italia, a Padova, nella sua casa di Via Guglielmo Marconi 13, giusto di fronte alla basilica di Sant’Antonio da Padova.

Le donne, un po’ in ungherese, un po’ in tedesco, un po’ in italiano, un po’ nel linguaggio universale dei gesti, rievocano quella storia davanti agli occhi allibiti di Franco, che inizia finalmente a capire che suo padre Giorgio forse aveva compiuto qualcosa di veramente straordinario. Franco Perlasca racconta con garbo, perfino riesce a far sorridere, ma la commozione gli vela la voce quando narra cosa quelle donne regalarono a suo padre in segno di gratitudine. Pacchi e pacchettini dei tipici prodotti ungheresi. Quello che ogni turista porta in dono. Poi, tre oggetti. Che Franco Perlasca tuttora conserva religiosamente. Piccole povere cose cariche di un dolore indicibile. Una tazzina, un cucchiaino, un medaglione. Perlasca rifiuta. Le donne insistono. Il balletto di offerte e rifiuti si ripete per qualche minuto. Perlasca dice: “Dovete tenere voi queste cose, per lasciarle in ricordo ai vostri figli, che poi le lasceranno ai vostri nipoti”. E quelle donne, in un italiano perfetto che ha del miracoloso, gli rispondono: “Queste cose deve averle lei. Se non fosse per lei, noi non avremmo figli né nipoti”.

La storia di Perlasca inizia così a diventare conosciuta. Se ne occupano Enrico Deaglio, che dopo una lunga serie di interviste scrive “La banalità del bene” (poi uscirà anche “L’impostore”) e Giovanni Minoli con la sua trasmissione “Mixer”. La vita di Perlasca viene allo scoperto ed è tutto un susseguirsi di incontri con le scuole, di interviste, di riconoscimenti anche internazionali, alcuni preziosi e importanti. Ma quello a cui Perlasca tiene di più sta sulla scrivania del suo studiolo. Una targa consegnatagli da ragazzi di una scuola della provincia vicentina. La semplice iscrizione dice: Ad un uomo al quale vorremmo assomigliare. In un tempo mediocre, di falsi miti ed eroi, Perlasca il giusto, riconosciuto tale anche dalla commissione dello Yad Vashem in Israele, che esamina le cause di chi, non ebreo, si è comportato da giusto (e non si autopresenta ma è presentato da terzi, le cui testimonianze sono attentamente vagliate), Perlasca il giusto dicevamo, rappresenta sicuramente un modello positivo, una luce per le nuove generazioni. Un uomo che ha vissuto nel silenzio, che ha risposto con sincerità e semplicità disarmante a chi gli chiedeva come avesse fatto a compiere quell’impresa disperata: “Lei non avrebbe fatto lo stesso al posto mio?”.

Hannah Arendt, a proposito di Eichmann e altri nazisti, ha parlato di banalità del male. Il mostro, il torturatore, possono essere anche i nostri vicini di casa. Il male non ha corna né puzza di zolfo ma può avere il volto di ognuno di noi. Di chi ubbidisce agli ordini ricevuti senza discuterli. Di chi volta la faccia dall’altra parte per non essere coinvolto. Anche il bene è banale, in fondo. Un gesto semplice può salvare una vita. E come dice il Talmud, chi salva una vita salva l’universo intero.

C’è una leggenda ebrea meravigliosa. Esistono nel mondo 36 giusti, sempre. Neanche loro sanno di essere giusti, ma quando c’è da dire un sì o un no, quando c’è da prendere posizione, lo fanno e basta. Poi tornano alla vita di sempre, neanche consci loro stessi fino in fondo di aver cambiato la storia. E grazie a loro Dio non distrugge il mondo.

Vi invito a visitare il sito della fondazione intitolata a Giorgio Perlasca, dove troverete altro materiale interessantissimo – bibliografia e filmografia, storia della Shoah e vari documenti – : http://www.giorgioperlasca.it.

Dopo il racconto emozionante di Franco Perlasca – che ci narra anche del film tratto dalla vita del padre, interpretato da Luca Zingaretti, giudicato dalla moglie di Perlasca bravissimo ma molto, molto meno bello del marito… – attendiamo tutti le parole di Piero Terracina. Non è un film. È vita vissuta, sangue e lacrime. Una disperazione senza fine.

Piccolo uomo vestito di verde, ti riconosco ebreo dall’aspetto mite che Umberto Saba seppe così bene ritrarre. Occhialetti tondi a difendere gli occhi pensosi scrutati da occhi attenti, rispettosi sì, ma che indugiano su di te come su una bestia da fiera, l’animale da circo che deve fare il suo numero da deportato testimone speranzoso nonostante tutto.

Ma tu non ci stai. Da subito. “Per me non c’è stato un Giorgio Perlasca”. Voce scura, bassa e dignitosa.

E il dolore fluisce come una piena, trattenuto dalle parole ferme di chi si sa innocente eppure perseguitato, di chi è vittima e ha subito le sevizie di carnefici infernali eppure uomini come lui, unico scampato su una famiglia di otto persone.

Il male può essere banale, quotidiano. È il compagno di scuola sempre amico che ti volta le spalle e ti lascia da solo perché sei ebreo; è l’insegnante che salta il tuo nome nell’appello e ti dice che non puoi entrare in classe. “Che cosa ho fatto?” chiedi. E ti viene risposto con tre parole che uccidono la tua sensibilità, il tuo amore per lo studio, la tua innocenza di bambino di otto anni. “Perché sei ebreo”. È il traditore che consegna te e la tua famiglia per 5000 lire ciascuno – 40000 lire durante la seconda guerra mondiale sono soldi – mentre avete deciso di riunirvi per la Pasqua ebraica, finalmente insieme dopo essere stati separati perché protetti in case diverse da persone buone – i giusti senza nome – che avevano avuto pietà di voi.

Piero ha 8 anni quando vengono emanate le leggi razziali e 14 anni quando viene arrestato con i suoi dai nazisti che non hanno pietà neanche del nonno anziano. Ed è dolore infinito: il carcere di Regina Coeli – avete idea di cosa sia entrare in carcere quando si è innocenti? – dove, faccia a muro, con la consegna del silenzio, il padre di Piero, lucido profeta di ciò che sarà, intima ai figli di conservare la dignità, almeno quella. “Siate uomini”.

Ma è proprio quello che i nazisti vogliono distruggere: l’umanità di questa povera gente, stipata sul treno che parte dalla stazione Tiburtina di Roma per Fossoli, tappa intermedia del viaggio verso Auschwitz, l’inferno di un pazzo.

Niente cibo né soprattutto acqua, implorata a mani tese di stazione in stazione a gente indifferente. Piero si interrompe spesso scusandosi con noi, noi che dovremmo baciargli le mani, quelle stesse mani di ragazzo tese disperatamente dal carro bestiame di un treno, per la commozione che gli stringe la gola e che taglia la nostra. Il silenzio in chiesa è tangibile, solido e compatto. Le lacrime scendono e ci domandiamo che cosa potrebbe risarcire sofferenze così grandi. “Nemmeno uno sguardo di pietà”.

Cinque giorni cinque notti escrementi urine un bambino è nato per morire ad Auschwitz.

E l’arrivo. E la verità, subito. Di qui si esce solo per il camino.

E gli appelli, e la neve gelata da bere, che non sia troppo contaminata. E la supplica con gli occhi all’aguzzino perché affondi un’altra volta il cucchiaio nella brodaglia immonda. Qui non c’è più dignità, quella che aveva raccomandato ai figli il padre di Piero. Ma un ragazzo di quattordici anni vuole vivere, anche un giorno soltanto di più.

Piero parla e i suoi occhi sono oltre noi, fuori dal portone di questa chiesa dove lui si sente fuori posto, perché è fuori anche da questo tempo Piero, forse perché è il 27 gennaio e nel 1945 i Russi aprirono quei dannati cancelli da cui i suoi cari non sono usciti. E non c’è esultanza e non c’è scampo al senso di colpa per essere ancora vivi.

Piero non ci narra l’orrore, non ci narra la follia cieca e stupida di gente che era capace di indicibili crudeltà eppure amava la famiglia l’arte la letteratura la musica. Piero si scusa ancora. “Mi sento lì. Scusatemi, non ce la faccio a continuare”.

Lo applaudiamo e sfiliamo fuori. Qualcuno di noi va a stringergli la mano. Il peso che quest’uomo porta è troppo grande, ma che lo abbia condiviso con noi è bellissimo. Penseremo a lui, pregheremo per questo piccolo uomo che ha guardato in faccia l’inferno e ne è uscito vivo.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=4045:siracusa-in-mostra-collettiva-di-fotografia&catid=17&Itemid=143

SIRACUSA IN MOSTRA: COLLETTIVA DI FOTOGRAFIA

MARIA LUCIA RICCIOLI
Martedì, 21 Gennaio 2020 14:17
Il 13 gennaio alle ore 17, presso la Biblioteca provinciale dedicata e intitolata ad Elio Vittorini, situata in Via Roma 31, si terrà l’inaugurazione della mostra che vedrà esposte le fotografie di Antonio Pica, Angelo Bonomo, Corrado Sorrentino, Kevin Saragozza, Giovanni Di Giorgio, Antonio Amato, Dario Monzù, Francesco Aversa, Marco Brunetti, Bruno Sauza, Chiara Mongiovì, Vincenzo Miconi, Francesco Barreca, Domenico Lo Bue, Giuseppe Aliano, Massimo Di Stefano, Daniela Cavarra, Larita Sarta, Laura Marchetti, Ignazio Calà, Maurizio Formati, Andrea Pagliari, Stefania Genovese, Stefano Piazza, Salvatore Di Maria, Eduardo Cannata, Barbara Pindo, Giuseppe Giardina, Cristina Artale, Valentina Sorrentino, Michele Ponzio, Giovanni Tumminelli, Giovanni Fontana, Fabio Di Stefano, Giancanio Sileo, Gabriele Midolo, Eleonora Turco, Eugenio Bruno, Emanuele Liali, Giuseppe Bellofiore, Giuseppe Mazzarella, Sebastiano Pirruccio, Fausto Renda, Giuseppe La Colla.

Alcuni degli espositori hanno alle spalle la partecipazione a mostre collettive o personali, docenze e partecipazioni a laboratori e corsi di fotografia, riconoscimenti su portali relativi alla fotografia, collaborazioni con istituti scolastici e molto altro, diversi di loro sono dei semplici appassionati che tentano di catturare momenti, di “scrivere con la luce” la loro personale visione del mondo e delle cose.

Organizzatori sono Salvatore Di Giorgio, Salvo Vasile, Sebastiano Valenti, Giovanni Bove, Dario Giannobile, Marcello Bianca e Massimo Tamajo, che hanno realizzato l’evento grazie anche al supporto di alcuni sponsor; l’intento del progetto è quello di veicolare idee e immagini e raccogliere il maggior numero possibile di diverse visioni fotografiche di Siracusa e i suoi immediati dintorni: 51 fotografi, un vero record nella storia culturale della città, che espongono 110 fotografie raccontando il loro sguardo su Siracusa.

L’ingresso è gratuito e sarà possibile visitarla dalle 10.30 alle 13 e dalle 16 alle 20, dal 14 al 24 gennaio 2020.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=4046:l-orchestra-barocca-siciliana-sbarca-a-siracusa&catid=17&Itemid=143

L’ORCHESTRA BAROCCA SICILIANA “SBARCA” A SIRACUSA

MARIA LUCIA RICCIOLI
Martedì, 21 Gennaio 2020 14:19
L’OBS “sbarca” a Siracusa: l’Orchestra Barocca Siciliana, fondata a Palermo dal flautista Piero Cartosio, dal 1986 si è distinta nell’organizzazione di concerti, festival come Palermo e Madonie Musica Antica, registrazioni discografiche e corsi di perfezionamento (a Polizzi Generosa) sulla prassi storicamente informata della musica antica e dal 2020 la sua nuova sede sarà proprio la nostra città, scelta per promuovere le sue attività istituzionali anche nella Sicilia orientale la sua attività istituzionale.

Proprio a Siracusa infatti lo scorso 5 gennaio si è tenuto il primo concerto, che ha così ufficialmente aperto la nuova stagione dell’ensemble: presso la suggestiva Chiesa di San Martino nel cuore di Ortigia sono risuonate le note dell’organo suonato da Luca Ambrosio, quelle del flauto di Piero Cartosio e della voce del soprano Paola Modicano.

Il refettorio, la Biblioteca e la Chiesa dei PP. Cappuccini di Siracusa, dedicata a Maria Ss.ma della Misericordia e dei Pericoli, saranno protagonisti dei successivi appuntamenti: il clavicembalo di Sebastiano Cristaldi, il flauto traversiere e il virginale di Enrico Luca e di Luca Ambrosio, gli archi di Salvatore Lorefice, Martina De Sensi e Daniele Lorefice, le voci del soprano Giorgia Cinciripi e del tenore Salvo Fresta e del coro Doulce Mémoire accompagneranno gli spettatori lungo un percorso musicale alla ri-scoperta di Corelli, Vivaldi, Bach, Mozart – interessanti le suggestioni mariane del “Vespro della Beata Vergine” al tempo di Luigi XIV, il parallelismo tra le hit parade contemporanee e quelle del Sei-Settecento e il salotto bachiano fra note e tazze di tè.

Al pubblico interessato la gioia di seguire questo cartellone che si snoderà da febbraio a giugno.

Per maggiori informazioni, scrivete ad orchestrabaroccasiciliana@gmail.com oppure consultate i social.

Nessuna descrizione della foto disponibile.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=4049:la-voce-del-recensore-una-nuova-opportunita-per-giovani-scrittori&catid=17&Itemid=143

LA VOCE DEL RECENSORE: UNA NUOVA OPPORTUNITÀ PER GIOVANI SCRITTORI

REDAZIONE CIVETTA
Martedì, 21 Gennaio 2020 14:34
Attorno ai libri ruota tutto un mondo a molti sconosciuto: oltre ai librai vanno considerati i distributori e prima ancora gli editor e gli agenti letterari. Altre figure della “filiera” del libro sono i recensori, che tramite i siti letterari, i blog e i social come Facebook, Twitter, Instagram e altri diffondono le notizie relative al libro, al suo autore e al suo mondo.

Il recensore odierno riveste il ruolo che fino a qualche anno fa era di competenza più accademica, cioè dei critici letterari – docenti universitari, giornalisti specializzati, scrittori di riconosciuta fama e peso.

Occorre quindi ponderare con attenzione ciò che viene pubblicato in rete, specie alcune recensioni volutamente o esageratamente positive o stroncature immotivate.

Riceviamo e pubblichiamo la proposta di uno spazio nato di recente e specificamente dedicato alla promozione degli autori: La Voce del Recensore che, dopo una soddisfacente esperienza decennale in campo editoriale, diventa spazio per la valutazione delle opere letterarie: quelle ritenute meritevoli (da inviare a valutazioneopere@libero.it) saranno recensite da editor qualificati e recensori che metteranno a disposizione dell’autore la propria professionalità e competenza, il tutto gratuitamente (diffidare sempre dei servizi a pagamento, se non offerti da agenzie di riconosciuta serietà) a fronte di simbolici e volontari contributi a sostegno dello spazio stesso.

Il sito in questione sarà visionabile all’indirizzo http://www.scritturaviva.simplesite.com.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3978:niccolo-salvia-l-esemplarita-di-mariannina-coffa&catid=17&Itemid=143

Niccolò Salvia: l’esemplarità di Mariannina Coffa

MARIA LUCIA RICCIOLI
Giovedì, 19 Dicembre 2019 11:29
Mariannina Coffa, poetessa e patriota netina, donna e artista impegnata anche nella causa risorgimentale, visse la sua breve parabola tra il 1841 e il 1878.

La sua biografia e la sua opera sono state indagate con acribia e passione, anche per via degli aspetti “romantici” della sua vicenda di donna e artista, malmaritata e costretta a sublimare dolorosamente il primo amore, quello per il drammaturgo e musicista Ascenzio Mauceri, poi primo preside del Liceo classico di Noto.

“La Civetta di Minerva” ha seguito il procedere degli studi sulla Coffa – mostre, convegni come “Sguardi plurali”, pubblicazioni sulla poetessa: ricordiamo almeno “Voglio il mio cielo”, che raccoglie a cura di Biagio Iacono e Marinella Fiume le lettere che Mariannina indirizzò a familiari, ad amici e al precettore Corrado Sbano –, anche nella speranza che gli scritti della Coffa e la sua stessa figura siano svincolati dall’ambito più prettamente locale e siano sempre più oggetto di indagini accademiche, come sta accadendo da qualche anno a questa parte, grazie sia agli studiosi ed estimatori “storici” della poetessa che alla nuova generazione di indagatori di aspetti nuovi o poco studiati delle poesie e della biografia coffiana.

Venerdì 29 novembre scorso si è laureato in Lettere classiche – relatore il professor Andrea Manganaro, auspici affettuosi i familiari, gli amici, i docenti come Michela Di Rosa, Marisa Berretta e Cettina Raudino, già assessora alla Cultura e sensibile tra l’altro alle tematiche della scrittura al femminile, della toponomastica, della violenza di genere – Niccolò Vincenzo Salvia, studente netino, impegnato non solo negli studi e nella realizzazione del sogno di insegnare, ma anche di “dedicare tempo, energie, passioni, progetti per ciò che si ama”, per usare le sue stesse parole: la candidatura alle elezioni studentesche, l’interesse attivo per la politica, l’associazionismo con “Le formiche del fuoco” sono alcuni degli aspetti che ne contraddistinguono il percorso. Niccolò Salvia ha scelto come argomento per il suo elaborato il rapporto tra Mariannina Coffa e i gender studies; si tratta dei cosiddetti studi di genere, che possono fornire utili strumenti ermeneutici per la comprensione e la descrizione della storia e della produzione della Nostra: quanto conta per un letterato un artista un intellettuale uno scienziato l’appartenenza a un genere? Quanto ha influito nella vita e nell’opera della Coffa la specificità del suo essere donna, in un contesto – quello della Sicilia del secondo Ottocento, tra conservatorismo, lotte risorgimentali, primo e secondo Romanticismo – nel quale le istanze femministe erano in fieri?

L’esemplarità della vicenda della Coffa, le figure femminili della sua poesia – ad esempio le sorelle spose madri dei patrioti, l’Italia stessa raffigurata come donna negletta e schiava com’era costume letterario dell’epoca, pensiamo a Leopardi… -, la sua volontà di essere più di una “donna di casa”, i suoi impegni interessi stilemi, possono essere indagati alla luce di una critica femminista o dell’approccio degli studi di genere? Questo il tema interessante della tesi di Niccolò Salvia, cui auguriamo un proficuo prosieguo degli studi e la realizzazione dei suoi obiettivi e progetti – qualcuno riguarda anche una maggiore valorizzazione di Mariannina Coffa, gloria netina e non solo.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3828:in-fratelli-di-cielo-di-don-aprile-liriche-e-testimonianze-di-fede&catid=17&Itemid=143

In “Fratelli di cielo” di don Aprile liriche e testimonianze di fede

MARIA LUCIA RICCIOLI
Domenica, 23 Giugno 2019 22:20
Il libro comprende la prefazione di Claudio Maniago, vescovo di Castellaneta, e i contributi di vari poeti

 

La Civetta di Minerva, 15 giugno 2019

“La Civetta di Minerva” ha dedicato diversi articoli all’opera pastorale e letteraria di don Raffaele Aprile, che, dopo “Innamorato del cielo”, ha deciso di dare alle stampe il volume “Fratelli di cielo – in versi si raccontano in cammino con Maria” (Bonfirraro Editore), che verrà presentato il 20 giugno alle ore 20 presso il Salone Baranzini della Basilica Santuario Madonna delle Lacrime di Siracusa.

Don Aprile, augustano, oltre a svolgere il suo ministero presbiteriale come assistente spirituale del gruppo di preghiera Madonna delle Lacrime e del gruppo Caritas, accoglie i pellegrini che vengono a visitare la Basilica Santuario e si occupa anche delle missioni con il Reliquiario. Ricordiamo alcuni dei riconoscimenti che ha ottenuto per la sua passione per la scrittura: ha partecipato alla stesura di un’antologia poetico-letteraria in omaggio a Luigi Pirandello a cura di Giuseppe La Delfa, al libro di don Francesco Cristofaro, conduttore televisivo presso Padre Pio TV e a vari concorsi poetici (quello di Favara intitolato ad Ignazio Buttitta, “Il Federiciano”…); per iniziativa del parroco don Domenico Cirigliano, a ricordo della visita del Reliquiario della Madonna delle Lacrime, è stato collocato in modo definitivo nella parete laterale esterna della Chiesa Madre di Rocca Imperiale il quadretto della Madonnina con una sua preghiera/poesia Vergine delle Lacrime; collabora col settimanale “Notizie della diocesi” di Carpi, curando una rubrica poetica.

La pubblicazione collettanea comprende la prefazione di Claudio Maniago, vescovo di Castellaneta, e di Francesco Maria Marino OP, una introduzione di Fabrizio Mattioli, Avvocato della Rota Romana, e i contributi dei poeti Monsignor Giuseppe Greco, Loris Filippetto, Sonia Accossano, Roberto Giovanni Bizzotto, Filippo Cacioppo, Albino Fattore, Don Ernesto Piraino, Giuseppe Puzzo, Maria Lucia Riccioli, Andrea Maniglia, Nino Cardillo, Don Pasqualino di Dio, Rita Masala, Suor Vincenzina Botindari, Michele Taboni, Rafał Soroczyński, Gruppo di Preghiera Carismatica Madonna delle Lacrime, Nicola Douglas De Fenzi, Claudia Koll e le testimonianze di Salvatore Pappalardo Arcivescovo di Siracusa, Aurelio Russo, Gabriele Russo, Lucia Palmieri, Gabriele Dini, Ida Vasta, Giuseppe Aletti, Danilo Zirone, Loris Filippetto: ecclesiastici e laici, semplici devoti e studiosi, ma comunque voci che narrano, che liricamente si effondono, voci pellegrine, in cammino dunque, come suggerisce il sottotitolo del volume.

Il libro raccoglie sia poesie che testimonianze di fede e di guarigione fisica e spirituale: la parola è canale privilegiato di espressione dei sentimenti più profondi e quindi anche della contemplazione mistica, del rapporto con la Natura e con il Divino, delle lacerazioni, delle sofferenze e delle gioie; se l’arte è a suo modo testimonianza, la narrazione di un percorso di vita, dei bivi e delle svolte inattese dovute ad un incontro con qualcosa che trascende il solco dell’abitudine o peggio ancora della rassegnazione lo è ad un altro livello.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=4020:il-bimestre-di-cultura-notabilis-festeggia-i-10-anni&catid=17&Itemid=143

Daniela Tralongo: “A noi tocca ricordare che pensare non è una perdita di tempo”

Non è semplice per un giornale o una rivista cartacea giungere a tagliare traguardi importanti in termini di durata: la concorrenza dei new media e una certa disaffezione verso la lettura e l’approfondimento – spesso si preferiscono veloci post composti di poche immagini ad effetto e di ancor meno parole – rendono sempre più complicata la sopravvivenza di mezzi “lenti” come il quotidiano, il quindicinale, il mensile. Eppure.

Eppure qualche giorno fa “Notabilis”, bimestrale di cultura che mette in risalto “Persone, fatti ed eventi degni di nota in Sicilia” e che si è posto l’ambizioso obiettivo di difendere la cultura siciliana sul territorio e nel mondo, ha tagliato il nastro dei suoi primi dieci anni: grazie alla caparbia dolcezza di Daniela Tralongo, che lo dirige e lo pubblica, affiancata da una squadra di validissimi collaboratori e simpatizzanti – pensiamo ad Egidio Ortisi, Mario Blancato, Paolo Fai, Elio Cappuccio, a docenti operatori culturali studiosi artisti e scrittori come Salvo Zappulla, Emanuela Abbadessa, Marinella Fiume e Maria Lucia Riccioli, a Carmen Dollo, Antonio Raciti, Maria Cristina Picciolini, Giovanna Caggegi, Orazio Mezzio, Paolo Sanzaro… – questo periodico raffinato è riuscito a ritagliarsi uno spazio importante nell’editoria siciliana e oltre.

La sfida è quella di seguire la tradizione e si sapersi rinnovare: la grafica gioca un ruolo importante così come l’individuazione di nuovi target (ad esempio una sezione è dedicata ai piccoli lettori); la costola digitale di Notabilis offre inoltre un aggiornamento quotidiano sugli eventi di maggiore spessore – fondamentale il lavoro di Ilenia Nicolosi, Federica Miceli, Claudio Ruggeri, una cui splendida illustrazione raffigurante Luca Parmitano, siciliano di Paternò a capo della Stazione spaziale internazionale, è stata offerta in dono agli ospiti della serata per festeggiare il decennale di Notabilis.

Si è parlato di moda in Sicilia grazie alle creazioni sartoriali di Lovemà, di festival culturali come Sicily Fest, di teatro con Gisella Calì, di scrittura che si unisce al volontariato con Aldo Mantineo e “Serafiche frequenze”, la raccolta di racconti edita da Sampognaro & Pupi il cui ricavato finanzierà l’acquisto di un defribillatore per un istituto scolastico di Siracusa e la formazione per gli operatori che lo utilizzeranno… e molto altro.

Ecco le parole di Daniela Tralongo: “… è stata una vera e propria festa, che attraverso la voce dei presenti, ma anche di chi non è potuto esserci, ha permesso di raccontare questi dieci anni di attività del lavoro di Notabilis: fare informazione culturale, consegnare approfondimenti che generino letture critiche e scoprire risorse umane e territoriali che siano di esempio e ispirazione. Fare informazione culturale è davvero una scommessa, e decidere di farlo con un’edizione cartacea e una online forse è follia. Riconoscere le professionalità diventa fondamentale. Viviamo bombardati da informazioni che ci aggiornano minuto per minuto di tutto ciò che ci circonda e al 90% tutto assume toni sensazionalistici (l’urgenza dei click). Diventa facile in questo modo perdere di vista non solo la complessità di alcuni eventi che necessitano letture critiche, ergo spazio per una narrazione polivalente, ergo tempo per leggere questi approfondimenti; ma diventa fondamentale anche offrire letture che siano di ispirazione, che facciano maturare nuove considerazioni e spingano a lavorare a un cambiamento. Degli stereotipi e delle lamentele sterili non se ne può più. E questo tocca a noi! Tocca a chi fa informazione culturale. A noi tocca ricordare che pensare non è una perdita di tempo. Che le competenze vanno riconosciute e valorizzate perché quelli sono gli esempi a cui bisogna dare una voce seria. In pochi secondi siamo informati su tutto, ma solo in alcuni minuti riusciamo a costruirci un’idea. E quell’idea è quella che ci garantisce di non perderci in mezzo alla valanga di fake news e di modelli effimeri. Quell’idea ci consente di poter avere discussioni in cui ci si confronta discutendo guardandosi negli occhi, senza urlarsi contro ma con il solo potere delle idee, dei ragionamenti e delle relazioni che arricchiscono sempre. Perché in fondo di questo si tratta. Di relazioni tra persone che guardandosi in faccia capiscono di non essere sole, in quello che pensano, in quello che fanno, in quello che sperano. Lo spirito della Festa di Notabilis sta tutto in queste righe. Essere insieme e insieme costruire un cambiamento. Le narrazioni si sono intrecciate con i volti di chi le scrive e chi le legge. Tutti insieme, pronti per iniziare i prossimi anni…!”.

LA CIVETTA DI MINERVA del 25 gennaio 2020

02 domenica Feb 2020

Posted by mlriccioli in Eventi culturali, Letteratura, Musica

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Tutta la Redazione

Sono fiera, nel mio piccolo, di far parte dei collaboratori di questo giornale che dalla Sicilia, da Siracusa e dalla sua provincia, fa sentire la propria voce…
Un video di Rainews del giugno 2012…

Più giù, alcuni pezzi recenti…

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=4005:in-morte-di-piero-terracina-cittadino-onorario-di-siracusa-uomo-che-ha-guardato-in-faccia-l-inferno-di-auschwitz&catid=17&Itemid=143

In morte di Piero Terracina, cittadino onorario di Siracusa uomo che ha guardato in faccia l’inferno di Auschwitz

MARIA LUCIA RICCIOLI

Giovedì, 09 Gennaio 2020 12:33

L’8 dicembre scorso è morto a Roma Piero Terracina, uno degli ultimi testimoni della Shoah, sopravvissuto all’inferno di Auschwitz.

Forse non tutti sanno che piangiamo non solo la scomparsa di un martire di una delle pagine peggiori della Storia – e ci teniamo a ricordarlo perché i rigurgiti nazifascisti e l’antisemitismo strisciante devono farci tenere la guardia alta –, ma di un nostro concittadino, perché a Piero Terracina, oltre a quella di Palermo e di diverse altre città, era stata conferita la cittadinanza onoraria di Siracusa nel 2005, promotore Elio Tocco; ringrazio Maurizio Landieri per l’immagine reperita, per la preziosa testimonianza sulla successiva visita a Siracusa di Terracina nel 2015 e per aver recuperato la motivazione del conferimento della cittadinanza onoraria: “Il Sindaco / Avv. Giambattista Bufardeci / Onorando in / Piero Terracina / L’instancabile ambasciatore di memoria e di umanità, che / ha suscitato, nel nostro Paese, partecipata coscienza nei / confronti della Shoah, / Su proposta dell’Istituto Mediterraneo / di Studi Universitari / gli Conferisce / La Cittadinanza Onoraria di Siracusa.

Piero Terracina, sopravvissuto alla Shoah, attraverso la Sua Parola, che ha trasformato il dolore in testimonianza di vita e di speranza, ha saputo creare argini di ragione e di coscienza, nei nostri giovani, contro ogni fanatismo, intolleranza, razzismo, cause di ogni orrore. Egli ci ha insegnato che ricordare è l’unico modo per difendere il nostro futuro dagli incubi dell’odio”.

Recupero gli appunti scritti sull’onda dell’emozione del pomeriggio del 27 gennaio 2008, quando ho avuto modo di conoscere personalmente Terracina e di ascoltare la sua testimonianza e mi piace riparlarne a ridosso della festa di Hanukkah (tra l’altro sul canale per bambini Rai Gulp domenica 22 dicembre alle 15:25, andrà in onda il cortometraggio “Hanukkah-La festa delle luci”, prodotto da Rai Ragazzi e dalla Graphilm Entertainment di Roma, opera di un maestro dell’animazione italiana come Maurizio Forestieri; il film racconta la storia fantasiosa della giovane pasticciera Anna, ricorda l’origine di una delle più antiche e affascinanti feste ebraiche e sarà visibile anche su Rai Play), che per la simbologia delle luci, lo scambio dei doni, il senso dello stare insieme si può apparentare al nostro Natale.

A Siracusa, nella Chiesa di San Martino, per ricordare la figura di Monsignor Sebastiano Gozzo (che era recentemente scomparso e che aveva programmato quest’evento poco prima della sua morte), si era tenuto l’ultimo incontro della settimana dedicata alla cultura ebraica e promosso dalla Provincia Regionale di Siracusa e dall’IMSU (Istituto Mediterraneo di Studi Universitari).

Moderatore Elio Tocco, hanno offerto la propria testimonianza nel giorno della memoria (il 27 gennaio, se ci fosse ancora bisogno di ricordarlo, è dedicato dal 2000 alla memoria della Shoah) Franco Perlasca, figlio di Giorgio Perlasca, ed un sopravvissuto di Auschwitz, Piero Terracina.

Franco Perlasca ha rievocato la figura del padre, che durante la seconda guerra mondiale si trovava in Ungheria e per un rocambolesco caso del destino (destino?) si è ritrovato ad essere eroe suo malgrado. Fingendosi il nuovo ambasciatore di Spagna, è riuscito a salvare all’incirca 5200 ebrei ungheresi dalla deportazione.

Un eroe. Ma Franco Perlasca ci tiene a distinguere l’eroe dal giusto: pensiamo a Pirandello per cui è “molto più facile essere un eroe che un galantuomo. Eroi si può essere ogni tanto, galantuomini sempre”. L’azione eroica a volte viene ostentata e un singolo gesto eroico può essere perfino in contrasto con la natura profonda di un essere umano. Giorgio Perlasca, invece, come i veri giusti, ha compiuto un gesto da eroe ma quasi suo malgrado e, cessata la situazione straordinaria in cui si è trovato a scegliere il bene opponendosi con coraggio e determinazione al male, è tornato alla vita di sempre, mantenendo il silenzio anche con le persone care.

Questa storia, scritta in un memoriale di cui una copia andò al governo italiano, l’altra a quello spagnolo, che l’ignorarono completamente, sarebbe rimasta per sempre nel cassetto e nel cuore di Perlasca se non fosse accaduta una serie di fatti: un ictus, che lo portò a rivelare alla nuora e al figlio l’esistenza del memoriale, di cui però ancora una volta i familiari stessi sottovalutarono l’importanza. Perlasca, una volta guarito, come prima cosa ripose lo scritto nel cassetto. Altro motivo per cui ritenerlo un vero giusto: solo la morte imminente l’aveva indotto a quella rivelazione perché temeva che quel passato andasse perduto per sempre.

Decenni di silenzio. Poi, accade qualcosa che fa riemergere potentemente quell’atto di eroismo, di compassione, di solidarietà umana. Delle donne ungheresi, all’epoca dei fatti ragazzine, avevano cercato notizie di quell’Jorge Perlasca sedicente diplomatico spagnolo e riescono a scovarlo in Italia, a Padova, nella sua casa di Via Guglielmo Marconi 13, giusto di fronte alla basilica di Sant’Antonio da Padova.

Le donne, un po’ in ungherese, un po’ in tedesco, un po’ in italiano, un po’ nel linguaggio universale dei gesti, rievocano quella storia davanti agli occhi allibiti di Franco, che inizia finalmente a capire che suo padre Giorgio forse aveva compiuto qualcosa di veramente straordinario. Franco Perlasca racconta con garbo, perfino riesce a far sorridere, ma la commozione gli vela la voce quando narra cosa quelle donne regalarono a suo padre in segno di gratitudine. Pacchi e pacchettini dei tipici prodotti ungheresi. Quello che ogni turista porta in dono. Poi, tre oggetti. Che Franco Perlasca tuttora conserva religiosamente. Piccole povere cose cariche di un dolore indicibile. Una tazzina, un cucchiaino, un medaglione. Perlasca rifiuta. Le donne insistono. Il balletto di offerte e rifiuti si ripete per qualche minuto. Perlasca dice: “Dovete tenere voi queste cose, per lasciarle in ricordo ai vostri figli, che poi le lasceranno ai vostri nipoti”. E quelle donne, in un italiano perfetto che ha del miracoloso, gli rispondono: “Queste cose deve averle lei. Se non fosse per lei, noi non avremmo figli né nipoti”.

La storia di Perlasca inizia così a diventare conosciuta. Se ne occupano Enrico Deaglio, che dopo una lunga serie di interviste scrive “La banalità del bene” (poi uscirà anche “L’impostore”) e Giovanni Minoli con la sua trasmissione “Mixer”. La vita di Perlasca viene allo scoperto ed è tutto un susseguirsi di incontri con le scuole, di interviste, di riconoscimenti anche internazionali, alcuni preziosi e importanti. Ma quello a cui Perlasca tiene di più sta sulla scrivania del suo studiolo. Una targa consegnatagli da ragazzi di una scuola della provincia vicentina. La semplice iscrizione dice: Ad un uomo al quale vorremmo assomigliare. In un tempo mediocre, di falsi miti ed eroi, Perlasca il giusto, riconosciuto tale anche dalla commissione dello Yad Vashem in Israele, che esamina le cause di chi, non ebreo, si è comportato da giusto (e non si autopresenta ma è presentato da terzi, le cui testimonianze sono attentamente vagliate), Perlasca il giusto dicevamo, rappresenta sicuramente un modello positivo, una luce per le nuove generazioni. Un uomo che ha vissuto nel silenzio, che ha risposto con sincerità e semplicità disarmante a chi gli chiedeva come avesse fatto a compiere quell’impresa disperata: “Lei non avrebbe fatto lo stesso al posto mio?”.

Hannah Arendt, a proposito di Eichmann e altri nazisti, ha parlato di banalità del male. Il mostro, il torturatore, possono essere anche i nostri vicini di casa. Il male non ha corna né puzza di zolfo ma può avere il volto di ognuno di noi. Di chi ubbidisce agli ordini ricevuti senza discuterli. Di chi volta la faccia dall’altra parte per non essere coinvolto. Anche il bene è banale, in fondo. Un gesto semplice può salvare una vita. E come dice il Talmud, chi salva una vita salva l’universo intero.

C’è una leggenda ebrea meravigliosa. Esistono nel mondo 36 giusti, sempre. Neanche loro sanno di essere giusti, ma quando c’è da dire un sì o un no, quando c’è da prendere posizione, lo fanno e basta. Poi tornano alla vita di sempre, neanche consci loro stessi fino in fondo di aver cambiato la storia. E grazie a loro Dio non distrugge il mondo.

Vi invito a visitare il sito della fondazione intitolata a Giorgio Perlasca, dove troverete altro materiale interessantissimo – bibliografia e filmografia, storia della Shoah e vari documenti – : http://www.giorgioperlasca.it.

Dopo il racconto emozionante di Franco Perlasca – che ci narra anche del film tratto dalla vita del padre, interpretato da Luca Zingaretti, giudicato dalla moglie di Perlasca bravissimo ma molto, molto meno bello del marito… – attendiamo tutti le parole di Piero Terracina. Non è un film. È vita vissuta, sangue e lacrime. Una disperazione senza fine.

Piccolo uomo vestito di verde, ti riconosco ebreo dall’aspetto mite che Umberto Saba seppe così bene ritrarre. Occhialetti tondi a difendere gli occhi pensosi scrutati da occhi attenti, rispettosi sì, ma che indugiano su di te come su una bestia da fiera, l’animale da circo che deve fare il suo numero da deportato testimone speranzoso nonostante tutto.

Ma tu non ci stai. Da subito. “Per me non c’è stato un Giorgio Perlasca”. Voce scura, bassa e dignitosa.

E il dolore fluisce come una piena, trattenuto dalle parole ferme di chi si sa innocente eppure perseguitato, di chi è vittima e ha subito le sevizie di carnefici infernali eppure uomini come lui, unico scampato su una famiglia di otto persone.

Il male può essere banale, quotidiano. È il compagno di scuola sempre amico che ti volta le spalle e ti lascia da solo perché sei ebreo; è l’insegnante che salta il tuo nome nell’appello e ti dice che non puoi entrare in classe. “Che cosa ho fatto?” chiedi. E ti viene risposto con tre parole che uccidono la tua sensibilità, il tuo amore per lo studio, la tua innocenza di bambino di otto anni. “Perché sei ebreo”. È il traditore che consegna te e la tua famiglia per 5000 lire ciascuno – 40000 lire durante la seconda guerra mondiale sono soldi – mentre avete deciso di riunirvi per la Pasqua ebraica, finalmente insieme dopo essere stati separati perché protetti in case diverse da persone buone – i giusti senza nome – che avevano avuto pietà di voi.

Piero ha 8 anni quando vengono emanate le leggi razziali e 14 anni quando viene arrestato con i suoi dai nazisti che non hanno pietà neanche del nonno anziano. Ed è dolore infinito: il carcere di Regina Coeli – avete idea di cosa sia entrare in carcere quando si è innocenti? – dove, faccia a muro, con la consegna del silenzio, il padre di Piero, lucido profeta di ciò che sarà, intima ai figli di conservare la dignità, almeno quella. “Siate uomini”.

Ma è proprio quello che i nazisti vogliono distruggere: l’umanità di questa povera gente, stipata sul treno che parte dalla stazione Tiburtina di Roma per Fossoli, tappa intermedia del viaggio verso Auschwitz, l’inferno di un pazzo.

Niente cibo né soprattutto acqua, implorata a mani tese di stazione in stazione a gente indifferente. Piero si interrompe spesso scusandosi con noi, noi che dovremmo baciargli le mani, quelle stesse mani di ragazzo tese disperatamente dal carro bestiame di un treno, per la commozione che gli stringe la gola e che taglia la nostra. Il silenzio in chiesa è tangibile, solido e compatto. Le lacrime scendono e ci domandiamo che cosa potrebbe risarcire sofferenze così grandi. “Nemmeno uno sguardo di pietà”.

Cinque giorni cinque notti escrementi urine un bambino è nato per morire ad Auschwitz.

E l’arrivo. E la verità, subito. Di qui si esce solo per il camino.

E gli appelli, e la neve gelata da bere, che non sia troppo contaminata. E la supplica con gli occhi all’aguzzino perché affondi un’altra volta il cucchiaio nella brodaglia immonda. Qui non c’è più dignità, quella che aveva raccomandato ai figli il padre di Piero. Ma un ragazzo di quattordici anni vuole vivere, anche un giorno soltanto di più.

Piero parla e i suoi occhi sono oltre noi, fuori dal portone di questa chiesa dove lui si sente fuori posto, perché è fuori anche da questo tempo Piero, forse perché è il 27 gennaio e nel 1945 i Russi aprirono quei dannati cancelli da cui i suoi cari non sono usciti. E non c’è esultanza e non c’è scampo al senso di colpa per essere ancora vivi.

Piero non ci narra l’orrore, non ci narra la follia cieca e stupida di gente che era capace di indicibili crudeltà eppure amava la famiglia l’arte la letteratura la musica. Piero si scusa ancora. “Mi sento lì. Scusatemi, non ce la faccio a continuare”.

Lo applaudiamo e sfiliamo fuori. Qualcuno di noi va a stringergli la mano. Il peso che quest’uomo porta è troppo grande, ma che lo abbia condiviso con noi è bellissimo. Penseremo a lui, pregheremo per questo piccolo uomo che ha guardato in faccia l’inferno e ne è uscito vivo.

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SIRACUSA IN MOSTRA: COLLETTIVA DI FOTOGRAFIA

MARIA LUCIA RICCIOLI
Martedì, 21 Gennaio 2020 14:17
Il 13 gennaio alle ore 17, presso la Biblioteca provinciale dedicata e intitolata ad Elio Vittorini, situata in Via Roma 31, si terrà l’inaugurazione della mostra che vedrà esposte le fotografie di Antonio Pica, Angelo Bonomo, Corrado Sorrentino, Kevin Saragozza, Giovanni Di Giorgio, Antonio Amato, Dario Monzù, Francesco Aversa, Marco Brunetti, Bruno Sauza, Chiara Mongiovì, Vincenzo Miconi, Francesco Barreca, Domenico Lo Bue, Giuseppe Aliano, Massimo Di Stefano, Daniela Cavarra, Larita Sarta, Laura Marchetti, Ignazio Calà, Maurizio Formati, Andrea Pagliari, Stefania Genovese, Stefano Piazza, Salvatore Di Maria, Eduardo Cannata, Barbara Pindo, Giuseppe Giardina, Cristina Artale, Valentina Sorrentino, Michele Ponzio, Giovanni Tumminelli, Giovanni Fontana, Fabio Di Stefano, Giancanio Sileo, Gabriele Midolo, Eleonora Turco, Eugenio Bruno, Emanuele Liali, Giuseppe Bellofiore, Giuseppe Mazzarella, Sebastiano Pirruccio, Fausto Renda, Giuseppe La Colla.

Alcuni degli espositori hanno alle spalle la partecipazione a mostre collettive o personali, docenze e partecipazioni a laboratori e corsi di fotografia, riconoscimenti su portali relativi alla fotografia, collaborazioni con istituti scolastici e molto altro, diversi di loro sono dei semplici appassionati che tentano di catturare momenti, di “scrivere con la luce” la loro personale visione del mondo e delle cose.

Organizzatori sono Salvatore Di Giorgio, Salvo Vasile, Sebastiano Valenti, Giovanni Bove, Dario Giannobile, Marcello Bianca e Massimo Tamajo, che hanno realizzato l’evento grazie anche al supporto di alcuni sponsor; l’intento del progetto è quello di veicolare idee e immagini e raccogliere il maggior numero possibile di diverse visioni fotografiche di Siracusa e i suoi immediati dintorni: 51 fotografi, un vero record nella storia culturale della città, che espongono 110 fotografie raccontando il loro sguardo su Siracusa.

L’ingresso è gratuito e sarà possibile visitarla dalle 10.30 alle 13 e dalle 16 alle 20, dal 14 al 24 gennaio 2020.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=4046:l-orchestra-barocca-siciliana-sbarca-a-siracusa&catid=17&Itemid=143

L’ORCHESTRA BAROCCA SICILIANA “SBARCA” A SIRACUSA

MARIA LUCIA RICCIOLI
Martedì, 21 Gennaio 2020 14:19
L’OBS “sbarca” a Siracusa: l’Orchestra Barocca Siciliana, fondata a Palermo dal flautista Piero Cartosio, dal 1986 si è distinta nell’organizzazione di concerti, festival come Palermo e Madonie Musica Antica, registrazioni discografiche e corsi di perfezionamento (a Polizzi Generosa) sulla prassi storicamente informata della musica antica e dal 2020 la sua nuova sede sarà proprio la nostra città, scelta per promuovere le sue attività istituzionali anche nella Sicilia orientale la sua attività istituzionale.

Proprio a Siracusa infatti lo scorso 5 gennaio si è tenuto il primo concerto, che ha così ufficialmente aperto la nuova stagione dell’ensemble: presso la suggestiva Chiesa di San Martino nel cuore di Ortigia sono risuonate le note dell’organo suonato da Luca Ambrosio, quelle del flauto di Piero Cartosio e della voce del soprano Paola Modicano.

Il refettorio, la Biblioteca e la Chiesa dei PP. Cappuccini di Siracusa, dedicata a Maria Ss.ma della Misericordia e dei Pericoli, saranno protagonisti dei successivi appuntamenti: il clavicembalo di Sebastiano Cristaldi, il flauto traversiere e il virginale di Enrico Luca e di Luca Ambrosio, gli archi di Salvatore Lorefice, Martina De Sensi e Daniele Lorefice, le voci del soprano Giorgia Cinciripi e del tenore Salvo Fresta e del coro Doulce Mémoire accompagneranno gli spettatori lungo un percorso musicale alla ri-scoperta di Corelli, Vivaldi, Bach, Mozart – interessanti le suggestioni mariane del “Vespro della Beata Vergine” al tempo di Luigi XIV, il parallelismo tra le hit parade contemporanee e quelle del Sei-Settecento e il salotto bachiano fra note e tazze di tè.

Al pubblico interessato la gioia di seguire questo cartellone che si snoderà da febbraio a giugno.

Per maggiori informazioni, scrivete ad orchestrabaroccasiciliana@gmail.com oppure consultate i social.

Nessuna descrizione della foto disponibile.

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LA VOCE DEL RECENSORE: UNA NUOVA OPPORTUNITÀ PER GIOVANI SCRITTORI

REDAZIONE CIVETTA
Martedì, 21 Gennaio 2020 14:34
Attorno ai libri ruota tutto un mondo a molti sconosciuto: oltre ai librai vanno considerati i distributori e prima ancora gli editor e gli agenti letterari. Altre figure della “filiera” del libro sono i recensori, che tramite i siti letterari, i blog e i social come Facebook, Twitter, Instagram e altri diffondono le notizie relative al libro, al suo autore e al suo mondo.

Il recensore odierno riveste il ruolo che fino a qualche anno fa era di competenza più accademica, cioè dei critici letterari – docenti universitari, giornalisti specializzati, scrittori di riconosciuta fama e peso.

Occorre quindi ponderare con attenzione ciò che viene pubblicato in rete, specie alcune recensioni volutamente o esageratamente positive o stroncature immotivate.

Riceviamo e pubblichiamo la proposta di uno spazio nato di recente e specificamente dedicato alla promozione degli autori: La Voce del Recensore che, dopo una soddisfacente esperienza decennale in campo editoriale, diventa spazio per la valutazione delle opere letterarie: quelle ritenute meritevoli (da inviare a valutazioneopere@libero.it) saranno recensite da editor qualificati e recensori che metteranno a disposizione dell’autore la propria professionalità e competenza, il tutto gratuitamente (diffidare sempre dei servizi a pagamento, se non offerti da agenzie di riconosciuta serietà) a fronte di simbolici e volontari contributi a sostegno dello spazio stesso.

Il sito in questione sarà visionabile all’indirizzo http://www.scritturaviva.simplesite.com.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3978:niccolo-salvia-l-esemplarita-di-mariannina-coffa&catid=17&Itemid=143

Niccolò Salvia: l’esemplarità di Mariannina Coffa

MARIA LUCIA RICCIOLI
Giovedì, 19 Dicembre 2019 11:29
Mariannina Coffa, poetessa e patriota netina, donna e artista impegnata anche nella causa risorgimentale, visse la sua breve parabola tra il 1841 e il 1878.

La sua biografia e la sua opera sono state indagate con acribia e passione, anche per via degli aspetti “romantici” della sua vicenda di donna e artista, malmaritata e costretta a sublimare dolorosamente il primo amore, quello per il drammaturgo e musicista Ascenzio Mauceri, poi primo preside del Liceo classico di Noto.

“La Civetta di Minerva” ha seguito il procedere degli studi sulla Coffa – mostre, convegni come “Sguardi plurali”, pubblicazioni sulla poetessa: ricordiamo almeno “Voglio il mio cielo”, che raccoglie a cura di Biagio Iacono e Marinella Fiume le lettere che Mariannina indirizzò a familiari, ad amici e al precettore Corrado Sbano –, anche nella speranza che gli scritti della Coffa e la sua stessa figura siano svincolati dall’ambito più prettamente locale e siano sempre più oggetto di indagini accademiche, come sta accadendo da qualche anno a questa parte, grazie sia agli studiosi ed estimatori “storici” della poetessa che alla nuova generazione di indagatori di aspetti nuovi o poco studiati delle poesie e della biografia coffiana.

Venerdì 29 novembre scorso si è laureato in Lettere classiche – relatore il professor Andrea Manganaro, auspici affettuosi i familiari, gli amici, i docenti come Michela Di Rosa, Marisa Berretta e Cettina Raudino, già assessora alla Cultura e sensibile tra l’altro alle tematiche della scrittura al femminile, della toponomastica, della violenza di genere – Niccolò Vincenzo Salvia, studente netino, impegnato non solo negli studi e nella realizzazione del sogno di insegnare, ma anche di “dedicare tempo, energie, passioni, progetti per ciò che si ama”, per usare le sue stesse parole: la candidatura alle elezioni studentesche, l’interesse attivo per la politica, l’associazionismo con “Le formiche del fuoco” sono alcuni degli aspetti che ne contraddistinguono il percorso. Niccolò Salvia ha scelto come argomento per il suo elaborato il rapporto tra Mariannina Coffa e i gender studies; si tratta dei cosiddetti studi di genere, che possono fornire utili strumenti ermeneutici per la comprensione e la descrizione della storia e della produzione della Nostra: quanto conta per un letterato un artista un intellettuale uno scienziato l’appartenenza a un genere? Quanto ha influito nella vita e nell’opera della Coffa la specificità del suo essere donna, in un contesto – quello della Sicilia del secondo Ottocento, tra conservatorismo, lotte risorgimentali, primo e secondo Romanticismo – nel quale le istanze femministe erano in fieri?

L’esemplarità della vicenda della Coffa, le figure femminili della sua poesia – ad esempio le sorelle spose madri dei patrioti, l’Italia stessa raffigurata come donna negletta e schiava com’era costume letterario dell’epoca, pensiamo a Leopardi… -, la sua volontà di essere più di una “donna di casa”, i suoi impegni interessi stilemi, possono essere indagati alla luce di una critica femminista o dell’approccio degli studi di genere? Questo il tema interessante della tesi di Niccolò Salvia, cui auguriamo un proficuo prosieguo degli studi e la realizzazione dei suoi obiettivi e progetti – qualcuno riguarda anche una maggiore valorizzazione di Mariannina Coffa, gloria netina e non solo.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3828:in-fratelli-di-cielo-di-don-aprile-liriche-e-testimonianze-di-fede&catid=17&Itemid=143

In “Fratelli di cielo” di don Aprile liriche e testimonianze di fede

MARIA LUCIA RICCIOLI
Domenica, 23 Giugno 2019 22:20
Il libro comprende la prefazione di Claudio Maniago, vescovo di Castellaneta, e i contributi di vari poeti

 

La Civetta di Minerva, 15 giugno 2019

“La Civetta di Minerva” ha dedicato diversi articoli all’opera pastorale e letteraria di don Raffaele Aprile, che, dopo “Innamorato del cielo”, ha deciso di dare alle stampe il volume “Fratelli di cielo – in versi si raccontano in cammino con Maria” (Bonfirraro Editore), che verrà presentato il 20 giugno alle ore 20 presso il Salone Baranzini della Basilica Santuario Madonna delle Lacrime di Siracusa.

Don Aprile, augustano, oltre a svolgere il suo ministero presbiteriale come assistente spirituale del gruppo di preghiera Madonna delle Lacrime e del gruppo Caritas, accoglie i pellegrini che vengono a visitare la Basilica Santuario e si occupa anche delle missioni con il Reliquiario. Ricordiamo alcuni dei riconoscimenti che ha ottenuto per la sua passione per la scrittura: ha partecipato alla stesura di un’antologia poetico-letteraria in omaggio a Luigi Pirandello a cura di Giuseppe La Delfa, al libro di don Francesco Cristofaro, conduttore televisivo presso Padre Pio TV e a vari concorsi poetici (quello di Favara intitolato ad Ignazio Buttitta, “Il Federiciano”…); per iniziativa del parroco don Domenico Cirigliano, a ricordo della visita del Reliquiario della Madonna delle Lacrime, è stato collocato in modo definitivo nella parete laterale esterna della Chiesa Madre di Rocca Imperiale il quadretto della Madonnina con una sua preghiera/poesia Vergine delle Lacrime; collabora col settimanale “Notizie della diocesi” di Carpi, curando una rubrica poetica.

La pubblicazione collettanea comprende la prefazione di Claudio Maniago, vescovo di Castellaneta, e di Francesco Maria Marino OP, una introduzione di Fabrizio Mattioli, Avvocato della Rota Romana, e i contributi dei poeti Monsignor Giuseppe Greco, Loris Filippetto, Sonia Accossano, Roberto Giovanni Bizzotto, Filippo Cacioppo, Albino Fattore, Don Ernesto Piraino, Giuseppe Puzzo, Maria Lucia Riccioli, Andrea Maniglia, Nino Cardillo, Don Pasqualino di Dio, Rita Masala, Suor Vincenzina Botindari, Michele Taboni, Rafał Soroczyński, Gruppo di Preghiera Carismatica Madonna delle Lacrime, Nicola Douglas De Fenzi, Claudia Koll e le testimonianze di Salvatore Pappalardo Arcivescovo di Siracusa, Aurelio Russo, Gabriele Russo, Lucia Palmieri, Gabriele Dini, Ida Vasta, Giuseppe Aletti, Danilo Zirone, Loris Filippetto: ecclesiastici e laici, semplici devoti e studiosi, ma comunque voci che narrano, che liricamente si effondono, voci pellegrine, in cammino dunque, come suggerisce il sottotitolo del volume.

Il libro raccoglie sia poesie che testimonianze di fede e di guarigione fisica e spirituale: la parola è canale privilegiato di espressione dei sentimenti più profondi e quindi anche della contemplazione mistica, del rapporto con la Natura e con il Divino, delle lacerazioni, delle sofferenze e delle gioie; se l’arte è a suo modo testimonianza, la narrazione di un percorso di vita, dei bivi e delle svolte inattese dovute ad un incontro con qualcosa che trascende il solco dell’abitudine o peggio ancora della rassegnazione lo è ad un altro livello.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=4020:il-bimestre-di-cultura-notabilis-festeggia-i-10-anni&catid=17&Itemid=143

Daniela Tralongo: “A noi tocca ricordare che pensare non è una perdita di tempo”

Non è semplice per un giornale o una rivista cartacea giungere a tagliare traguardi importanti in termini di durata: la concorrenza dei new media e una certa disaffezione verso la lettura e l’approfondimento – spesso si preferiscono veloci post composti di poche immagini ad effetto e di ancor meno parole – rendono sempre più complicata la sopravvivenza di mezzi “lenti” come il quotidiano, il quindicinale, il mensile. Eppure.

Eppure qualche giorno fa “Notabilis”, bimestrale di cultura che mette in risalto “Persone, fatti ed eventi degni di nota in Sicilia” e che si è posto l’ambizioso obiettivo di difendere la cultura siciliana sul territorio e nel mondo, ha tagliato il nastro dei suoi primi dieci anni: grazie alla caparbia dolcezza di Daniela Tralongo, che lo dirige e lo pubblica, affiancata da una squadra di validissimi collaboratori e simpatizzanti – pensiamo ad Egidio Ortisi, Mario Blancato, Paolo Fai, Elio Cappuccio, a docenti operatori culturali studiosi artisti e scrittori come Salvo Zappulla, Emanuela Abbadessa, Marinella Fiume e Maria Lucia Riccioli, a Carmen Dollo, Antonio Raciti, Maria Cristina Picciolini, Giovanna Caggegi, Orazio Mezzio, Paolo Sanzaro… – questo periodico raffinato è riuscito a ritagliarsi uno spazio importante nell’editoria siciliana e oltre.

La sfida è quella di seguire la tradizione e si sapersi rinnovare: la grafica gioca un ruolo importante così come l’individuazione di nuovi target (ad esempio una sezione è dedicata ai piccoli lettori); la costola digitale di Notabilis offre inoltre un aggiornamento quotidiano sugli eventi di maggiore spessore – fondamentale il lavoro di Ilenia Nicolosi, Federica Miceli, Claudio Ruggeri, una cui splendida illustrazione raffigurante Luca Parmitano, siciliano di Paternò a capo della Stazione spaziale internazionale, è stata offerta in dono agli ospiti della serata per festeggiare il decennale di Notabilis.

Si è parlato di moda in Sicilia grazie alle creazioni sartoriali di Lovemà, di festival culturali come Sicily Fest, di teatro con Gisella Calì, di scrittura che si unisce al volontariato con Aldo Mantineo e “Serafiche frequenze”, la raccolta di racconti edita da Sampognaro & Pupi il cui ricavato finanzierà l’acquisto di un defribillatore per un istituto scolastico di Siracusa e la formazione per gli operatori che lo utilizzeranno… e molto altro.

Ecco le parole di Daniela Tralongo: “… è stata una vera e propria festa, che attraverso la voce dei presenti, ma anche di chi non è potuto esserci, ha permesso di raccontare questi dieci anni di attività del lavoro di Notabilis: fare informazione culturale, consegnare approfondimenti che generino letture critiche e scoprire risorse umane e territoriali che siano di esempio e ispirazione. Fare informazione culturale è davvero una scommessa, e decidere di farlo con un’edizione cartacea e una online forse è follia. Riconoscere le professionalità diventa fondamentale. Viviamo bombardati da informazioni che ci aggiornano minuto per minuto di tutto ciò che ci circonda e al 90% tutto assume toni sensazionalistici (l’urgenza dei click). Diventa facile in questo modo perdere di vista non solo la complessità di alcuni eventi che necessitano letture critiche, ergo spazio per una narrazione polivalente, ergo tempo per leggere questi approfondimenti; ma diventa fondamentale anche offrire letture che siano di ispirazione, che facciano maturare nuove considerazioni e spingano a lavorare a un cambiamento. Degli stereotipi e delle lamentele sterili non se ne può più. E questo tocca a noi! Tocca a chi fa informazione culturale. A noi tocca ricordare che pensare non è una perdita di tempo. Che le competenze vanno riconosciute e valorizzate perché quelli sono gli esempi a cui bisogna dare una voce seria. In pochi secondi siamo informati su tutto, ma solo in alcuni minuti riusciamo a costruirci un’idea. E quell’idea è quella che ci garantisce di non perderci in mezzo alla valanga di fake news e di modelli effimeri. Quell’idea ci consente di poter avere discussioni in cui ci si confronta discutendo guardandosi negli occhi, senza urlarsi contro ma con il solo potere delle idee, dei ragionamenti e delle relazioni che arricchiscono sempre. Perché in fondo di questo si tratta. Di relazioni tra persone che guardandosi in faccia capiscono di non essere sole, in quello che pensano, in quello che fanno, in quello che sperano. Lo spirito della Festa di Notabilis sta tutto in queste righe. Essere insieme e insieme costruire un cambiamento. Le narrazioni si sono intrecciate con i volti di chi le scrive e chi le legge. Tutti insieme, pronti per iniziare i prossimi anni…!”.

LA CIVETTA DI MINERVA dell’11 gennaio 2020

13 lunedì Gen 2020

Posted by mlriccioli in Eventi culturali, Letteratura, Musica

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Grazie per l’attenzione. Con i più cordiali saluti.

Franco Oddo

Marina De Michele

Tutta la Redazione

Sono fiera, nel mio piccolo, di far parte dei collaboratori di questo giornale che dalla Sicilia, da Siracusa e dalla sua provincia, fa sentire la propria voce…
Un video di Rainews del giugno 2012…

 

 

 

Alcuni pezzi recenti…

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3979:scomparsa-la-prof-ssa-maria-grazia-di-giorgio-moglie-del-maestro-michele-pupillo-cordoglio-unanime&catid=17&Itemid=143

È venuta a mancare prematuramente, stroncata da una malattia, Maria Grazia Di Giorgio, moglie del Maestro Michele Pupillo – già suo maestro di armonia, poi compagno di vita e di lavoro.

Laureata in Lettere Classiche, docente, pianista, Maria Grazia Di Giorgio si è spesa per le iniziative e gli spazi culturali della nostra città, come ad esempio il Teatro Comunale; ha sostenuto sia da corista che da pianista, da organizzatrice, maestro sostituto e da regista le scelte musicali di Michele Pupillo – pensiamo ai concerti e all’allestimento di opere liriche come “Norma”, “Cavalleria rusticana” e “La Bohème” dell’Associazione Concertistica corale Mediterranea Orchestra Giovanile Siracusana –, forte anche dell’esperienza teatrale con La Nuova Scena delle sorelle Peluso.

Sgomento e cordoglio sono stati manifestati da colleghi, coristi, orchestrali oltre che naturalmente dalla famiglia e dagli amici che si stringono attorno a Michele Pupillo e al figlio della coppia.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3978:niccolo-salvia-l-esemplarita-di-mariannina-coffa&catid=17&Itemid=143

Niccolò Salvia: l’esemplarità di Mariannina Coffa

MARIA LUCIA RICCIOLI
Giovedì, 19 Dicembre 2019 11:29
Mariannina Coffa, poetessa e patriota netina, donna e artista impegnata anche nella causa risorgimentale, visse la sua breve parabola tra il 1841 e il 1878.

La sua biografia e la sua opera sono state indagate con acribia e passione, anche per via degli aspetti “romantici” della sua vicenda di donna e artista, malmaritata e costretta a sublimare dolorosamente il primo amore, quello per il drammaturgo e musicista Ascenzio Mauceri, poi primo preside del Liceo classico di Noto.

“La Civetta di Minerva” ha seguito il procedere degli studi sulla Coffa – mostre, convegni come “Sguardi plurali”, pubblicazioni sulla poetessa: ricordiamo almeno “Voglio il mio cielo”, che raccoglie a cura di Biagio Iacono e Marinella Fiume le lettere che Mariannina indirizzò a familiari, ad amici e al precettore Corrado Sbano –, anche nella speranza che gli scritti della Coffa e la sua stessa figura siano svincolati dall’ambito più prettamente locale e siano sempre più oggetto di indagini accademiche, come sta accadendo da qualche anno a questa parte, grazie sia agli studiosi ed estimatori “storici” della poetessa che alla nuova generazione di indagatori di aspetti nuovi o poco studiati delle poesie e della biografia coffiana.

Venerdì 29 novembre scorso si è laureato in Lettere classiche – relatore il professor Andrea Manganaro, auspici affettuosi i familiari, gli amici, i docenti come Michela Di Rosa, Marisa Berretta e Cettina Raudino, già assessora alla Cultura e sensibile tra l’altro alle tematiche della scrittura al femminile, della toponomastica, della violenza di genere – Niccolò Vincenzo Salvia, studente netino, impegnato non solo negli studi e nella realizzazione del sogno di insegnare, ma anche di “dedicare tempo, energie, passioni, progetti per ciò che si ama”, per usare le sue stesse parole: la candidatura alle elezioni studentesche, l’interesse attivo per la politica, l’associazionismo con “Le formiche del fuoco” sono alcuni degli aspetti che ne contraddistinguono il percorso. Niccolò Salvia ha scelto come argomento per il suo elaborato il rapporto tra Mariannina Coffa e i gender studies; si tratta dei cosiddetti studi di genere, che possono fornire utili strumenti ermeneutici per la comprensione e la descrizione della storia e della produzione della Nostra: quanto conta per un letterato un artista un intellettuale uno scienziato l’appartenenza a un genere? Quanto ha influito nella vita e nell’opera della Coffa la specificità del suo essere donna, in un contesto – quello della Sicilia del secondo Ottocento, tra conservatorismo, lotte risorgimentali, primo e secondo Romanticismo – nel quale le istanze femministe erano in fieri?

L’esemplarità della vicenda della Coffa, le figure femminili della sua poesia – ad esempio le sorelle spose madri dei patrioti, l’Italia stessa raffigurata come donna negletta e schiava com’era costume letterario dell’epoca, pensiamo a Leopardi… -, la sua volontà di essere più di una “donna di casa”, i suoi impegni interessi stilemi, possono essere indagati alla luce di una critica femminista o dell’approccio degli studi di genere? Questo il tema interessante della tesi di Niccolò Salvia, cui auguriamo un proficuo prosieguo degli studi e la realizzazione dei suoi obiettivi e progetti – qualcuno riguarda anche una maggiore valorizzazione di Mariannina Coffa, gloria netina e non solo.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3967:dal-2-al-17-dicembre-in-via-roma-la-collettiva-moadim&catid=17&Itemid=143

Dal 2 al 17 dicembre in via Roma la collettiva Moadim

MARIA LUCIA RICCIOLI
Lunedì, 16 Dicembre 2019 22:30
Dal 2 al 17 dicembre 2019, sabati e domeniche esclusi, presso la Biblioteca museo “Elio Vittorini” che si trova nel Palazzo del governo di via Roma 31 a Siracusa, dalle 9 alle 20 sarà possibile visitare la mostra “MOADIM – Giorni di festa”. Si tratta di una collettiva di pittura, scultura, grafica, fotografia, ceramica, poesia e molto altro: venerdì 6 dicembre alle ore 17 ha relazionato sull’evento Maria Lucia Riccioli, presentando i protagonisti dell’incontro culturale e dell’esposizione. Tra gli altri, ricordiamo in primis Veronica Tomassini – scrittrice, collaboratrice de Il Fatto Quotidiano dove cura anche il blog: http://www.ilfattoquotidiano.it/blog/vtomassini/, e della quale citiamo almeno il romanzo uscito per i tipi di Miraggi edizioni, “Mazzarrona”, candidato allo Strega 2019 –, qui in veste di new Penelope tra arsenico e merletti (unisce infatti la vocazione letteraria a quella di tessitrice di fili oltre che di parole), poi Marilena Vita e le sue fotografie, Salvatore Ciranna – il “Gandhi ortigiano” –, l’iconico Salvatore Accolla ed altri creatori di versi e pensieri colorati che si fanno pittura, ceramica, maglieria e ancora.

La locandina dell’evento è tratta da un’immagine di David Hamilton.

Il titolo della mostra è MOADIM perché la Torah chiama le grandi feste ebraiche Moadim (giorni di incontro con Dio): il Natale cristiano ormai vicino – siamo nel periodo liturgico dell’avvento – si affianca all’attesa ebraica di Chanukkah, conosciuta anche con il nome di Festa delle luci o Festa dei lumi.

L’iniziativa si deve a Juan Khaim Jehuda Dayan, cioè Giovanni Ferdinando Giudice, “il poeta di Ortigia”, del quale conosciamo i progetti socio-culturali e l’impegno militante per il riconoscimento della comunità ebraica di Siracusa, che dopo i fatti denunciati anche dal nostro giornale non ha più un rabbino capo né una sinagoga – annosa è la questione relativa alla chiesa di San Giovannello alla Giudecca, per la quale auspicheremmo una lieta conclusione con la collaborazione dell’arcivescovado di Siracusa: “i nostri fratelli maggiori” sono proprio gli Ebrei, per dirla con Giovanni Paolo II, e non sembra inutile ricordarlo in un’epoca di rigurgiti antisemiti e di revisionismo storico, in cui alla senatrice Liliana Segre è stata assegnata la scorta, si negano contributi per un viaggio ad Auschwitz, si rifiutano le pietre d’inciampo perché divisive, si attenta alla memoria.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3923:lo-scrittore-vito-catalano-e-l-impronta-genetica-di-sciascia&catid=17&Itemid=143

Lo scrittore Vito Catalano e l’impronta “genetica” di Sciascia

MARIA LUCIA RICCIOLI
Venerdì, 29 Novembre 2019 19:00

Il nuovo romanzo “La notte della colpa” apre a suggestioni inaspettate

 

Nel maggio 2019 abbiamo salutato l’uscita in tutte le librerie e i web store de “I romanzi della black list”, per i tipi di Lisciani libri: storie gialle noir thriller, anche mirate ad un pubblico più giovane da avvicinare alla lettura, come è accaduto per le prime uscite.

Grazie al giornalista e scrittore Mariano Sabatini – tra l’altro spesso opinionista oltre che autore per la Rai, Tmc e altri network nazionali di programmi televisivi come “Tappeto volante”, “Campionato di lingua italiana”, “Parola mia”, “Uno Mattina”), ideatore e conduttore di ATuXTv e Techetechemé su InBlu Radio, autore di noir quali “L’inganno dell’ippocastano”, premio Flaiano opera prima 2017, e “Primo venne Caino” – abbiamo conosciuto l’Agenzia letteraria Maieutica e i suoi lanci di diversi prodotti editoriali tra cui l’antologia “Moon” curata da Divier Nelli (che comprende anche un racconto di Giada Trebeschi, uno dei volti di Maieutica) e, appunto, “I romanzi della black list”.

A questa collana appartiene “La notte della colpa” di Vito Catalano, palermitano, autore inoltre di “L’orma del lupo” e “Il pugnale di Toledo” per Avagliano e de “La sciabola spezzata” per Rubbettino.

Il primo uomo. Il secondo uomo. Il terzo uomo. Confessione. Senza via di scampo.

Come in un dramma in cinque atti, “La notte della colpa” si divide in cinque sezioni dalle trame in apparenza slegate ma che si interconnetteranno svelando il mistero della notte eponima, senza finali consolatori e senza che si ristabilisca – apparentemente – un equilibrio di giustizia e verità: forse la notte vera è quella dell’animo umano, capace di passione e forse anche di amore ma dal fondale oscuro; forse è la notte della memoria, i cui fantasmi continuano a perseguitarci nonostante l’apparenza luminosa di vite che apparecchiamo a noi stessi e agli altri ma che hanno la consistenza del fumo.

Vincenzo Cardella, Marcello Guzzo, Daniele Torrisi, Sergio Massaro – quanta Sicilia nei semplici nomi –, donne intriganti o forse davvero innamorate, l’incombere di misteri e ricatti, la leggenda oscura del castello di Liw, un’ombra che incombe da un passato sepolto…

La scrittura disvela eppure al contempo predispone depistaggi e cortine. Forse è lo specchio deformato dello stesso destino che “gioca e si fa beffe di noi uomini”.

“La Civetta di Minerva” ha intervistato Vito Catalano per voi.

L’occasione è doppiamente gradita perché è anche l’occasione per ricordare Leonardo Sciascia – di cui Vito Catalano è uno dei nipoti – nel trentesimo anniversario della scomparsa, avvenuta il 20 novembre del 1989.

Senza voler troppo svelare della trama, mi è venuto spontaneo fare un’associazione con certo Cornell Woolrich: quali sono i suoi modelli di riferimento?

Sì, ha centrato. Nello scrivere il romanzo erano presenti in me grandi autori di noir e thriller attivi intorno alla metà del Novecento: l’americano Cornell Woolrich, appunto, e insieme a lui Georges Simenon e la coppia Boileau-Narcejac (ma anche il cinema di Hitchcock dello stesso periodo).

Alla base del romanzo, ma forse potremmo dire di ogni buona storia, c’è il disvelamento di una “impostura”, specie quando parliamo di gialli thriller noi nelle loro innumerevoli sfaccettature. Impossibile non ripensare alle riscritture e alle imposture sciasciane. In “La notte della colpa” l’impostura è privata e i riferimenti alla società sono blandi e lontani. Ma è proprio così? I personaggi del romanzo e le “imposture” delle loro vite, che li conducono alla colpa, all’espiazione o al castigo – non c’è comunque redenzione in questo romanzo e forse ne è spia lo stesso linguaggio, referenziale, raggelato, distaccato, quasi anodino nella sua registrazione dei fatti – possono essere ricondotti ad un male sociale oppure il male che li pervade è radicale, incistato nella condizione umana?

Almeno nelle mie intenzioni, al centro della narrazione c’è la condizione umana più che un male sociale. D’altra parte ogni lettore sente, vive e vede a modo proprio ciò che legge e dunque altre letture sono possibili al di là di quelle che erano le mie intenzioni iniziali.

I luoghi del romanzo spaziano da una Palermo e una Randazzo per nulla oleografiche o da cartolina a una Polonia inedita, quindi appaiono provinciali nel senso cechoviano e internazionali insieme, quasi universali – anche se, fresca di rilettura de “Il maestro di Regalpetra” di Matteo Collura, ho sussultato nel leggere alcune descrizioni -: questo rispecchia la sua vita personale e il suo lavoro? C’è una volontà precisa di fare dei luoghi un “everywhere” in cui ogni lettore possa trovarsi a suo agio?

Sì, i luoghi narrati rispecchiano le mie esperienze di vita. Palermo è la città dove sono nato e cresciuto; con Randazzo e con la campagna etnea ho una certa confidenza; a Varsavia vivo per buona parte dell’anno. È anche vero che credo bello e riuscito che ognuno trovi senza difficoltà delle immagini leggendo i luoghi descritti dall’autore. Quando, ne “I miserabili”, leggiamo della piccola Cosette che deve andare a prendere l’acqua percorrendo la via che dal paese esce fino ad arrivare al bosco buio, Victor Hugo ci sta parlando del paesaggio intorno a Montfermeil ma ad ogni lettore non viene facile associare i luoghi descritti a quelli che gli sono familiari o che conosce?

I suoi progetti futuri: a cosa sta lavorando? Il genere che ha frequentato finora le è più congeniale o farà incursione in altri campi della scrittura letteraria?

Ci sono in cantiere due romanzi a sfondo storico che incrociano mistero e avventura, ambientati entrambi in Sicilia (uno nel XVII secolo, l’altro nel XVIII). La mia immaginazione viene più intensamente stimolata da immagini e vicende legate al passato. Ma alle volte i percorsi di ognuno di noi fanno svolte inaspettate.

 

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Nei Dialoghi con Sciascia a Siracusa più poli tematici

MARIA LUCIA RICCIOLI
Mercoledì, 04 Dicembre 2019 09:11
Su mafia, teatro, ironia e ragione, Sicilia e Messico. Il convegno dell’Associazione Radicali Italiani si è svolto nel liceo scientifico Einaudi

 

La Civetta di Minerva, novembre 2019

Trent’anni senza Leonardo Sciascia. Senza le sue parole, senza i suoi libri articoli interventi sempre puntuali, affilati come solo la verità ricercata indagata perseguita con rigore lucido può essere. Senza il suo sorriso che ricorda quello dell’ignoto marinaio di Antonello su cui il conterraneo e sodale Consolo ebbe a scrivere. “Ce ne ricorderemo, di questo pianeta”. Così recita la sua epigrafe tombale, a suggellare con una frase di Villiers una vita che ha fatto delle contraddizioni tra razionalismo illuminista e il salto verso un “di più”, degli incontri-scontri di parole, del disvelamento delle imposture, dell’indagine – diremmo poliziesca nel metodo, filosofica e radicale nell’intenzione – le sue cifre distintive.

Particolarmente meritoria ci sembra allora l’iniziativa di Alexandria – Associazione Radicali Italiani per ricordarlo: i “Dialoghi con Sciascia” si svolgeranno a Siracusa giorno 22 e 23, presso rispettivamente la sede del Liceo “Luigi Einaudi” di Siracusa e la sede del centro studi arti e scienze “Il Cerchio”; il convegno di venerdì vedrà la partecipazione del giornalista e scrittore Matteo Collura (tra l’altro autore per TEA della documentata, splendida biografia di Sciascia intitolata “Il maestro di Regalpetra”: Sciascia, che nella sua vita fu doppiamente maestro nella sua Racalmuto trasfigurata letterariamente e divenuta metafora della Sicilia sineddoche del mondo, qui è colto nella sua parabola esistenziale e culturale con un piglio da saggista e romanziere insieme), Elio Cappuccio del Collegio Siciliano di Filosofia, Alessio Lo Giudice in veste di filosofo del diritto, Andrea Bisicchia storico del teatro, Gianfranco Spadaccia – già parlamentare del Partito Radicale –, moderatore Vincenzo Pennone (delle cui iniziative culturali con Alexandria si è spesso occupata La Civetta, come il convegno su Vittorini, le pubblicazioni e le conferenze sullo sport a Siracusa, mostre d’arte). Introdurranno l’incontro la dirigente scolastica Teresella Celesti e Fabio Granata, assessore alla cultura.

Politica e mafia, teatro, ironia e ragione, Sicilia e Messico – Messico e nuvole ci scapperebbe di penna per citare un verso di canzone –: questi i poli tematici intorno ai quali ruoterà il convegno, che inizierà nella sede dell’istituto alle 9.30. Le letture saranno a cura degli stessi studenti guidati da una voce d’eccezione, quella dell’attore Davide Sbrogiò, non nuovo alle collaborazioni con Alexandria.

L’incontro di giorno 23 si è svolto invece presso la sede de Il Cerchio in Via Arsenale 40/A.

Manca, la voce di Sciascia, a questo tempo immemore, a questa Sicilia sempre più zattera nel Mediterraneo, a questa Italia che cerca punti di riferimento o che forse ha disimparato a cercarli negli scrittori, negli intellettuali, nelle voci di razza come quella di Leonardo Sciascia, il “Nanà” che seppe fare della Sicilia l’omphalos del mondo.

Doveroso quindi ricordarlo come merita e come nel corso degli anni e con questa iniziativa ha mostrato di voler fare Alexandria – molto ci sarebbe da dire, tra l’altro, del rapporto tra Sciascia e Siracusa, le sue librerie, specie Mascali, i suoi artisti e scrittori, come Tranchino e Di Silvestro, e forse questi due incontri saranno l’occasione per dibatterne e soprattutto rievocare.

“Ce ne ricorderemo, di Leonardo Sciascia”.

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Intervista all’autrice di “Detti celebri delle mamme sicule”

MARIA LUCIA RICCIOLI
Mercoledì, 04 Dicembre 2019 09:29
La catanese Consuelo Consoli: “In questo libro emerge la figura della mater sicula, nell’educazione dei figli. Intanto sto lavorando al penultimo capitolo di un romanzo fantasy…”

 

“La Civetta di Minerva” si è occupata già in passato di Consuelo Consoli, catanese, che insegna educazione sanitaria nelle scuole e nel contempo coltiva la passione per la scrittura: “Amori impossibili” è la sua raccolta d’esordio; ha collaborato con alcuni dei suoi racconti ad antologie edite da Bonanno, Algra Editore, Ensemble, L’Erudita e Perrone; ha curato insieme a Luigi La Rosa i volumi antologici “Aurore”, “Zenith” e “Ci rifaremo vivi” per Algra di Alfio Grasso, l’editore che ha pubblicato anche il suo primo romanzo, “Un solo abbraccio”.

Salutiamo l’uscita, sempre per i tipi di Algra Editore, del suo “Detti celebri delle mamme sicule”, in cui l’autrice sviscera con ironia alcune frasi fatte che le donne siciliane si tramandano di generazione in generazione: dietro il modo di dire c’è un mondo fatto di storie che affondano le proprie radici nella cultura matricentrica della società siciliana, a dispetto del patriarcato – in fondo la mater familias siciliana è sempre stata il perno delle comunità, dei “cuttigghi”, dei rioni, dei quartieri, e tende ancora ad esercitare il proprio potere, fatto questo cristallizzato nelle frasi analizzate da Consuelo Consoli con la sua catanesitas di mater sicula tutta verve e autoironia: chi non ha detto o non si è sentito dire “Mancia ca si’ patutu” oppure non si è sentito apostrofare con ossimoriche considerazioni quali “Si’ sempri rintra” versus “Si’ sempri fora”?

Ma parliamone con l’autrice, che ha presentato il volume ad Aci Sant’Antonio – attendiamo l’imminente presentazione siracusana –, relatrice la giornalista Lucia Russo, anche lei non nuova alle incursioni letterarie, lettore d’eccezione l’attore Bruno Torrisi, noto ai più sia per l’interpretazione del Questore Licata nella serie “Squadra antimafia – Palermo oggi” che nella costola “Rosy Abate – La serie” e che abbiamo avuto modo di apprezzare recentemente nella produzione Rai dedicata alla storia di Enrico Piaggio.

Com’è nato “Detti celebri delle madri sicule”?

Da uno scherzo con mia figlia. Mi rimprovera sempre di esprimermi per stereotipi.

Qual è il tuo rapporto con il dialetto siciliano? (Ricordiamo, tra l’altro, che quest’opera ha ricevuto il premio Umberto Domina come migliore lavoro a carattere siciliano).

Il dialetto è una lingua che amo e desidero conservare e tramandare. Mi ricorda i miei nonni, soprattutto Antonia, nonna materna, mi riporta all’incanto della fanciullezza e poi trovo che abbia delle espressioni impareggiabili e intraducibili.

Che figura di donna emerge dalle tue notazioni scherzose ma non troppo?

La mater sicula con tutto il suo bisogno di controllo e di protezione nei confronti dei suoi cari.

Quali sono i tuoi progetti di scrittura?

In questo preciso momento sono al penultimo capitolo di un fantasy. È un progetto nato in sintonia con un’amica pittrice, Anna Nolfo, che mi ha coinvolto con il suo entusiasmo a interessarmi alla cultura Maya e ai suoi miti. Tra poco uscirà l’ultima antologia curata con Luigi La Rosa, “Tracce di desiderio”. Ho in stand by un romanzo e, infine, una raccolta di racconti. Troppa roba, vero? È che scrivere mi piace proprio!

 

 

 

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3940:nati-per-leggere-alla-biblioteca-comunale-di-canicattini-bagni&catid=17&Itemid=143

“Nati per leggere” alla Biblioteca comunale di Canicattini Bagni

MARIA LUCIA RICCIOLI
Martedì, 03 Dicembre 2019 12:44
Leggere un libro ai neonati e ai bambini fino ai sei anni rinsalda il legame affettivo con l’adulto

La Civetta di Minerva, novembre 2019

“Gli Stati incoraggiano la produzione e la diffusione di libri per l’infanzia (Convenzione sui diritti del fanciullo, art. 17 comma C).

Sono iniziati a novembre gli incontri di Nati per Leggere: in occasione della settimana dedicata al progetto, la Biblioteca comunale “G. Agnello” di Canicattini Bagni e le volontarie di Nati per Leggere, Lucia Basile e Giusy Alicata, di concerto con l’Amministrazione comunale e grazie al coordinamento con l’insegnante Giuseppina Scatà del Primo istituto comprensivo “Giovanni Verga”, hanno incontrato i bambini di tre, quattro e cinque anni del plesso Giuseppe Mazzini.

Letture e sensibilizzazione sul “Diritto alle Storie” delle bambine e dei bambini: questo il cuore delle iniziative. Leggere un libro ai neonati e ai bambini fino a sei anni – cioè fino a quando non siano autonomi nella lettura – costituisce un’esperienza fondamentale per rinsaldare il legame affettivo tra l’adulto e il bambino, oltre che essere di capitale importanza per lo sviluppo linguistico e intellettivo, per “dare un nome” alle emozioni, per arricchire il patrimonio emotivo. Gli effetti della lettura – e qui sono pediatri e neuropsichiatri ad affermarlo – sono stati sperimentati e dimostrati: la stessa salute psicofisica del bambino risentirà di conseguenze positive di lunga durata grazie ad una “esposizione” precoce al libro e al mondo delle storie narrate, lette, inventate insieme ai genitori e agli adulti in genere (nella pagina <http://www.natiperleggere.it/il-vento-dei-20-convegno-e-fes…> potete scaricare il rapporto “Nati per Leggere 1999 – 2019. La storia, le attività, i risultati, le prospettive. – Trieste, Centro per la salute del bambino, 2019” e le videoregistrazioni del convegno e festa di compleanno del 26 settembre 2019).

Ecco gli appuntamenti che ne sono seguiti: venerdì 15 novembre, bambini di 4 anni del plesso Garibaldi e alle 11:30 bambini di 5 anni del plesso Garibaldi; lunedì 18 novembre, alle 9:30, bambini di 4 anni del plesso San Nicola; e, alle 10:30, bambini di 5 anni del plesso San Nicola; venerdì 22 novembre, alle 9:30, bambini di 3 anni del plesso Garibaldi; e alle 10:30, bambini di 3 anni del plesso San Nicola.

Tra i precursori a Canicattini Bagni e in provincia di Siracusa del progetto “Nati per Leggere” naturalmente menzioniamo la dottoressa Paola Cappè, che oltre a dirigere la Biblioteca comunale “G. Agnello” e a supportarne le iniziative collaterali come letture, incontri letterari e musicali, gaming – giochi da tavolo e oltre –, in sinergia con le realtà culturali del territorio, per rendere la Biblioteca luogo di incontro e aggregazione sociale oltre che di conservazione, consultazione e prestito del patrimonio librario – ricordiamo tra l’altro che proprio la Biblioteca di Canicattini è stata tra le prime in Italia ad ospitare il #BiblioHub – è Presidente regionale Sicilia dell’AIB (Associazione Biblioteche Italiane).

Ci sia consentito nominare due siracusani che si sono spesi per i progetti relativi all’infanzia e alla diffusione della cultura del libro nei suoi aspetti relazionali e sociali: l’indimenticato Pino Pennisi – è imminente il Festival dell’educazione 2019 progettato sulla scia del suo lavoro – e Tanina Zito, recentemente scomparsa, figura di volontaria luminosa.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3918:nelly-marlier-l-arte-come-terapia&catid=17:cultura&Itemid=143

Nelly Marlier: L’arte come terapia

MARIA LUCIA RICCIOLI
Mercoledì, 20 Novembre 2019 15:04
“Ero affetta da artrite reumatoide, quando ho ripreso i pennelli in mano, poco alla volta i dolori sono scomparsi. Nella morbidezza della pittura ad olio, la voluttà della natura”

 

Nelly Marlier è stata per così dire “adottata” da Siracusa che l’ha accolta facendone una delle sue cittadine d’elezione: si è scelti da una città più che sceglierla e questo è particolarmente vero nel suo caso.

Donna curiosa, gentile, ironica e arguta, dai molteplici interessi – non ultima la scrittura creativa –, è appassionata di pittura: dal 15 al 18 novembre 2019, ha esposto ad Arte Padova; con alcuni dei suoi lavori ha partecipato a Torino, sino al 14 novembre, a una collettiva presso la Galleria Accorsi Arte, intitolata Mostra Internazionale d’Arte Contemporanea; ha siglato un contratto di un anno sempre con la Galleria Accorsi Arte e le sue tele saranno esposte sia nella sede di Torino che in quella di Venezia.

Le sue opere possono anche essere viste dai nostri lettori in due negozi virtuali: il primo con Gigarte (https://www.gigarte.com/nellymarlier); il secondo con Pitturiamo; il terzo è in fase di realizzazione. La intervistiamo.

Quando hai iniziato a dipingere? Quali sono le tecniche che prediligi?

Ho iniziato a dipingere cinque o sei anni fa. Ho preso lezioni da un maestro per circa due anni, si può dire però che sia autodidatta. Principalmente olio su tela: mi piace l’untuosità e la morbidezza della pittura ad olio, il vedere come i pigmenti si mescolano tra di loro, gli arabeschi che formano man mano che i colori si amalgamano. Mi dà un senso di dolce voluttà. Quella parte che a volte precede l’azione di dipingere mi dà un senso di pace mentre il mescolare direttamente i colori sulla tela mi inebria. Per questo, la mia pennellata è formosa. I pigmenti devono avvicinarsi, incontrarsi, baciarsi, a volte compenetrarsi. Ogni volta è qualche cosa di diverso e mi capita di lasciare al caso il risultato finale. Mi piace accarezzare i miei dipinti ad occhi chiusi per assaporare la texture sotto le dita. Mi piace pensare che le mie tele siano sentite non solo guardate.

Quali soggetti preferisci?

I soggetti che preferisco sono quelli appartenenti alla natura: le nuvole, l’acqua, la vegetazione… Mi piace interpretare a modo mio paesaggi, tramonti, albe. Adoro i riflessi della luce e i giochi che essa crea nell’acqua. Mi perdo nel vedere fremere la superficie di un torrente, nell’osservare il via vai delle nuvole, il loro cambiar forma in continuazione.

Per ora, dipingo in atelier spesso da foto realizzate da me o da amici. Ma, appena starò ancora meglio di salute, desidero dipingere en plein air. È importante poter utilizzare tutti i sensi. L’udito e l’olfatto anch’essi trasmettono sensazioni influendo la percezione dell’ambiente.

Credi che l’arte abbia una funzione catartica, oltre che estetica? C’è una connessione tra arte e benessere psicofisico a tuo modo di vedere?

Questa domanda riveste per me un’importanza fondamentale, perché tocca uno degli aspetti per me più importanti e che vorrei far conoscere attorno a me perché penso possa aiutare persone ammalate a ritrovare fiducia, libertà di pensiero e d’azione e a liberarsi dalle paure.

Tutto è nato dalla malattia, l’artrite reumatoide. Nel 2001, la diagnosi dopo mesi di terribili dolori fisici e di limitazioni sempre più diffuse nell’uso delle mani e nel camminare. È iniziato allora il percorso della malattia cronica, invalidante e senza ritorno. Così, in effetti, mi presentarono questa compagna degli anni che avevo di fronte.

A distanza di anni, di terapie mediche spesso pesanti, di rifiuto della malattia e delle medicine, di digiuni esagerati, di ricerche di percorsi per una crescita interiore, di lettura di decine e decine di libri, di un ricovero ospedaliero urgente, arriva la consapevolezza di voler riprendere i pennelli in mano subito, oggi, domani, e di nuovo, sempre più spesso. E un pomeriggio di un anno fa circa, mi resi conto che i dolori erano praticamente scomparsi mentre seduta davanti al cavalletto ed ascoltando i Queen stavo dipingendo un tormentato cielo nuvoloso. Ho ripetuto l’esperimento il giorno dopo. Sostituii gli antidolorifici con la pittura e… funzionò. E funziona ancora oggi. Funziona sul fisico ma anche sulla mente.  Ho ritrovato le forze che avevo perse da lungo tempo, ho ritrovato la voglia di incontrare gente, ho ricominciato a fare progetti.  Per me, è una rinascita.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3901:michelle-messina-reale-la-sicilia-e-siracusa-sono-il-mio-rifugio&catid=17&Itemid=143

Michelle Messina Reale: “La Sicilia e Siracusa sono il mio rifugio”

MARIA LUCIA RICCIOLI
Sabato, 02 Novembre 2019 20:02
La scrittrice e poetessa di Philadelfia è autrice di molte opere, tra cui “Season of Subtraction”, che richiama la nostra prosa d’arte di primo ‘900

 

La Civetta di Minerva, 26 ottobre 2019 – I legami tra gli italoamericani e il nostro paese sono fatti di sangue ma anche di sapori, di odori, di lingua storie tradizioni. Di parole. È così anche per Michelle Messina Reale, scrittrice e poetessa di Philadelphia, docente associata presso l’Arcadia University della Pennsylvania (tra l’altro fondatrice e direttrice del progetto “Ovunque Siamo: New Italian-American Writing”), che unisce gli interessi accademici – è tra l’altro responsabile dei servizi di accesso, di ricerca e comunicazione dell’ateneo – all’attitudine poetica e narrativa: testi come “Inquiry and Research: A Relational Approach in the Classroom”, “Mentoring and Managing Students in the Academic Library, The Indispensable Academic Librarian: Teaching and Academig for Change” e “Becoming a Reflective Librarian and Teacher: Strategies for Mindful Academic Practice” si alternano ad opere come “Season of Subtraction – Prose Poems” (Bordighera Press, New York 2019), raccolta di poesie in prosa o di prose poetiche che dir si voglia, genere che richiama la nostra prosa d’arte di primo Novecento, la rivista “La Voce”, certi calligrafismi tra l’ermetico e il crepuscolare.

Ma qui la “stagione della sottrazione” è molto di più: “ciò che va via è ciò che rimane”, come recitano in esergo le parole di Charles Wright: il tempo sottrae volti odiosamati, gesti, voci, consuma gli oggetti ma ne lascia le persistenti reliquie nella retina ostinata della memoria. E si fa parola. Accurata, precisa, geometrica. Preziosa. Eppure allusiva, sfuggente, enigmatica. Parola che tende a definire, scolpire, dipingere con nettezza, parola che rivela, che ricerca, che rievoca un passato a volte difficile da rielaborare, luoghi dell’anima, antenati che sono custodi ma anche presenze insistenti, fantasmi inconciliati o memento per un presente da ridefinire. Per un futuro che è carico del peso dolce e insieme amaro del passato.

“Season of Subtraction” è dunque uno scavo memoriale e insieme un lavoro di immaginazione alla ricerca delle proprie radici, un viaggio tra i rami noti e sconosciuti della propria famiglia, un’indagine sul senso della presenza propria e altrui nel mondo, tra nostalgia per la terra d’origine e la vita oltreoceano.

Abbiamo incontrato Michelle Messina Reale insieme a Patti Trimble in occasione di un reading trilingue, a Siracusa, grazie all’iniziativa “101 Poets for Change”; poi i contatti in rete, un caffè in Ortigia a parlare di poesia e di Trump, di Sicilia e d’America. Ecco qualche risposta alle nostre domande.

Le tue radici italiane e familiari sono molto forti e questo risalta chiaramente anche negli allusivi versi del tuo libro. Puoi parlarcene?

I miei legami familiari con l’Italia sono molto forti, questo è un nodo che non si spezzerà mai. Ancora ho molti parenti in Italia, specialmente in Sicilia. Ho avuto un’infanzia molto italiana: scuola prevalentemente italoamericana, parrocchia italoamericana e vicinato italoamericano. Ci sentivamo diversi dagli altri perché la nostra cultura era molto forte. A mia madre non piacevano i modi di fare o le abitudini che non coincidessero con le nostre. Ha sempre pensato che gli americani fossero freddi ed egoisti, e non apprezzava la loro idea di famiglia. Eravamo diversi.

La Sicilia e Siracusa sono per te dei luoghi dell’anima, vero?

Trascorro molto tempo in Sicilia, che è semplicemente “casa” per me [… da notare che Michelle Messina Reale usa la parola “home”, che in inglese significa sia “casa” nel senso più domestico e intimo sia “patria”, un po’ come avviene con il latino “domi”, n.d.r.]. La Sicilia e Siracusa sono il mio rifugio. Lo avverto non appena arrivo proprio perché posso rilassarmi. Questo è un aspetto molto diverso rispetto al modo di vivere americano, che mantiene un passo molto veloce e mette in competizione le persone tra loro. Io vivo vicino Philadelphia e la “cultura” può essere molto dura, sbrigativa e perfino rude. A Siracusa trovo ancora gentilezza nelle persone, vedo che la gente dà valore al tempo e agli altri. E il mare sempre bellissimo a fare da panorama e da sfondo pacifica la mia anima.

“Sottrazione” è una parola piena di significati: ha qualcosa a che vedere con le mancanze nella nostra vita e nel nostro spirito, ma la sottrazione è anche il potere dell’artista: eliminare ciò che è vecchio e morto per lasciar crescere ciò che rimane. Sei d’accordo?

Sono pienamente d’accordo su ciò che dici su “Season of Subtraction”! Ci sono molte ferite traumatiche nella mia famiglia. Mio nonno non avrebbe mai voluto lasciare la Sicilia ma fu costretto a farlo… odiava gli States e tutto ciò che comportava viverci. Questo lo rese rabbioso e aggressivo verso tutti e verso la vita. Noi siamo stati costretti a fare i conti con le sofferenze che ha provocato. E la figlia che ebbe e non riconobbe mai ferì tutti noi. Quel rifiuto fu difficile da accettare. Quando trovammo la sorella di mio padre, cercammo di costruire un rapporto nuovo. Lei dice di sentirsi siciliana, ma visto che non è stata cresciuta come tale, non riesce a spiegarsi perché provi questo! [Nella postfazione del libro, Michelle Messina Reale riassume la rocambolesca vicenda della ricerca di questa zia “sottratta”, motore pulsante dei versi di “Season of Subtraction”, omaggio alla tenacità dei legami, n.d.r.].

I tuoi versi sono come prosa e la tua prosa è molto poetica… questo è comune nella poesia americana attuale oppure nella storia più antica o recente della letteratura americana?

No, non è molto comune nella poesia americana, ma è una forma che amo molto utilizzare perché mi permette di usare un linguaggio molto immaginifico in una piccola forma narrativa. Amo leggere poesie in prosa e scriverne, anche!

Salutiamo Michelle Messina Reale e attendiamo le nuove raccolte “Confini: Poems of Refugees in Sicily” e “In the Blink of a Mottled Eye”, che vedranno la luce tra il 2019 e il 2020 per i tipi di Cervena Barva Press e Kelsey Books.

 

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3828:in-fratelli-di-cielo-di-don-aprile-liriche-e-testimonianze-di-fede&catid=17&Itemid=143

In “Fratelli di cielo” di don Aprile liriche e testimonianze di fede

MARIA LUCIA RICCIOLI
Domenica, 23 Giugno 2019 22:20
Il libro comprende la prefazione di Claudio Maniago, vescovo di Castellaneta, e i contributi di vari poeti

 

La Civetta di Minerva, 15 giugno 2019

“La Civetta di Minerva” ha dedicato diversi articoli all’opera pastorale e letteraria di don Raffaele Aprile, che, dopo “Innamorato del cielo”, ha deciso di dare alle stampe il volume “Fratelli di cielo – in versi si raccontano in cammino con Maria” (Bonfirraro Editore), che verrà presentato il 20 giugno alle ore 20 presso il Salone Baranzini della Basilica Santuario Madonna delle Lacrime di Siracusa.

Don Aprile, augustano, oltre a svolgere il suo ministero presbiteriale come assistente spirituale del gruppo di preghiera Madonna delle Lacrime e del gruppo Caritas, accoglie i pellegrini che vengono a visitare la Basilica Santuario e si occupa anche delle missioni con il Reliquiario. Ricordiamo alcuni dei riconoscimenti che ha ottenuto per la sua passione per la scrittura: ha partecipato alla stesura di un’antologia poetico-letteraria in omaggio a Luigi Pirandello a cura di Giuseppe La Delfa, al libro di don Francesco Cristofaro, conduttore televisivo presso Padre Pio TV e a vari concorsi poetici (quello di Favara intitolato ad Ignazio Buttitta, “Il Federiciano”…); per iniziativa del parroco don Domenico Cirigliano, a ricordo della visita del Reliquiario della Madonna delle Lacrime, è stato collocato in modo definitivo nella parete laterale esterna della Chiesa Madre di Rocca Imperiale il quadretto della Madonnina con una sua preghiera/poesia Vergine delle Lacrime; collabora col settimanale “Notizie della diocesi” di Carpi, curando una rubrica poetica.

La pubblicazione collettanea comprende la prefazione di Claudio Maniago, vescovo di Castellaneta, e di Francesco Maria Marino OP, una introduzione di Fabrizio Mattioli, Avvocato della Rota Romana, e i contributi dei poeti Monsignor Giuseppe Greco, Loris Filippetto, Sonia Accossano, Roberto Giovanni Bizzotto, Filippo Cacioppo, Albino Fattore, Don Ernesto Piraino, Giuseppe Puzzo, Maria Lucia Riccioli, Andrea Maniglia, Nino Cardillo, Don Pasqualino di Dio, Rita Masala, Suor Vincenzina Botindari, Michele Taboni, Rafał Soroczyński, Gruppo di Preghiera Carismatica Madonna delle Lacrime, Nicola Douglas De Fenzi, Claudia Koll e le testimonianze di Salvatore Pappalardo Arcivescovo di Siracusa, Aurelio Russo, Gabriele Russo, Lucia Palmieri, Gabriele Dini, Ida Vasta, Giuseppe Aletti, Danilo Zirone, Loris Filippetto: ecclesiastici e laici, semplici devoti e studiosi, ma comunque voci che narrano, che liricamente si effondono, voci pellegrine, in cammino dunque, come suggerisce il sottotitolo del volume.

Il libro raccoglie sia poesie che testimonianze di fede e di guarigione fisica e spirituale: la parola è canale privilegiato di espressione dei sentimenti più profondi e quindi anche della contemplazione mistica, del rapporto con la Natura e con il Divino, delle lacerazioni, delle sofferenze e delle gioie; se l’arte è a suo modo testimonianza, la narrazione di un percorso di vita, dei bivi e delle svolte inattese dovute ad un incontro con qualcosa che trascende il solco dell’abitudine o peggio ancora della rassegnazione lo è ad un altro livello.

 

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3830:paola-m-liotta-puntare-su-fiamma-fogliani-e-stata-una-scommessa&catid=17&Itemid=143

Paola M. Liotta: “Puntare su Fiamma Fogliani è stata una scommessa”

MARIA LUCIA RICCIOLI
Lunedì, 24 Giugno 2019 08:22
“Per me la scrittura è musica, esigenza che risuona di vibrazioni, sonorità, echi che intarsiano il romanzo”

 

La Civetta di Minerva, 15 giugno 2019

“La Civetta di Minerva” ha incontrato per voi Paola Maria Liotta, appassionata docente, fine poetessa e scrittrice (i suoi lavori poetici e narrativi le hanno meritato l’attenzione di critici e giurati in vari concorsi letterari come il Premio “Pietro Carrera” e il Premio Letterario Città di Castiglione “Cento Sicilie Cento Scrittori”), animatrice culturale nella sua Avola ed oltre. “Piano concerto Schumann” è il suo ultimo romanzo, uscito per i tipi de Il seme bianco.

Fiamma Fogliani, il maestro Marni e una misteriosa spinetta, “invenzione” all’interno di ciò che è manzonianamente “storia”, ovvero la musica e compositori come Schumann… quanto del tuo amore per la musica è confluito nella stesura del tuo romanzo?

L’amore per la musica convoglia e rappresenta i miei amori, i miei interessi, e molti altri sensi e sentimenti. E non ritroviamo nel romanzo solo Schumann, il cui celebre Piano Concerto gli dà il titolo e ne catalizza vicende e intrighi, ma anche molti altri bei nomi della musica. Le notizie legate all’invenzione del fortepiano, sullo sfondo, delineano il quadro perfetto in cui le passioni, le gioie, la forte testimonianza di vita della mia protagonista si incarnano a pieno. La scrittura, poi, è fatta di lettere e di suoni e, proprio come una musica, può riprodurre la musica della vita, le sue luci e le sue ombre. Sicuramente, questo romanzo è un atto d’amore per la musica, “la più rivelatoria di tutte le arti”, come asserisce, in un passo del romanzo, uno degli affascinanti personaggi maschili che ruotano attorno a Fiamma. Da ciò, si evince come la musica sia tutto (o quasi) anche per me.

Non sei nuova all’alternarsi di libri in prosa e di poesia… come convivono in te la narratrice e la poetessa oltre che la docente?

La narratrice in prosa e in versi e la docente convivono, in me, come i famosi “tria corda” dal momento che le possibilità della scrittura sono infinite. Mi esploro in questo e in molti altri modi, cercando di instillare nei miei studenti l’amore per la lettura. Per me, scrittura creativa, laboratorio di scrittura, biblioteca di classe sono parole magiche. Le parole veicolano idealità, interiorità, speranze, e oggi c’è molto bisogno di idee, di ideali e di speranza. L’amore per ciò che faccio si traduce pure in Paola che scrive in prosa, Paola che scrive versi, Paola che insegna. E in molte altre “Paole”, tutte riflessive, impavide, piene di voglia di fare, desiderose di nuovi mondi da scoprire, mai paghe di un fine, di uno scopo, pur di offrire alle giovani generazioni validi spunti di riflessione e spronarle verso il meglio per sé stesse e per la società attuale, tanto bisognosa d’amore, così devastata dall’egoismo, insanguinata da guerre e violenze di ogni sorta quale essa, purtroppo, è. E il riferimento agli aspetti negativi del reale rintocca in tutto il romanzo, in contrapposizione con la bellezza e con la solarità evocate dalla musica di Fiamma.

Scrivi che “La musica è energia, ma anche controllo; è rigore, ma anche avventura”. Credi possa dirsi lo stesso della scrittura?

Come per Fiamma Fogliani, la protagonista del “Piano Concerto Schumann”, la musica di Schumann, e tutta la musica è vita, così per me la scrittura è musica. La scrittura è un’esigenza insopprimibile, che risuona, come musica, di vibrazioni, di sonorità, di echi, quelli che intarsiano il percorso di ricerca che il romanzo traccia e disvela davanti ai nostri occhi. Leggendo di Fiamma, non si può non immaginarsela vibrante e appassionata, al suo piano. Per infondere questa vita alle parole, si scommette su di sé, ci si precipita a capofitto in un mondo che sta nascendo, evocato sulla carta, non meno reale di quello in cui viviamo, e non si può deviare o filtrare quanto sta nascendo mentre lo si crea, mentre lo si vive. Il rigore e l’eleganza sono connaturati sia alla buona musica che alla buona scrittura: dipende da quanto si è fedeli a criteri stilistici e di buon gusto che corrispondano esattamente all’onestà dei nostri stessi intenti di scrittura. La storia si rivela e piace nell’esatta misura in cui scatta il riconoscimento di chi legge in quelle pagine, ricreando in proprio la storia, vivendola in consonanza – o meno – con il proprio mondo interiore. La scrittura è una bellissima avventura dello spirito se ci trasporta nell’altro, e nell’oltre, sempre in adesione con quanto sentiamo, con quanto vogliamo dire, con il messaggio che affidiamo al nostro scritto.

Fiamma Fogliani è artista e donna. Quanto ha contato per te confrontarti con le figure di musiciste come la tua protagonista?

Nel romanzo vi è una miriade di figure femminili: pianiste quali Clara Wieck Schumann, Annie Fisher, Clara Haskil, Martha Argerich, Hélène Grimaud, ma anche artiste, tipo Giovanna Fratellini, pittrice di corte che venne paragonata a Rosalba Carriera e fu la ritrattista della Gran Principessa Beatrice Violante di Baviera. Quest’ultima visse proprio alla corte medicea e dovette conoscere il ‘nostro’ Bartolomeo Cristofori, l’inventore del gravicembalo ‘col piano e col forte’, cioè l’antenato del pianoforte. Man mano che la storia cresceva e sbocciava nelle mie righe, ho ritrovato tutte queste figure; alcune le conoscevo già, infatti amo molto la Argerich, come pianista, e la Grimaud. Menzionare Beatrice Violante mi ha permesso di darle il giusto risalto; peraltro, fu anche un’ottima statista nel governatorato della città di Siena. L’ultima volta che, in pubblico, ho accennato a questa galleria di figure eccezionali, e spesso le donne stanno ai margini della storia, o sono appena menzionate, mi son sentita dire, proprio da una donna: “Lei non ama molto gli uomini”! Ecco, vorrei sconfessare quest’appunto. Rendere il giusto tributo a figure obliate, o meno note di corrispettive personalità maschili, ha validato ulteriormente la mia scrittura di quegli slanci che io amo esprimere. Anche portare alla ribalta Fiamma Fogliani è stata indubbiamente una bella scommessa per dare corpo a ciò che io amo, alla vera bellezza, che ci deve guidare verso il meglio, nell’arte e nella vita.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3912:teresa-laterza-le-mie-sono-un-emozione-che-cambia&catid=17&Itemid=143

Teresa Laterza: “Le mie Schegge sono un’emozione che cambia”

MARIA LUCIA RICCIOLI
Mercoledì, 06 Novembre 2019 10:46
Raccolta di aforismi, riflessioni e poesie edita da CTL Edizioni, copertina di Rosa Rosita Loiodice

 

La Civetta di Minerva, 26 ottobre 2019

Torniamo ad occuparsi di Teresa Laterza: l’autrice, pugliese di origine, vive a Caltagirone ed è impegnata nel settore della formazione; collabora con testate giornalistiche locali, nazionali e internazionali, come il periodico dell’Automobile Club Bologna (AutoBo) e la Rivista Internazionale Le Muse, fondata da Paolo Borruto e Maria Teresa Liuzzo (direttrice), oltre a proporsi come editor e book counselor. Le sue incursioni poetiche e narrative spaziano dal romanzo “Imprevisti di primavera” (Kimerik) alle sillogi poetiche “I sentieri dell’anima”, “Le stagioni del cuore” e “Frammenti d’infinito” (Irda edizioni), dalla stesura di articoli e saggi ad una nuova silloge poetica, “Armonia d’essenza”.

La sua ultima pubblicazione è “Schegge”, raccolta di aforismi, riflessioni e poesie edita da CTL Edizioni di Nino Bozzi. La copertina è illustrata da Rosa Rosita Loiodice, tra l’altro curatrice editoriale.Scheggia è un frammento, scheggia è una freccia, scheggia è un proiettile che penetra le carni, ferisce e diventa parte di noi. Ma la scheggia che ci colpisce può essere una forza, una verità, un’emozione che provocandoci dolore ci restituisce contemporaneamente a noi stessi e alla nostra vera essenza, un lampo che illumina la nostra cecità. Come fa la parola, in primis quella poetica.

Ecco allora l’invito ad evitare gli abbracci mancati, a non lasciarsi rinchiudere “dai cancelli degli schemi”; ecco l’amore per l’arte e la parola, grazie ai quali si può attingere l’infinito, l’accoglienza di se stessi e del prossimo – migrante è anche chi cerca l’amore che la “patria” della sua famiglia gli ha negato e infinite sono le povertà mentali e spirituali –, ecco il richiamo all’interconnessione degli esseri viventi e dell’universo che si rivela anche nelle azioni e nei pensieri in apparenza insignificanti… perché la vita è un “gioco duale”. I versi sono lampi, briciole di ricordi, attimi di consapevolezza, bagliori di vero, gli aforismi e le considerazioni sono bocconi, minutaglie, tessere sparse di un mosaico di cui non conosciamo il disegno, quello sempre incompiuto della saggezza.

Il titolo “Schegge” è significativo e polisemico… cosa vuol dire per te e come lo hai scelto per intitolare il libro?

Esattamente: la scheggia penetra in profondità e lascia un segno. Può far male, ma induce alla riflessione. La nostra carne, il nostro corpo è la vita e le schegge sono le esperienze. È questo il motivo della scelta del titolo. Mi auguro che le mie poesie e le mie riflessioni aiutino a fare luce dove regnano il buio o le ombre.

I tuoi progetti futuri riguardano la teoria oltre che la pratica della scrittura: puoi anticiparci qualcosa?

Tra mille difficoltà, considerate le incombenze quotidiane, sto portando avanti la stesura di un saggio sulla scrittura. L’intento è quello di fornire consigli e regole utili a chi desideri scrivere un libro di qualsiasi genere, affinché l’opera possa incontrare l’interesse del pubblico. Si tratta, in sostanza, di una specie di vademecum dello scrivere efficacemente.

LA CIVETTA DI MINERVA del 21 dicembre 2019

21 sabato Dic 2019

Posted by mlriccioli in Eventi culturali, Letteratura, Musica

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Franco Oddo

Marina De Michele

Tutta la Redazione

Sono fiera, nel mio piccolo, di far parte dei collaboratori di questo giornale che dalla Sicilia, da Siracusa e dalla sua provincia, fa sentire la propria voce…
Un video di Rainews del giugno 2012…

 

 

 

Alcuni pezzi recenti…

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3967:dal-2-al-17-dicembre-in-via-roma-la-collettiva-moadim&catid=17&Itemid=143

Dal 2 al 17 dicembre in via Roma la collettiva Moadim

MARIA LUCIA RICCIOLI
Lunedì, 16 Dicembre 2019 22:30
Dal 2 al 17 dicembre 2019, sabati e domeniche esclusi, presso la Biblioteca museo “Elio Vittorini” che si trova nel Palazzo del governo di via Roma 31 a Siracusa, dalle 9 alle 20 sarà possibile visitare la mostra “MOADIM – Giorni di festa”. Si tratta di una collettiva di pittura, scultura, grafica, fotografia, ceramica, poesia e molto altro: venerdì 6 dicembre alle ore 17 ha relazionato sull’evento Maria Lucia Riccioli, presentando i protagonisti dell’incontro culturale e dell’esposizione. Tra gli altri, ricordiamo in primis Veronica Tomassini – scrittrice, collaboratrice de Il Fatto Quotidiano dove cura anche il blog: http://www.ilfattoquotidiano.it/blog/vtomassini/, e della quale citiamo almeno il romanzo uscito per i tipi di Miraggi edizioni, “Mazzarrona”, candidato allo Strega 2019 –, qui in veste di new Penelope tra arsenico e merletti (unisce infatti la vocazione letteraria a quella di tessitrice di fili oltre che di parole), poi Marilena Vita e le sue fotografie, Salvatore Ciranna – il “Gandhi ortigiano” –, l’iconico Salvatore Accolla ed altri creatori di versi e pensieri colorati che si fanno pittura, ceramica, maglieria e ancora.

La locandina dell’evento è tratta da un’immagine di David Hamilton.

Il titolo della mostra è MOADIM perché la Torah chiama le grandi feste ebraiche Moadim (giorni di incontro con Dio): il Natale cristiano ormai vicino – siamo nel periodo liturgico dell’avvento – si affianca all’attesa ebraica di Chanukkah, conosciuta anche con il nome di Festa delle luci o Festa dei lumi.

L’iniziativa si deve a Juan Khaim Jehuda Dayan, cioè Giovanni Ferdinando Giudice, “il poeta di Ortigia”, del quale conosciamo i progetti socio-culturali e l’impegno militante per il riconoscimento della comunità ebraica di Siracusa, che dopo i fatti denunciati anche dal nostro giornale non ha più un rabbino capo né una sinagoga – annosa è la questione relativa alla chiesa di San Giovannello alla Giudecca, per la quale auspicheremmo una lieta conclusione con la collaborazione dell’arcivescovado di Siracusa: “i nostri fratelli maggiori” sono proprio gli Ebrei, per dirla con Giovanni Paolo II, e non sembra inutile ricordarlo in un’epoca di rigurgiti antisemiti e di revisionismo storico, in cui alla senatrice Liliana Segre è stata assegnata la scorta, si negano contributi per un viaggio ad Auschwitz, si rifiutano le pietre d’inciampo perché divisive, si attenta alla memoria.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3923:lo-scrittore-vito-catalano-e-l-impronta-genetica-di-sciascia&catid=17&Itemid=143

Lo scrittore Vito Catalano e l’impronta “genetica” di Sciascia

MARIA LUCIA RICCIOLI
Venerdì, 29 Novembre 2019 19:00

Il nuovo romanzo “La notte della colpa” apre a suggestioni inaspettate

 

Nel maggio 2019 abbiamo salutato l’uscita in tutte le librerie e i web store de “I romanzi della black list”, per i tipi di Lisciani libri: storie gialle noir thriller, anche mirate ad un pubblico più giovane da avvicinare alla lettura, come è accaduto per le prime uscite.

Grazie al giornalista e scrittore Mariano Sabatini – tra l’altro spesso opinionista oltre che autore per la Rai, Tmc e altri network nazionali di programmi televisivi come “Tappeto volante”, “Campionato di lingua italiana”, “Parola mia”, “Uno Mattina”), ideatore e conduttore di ATuXTv e Techetechemé su InBlu Radio, autore di noir quali “L’inganno dell’ippocastano”, premio Flaiano opera prima 2017, e “Primo venne Caino” – abbiamo conosciuto l’Agenzia letteraria Maieutica e i suoi lanci di diversi prodotti editoriali tra cui l’antologia “Moon” curata da Divier Nelli (che comprende anche un racconto di Giada Trebeschi, uno dei volti di Maieutica) e, appunto, “I romanzi della black list”.

A questa collana appartiene “La notte della colpa” di Vito Catalano, palermitano, autore inoltre di “L’orma del lupo” e “Il pugnale di Toledo” per Avagliano e de “La sciabola spezzata” per Rubbettino.

Il primo uomo. Il secondo uomo. Il terzo uomo. Confessione. Senza via di scampo.

Come in un dramma in cinque atti, “La notte della colpa” si divide in cinque sezioni dalle trame in apparenza slegate ma che si interconnetteranno svelando il mistero della notte eponima, senza finali consolatori e senza che si ristabilisca – apparentemente – un equilibrio di giustizia e verità: forse la notte vera è quella dell’animo umano, capace di passione e forse anche di amore ma dal fondale oscuro; forse è la notte della memoria, i cui fantasmi continuano a perseguitarci nonostante l’apparenza luminosa di vite che apparecchiamo a noi stessi e agli altri ma che hanno la consistenza del fumo.

Vincenzo Cardella, Marcello Guzzo, Daniele Torrisi, Sergio Massaro – quanta Sicilia nei semplici nomi –, donne intriganti o forse davvero innamorate, l’incombere di misteri e ricatti, la leggenda oscura del castello di Liw, un’ombra che incombe da un passato sepolto…

La scrittura disvela eppure al contempo predispone depistaggi e cortine. Forse è lo specchio deformato dello stesso destino che “gioca e si fa beffe di noi uomini”.

“La Civetta di Minerva” ha intervistato Vito Catalano per voi.

L’occasione è doppiamente gradita perché è anche l’occasione per ricordare Leonardo Sciascia – di cui Vito Catalano è uno dei nipoti – nel trentesimo anniversario della scomparsa, avvenuta il 20 novembre del 1989.

Senza voler troppo svelare della trama, mi è venuto spontaneo fare un’associazione con certo Cornell Woolrich: quali sono i suoi modelli di riferimento?

Sì, ha centrato. Nello scrivere il romanzo erano presenti in me grandi autori di noir e thriller attivi intorno alla metà del Novecento: l’americano Cornell Woolrich, appunto, e insieme a lui Georges Simenon e la coppia Boileau-Narcejac (ma anche il cinema di Hitchcock dello stesso periodo).

Alla base del romanzo, ma forse potremmo dire di ogni buona storia, c’è il disvelamento di una “impostura”, specie quando parliamo di gialli thriller noi nelle loro innumerevoli sfaccettature. Impossibile non ripensare alle riscritture e alle imposture sciasciane. In “La notte della colpa” l’impostura è privata e i riferimenti alla società sono blandi e lontani. Ma è proprio così? I personaggi del romanzo e le “imposture” delle loro vite, che li conducono alla colpa, all’espiazione o al castigo – non c’è comunque redenzione in questo romanzo e forse ne è spia lo stesso linguaggio, referenziale, raggelato, distaccato, quasi anodino nella sua registrazione dei fatti – possono essere ricondotti ad un male sociale oppure il male che li pervade è radicale, incistato nella condizione umana?

Almeno nelle mie intenzioni, al centro della narrazione c’è la condizione umana più che un male sociale. D’altra parte ogni lettore sente, vive e vede a modo proprio ciò che legge e dunque altre letture sono possibili al di là di quelle che erano le mie intenzioni iniziali.

I luoghi del romanzo spaziano da una Palermo e una Randazzo per nulla oleografiche o da cartolina a una Polonia inedita, quindi appaiono provinciali nel senso cechoviano e internazionali insieme, quasi universali – anche se, fresca di rilettura de “Il maestro di Regalpetra” di Matteo Collura, ho sussultato nel leggere alcune descrizioni -: questo rispecchia la sua vita personale e il suo lavoro? C’è una volontà precisa di fare dei luoghi un “everywhere” in cui ogni lettore possa trovarsi a suo agio?

Sì, i luoghi narrati rispecchiano le mie esperienze di vita. Palermo è la città dove sono nato e cresciuto; con Randazzo e con la campagna etnea ho una certa confidenza; a Varsavia vivo per buona parte dell’anno. È anche vero che credo bello e riuscito che ognuno trovi senza difficoltà delle immagini leggendo i luoghi descritti dall’autore. Quando, ne “I miserabili”, leggiamo della piccola Cosette che deve andare a prendere l’acqua percorrendo la via che dal paese esce fino ad arrivare al bosco buio, Victor Hugo ci sta parlando del paesaggio intorno a Montfermeil ma ad ogni lettore non viene facile associare i luoghi descritti a quelli che gli sono familiari o che conosce?

I suoi progetti futuri: a cosa sta lavorando? Il genere che ha frequentato finora le è più congeniale o farà incursione in altri campi della scrittura letteraria?

Ci sono in cantiere due romanzi a sfondo storico che incrociano mistero e avventura, ambientati entrambi in Sicilia (uno nel XVII secolo, l’altro nel XVIII). La mia immaginazione viene più intensamente stimolata da immagini e vicende legate al passato. Ma alle volte i percorsi di ognuno di noi fanno svolte inaspettate.

 

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Nei Dialoghi con Sciascia a Siracusa più poli tematici

MARIA LUCIA RICCIOLI
Mercoledì, 04 Dicembre 2019 09:11
Su mafia, teatro, ironia e ragione, Sicilia e Messico. Il convegno dell’Associazione Radicali Italiani si è svolto nel liceo scientifico Einaudi

 

La Civetta di Minerva, novembre 2019

Trent’anni senza Leonardo Sciascia. Senza le sue parole, senza i suoi libri articoli interventi sempre puntuali, affilati come solo la verità ricercata indagata perseguita con rigore lucido può essere. Senza il suo sorriso che ricorda quello dell’ignoto marinaio di Antonello su cui il conterraneo e sodale Consolo ebbe a scrivere. “Ce ne ricorderemo, di questo pianeta”. Così recita la sua epigrafe tombale, a suggellare con una frase di Villiers una vita che ha fatto delle contraddizioni tra razionalismo illuminista e il salto verso un “di più”, degli incontri-scontri di parole, del disvelamento delle imposture, dell’indagine – diremmo poliziesca nel metodo, filosofica e radicale nell’intenzione – le sue cifre distintive.

Particolarmente meritoria ci sembra allora l’iniziativa di Alexandria – Associazione Radicali Italiani per ricordarlo: i “Dialoghi con Sciascia” si svolgeranno a Siracusa giorno 22 e 23, presso rispettivamente la sede del Liceo “Luigi Einaudi” di Siracusa e la sede del centro studi arti e scienze “Il Cerchio”; il convegno di venerdì vedrà la partecipazione del giornalista e scrittore Matteo Collura (tra l’altro autore per TEA della documentata, splendida biografia di Sciascia intitolata “Il maestro di Regalpetra”: Sciascia, che nella sua vita fu doppiamente maestro nella sua Racalmuto trasfigurata letterariamente e divenuta metafora della Sicilia sineddoche del mondo, qui è colto nella sua parabola esistenziale e culturale con un piglio da saggista e romanziere insieme), Elio Cappuccio del Collegio Siciliano di Filosofia, Alessio Lo Giudice in veste di filosofo del diritto, Andrea Bisicchia storico del teatro, Gianfranco Spadaccia – già parlamentare del Partito Radicale –, moderatore Vincenzo Pennone (delle cui iniziative culturali con Alexandria si è spesso occupata La Civetta, come il convegno su Vittorini, le pubblicazioni e le conferenze sullo sport a Siracusa, mostre d’arte). Introdurranno l’incontro la dirigente scolastica Teresella Celesti e Fabio Granata, assessore alla cultura.

Politica e mafia, teatro, ironia e ragione, Sicilia e Messico – Messico e nuvole ci scapperebbe di penna per citare un verso di canzone –: questi i poli tematici intorno ai quali ruoterà il convegno, che inizierà nella sede dell’istituto alle 9.30. Le letture saranno a cura degli stessi studenti guidati da una voce d’eccezione, quella dell’attore Davide Sbrogiò, non nuovo alle collaborazioni con Alexandria.

L’incontro di giorno 23 si è svolto invece presso la sede de Il Cerchio in Via Arsenale 40/A.

Manca, la voce di Sciascia, a questo tempo immemore, a questa Sicilia sempre più zattera nel Mediterraneo, a questa Italia che cerca punti di riferimento o che forse ha disimparato a cercarli negli scrittori, negli intellettuali, nelle voci di razza come quella di Leonardo Sciascia, il “Nanà” che seppe fare della Sicilia l’omphalos del mondo.

Doveroso quindi ricordarlo come merita e come nel corso degli anni e con questa iniziativa ha mostrato di voler fare Alexandria – molto ci sarebbe da dire, tra l’altro, del rapporto tra Sciascia e Siracusa, le sue librerie, specie Mascali, i suoi artisti e scrittori, come Tranchino e Di Silvestro, e forse questi due incontri saranno l’occasione per dibatterne e soprattutto rievocare.

“Ce ne ricorderemo, di Leonardo Sciascia”.

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Intervista all’autrice di “Detti celebri delle mamme sicule”

MARIA LUCIA RICCIOLI
Mercoledì, 04 Dicembre 2019 09:29
La catanese Consuelo Consoli: “In questo libro emerge la figura della mater sicula, nell’educazione dei figli. Intanto sto lavorando al penultimo capitolo di un romanzo fantasy…”

 

“La Civetta di Minerva” si è occupata già in passato di Consuelo Consoli, catanese, che insegna educazione sanitaria nelle scuole e nel contempo coltiva la passione per la scrittura: “Amori impossibili” è la sua raccolta d’esordio; ha collaborato con alcuni dei suoi racconti ad antologie edite da Bonanno, Algra Editore, Ensemble, L’Erudita e Perrone; ha curato insieme a Luigi La Rosa i volumi antologici “Aurore”, “Zenith” e “Ci rifaremo vivi” per Algra di Alfio Grasso, l’editore che ha pubblicato anche il suo primo romanzo, “Un solo abbraccio”.

Salutiamo l’uscita, sempre per i tipi di Algra Editore, del suo “Detti celebri delle mamme sicule”, in cui l’autrice sviscera con ironia alcune frasi fatte che le donne siciliane si tramandano di generazione in generazione: dietro il modo di dire c’è un mondo fatto di storie che affondano le proprie radici nella cultura matricentrica della società siciliana, a dispetto del patriarcato – in fondo la mater familias siciliana è sempre stata il perno delle comunità, dei “cuttigghi”, dei rioni, dei quartieri, e tende ancora ad esercitare il proprio potere, fatto questo cristallizzato nelle frasi analizzate da Consuelo Consoli con la sua catanesitas di mater sicula tutta verve e autoironia: chi non ha detto o non si è sentito dire “Mancia ca si’ patutu” oppure non si è sentito apostrofare con ossimoriche considerazioni quali “Si’ sempri rintra” versus “Si’ sempri fora”?

Ma parliamone con l’autrice, che ha presentato il volume ad Aci Sant’Antonio – attendiamo l’imminente presentazione siracusana –, relatrice la giornalista Lucia Russo, anche lei non nuova alle incursioni letterarie, lettore d’eccezione l’attore Bruno Torrisi, noto ai più sia per l’interpretazione del Questore Licata nella serie “Squadra antimafia – Palermo oggi” che nella costola “Rosy Abate – La serie” e che abbiamo avuto modo di apprezzare recentemente nella produzione Rai dedicata alla storia di Enrico Piaggio.

Com’è nato “Detti celebri delle madri sicule”?

Da uno scherzo con mia figlia. Mi rimprovera sempre di esprimermi per stereotipi.

Qual è il tuo rapporto con il dialetto siciliano? (Ricordiamo, tra l’altro, che quest’opera ha ricevuto il premio Umberto Domina come migliore lavoro a carattere siciliano).

Il dialetto è una lingua che amo e desidero conservare e tramandare. Mi ricorda i miei nonni, soprattutto Antonia, nonna materna, mi riporta all’incanto della fanciullezza e poi trovo che abbia delle espressioni impareggiabili e intraducibili.

Che figura di donna emerge dalle tue notazioni scherzose ma non troppo?

La mater sicula con tutto il suo bisogno di controllo e di protezione nei confronti dei suoi cari.

Quali sono i tuoi progetti di scrittura?

In questo preciso momento sono al penultimo capitolo di un fantasy. È un progetto nato in sintonia con un’amica pittrice, Anna Nolfo, che mi ha coinvolto con il suo entusiasmo a interessarmi alla cultura Maya e ai suoi miti. Tra poco uscirà l’ultima antologia curata con Luigi La Rosa, “Tracce di desiderio”. Ho in stand by un romanzo e, infine, una raccolta di racconti. Troppa roba, vero? È che scrivere mi piace proprio!

 

 

 

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“Nati per leggere” alla Biblioteca comunale di Canicattini Bagni

MARIA LUCIA RICCIOLI
Martedì, 03 Dicembre 2019 12:44
Leggere un libro ai neonati e ai bambini fino ai sei anni rinsalda il legame affettivo con l’adulto

La Civetta di Minerva, novembre 2019

“Gli Stati incoraggiano la produzione e la diffusione di libri per l’infanzia (Convenzione sui diritti del fanciullo, art. 17 comma C).

Sono iniziati a novembre gli incontri di Nati per Leggere: in occasione della settimana dedicata al progetto, la Biblioteca comunale “G. Agnello” di Canicattini Bagni e le volontarie di Nati per Leggere, Lucia Basile e Giusy Alicata, di concerto con l’Amministrazione comunale e grazie al coordinamento con l’insegnante Giuseppina Scatà del Primo istituto comprensivo “Giovanni Verga”, hanno incontrato i bambini di tre, quattro e cinque anni del plesso Giuseppe Mazzini.

Letture e sensibilizzazione sul “Diritto alle Storie” delle bambine e dei bambini: questo il cuore delle iniziative. Leggere un libro ai neonati e ai bambini fino a sei anni – cioè fino a quando non siano autonomi nella lettura – costituisce un’esperienza fondamentale per rinsaldare il legame affettivo tra l’adulto e il bambino, oltre che essere di capitale importanza per lo sviluppo linguistico e intellettivo, per “dare un nome” alle emozioni, per arricchire il patrimonio emotivo. Gli effetti della lettura – e qui sono pediatri e neuropsichiatri ad affermarlo – sono stati sperimentati e dimostrati: la stessa salute psicofisica del bambino risentirà di conseguenze positive di lunga durata grazie ad una “esposizione” precoce al libro e al mondo delle storie narrate, lette, inventate insieme ai genitori e agli adulti in genere (nella pagina <http://www.natiperleggere.it/il-vento-dei-20-convegno-e-fes…> potete scaricare il rapporto “Nati per Leggere 1999 – 2019. La storia, le attività, i risultati, le prospettive. – Trieste, Centro per la salute del bambino, 2019” e le videoregistrazioni del convegno e festa di compleanno del 26 settembre 2019).

Ecco gli appuntamenti che ne sono seguiti: venerdì 15 novembre, bambini di 4 anni del plesso Garibaldi e alle 11:30 bambini di 5 anni del plesso Garibaldi; lunedì 18 novembre, alle 9:30, bambini di 4 anni del plesso San Nicola; e, alle 10:30, bambini di 5 anni del plesso San Nicola; venerdì 22 novembre, alle 9:30, bambini di 3 anni del plesso Garibaldi; e alle 10:30, bambini di 3 anni del plesso San Nicola.

Tra i precursori a Canicattini Bagni e in provincia di Siracusa del progetto “Nati per Leggere” naturalmente menzioniamo la dottoressa Paola Cappè, che oltre a dirigere la Biblioteca comunale “G. Agnello” e a supportarne le iniziative collaterali come letture, incontri letterari e musicali, gaming – giochi da tavolo e oltre –, in sinergia con le realtà culturali del territorio, per rendere la Biblioteca luogo di incontro e aggregazione sociale oltre che di conservazione, consultazione e prestito del patrimonio librario – ricordiamo tra l’altro che proprio la Biblioteca di Canicattini è stata tra le prime in Italia ad ospitare il #BiblioHub – è Presidente regionale Sicilia dell’AIB (Associazione Biblioteche Italiane).

Ci sia consentito nominare due siracusani che si sono spesi per i progetti relativi all’infanzia e alla diffusione della cultura del libro nei suoi aspetti relazionali e sociali: l’indimenticato Pino Pennisi – è imminente il Festival dell’educazione 2019 progettato sulla scia del suo lavoro – e Tanina Zito, recentemente scomparsa, figura di volontaria luminosa.

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Nelly Marlier: L’arte come terapia

MARIA LUCIA RICCIOLI
Mercoledì, 20 Novembre 2019 15:04
“Ero affetta da artrite reumatoide, quando ho ripreso i pennelli in mano, poco alla volta i dolori sono scomparsi. Nella morbidezza della pittura ad olio, la voluttà della natura”

 

Nelly Marlier è stata per così dire “adottata” da Siracusa che l’ha accolta facendone una delle sue cittadine d’elezione: si è scelti da una città più che sceglierla e questo è particolarmente vero nel suo caso.

Donna curiosa, gentile, ironica e arguta, dai molteplici interessi – non ultima la scrittura creativa –, è appassionata di pittura: dal 15 al 18 novembre 2019, ha esposto ad Arte Padova; con alcuni dei suoi lavori ha partecipato a Torino, sino al 14 novembre, a una collettiva presso la Galleria Accorsi Arte, intitolata Mostra Internazionale d’Arte Contemporanea; ha siglato un contratto di un anno sempre con la Galleria Accorsi Arte e le sue tele saranno esposte sia nella sede di Torino che in quella di Venezia.

Le sue opere possono anche essere viste dai nostri lettori in due negozi virtuali: il primo con Gigarte (https://www.gigarte.com/nellymarlier); il secondo con Pitturiamo; il terzo è in fase di realizzazione. La intervistiamo.

Quando hai iniziato a dipingere? Quali sono le tecniche che prediligi?

Ho iniziato a dipingere cinque o sei anni fa. Ho preso lezioni da un maestro per circa due anni, si può dire però che sia autodidatta. Principalmente olio su tela: mi piace l’untuosità e la morbidezza della pittura ad olio, il vedere come i pigmenti si mescolano tra di loro, gli arabeschi che formano man mano che i colori si amalgamano. Mi dà un senso di dolce voluttà. Quella parte che a volte precede l’azione di dipingere mi dà un senso di pace mentre il mescolare direttamente i colori sulla tela mi inebria. Per questo, la mia pennellata è formosa. I pigmenti devono avvicinarsi, incontrarsi, baciarsi, a volte compenetrarsi. Ogni volta è qualche cosa di diverso e mi capita di lasciare al caso il risultato finale. Mi piace accarezzare i miei dipinti ad occhi chiusi per assaporare la texture sotto le dita. Mi piace pensare che le mie tele siano sentite non solo guardate.

Quali soggetti preferisci?

I soggetti che preferisco sono quelli appartenenti alla natura: le nuvole, l’acqua, la vegetazione… Mi piace interpretare a modo mio paesaggi, tramonti, albe. Adoro i riflessi della luce e i giochi che essa crea nell’acqua. Mi perdo nel vedere fremere la superficie di un torrente, nell’osservare il via vai delle nuvole, il loro cambiar forma in continuazione.

Per ora, dipingo in atelier spesso da foto realizzate da me o da amici. Ma, appena starò ancora meglio di salute, desidero dipingere en plein air. È importante poter utilizzare tutti i sensi. L’udito e l’olfatto anch’essi trasmettono sensazioni influendo la percezione dell’ambiente.

Credi che l’arte abbia una funzione catartica, oltre che estetica? C’è una connessione tra arte e benessere psicofisico a tuo modo di vedere?

Questa domanda riveste per me un’importanza fondamentale, perché tocca uno degli aspetti per me più importanti e che vorrei far conoscere attorno a me perché penso possa aiutare persone ammalate a ritrovare fiducia, libertà di pensiero e d’azione e a liberarsi dalle paure.

Tutto è nato dalla malattia, l’artrite reumatoide. Nel 2001, la diagnosi dopo mesi di terribili dolori fisici e di limitazioni sempre più diffuse nell’uso delle mani e nel camminare. È iniziato allora il percorso della malattia cronica, invalidante e senza ritorno. Così, in effetti, mi presentarono questa compagna degli anni che avevo di fronte.

A distanza di anni, di terapie mediche spesso pesanti, di rifiuto della malattia e delle medicine, di digiuni esagerati, di ricerche di percorsi per una crescita interiore, di lettura di decine e decine di libri, di un ricovero ospedaliero urgente, arriva la consapevolezza di voler riprendere i pennelli in mano subito, oggi, domani, e di nuovo, sempre più spesso. E un pomeriggio di un anno fa circa, mi resi conto che i dolori erano praticamente scomparsi mentre seduta davanti al cavalletto ed ascoltando i Queen stavo dipingendo un tormentato cielo nuvoloso. Ho ripetuto l’esperimento il giorno dopo. Sostituii gli antidolorifici con la pittura e… funzionò. E funziona ancora oggi. Funziona sul fisico ma anche sulla mente.  Ho ritrovato le forze che avevo perse da lungo tempo, ho ritrovato la voglia di incontrare gente, ho ricominciato a fare progetti.  Per me, è una rinascita.

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Michelle Messina Reale: “La Sicilia e Siracusa sono il mio rifugio”

MARIA LUCIA RICCIOLI
Sabato, 02 Novembre 2019 20:02
La scrittrice e poetessa di Philadelfia è autrice di molte opere, tra cui “Season of Subtraction”, che richiama la nostra prosa d’arte di primo ‘900

 

La Civetta di Minerva, 26 ottobre 2019 – I legami tra gli italoamericani e il nostro paese sono fatti di sangue ma anche di sapori, di odori, di lingua storie tradizioni. Di parole. È così anche per Michelle Messina Reale, scrittrice e poetessa di Philadelphia, docente associata presso l’Arcadia University della Pennsylvania (tra l’altro fondatrice e direttrice del progetto “Ovunque Siamo: New Italian-American Writing”), che unisce gli interessi accademici – è tra l’altro responsabile dei servizi di accesso, di ricerca e comunicazione dell’ateneo – all’attitudine poetica e narrativa: testi come “Inquiry and Research: A Relational Approach in the Classroom”, “Mentoring and Managing Students in the Academic Library, The Indispensable Academic Librarian: Teaching and Academig for Change” e “Becoming a Reflective Librarian and Teacher: Strategies for Mindful Academic Practice” si alternano ad opere come “Season of Subtraction – Prose Poems” (Bordighera Press, New York 2019), raccolta di poesie in prosa o di prose poetiche che dir si voglia, genere che richiama la nostra prosa d’arte di primo Novecento, la rivista “La Voce”, certi calligrafismi tra l’ermetico e il crepuscolare.

Ma qui la “stagione della sottrazione” è molto di più: “ciò che va via è ciò che rimane”, come recitano in esergo le parole di Charles Wright: il tempo sottrae volti odiosamati, gesti, voci, consuma gli oggetti ma ne lascia le persistenti reliquie nella retina ostinata della memoria. E si fa parola. Accurata, precisa, geometrica. Preziosa. Eppure allusiva, sfuggente, enigmatica. Parola che tende a definire, scolpire, dipingere con nettezza, parola che rivela, che ricerca, che rievoca un passato a volte difficile da rielaborare, luoghi dell’anima, antenati che sono custodi ma anche presenze insistenti, fantasmi inconciliati o memento per un presente da ridefinire. Per un futuro che è carico del peso dolce e insieme amaro del passato.

“Season of Subtraction” è dunque uno scavo memoriale e insieme un lavoro di immaginazione alla ricerca delle proprie radici, un viaggio tra i rami noti e sconosciuti della propria famiglia, un’indagine sul senso della presenza propria e altrui nel mondo, tra nostalgia per la terra d’origine e la vita oltreoceano.

Abbiamo incontrato Michelle Messina Reale insieme a Patti Trimble in occasione di un reading trilingue, a Siracusa, grazie all’iniziativa “101 Poets for Change”; poi i contatti in rete, un caffè in Ortigia a parlare di poesia e di Trump, di Sicilia e d’America. Ecco qualche risposta alle nostre domande.

Le tue radici italiane e familiari sono molto forti e questo risalta chiaramente anche negli allusivi versi del tuo libro. Puoi parlarcene?

I miei legami familiari con l’Italia sono molto forti, questo è un nodo che non si spezzerà mai. Ancora ho molti parenti in Italia, specialmente in Sicilia. Ho avuto un’infanzia molto italiana: scuola prevalentemente italoamericana, parrocchia italoamericana e vicinato italoamericano. Ci sentivamo diversi dagli altri perché la nostra cultura era molto forte. A mia madre non piacevano i modi di fare o le abitudini che non coincidessero con le nostre. Ha sempre pensato che gli americani fossero freddi ed egoisti, e non apprezzava la loro idea di famiglia. Eravamo diversi.

La Sicilia e Siracusa sono per te dei luoghi dell’anima, vero?

Trascorro molto tempo in Sicilia, che è semplicemente “casa” per me [… da notare che Michelle Messina Reale usa la parola “home”, che in inglese significa sia “casa” nel senso più domestico e intimo sia “patria”, un po’ come avviene con il latino “domi”, n.d.r.]. La Sicilia e Siracusa sono il mio rifugio. Lo avverto non appena arrivo proprio perché posso rilassarmi. Questo è un aspetto molto diverso rispetto al modo di vivere americano, che mantiene un passo molto veloce e mette in competizione le persone tra loro. Io vivo vicino Philadelphia e la “cultura” può essere molto dura, sbrigativa e perfino rude. A Siracusa trovo ancora gentilezza nelle persone, vedo che la gente dà valore al tempo e agli altri. E il mare sempre bellissimo a fare da panorama e da sfondo pacifica la mia anima.

“Sottrazione” è una parola piena di significati: ha qualcosa a che vedere con le mancanze nella nostra vita e nel nostro spirito, ma la sottrazione è anche il potere dell’artista: eliminare ciò che è vecchio e morto per lasciar crescere ciò che rimane. Sei d’accordo?

Sono pienamente d’accordo su ciò che dici su “Season of Subtraction”! Ci sono molte ferite traumatiche nella mia famiglia. Mio nonno non avrebbe mai voluto lasciare la Sicilia ma fu costretto a farlo… odiava gli States e tutto ciò che comportava viverci. Questo lo rese rabbioso e aggressivo verso tutti e verso la vita. Noi siamo stati costretti a fare i conti con le sofferenze che ha provocato. E la figlia che ebbe e non riconobbe mai ferì tutti noi. Quel rifiuto fu difficile da accettare. Quando trovammo la sorella di mio padre, cercammo di costruire un rapporto nuovo. Lei dice di sentirsi siciliana, ma visto che non è stata cresciuta come tale, non riesce a spiegarsi perché provi questo! [Nella postfazione del libro, Michelle Messina Reale riassume la rocambolesca vicenda della ricerca di questa zia “sottratta”, motore pulsante dei versi di “Season of Subtraction”, omaggio alla tenacità dei legami, n.d.r.].

I tuoi versi sono come prosa e la tua prosa è molto poetica… questo è comune nella poesia americana attuale oppure nella storia più antica o recente della letteratura americana?

No, non è molto comune nella poesia americana, ma è una forma che amo molto utilizzare perché mi permette di usare un linguaggio molto immaginifico in una piccola forma narrativa. Amo leggere poesie in prosa e scriverne, anche!

Salutiamo Michelle Messina Reale e attendiamo le nuove raccolte “Confini: Poems of Refugees in Sicily” e “In the Blink of a Mottled Eye”, che vedranno la luce tra il 2019 e il 2020 per i tipi di Cervena Barva Press e Kelsey Books.

 

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3828:in-fratelli-di-cielo-di-don-aprile-liriche-e-testimonianze-di-fede&catid=17&Itemid=143

In “Fratelli di cielo” di don Aprile liriche e testimonianze di fede

MARIA LUCIA RICCIOLI
Domenica, 23 Giugno 2019 22:20
Il libro comprende la prefazione di Claudio Maniago, vescovo di Castellaneta, e i contributi di vari poeti

 

La Civetta di Minerva, 15 giugno 2019

“La Civetta di Minerva” ha dedicato diversi articoli all’opera pastorale e letteraria di don Raffaele Aprile, che, dopo “Innamorato del cielo”, ha deciso di dare alle stampe il volume “Fratelli di cielo – in versi si raccontano in cammino con Maria” (Bonfirraro Editore), che verrà presentato il 20 giugno alle ore 20 presso il Salone Baranzini della Basilica Santuario Madonna delle Lacrime di Siracusa.

Don Aprile, augustano, oltre a svolgere il suo ministero presbiteriale come assistente spirituale del gruppo di preghiera Madonna delle Lacrime e del gruppo Caritas, accoglie i pellegrini che vengono a visitare la Basilica Santuario e si occupa anche delle missioni con il Reliquiario. Ricordiamo alcuni dei riconoscimenti che ha ottenuto per la sua passione per la scrittura: ha partecipato alla stesura di un’antologia poetico-letteraria in omaggio a Luigi Pirandello a cura di Giuseppe La Delfa, al libro di don Francesco Cristofaro, conduttore televisivo presso Padre Pio TV e a vari concorsi poetici (quello di Favara intitolato ad Ignazio Buttitta, “Il Federiciano”…); per iniziativa del parroco don Domenico Cirigliano, a ricordo della visita del Reliquiario della Madonna delle Lacrime, è stato collocato in modo definitivo nella parete laterale esterna della Chiesa Madre di Rocca Imperiale il quadretto della Madonnina con una sua preghiera/poesia Vergine delle Lacrime; collabora col settimanale “Notizie della diocesi” di Carpi, curando una rubrica poetica.

La pubblicazione collettanea comprende la prefazione di Claudio Maniago, vescovo di Castellaneta, e di Francesco Maria Marino OP, una introduzione di Fabrizio Mattioli, Avvocato della Rota Romana, e i contributi dei poeti Monsignor Giuseppe Greco, Loris Filippetto, Sonia Accossano, Roberto Giovanni Bizzotto, Filippo Cacioppo, Albino Fattore, Don Ernesto Piraino, Giuseppe Puzzo, Maria Lucia Riccioli, Andrea Maniglia, Nino Cardillo, Don Pasqualino di Dio, Rita Masala, Suor Vincenzina Botindari, Michele Taboni, Rafał Soroczyński, Gruppo di Preghiera Carismatica Madonna delle Lacrime, Nicola Douglas De Fenzi, Claudia Koll e le testimonianze di Salvatore Pappalardo Arcivescovo di Siracusa, Aurelio Russo, Gabriele Russo, Lucia Palmieri, Gabriele Dini, Ida Vasta, Giuseppe Aletti, Danilo Zirone, Loris Filippetto: ecclesiastici e laici, semplici devoti e studiosi, ma comunque voci che narrano, che liricamente si effondono, voci pellegrine, in cammino dunque, come suggerisce il sottotitolo del volume.

Il libro raccoglie sia poesie che testimonianze di fede e di guarigione fisica e spirituale: la parola è canale privilegiato di espressione dei sentimenti più profondi e quindi anche della contemplazione mistica, del rapporto con la Natura e con il Divino, delle lacerazioni, delle sofferenze e delle gioie; se l’arte è a suo modo testimonianza, la narrazione di un percorso di vita, dei bivi e delle svolte inattese dovute ad un incontro con qualcosa che trascende il solco dell’abitudine o peggio ancora della rassegnazione lo è ad un altro livello.

 

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3830:paola-m-liotta-puntare-su-fiamma-fogliani-e-stata-una-scommessa&catid=17&Itemid=143

Paola M. Liotta: “Puntare su Fiamma Fogliani è stata una scommessa”

MARIA LUCIA RICCIOLI
Lunedì, 24 Giugno 2019 08:22
“Per me la scrittura è musica, esigenza che risuona di vibrazioni, sonorità, echi che intarsiano il romanzo”

 

La Civetta di Minerva, 15 giugno 2019

“La Civetta di Minerva” ha incontrato per voi Paola Maria Liotta, appassionata docente, fine poetessa e scrittrice (i suoi lavori poetici e narrativi le hanno meritato l’attenzione di critici e giurati in vari concorsi letterari come il Premio “Pietro Carrera” e il Premio Letterario Città di Castiglione “Cento Sicilie Cento Scrittori”), animatrice culturale nella sua Avola ed oltre. “Piano concerto Schumann” è il suo ultimo romanzo, uscito per i tipi de Il seme bianco.

Fiamma Fogliani, il maestro Marni e una misteriosa spinetta, “invenzione” all’interno di ciò che è manzonianamente “storia”, ovvero la musica e compositori come Schumann… quanto del tuo amore per la musica è confluito nella stesura del tuo romanzo?

L’amore per la musica convoglia e rappresenta i miei amori, i miei interessi, e molti altri sensi e sentimenti. E non ritroviamo nel romanzo solo Schumann, il cui celebre Piano Concerto gli dà il titolo e ne catalizza vicende e intrighi, ma anche molti altri bei nomi della musica. Le notizie legate all’invenzione del fortepiano, sullo sfondo, delineano il quadro perfetto in cui le passioni, le gioie, la forte testimonianza di vita della mia protagonista si incarnano a pieno. La scrittura, poi, è fatta di lettere e di suoni e, proprio come una musica, può riprodurre la musica della vita, le sue luci e le sue ombre. Sicuramente, questo romanzo è un atto d’amore per la musica, “la più rivelatoria di tutte le arti”, come asserisce, in un passo del romanzo, uno degli affascinanti personaggi maschili che ruotano attorno a Fiamma. Da ciò, si evince come la musica sia tutto (o quasi) anche per me.

Non sei nuova all’alternarsi di libri in prosa e di poesia… come convivono in te la narratrice e la poetessa oltre che la docente?

La narratrice in prosa e in versi e la docente convivono, in me, come i famosi “tria corda” dal momento che le possibilità della scrittura sono infinite. Mi esploro in questo e in molti altri modi, cercando di instillare nei miei studenti l’amore per la lettura. Per me, scrittura creativa, laboratorio di scrittura, biblioteca di classe sono parole magiche. Le parole veicolano idealità, interiorità, speranze, e oggi c’è molto bisogno di idee, di ideali e di speranza. L’amore per ciò che faccio si traduce pure in Paola che scrive in prosa, Paola che scrive versi, Paola che insegna. E in molte altre “Paole”, tutte riflessive, impavide, piene di voglia di fare, desiderose di nuovi mondi da scoprire, mai paghe di un fine, di uno scopo, pur di offrire alle giovani generazioni validi spunti di riflessione e spronarle verso il meglio per sé stesse e per la società attuale, tanto bisognosa d’amore, così devastata dall’egoismo, insanguinata da guerre e violenze di ogni sorta quale essa, purtroppo, è. E il riferimento agli aspetti negativi del reale rintocca in tutto il romanzo, in contrapposizione con la bellezza e con la solarità evocate dalla musica di Fiamma.

Scrivi che “La musica è energia, ma anche controllo; è rigore, ma anche avventura”. Credi possa dirsi lo stesso della scrittura?

Come per Fiamma Fogliani, la protagonista del “Piano Concerto Schumann”, la musica di Schumann, e tutta la musica è vita, così per me la scrittura è musica. La scrittura è un’esigenza insopprimibile, che risuona, come musica, di vibrazioni, di sonorità, di echi, quelli che intarsiano il percorso di ricerca che il romanzo traccia e disvela davanti ai nostri occhi. Leggendo di Fiamma, non si può non immaginarsela vibrante e appassionata, al suo piano. Per infondere questa vita alle parole, si scommette su di sé, ci si precipita a capofitto in un mondo che sta nascendo, evocato sulla carta, non meno reale di quello in cui viviamo, e non si può deviare o filtrare quanto sta nascendo mentre lo si crea, mentre lo si vive. Il rigore e l’eleganza sono connaturati sia alla buona musica che alla buona scrittura: dipende da quanto si è fedeli a criteri stilistici e di buon gusto che corrispondano esattamente all’onestà dei nostri stessi intenti di scrittura. La storia si rivela e piace nell’esatta misura in cui scatta il riconoscimento di chi legge in quelle pagine, ricreando in proprio la storia, vivendola in consonanza – o meno – con il proprio mondo interiore. La scrittura è una bellissima avventura dello spirito se ci trasporta nell’altro, e nell’oltre, sempre in adesione con quanto sentiamo, con quanto vogliamo dire, con il messaggio che affidiamo al nostro scritto.

Fiamma Fogliani è artista e donna. Quanto ha contato per te confrontarti con le figure di musiciste come la tua protagonista?

Nel romanzo vi è una miriade di figure femminili: pianiste quali Clara Wieck Schumann, Annie Fisher, Clara Haskil, Martha Argerich, Hélène Grimaud, ma anche artiste, tipo Giovanna Fratellini, pittrice di corte che venne paragonata a Rosalba Carriera e fu la ritrattista della Gran Principessa Beatrice Violante di Baviera. Quest’ultima visse proprio alla corte medicea e dovette conoscere il ‘nostro’ Bartolomeo Cristofori, l’inventore del gravicembalo ‘col piano e col forte’, cioè l’antenato del pianoforte. Man mano che la storia cresceva e sbocciava nelle mie righe, ho ritrovato tutte queste figure; alcune le conoscevo già, infatti amo molto la Argerich, come pianista, e la Grimaud. Menzionare Beatrice Violante mi ha permesso di darle il giusto risalto; peraltro, fu anche un’ottima statista nel governatorato della città di Siena. L’ultima volta che, in pubblico, ho accennato a questa galleria di figure eccezionali, e spesso le donne stanno ai margini della storia, o sono appena menzionate, mi son sentita dire, proprio da una donna: “Lei non ama molto gli uomini”! Ecco, vorrei sconfessare quest’appunto. Rendere il giusto tributo a figure obliate, o meno note di corrispettive personalità maschili, ha validato ulteriormente la mia scrittura di quegli slanci che io amo esprimere. Anche portare alla ribalta Fiamma Fogliani è stata indubbiamente una bella scommessa per dare corpo a ciò che io amo, alla vera bellezza, che ci deve guidare verso il meglio, nell’arte e nella vita.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3912:teresa-laterza-le-mie-sono-un-emozione-che-cambia&catid=17&Itemid=143

Teresa Laterza: “Le mie Schegge sono un’emozione che cambia”

MARIA LUCIA RICCIOLI
Mercoledì, 06 Novembre 2019 10:46
Raccolta di aforismi, riflessioni e poesie edita da CTL Edizioni, copertina di Rosa Rosita Loiodice

 

La Civetta di Minerva, 26 ottobre 2019

Torniamo ad occuparsi di Teresa Laterza: l’autrice, pugliese di origine, vive a Caltagirone ed è impegnata nel settore della formazione; collabora con testate giornalistiche locali, nazionali e internazionali, come il periodico dell’Automobile Club Bologna (AutoBo) e la Rivista Internazionale Le Muse, fondata da Paolo Borruto e Maria Teresa Liuzzo (direttrice), oltre a proporsi come editor e book counselor. Le sue incursioni poetiche e narrative spaziano dal romanzo “Imprevisti di primavera” (Kimerik) alle sillogi poetiche “I sentieri dell’anima”, “Le stagioni del cuore” e “Frammenti d’infinito” (Irda edizioni), dalla stesura di articoli e saggi ad una nuova silloge poetica, “Armonia d’essenza”.

La sua ultima pubblicazione è “Schegge”, raccolta di aforismi, riflessioni e poesie edita da CTL Edizioni di Nino Bozzi. La copertina è illustrata da Rosa Rosita Loiodice, tra l’altro curatrice editoriale.Scheggia è un frammento, scheggia è una freccia, scheggia è un proiettile che penetra le carni, ferisce e diventa parte di noi. Ma la scheggia che ci colpisce può essere una forza, una verità, un’emozione che provocandoci dolore ci restituisce contemporaneamente a noi stessi e alla nostra vera essenza, un lampo che illumina la nostra cecità. Come fa la parola, in primis quella poetica.

Ecco allora l’invito ad evitare gli abbracci mancati, a non lasciarsi rinchiudere “dai cancelli degli schemi”; ecco l’amore per l’arte e la parola, grazie ai quali si può attingere l’infinito, l’accoglienza di se stessi e del prossimo – migrante è anche chi cerca l’amore che la “patria” della sua famiglia gli ha negato e infinite sono le povertà mentali e spirituali –, ecco il richiamo all’interconnessione degli esseri viventi e dell’universo che si rivela anche nelle azioni e nei pensieri in apparenza insignificanti… perché la vita è un “gioco duale”. I versi sono lampi, briciole di ricordi, attimi di consapevolezza, bagliori di vero, gli aforismi e le considerazioni sono bocconi, minutaglie, tessere sparse di un mosaico di cui non conosciamo il disegno, quello sempre incompiuto della saggezza.

Il titolo “Schegge” è significativo e polisemico… cosa vuol dire per te e come lo hai scelto per intitolare il libro?

Esattamente: la scheggia penetra in profondità e lascia un segno. Può far male, ma induce alla riflessione. La nostra carne, il nostro corpo è la vita e le schegge sono le esperienze. È questo il motivo della scelta del titolo. Mi auguro che le mie poesie e le mie riflessioni aiutino a fare luce dove regnano il buio o le ombre.

I tuoi progetti futuri riguardano la teoria oltre che la pratica della scrittura: puoi anticiparci qualcosa?

Tra mille difficoltà, considerate le incombenze quotidiane, sto portando avanti la stesura di un saggio sulla scrittura. L’intento è quello di fornire consigli e regole utili a chi desideri scrivere un libro di qualsiasi genere, affinché l’opera possa incontrare l’interesse del pubblico. Si tratta, in sostanza, di una specie di vademecum dello scrivere efficacemente.

LA CIVETTA DI MINERVA del 7 dicembre 2019

08 domenica Dic 2019

Posted by mlriccioli in Eventi culturali, Letteratura, Musica

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Ecco la nuova prima pagina de LA CIVETTA DI MINERVA… in edicola!

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Ripubblico volentieri video e post che parlano del giornale. Sostenetelo, acquistatelo, abbonatevi…

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Report questa sera 21.20 Rai3
La giustizia dovrebbe essere imparziale. Ma cosa succede se accusa, difesa e giudici si scambiano favori, soldi e informazioni segrete? Il sistema messo in piedi da Piero Amara, ex avvocato Eni, riesce a far aprire un’inchiesta presso la procura di Siracusa grazie ad una denuncia di Alessandro Ferraro, suo uomo di fiducia, che dichiara di essere stato sequestrato “da due neri ed un bianco”. Dietro la vicenda ci sarebbe un complotto contro il manager dell’Eni Claudio Descalzi. Peccato che sia il rapimento che il complotto risulteranno finti. L’inchiesta è di Luca Chianca.

#Report lunedì 21.20 Rai3
✓ Dove e chi fabbrica le divise dei militari italiani?
✓ Chi ha messo in piedi un sistema di potere per aggiustare sentenze e
aggiudicarsi appalti pubblici?

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Da non perdere questa puntata perché si parlerà del Sistema Siracusa, di cui si è occupato in prima linea il giornale LA CIVETTA DI MINERVA!

https://www.google.com/search?q=sistema+siracusa+%2B+la+civetta&rlz=1C1AVNA_enIT559IT562&oq=sistema+siracusa+%2B+la+civetta&aqs=chrome..69i57j0.10172j0j4&sourceid=chrome&ie=UTF-8

Report, stasera alle 21.20 su Rai 3, trasmette un’inchiesta sul sistema Amara, alias Sistema Siracusa, nell’ambito della quale anche noi della Civetta siamo stati intervistati nella sede della nostra redazione. E’ per noi – piccolo giornale di provincia – un grande onore avere questa ribalta nazionale ( F. Oddo)

La diretta con Stefano Lamorgese e Luca Chianca, che ha firmato l’inchiesta di giorno 15 sul sistema di potere messo in piedi dall’ex avvocato #Eni Piero Amara
#amaragiustizia #Report #fblive

Un grande grazie a Paolo Borrometi per le sue parole:

Magistrati, politici, imprenditori: così Siracusa mise in ginocchio l’Italia

In altre epoche saremmo già stati tutti quanti a indignarci per ciò che sta accadendo nella Magistratura del nostro Paese. Ben che vada, oggi siamo forse troppo distratti da altro per interessarci alla questione. Comunque incapaci di affrontarla nel suo insieme, ricomponendo i tanti tasselli di un puzzle giallo che sembriamo ostinarci a non voler vedere una volta per tutte montato, e incorniciato.

Il cuore di tutto si trova in provincia di Siracusa, ad Augusta. La città più ricca della provincia cela affari impressionanti (dal petrolchimico ai migranti, fino al neonato porto turistico, tra i più importanti di tutto il Sud). Ed è proprio da qui che due avvocati spregiudicati, Piero Amara e Giuseppe Calafiore, si sono spinti fino al cuore del nostro Paese. Come sta emergendo dalle più recenti indagini, a pilotare le decisioni della Magistratura sono stati proprio loro, i nostri due zelanti avvocati siciliani. Tornati d’attualità a più di un anno dal loro arresto sappiamo che, oltre ad aver intrattenuto un rapporto centrale e determinante con l’Eni, a quanto pare ne avevano intessuto uno particolare proprio con l’ex presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati ed ex componente del Csm, quel Luca Palamara di cui non si fa altro che parlare in questi giorni.

Sono stati loro, Amara e Calafiore, facilitatori di grandi poteri, a pagare giornalisti per scrivere, di loro e contro i “nemici”. Loro, spesso, a decidere chi dovessero essere gli “eletti” in Parlamento, si pensi anche solo alla vicenda che ha coinvolto il pregiudicato Pippo Gennuso (in procinto di rientrarci, paradossi italiani), o dell’ex deputato Pippo Gianni (oggi sindaco di Priolo). Loro, Amara e Calafiore, persino a scegliere chi avrebbe dovuto essere il più adatto a ricoprire l’incarico di Procuratore a Gela – esattamente quello che avrebbe poi dovuto indagare (o non indagare), ad esempio, sul petrolchimico dell’Eni. Loro, insomma, ad aver influenzato negli anni molte questioni nevralgiche per il nostro Paese, loro ad aver “dato” le carte, vere o false. Loro in regia.

Partendo proprio da Augusta ho tentato di descrivere i loro affari nel mio “Un morto ogni tanto”, come in moltissime occasioni hanno fatto Mario Barresi per La Sicilia, o i colleghi de La Civetta e di Siracusa News nei loro racconti quotidiani, quando nessuno sembrava interessarsene. Adesso però sarebbe ora che tutti insieme si facesse e si chiedesse chiarezza fino in fondo. E senza sconti per nessuno. Che si precisassero ad esempio quali trame si siano potute intessere a partire da una provincia, quella di Siracusa, considerata “tranquilla” e senza mafia, quando invece vi hanno trovato riparo uomini del calibro di Simone Castello, già “postino” e uomo di fiducia di Bernardo Provenzano: proprio lui, l’uomo conosciuto per essere la mente della mafia imprenditoriale. Guadagni, intermediazioni, investimenti enormi, tutto a partire da Siracusa. Affari e soldi in un territorio che ha imparato molto presto e molto bene a farsi baricentro del Paese, trasformandosi in una delle più importanti culle della sua «mafia imprenditoriale»

Ma per comprendere bisogna ricostruire, bisogna legare frammento a frammento, tassello a tassello, isolare e poi accostare un fatto all’altro: per quanto persino da slegati questi possano apparirci drammaticamente complessi, o all’opposto di poco conto, se sovrapposti possono restituirci la complessità del fenomeno di cui stiamo parlando. Anche una tranquilla cena in barca d’estate, come quella di cui parlo nel mio libro, cui parteciparono alcuni fra i più importanti imprenditori del nostro Paese, deputati e non, o il caso di professionisti legati a società che partono da Castelvetrano, conosciuti per essere gli stessi “commercialisti delle società di Matteo Messina Denaro”. Allegre brigate che partendo dal nostro territorio sono state libere di fare il buono ed il cattivo tempo nel Paese. Un territorio, non dimentichiamocelo, che ha avuto diversi comuni sciolti per mafia, come Augusta – neanche a dirlo città di Amara -, Pachino (città del pomodorino più buono e insieme luogo di “riposo” per i boss più importanti di cosa nostra). Comuni come Avola, oggi con un accesso per valutarne le infiltrazioni mafiose. O Noto, capitale del Barocco e drammaticamente colpita dalla presenza di clan che hanno saputo legarsi alla politica in maniera particolarmente spregiudicata. E poi Lentini, culla del clan che unisce Catania a Siracusa, città degli affari di “munnizza” (leggasi spazzatura). O Priolo.

La vera questione è se c’è qualcuno che davvero ha voglia di riannodare tutti i fili e di ricostruire ciò che è stato. Molto di ciò che è accaduto ci suggerisce che proprio da qui si sia tentato di influenzare il più grande colosso industriale del nostro Paese: l’Eni. A Siracusa, indizi, o spiegazioni, se ne trovano. Bisogna cercarle, e volerle riconoscerle. Isolare e ricomporre ogni tassello. Mettendoli insieme il puzzle sarà completo. E una volta incorniciato, allora sì che ne vedremo delle belle.

(la mia analisi pubblicata questa mattina sulla prima pagina del lasicilia.it)

Paolo Borrometi

6 giugno 2019

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Grazie per l’attenzione. Con i più cordiali saluti.

Franco Oddo

Marina De Michele

Tutta la Redazione

Sono fiera, nel mio piccolo, di far parte dei collaboratori di questo giornale che dalla Sicilia, da Siracusa e dalla sua provincia, fa sentire la propria voce…
Un video di Rainews del giugno 2012…

 

 

 

Alcuni pezzi recenti…

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3923:lo-scrittore-vito-catalano-e-l-impronta-genetica-di-sciascia&catid=17&Itemid=143

Lo scrittore Vito Catalano e l’impronta “genetica” di Sciascia

MARIA LUCIA RICCIOLI
Venerdì, 29 Novembre 2019 19:00

Il nuovo romanzo “La notte della colpa” apre a suggestioni inaspettate

 

Nel maggio 2019 abbiamo salutato l’uscita in tutte le librerie e i web store de “I romanzi della black list”, per i tipi di Lisciani libri: storie gialle noir thriller, anche mirate ad un pubblico più giovane da avvicinare alla lettura, come è accaduto per le prime uscite.

Grazie al giornalista e scrittore Mariano Sabatini – tra l’altro spesso opinionista oltre che autore per la Rai, Tmc e altri network nazionali di programmi televisivi come “Tappeto volante”, “Campionato di lingua italiana”, “Parola mia”, “Uno Mattina”), ideatore e conduttore di ATuXTv e Techetechemé su InBlu Radio, autore di noir quali “L’inganno dell’ippocastano”, premio Flaiano opera prima 2017, e “Primo venne Caino” – abbiamo conosciuto l’Agenzia letteraria Maieutica e i suoi lanci di diversi prodotti editoriali tra cui l’antologia “Moon” curata da Divier Nelli (che comprende anche un racconto di Giada Trebeschi, uno dei volti di Maieutica) e, appunto, “I romanzi della black list”.

A questa collana appartiene “La notte della colpa” di Vito Catalano, palermitano, autore inoltre di “L’orma del lupo” e “Il pugnale di Toledo” per Avagliano e de “La sciabola spezzata” per Rubbettino.

Il primo uomo. Il secondo uomo. Il terzo uomo. Confessione. Senza via di scampo.

Come in un dramma in cinque atti, “La notte della colpa” si divide in cinque sezioni dalle trame in apparenza slegate ma che si interconnetteranno svelando il mistero della notte eponima, senza finali consolatori e senza che si ristabilisca – apparentemente – un equilibrio di giustizia e verità: forse la notte vera è quella dell’animo umano, capace di passione e forse anche di amore ma dal fondale oscuro; forse è la notte della memoria, i cui fantasmi continuano a perseguitarci nonostante l’apparenza luminosa di vite che apparecchiamo a noi stessi e agli altri ma che hanno la consistenza del fumo.

Vincenzo Cardella, Marcello Guzzo, Daniele Torrisi, Sergio Massaro – quanta Sicilia nei semplici nomi –, donne intriganti o forse davvero innamorate, l’incombere di misteri e ricatti, la leggenda oscura del castello di Liw, un’ombra che incombe da un passato sepolto…

La scrittura disvela eppure al contempo predispone depistaggi e cortine. Forse è lo specchio deformato dello stesso destino che “gioca e si fa beffe di noi uomini”.

“La Civetta di Minerva” ha intervistato Vito Catalano per voi.

L’occasione è doppiamente gradita perché è anche l’occasione per ricordare Leonardo Sciascia – di cui Vito Catalano è uno dei nipoti – nel trentesimo anniversario della scomparsa, avvenuta il 20 novembre del 1989.

Senza voler troppo svelare della trama, mi è venuto spontaneo fare un’associazione con certo Cornell Woolrich: quali sono i suoi modelli di riferimento?

Sì, ha centrato. Nello scrivere il romanzo erano presenti in me grandi autori di noir e thriller attivi intorno alla metà del Novecento: l’americano Cornell Woolrich, appunto, e insieme a lui Georges Simenon e la coppia Boileau-Narcejac (ma anche il cinema di Hitchcock dello stesso periodo).

Alla base del romanzo, ma forse potremmo dire di ogni buona storia, c’è il disvelamento di una “impostura”, specie quando parliamo di gialli thriller noi nelle loro innumerevoli sfaccettature. Impossibile non ripensare alle riscritture e alle imposture sciasciane. In “La notte della colpa” l’impostura è privata e i riferimenti alla società sono blandi e lontani. Ma è proprio così? I personaggi del romanzo e le “imposture” delle loro vite, che li conducono alla colpa, all’espiazione o al castigo – non c’è comunque redenzione in questo romanzo e forse ne è spia lo stesso linguaggio, referenziale, raggelato, distaccato, quasi anodino nella sua registrazione dei fatti – possono essere ricondotti ad un male sociale oppure il male che li pervade è radicale, incistato nella condizione umana?

Almeno nelle mie intenzioni, al centro della narrazione c’è la condizione umana più che un male sociale. D’altra parte ogni lettore sente, vive e vede a modo proprio ciò che legge e dunque altre letture sono possibili al di là di quelle che erano le mie intenzioni iniziali.

I luoghi del romanzo spaziano da una Palermo e una Randazzo per nulla oleografiche o da cartolina a una Polonia inedita, quindi appaiono provinciali nel senso cechoviano e internazionali insieme, quasi universali – anche se, fresca di rilettura de “Il maestro di Regalpetra” di Matteo Collura, ho sussultato nel leggere alcune descrizioni -: questo rispecchia la sua vita personale e il suo lavoro? C’è una volontà precisa di fare dei luoghi un “everywhere” in cui ogni lettore possa trovarsi a suo agio?

Sì, i luoghi narrati rispecchiano le mie esperienze di vita. Palermo è la città dove sono nato e cresciuto; con Randazzo e con la campagna etnea ho una certa confidenza; a Varsavia vivo per buona parte dell’anno. È anche vero che credo bello e riuscito che ognuno trovi senza difficoltà delle immagini leggendo i luoghi descritti dall’autore. Quando, ne “I miserabili”, leggiamo della piccola Cosette che deve andare a prendere l’acqua percorrendo la via che dal paese esce fino ad arrivare al bosco buio, Victor Hugo ci sta parlando del paesaggio intorno a Montfermeil ma ad ogni lettore non viene facile associare i luoghi descritti a quelli che gli sono familiari o che conosce?

I suoi progetti futuri: a cosa sta lavorando? Il genere che ha frequentato finora le è più congeniale o farà incursione in altri campi della scrittura letteraria?

Ci sono in cantiere due romanzi a sfondo storico che incrociano mistero e avventura, ambientati entrambi in Sicilia (uno nel XVII secolo, l’altro nel XVIII). La mia immaginazione viene più intensamente stimolata da immagini e vicende legate al passato. Ma alle volte i percorsi di ognuno di noi fanno svolte inaspettate.

 

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Nei Dialoghi con Sciascia a Siracusa più poli tematici

MARIA LUCIA RICCIOLI
Mercoledì, 04 Dicembre 2019 09:11
Su mafia, teatro, ironia e ragione, Sicilia e Messico. Il convegno dell’Associazione Radicali Italiani si è svolto nel liceo scientifico Einaudi

 

La Civetta di Minerva, novembre 2019

Trent’anni senza Leonardo Sciascia. Senza le sue parole, senza i suoi libri articoli interventi sempre puntuali, affilati come solo la verità ricercata indagata perseguita con rigore lucido può essere. Senza il suo sorriso che ricorda quello dell’ignoto marinaio di Antonello su cui il conterraneo e sodale Consolo ebbe a scrivere. “Ce ne ricorderemo, di questo pianeta”. Così recita la sua epigrafe tombale, a suggellare con una frase di Villiers una vita che ha fatto delle contraddizioni tra razionalismo illuminista e il salto verso un “di più”, degli incontri-scontri di parole, del disvelamento delle imposture, dell’indagine – diremmo poliziesca nel metodo, filosofica e radicale nell’intenzione – le sue cifre distintive.

Particolarmente meritoria ci sembra allora l’iniziativa di Alexandria – Associazione Radicali Italiani per ricordarlo: i “Dialoghi con Sciascia” si svolgeranno a Siracusa giorno 22 e 23, presso rispettivamente la sede del Liceo “Luigi Einaudi” di Siracusa e la sede del centro studi arti e scienze “Il Cerchio”; il convegno di venerdì vedrà la partecipazione del giornalista e scrittore Matteo Collura (tra l’altro autore per TEA della documentata, splendida biografia di Sciascia intitolata “Il maestro di Regalpetra”: Sciascia, che nella sua vita fu doppiamente maestro nella sua Racalmuto trasfigurata letterariamente e divenuta metafora della Sicilia sineddoche del mondo, qui è colto nella sua parabola esistenziale e culturale con un piglio da saggista e romanziere insieme), Elio Cappuccio del Collegio Siciliano di Filosofia, Alessio Lo Giudice in veste di filosofo del diritto, Andrea Bisicchia storico del teatro, Gianfranco Spadaccia – già parlamentare del Partito Radicale –, moderatore Vincenzo Pennone (delle cui iniziative culturali con Alexandria si è spesso occupata La Civetta, come il convegno su Vittorini, le pubblicazioni e le conferenze sullo sport a Siracusa, mostre d’arte). Introdurranno l’incontro la dirigente scolastica Teresella Celesti e Fabio Granata, assessore alla cultura.

Politica e mafia, teatro, ironia e ragione, Sicilia e Messico – Messico e nuvole ci scapperebbe di penna per citare un verso di canzone –: questi i poli tematici intorno ai quali ruoterà il convegno, che inizierà nella sede dell’istituto alle 9.30. Le letture saranno a cura degli stessi studenti guidati da una voce d’eccezione, quella dell’attore Davide Sbrogiò, non nuovo alle collaborazioni con Alexandria.

L’incontro di giorno 23 si è svolto invece presso la sede de Il Cerchio in Via Arsenale 40/A.

Manca, la voce di Sciascia, a questo tempo immemore, a questa Sicilia sempre più zattera nel Mediterraneo, a questa Italia che cerca punti di riferimento o che forse ha disimparato a cercarli negli scrittori, negli intellettuali, nelle voci di razza come quella di Leonardo Sciascia, il “Nanà” che seppe fare della Sicilia l’omphalos del mondo.

Doveroso quindi ricordarlo come merita e come nel corso degli anni e con questa iniziativa ha mostrato di voler fare Alexandria – molto ci sarebbe da dire, tra l’altro, del rapporto tra Sciascia e Siracusa, le sue librerie, specie Mascali, i suoi artisti e scrittori, come Tranchino e Di Silvestro, e forse questi due incontri saranno l’occasione per dibatterne e soprattutto rievocare.

“Ce ne ricorderemo, di Leonardo Sciascia”.

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Intervista all’autrice di “Detti celebri delle mamme sicule”

MARIA LUCIA RICCIOLI
Mercoledì, 04 Dicembre 2019 09:29
La catanese Consuelo Consoli: “In questo libro emerge la figura della mater sicula, nell’educazione dei figli. Intanto sto lavorando al penultimo capitolo di un romanzo fantasy…”

 

“La Civetta di Minerva” si è occupata già in passato di Consuelo Consoli, catanese, che insegna educazione sanitaria nelle scuole e nel contempo coltiva la passione per la scrittura: “Amori impossibili” è la sua raccolta d’esordio; ha collaborato con alcuni dei suoi racconti ad antologie edite da Bonanno, Algra Editore, Ensemble, L’Erudita e Perrone; ha curato insieme a Luigi La Rosa i volumi antologici “Aurore”, “Zenith” e “Ci rifaremo vivi” per Algra di Alfio Grasso, l’editore che ha pubblicato anche il suo primo romanzo, “Un solo abbraccio”.

Salutiamo l’uscita, sempre per i tipi di Algra Editore, del suo “Detti celebri delle mamme sicule”, in cui l’autrice sviscera con ironia alcune frasi fatte che le donne siciliane si tramandano di generazione in generazione: dietro il modo di dire c’è un mondo fatto di storie che affondano le proprie radici nella cultura matricentrica della società siciliana, a dispetto del patriarcato – in fondo la mater familias siciliana è sempre stata il perno delle comunità, dei “cuttigghi”, dei rioni, dei quartieri, e tende ancora ad esercitare il proprio potere, fatto questo cristallizzato nelle frasi analizzate da Consuelo Consoli con la sua catanesitas di mater sicula tutta verve e autoironia: chi non ha detto o non si è sentito dire “Mancia ca si’ patutu” oppure non si è sentito apostrofare con ossimoriche considerazioni quali “Si’ sempri rintra” versus “Si’ sempri fora”?

Ma parliamone con l’autrice, che ha presentato il volume ad Aci Sant’Antonio – attendiamo l’imminente presentazione siracusana –, relatrice la giornalista Lucia Russo, anche lei non nuova alle incursioni letterarie, lettore d’eccezione l’attore Bruno Torrisi, noto ai più sia per l’interpretazione del Questore Licata nella serie “Squadra antimafia – Palermo oggi” che nella costola “Rosy Abate – La serie” e che abbiamo avuto modo di apprezzare recentemente nella produzione Rai dedicata alla storia di Enrico Piaggio.

Com’è nato “Detti celebri delle madri sicule”?

Da uno scherzo con mia figlia. Mi rimprovera sempre di esprimermi per stereotipi.

Qual è il tuo rapporto con il dialetto siciliano? (Ricordiamo, tra l’altro, che quest’opera ha ricevuto il premio Umberto Domina come migliore lavoro a carattere siciliano).

Il dialetto è una lingua che amo e desidero conservare e tramandare. Mi ricorda i miei nonni, soprattutto Antonia, nonna materna, mi riporta all’incanto della fanciullezza e poi trovo che abbia delle espressioni impareggiabili e intraducibili.

Che figura di donna emerge dalle tue notazioni scherzose ma non troppo?

La mater sicula con tutto il suo bisogno di controllo e di protezione nei confronti dei suoi cari.

Quali sono i tuoi progetti di scrittura?

In questo preciso momento sono al penultimo capitolo di un fantasy. È un progetto nato in sintonia con un’amica pittrice, Anna Nolfo, che mi ha coinvolto con il suo entusiasmo a interessarmi alla cultura Maya e ai suoi miti. Tra poco uscirà l’ultima antologia curata con Luigi La Rosa, “Tracce di desiderio”. Ho in stand by un romanzo e, infine, una raccolta di racconti. Troppa roba, vero? È che scrivere mi piace proprio!

 

 

 

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“Nati per leggere” alla Biblioteca comunale di Canicattini Bagni

MARIA LUCIA RICCIOLI
Martedì, 03 Dicembre 2019 12:44
Leggere un libro ai neonati e ai bambini fino ai sei anni rinsalda il legame affettivo con l’adulto

La Civetta di Minerva, novembre 2019

“Gli Stati incoraggiano la produzione e la diffusione di libri per l’infanzia (Convenzione sui diritti del fanciullo, art. 17 comma C).

Sono iniziati a novembre gli incontri di Nati per Leggere: in occasione della settimana dedicata al progetto, la Biblioteca comunale “G. Agnello” di Canicattini Bagni e le volontarie di Nati per Leggere, Lucia Basile e Giusy Alicata, di concerto con l’Amministrazione comunale e grazie al coordinamento con l’insegnante Giuseppina Scatà del Primo istituto comprensivo “Giovanni Verga”, hanno incontrato i bambini di tre, quattro e cinque anni del plesso Giuseppe Mazzini.

Letture e sensibilizzazione sul “Diritto alle Storie” delle bambine e dei bambini: questo il cuore delle iniziative. Leggere un libro ai neonati e ai bambini fino a sei anni – cioè fino a quando non siano autonomi nella lettura – costituisce un’esperienza fondamentale per rinsaldare il legame affettivo tra l’adulto e il bambino, oltre che essere di capitale importanza per lo sviluppo linguistico e intellettivo, per “dare un nome” alle emozioni, per arricchire il patrimonio emotivo. Gli effetti della lettura – e qui sono pediatri e neuropsichiatri ad affermarlo – sono stati sperimentati e dimostrati: la stessa salute psicofisica del bambino risentirà di conseguenze positive di lunga durata grazie ad una “esposizione” precoce al libro e al mondo delle storie narrate, lette, inventate insieme ai genitori e agli adulti in genere (nella pagina <http://www.natiperleggere.it/il-vento-dei-20-convegno-e-fes…> potete scaricare il rapporto “Nati per Leggere 1999 – 2019. La storia, le attività, i risultati, le prospettive. – Trieste, Centro per la salute del bambino, 2019” e le videoregistrazioni del convegno e festa di compleanno del 26 settembre 2019).

Ecco gli appuntamenti che ne sono seguiti: venerdì 15 novembre, bambini di 4 anni del plesso Garibaldi e alle 11:30 bambini di 5 anni del plesso Garibaldi; lunedì 18 novembre, alle 9:30, bambini di 4 anni del plesso San Nicola; e, alle 10:30, bambini di 5 anni del plesso San Nicola; venerdì 22 novembre, alle 9:30, bambini di 3 anni del plesso Garibaldi; e alle 10:30, bambini di 3 anni del plesso San Nicola.

Tra i precursori a Canicattini Bagni e in provincia di Siracusa del progetto “Nati per Leggere” naturalmente menzioniamo la dottoressa Paola Cappè, che oltre a dirigere la Biblioteca comunale “G. Agnello” e a supportarne le iniziative collaterali come letture, incontri letterari e musicali, gaming – giochi da tavolo e oltre –, in sinergia con le realtà culturali del territorio, per rendere la Biblioteca luogo di incontro e aggregazione sociale oltre che di conservazione, consultazione e prestito del patrimonio librario – ricordiamo tra l’altro che proprio la Biblioteca di Canicattini è stata tra le prime in Italia ad ospitare il #BiblioHub – è Presidente regionale Sicilia dell’AIB (Associazione Biblioteche Italiane).

Ci sia consentito nominare due siracusani che si sono spesi per i progetti relativi all’infanzia e alla diffusione della cultura del libro nei suoi aspetti relazionali e sociali: l’indimenticato Pino Pennisi – è imminente il Festival dell’educazione 2019 progettato sulla scia del suo lavoro – e Tanina Zito, recentemente scomparsa, figura di volontaria luminosa.

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Nelly Marlier: L’arte come terapia

MARIA LUCIA RICCIOLI
Mercoledì, 20 Novembre 2019 15:04
“Ero affetta da artrite reumatoide, quando ho ripreso i pennelli in mano, poco alla volta i dolori sono scomparsi. Nella morbidezza della pittura ad olio, la voluttà della natura”

 

Nelly Marlier è stata per così dire “adottata” da Siracusa che l’ha accolta facendone una delle sue cittadine d’elezione: si è scelti da una città più che sceglierla e questo è particolarmente vero nel suo caso.

Donna curiosa, gentile, ironica e arguta, dai molteplici interessi – non ultima la scrittura creativa –, è appassionata di pittura: dal 15 al 18 novembre 2019, ha esposto ad Arte Padova; con alcuni dei suoi lavori ha partecipato a Torino, sino al 14 novembre, a una collettiva presso la Galleria Accorsi Arte, intitolata Mostra Internazionale d’Arte Contemporanea; ha siglato un contratto di un anno sempre con la Galleria Accorsi Arte e le sue tele saranno esposte sia nella sede di Torino che in quella di Venezia.

Le sue opere possono anche essere viste dai nostri lettori in due negozi virtuali: il primo con Gigarte (https://www.gigarte.com/nellymarlier); il secondo con Pitturiamo; il terzo è in fase di realizzazione. La intervistiamo.

Quando hai iniziato a dipingere? Quali sono le tecniche che prediligi?

Ho iniziato a dipingere cinque o sei anni fa. Ho preso lezioni da un maestro per circa due anni, si può dire però che sia autodidatta. Principalmente olio su tela: mi piace l’untuosità e la morbidezza della pittura ad olio, il vedere come i pigmenti si mescolano tra di loro, gli arabeschi che formano man mano che i colori si amalgamano. Mi dà un senso di dolce voluttà. Quella parte che a volte precede l’azione di dipingere mi dà un senso di pace mentre il mescolare direttamente i colori sulla tela mi inebria. Per questo, la mia pennellata è formosa. I pigmenti devono avvicinarsi, incontrarsi, baciarsi, a volte compenetrarsi. Ogni volta è qualche cosa di diverso e mi capita di lasciare al caso il risultato finale. Mi piace accarezzare i miei dipinti ad occhi chiusi per assaporare la texture sotto le dita. Mi piace pensare che le mie tele siano sentite non solo guardate.

Quali soggetti preferisci?

I soggetti che preferisco sono quelli appartenenti alla natura: le nuvole, l’acqua, la vegetazione… Mi piace interpretare a modo mio paesaggi, tramonti, albe. Adoro i riflessi della luce e i giochi che essa crea nell’acqua. Mi perdo nel vedere fremere la superficie di un torrente, nell’osservare il via vai delle nuvole, il loro cambiar forma in continuazione.

Per ora, dipingo in atelier spesso da foto realizzate da me o da amici. Ma, appena starò ancora meglio di salute, desidero dipingere en plein air. È importante poter utilizzare tutti i sensi. L’udito e l’olfatto anch’essi trasmettono sensazioni influendo la percezione dell’ambiente.

Credi che l’arte abbia una funzione catartica, oltre che estetica? C’è una connessione tra arte e benessere psicofisico a tuo modo di vedere?

Questa domanda riveste per me un’importanza fondamentale, perché tocca uno degli aspetti per me più importanti e che vorrei far conoscere attorno a me perché penso possa aiutare persone ammalate a ritrovare fiducia, libertà di pensiero e d’azione e a liberarsi dalle paure.

Tutto è nato dalla malattia, l’artrite reumatoide. Nel 2001, la diagnosi dopo mesi di terribili dolori fisici e di limitazioni sempre più diffuse nell’uso delle mani e nel camminare. È iniziato allora il percorso della malattia cronica, invalidante e senza ritorno. Così, in effetti, mi presentarono questa compagna degli anni che avevo di fronte.

A distanza di anni, di terapie mediche spesso pesanti, di rifiuto della malattia e delle medicine, di digiuni esagerati, di ricerche di percorsi per una crescita interiore, di lettura di decine e decine di libri, di un ricovero ospedaliero urgente, arriva la consapevolezza di voler riprendere i pennelli in mano subito, oggi, domani, e di nuovo, sempre più spesso. E un pomeriggio di un anno fa circa, mi resi conto che i dolori erano praticamente scomparsi mentre seduta davanti al cavalletto ed ascoltando i Queen stavo dipingendo un tormentato cielo nuvoloso. Ho ripetuto l’esperimento il giorno dopo. Sostituii gli antidolorifici con la pittura e… funzionò. E funziona ancora oggi. Funziona sul fisico ma anche sulla mente.  Ho ritrovato le forze che avevo perse da lungo tempo, ho ritrovato la voglia di incontrare gente, ho ricominciato a fare progetti.  Per me, è una rinascita.

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Michelle Messina Reale: “La Sicilia e Siracusa sono il mio rifugio”

MARIA LUCIA RICCIOLI
Sabato, 02 Novembre 2019 20:02
La scrittrice e poetessa di Philadelfia è autrice di molte opere, tra cui “Season of Subtraction”, che richiama la nostra prosa d’arte di primo ‘900

 

La Civetta di Minerva, 26 ottobre 2019 – I legami tra gli italoamericani e il nostro paese sono fatti di sangue ma anche di sapori, di odori, di lingua storie tradizioni. Di parole. È così anche per Michelle Messina Reale, scrittrice e poetessa di Philadelphia, docente associata presso l’Arcadia University della Pennsylvania (tra l’altro fondatrice e direttrice del progetto “Ovunque Siamo: New Italian-American Writing”), che unisce gli interessi accademici – è tra l’altro responsabile dei servizi di accesso, di ricerca e comunicazione dell’ateneo – all’attitudine poetica e narrativa: testi come “Inquiry and Research: A Relational Approach in the Classroom”, “Mentoring and Managing Students in the Academic Library, The Indispensable Academic Librarian: Teaching and Academig for Change” e “Becoming a Reflective Librarian and Teacher: Strategies for Mindful Academic Practice” si alternano ad opere come “Season of Subtraction – Prose Poems” (Bordighera Press, New York 2019), raccolta di poesie in prosa o di prose poetiche che dir si voglia, genere che richiama la nostra prosa d’arte di primo Novecento, la rivista “La Voce”, certi calligrafismi tra l’ermetico e il crepuscolare.

Ma qui la “stagione della sottrazione” è molto di più: “ciò che va via è ciò che rimane”, come recitano in esergo le parole di Charles Wright: il tempo sottrae volti odiosamati, gesti, voci, consuma gli oggetti ma ne lascia le persistenti reliquie nella retina ostinata della memoria. E si fa parola. Accurata, precisa, geometrica. Preziosa. Eppure allusiva, sfuggente, enigmatica. Parola che tende a definire, scolpire, dipingere con nettezza, parola che rivela, che ricerca, che rievoca un passato a volte difficile da rielaborare, luoghi dell’anima, antenati che sono custodi ma anche presenze insistenti, fantasmi inconciliati o memento per un presente da ridefinire. Per un futuro che è carico del peso dolce e insieme amaro del passato.

“Season of Subtraction” è dunque uno scavo memoriale e insieme un lavoro di immaginazione alla ricerca delle proprie radici, un viaggio tra i rami noti e sconosciuti della propria famiglia, un’indagine sul senso della presenza propria e altrui nel mondo, tra nostalgia per la terra d’origine e la vita oltreoceano.

Abbiamo incontrato Michelle Messina Reale insieme a Patti Trimble in occasione di un reading trilingue, a Siracusa, grazie all’iniziativa “101 Poets for Change”; poi i contatti in rete, un caffè in Ortigia a parlare di poesia e di Trump, di Sicilia e d’America. Ecco qualche risposta alle nostre domande.

Le tue radici italiane e familiari sono molto forti e questo risalta chiaramente anche negli allusivi versi del tuo libro. Puoi parlarcene?

I miei legami familiari con l’Italia sono molto forti, questo è un nodo che non si spezzerà mai. Ancora ho molti parenti in Italia, specialmente in Sicilia. Ho avuto un’infanzia molto italiana: scuola prevalentemente italoamericana, parrocchia italoamericana e vicinato italoamericano. Ci sentivamo diversi dagli altri perché la nostra cultura era molto forte. A mia madre non piacevano i modi di fare o le abitudini che non coincidessero con le nostre. Ha sempre pensato che gli americani fossero freddi ed egoisti, e non apprezzava la loro idea di famiglia. Eravamo diversi.

La Sicilia e Siracusa sono per te dei luoghi dell’anima, vero?

Trascorro molto tempo in Sicilia, che è semplicemente “casa” per me [… da notare che Michelle Messina Reale usa la parola “home”, che in inglese significa sia “casa” nel senso più domestico e intimo sia “patria”, un po’ come avviene con il latino “domi”, n.d.r.]. La Sicilia e Siracusa sono il mio rifugio. Lo avverto non appena arrivo proprio perché posso rilassarmi. Questo è un aspetto molto diverso rispetto al modo di vivere americano, che mantiene un passo molto veloce e mette in competizione le persone tra loro. Io vivo vicino Philadelphia e la “cultura” può essere molto dura, sbrigativa e perfino rude. A Siracusa trovo ancora gentilezza nelle persone, vedo che la gente dà valore al tempo e agli altri. E il mare sempre bellissimo a fare da panorama e da sfondo pacifica la mia anima.

“Sottrazione” è una parola piena di significati: ha qualcosa a che vedere con le mancanze nella nostra vita e nel nostro spirito, ma la sottrazione è anche il potere dell’artista: eliminare ciò che è vecchio e morto per lasciar crescere ciò che rimane. Sei d’accordo?

Sono pienamente d’accordo su ciò che dici su “Season of Subtraction”! Ci sono molte ferite traumatiche nella mia famiglia. Mio nonno non avrebbe mai voluto lasciare la Sicilia ma fu costretto a farlo… odiava gli States e tutto ciò che comportava viverci. Questo lo rese rabbioso e aggressivo verso tutti e verso la vita. Noi siamo stati costretti a fare i conti con le sofferenze che ha provocato. E la figlia che ebbe e non riconobbe mai ferì tutti noi. Quel rifiuto fu difficile da accettare. Quando trovammo la sorella di mio padre, cercammo di costruire un rapporto nuovo. Lei dice di sentirsi siciliana, ma visto che non è stata cresciuta come tale, non riesce a spiegarsi perché provi questo! [Nella postfazione del libro, Michelle Messina Reale riassume la rocambolesca vicenda della ricerca di questa zia “sottratta”, motore pulsante dei versi di “Season of Subtraction”, omaggio alla tenacità dei legami, n.d.r.].

I tuoi versi sono come prosa e la tua prosa è molto poetica… questo è comune nella poesia americana attuale oppure nella storia più antica o recente della letteratura americana?

No, non è molto comune nella poesia americana, ma è una forma che amo molto utilizzare perché mi permette di usare un linguaggio molto immaginifico in una piccola forma narrativa. Amo leggere poesie in prosa e scriverne, anche!

Salutiamo Michelle Messina Reale e attendiamo le nuove raccolte “Confini: Poems of Refugees in Sicily” e “In the Blink of a Mottled Eye”, che vedranno la luce tra il 2019 e il 2020 per i tipi di Cervena Barva Press e Kelsey Books.

 

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In “Fratelli di cielo” di don Aprile liriche e testimonianze di fede

MARIA LUCIA RICCIOLI
Domenica, 23 Giugno 2019 22:20
Il libro comprende la prefazione di Claudio Maniago, vescovo di Castellaneta, e i contributi di vari poeti

 

La Civetta di Minerva, 15 giugno 2019

“La Civetta di Minerva” ha dedicato diversi articoli all’opera pastorale e letteraria di don Raffaele Aprile, che, dopo “Innamorato del cielo”, ha deciso di dare alle stampe il volume “Fratelli di cielo – in versi si raccontano in cammino con Maria” (Bonfirraro Editore), che verrà presentato il 20 giugno alle ore 20 presso il Salone Baranzini della Basilica Santuario Madonna delle Lacrime di Siracusa.

Don Aprile, augustano, oltre a svolgere il suo ministero presbiteriale come assistente spirituale del gruppo di preghiera Madonna delle Lacrime e del gruppo Caritas, accoglie i pellegrini che vengono a visitare la Basilica Santuario e si occupa anche delle missioni con il Reliquiario. Ricordiamo alcuni dei riconoscimenti che ha ottenuto per la sua passione per la scrittura: ha partecipato alla stesura di un’antologia poetico-letteraria in omaggio a Luigi Pirandello a cura di Giuseppe La Delfa, al libro di don Francesco Cristofaro, conduttore televisivo presso Padre Pio TV e a vari concorsi poetici (quello di Favara intitolato ad Ignazio Buttitta, “Il Federiciano”…); per iniziativa del parroco don Domenico Cirigliano, a ricordo della visita del Reliquiario della Madonna delle Lacrime, è stato collocato in modo definitivo nella parete laterale esterna della Chiesa Madre di Rocca Imperiale il quadretto della Madonnina con una sua preghiera/poesia Vergine delle Lacrime; collabora col settimanale “Notizie della diocesi” di Carpi, curando una rubrica poetica.

La pubblicazione collettanea comprende la prefazione di Claudio Maniago, vescovo di Castellaneta, e di Francesco Maria Marino OP, una introduzione di Fabrizio Mattioli, Avvocato della Rota Romana, e i contributi dei poeti Monsignor Giuseppe Greco, Loris Filippetto, Sonia Accossano, Roberto Giovanni Bizzotto, Filippo Cacioppo, Albino Fattore, Don Ernesto Piraino, Giuseppe Puzzo, Maria Lucia Riccioli, Andrea Maniglia, Nino Cardillo, Don Pasqualino di Dio, Rita Masala, Suor Vincenzina Botindari, Michele Taboni, Rafał Soroczyński, Gruppo di Preghiera Carismatica Madonna delle Lacrime, Nicola Douglas De Fenzi, Claudia Koll e le testimonianze di Salvatore Pappalardo Arcivescovo di Siracusa, Aurelio Russo, Gabriele Russo, Lucia Palmieri, Gabriele Dini, Ida Vasta, Giuseppe Aletti, Danilo Zirone, Loris Filippetto: ecclesiastici e laici, semplici devoti e studiosi, ma comunque voci che narrano, che liricamente si effondono, voci pellegrine, in cammino dunque, come suggerisce il sottotitolo del volume.

Il libro raccoglie sia poesie che testimonianze di fede e di guarigione fisica e spirituale: la parola è canale privilegiato di espressione dei sentimenti più profondi e quindi anche della contemplazione mistica, del rapporto con la Natura e con il Divino, delle lacerazioni, delle sofferenze e delle gioie; se l’arte è a suo modo testimonianza, la narrazione di un percorso di vita, dei bivi e delle svolte inattese dovute ad un incontro con qualcosa che trascende il solco dell’abitudine o peggio ancora della rassegnazione lo è ad un altro livello.

 

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Paola M. Liotta: “Puntare su Fiamma Fogliani è stata una scommessa”

MARIA LUCIA RICCIOLI
Lunedì, 24 Giugno 2019 08:22
“Per me la scrittura è musica, esigenza che risuona di vibrazioni, sonorità, echi che intarsiano il romanzo”

 

La Civetta di Minerva, 15 giugno 2019

“La Civetta di Minerva” ha incontrato per voi Paola Maria Liotta, appassionata docente, fine poetessa e scrittrice (i suoi lavori poetici e narrativi le hanno meritato l’attenzione di critici e giurati in vari concorsi letterari come il Premio “Pietro Carrera” e il Premio Letterario Città di Castiglione “Cento Sicilie Cento Scrittori”), animatrice culturale nella sua Avola ed oltre. “Piano concerto Schumann” è il suo ultimo romanzo, uscito per i tipi de Il seme bianco.

Fiamma Fogliani, il maestro Marni e una misteriosa spinetta, “invenzione” all’interno di ciò che è manzonianamente “storia”, ovvero la musica e compositori come Schumann… quanto del tuo amore per la musica è confluito nella stesura del tuo romanzo?

L’amore per la musica convoglia e rappresenta i miei amori, i miei interessi, e molti altri sensi e sentimenti. E non ritroviamo nel romanzo solo Schumann, il cui celebre Piano Concerto gli dà il titolo e ne catalizza vicende e intrighi, ma anche molti altri bei nomi della musica. Le notizie legate all’invenzione del fortepiano, sullo sfondo, delineano il quadro perfetto in cui le passioni, le gioie, la forte testimonianza di vita della mia protagonista si incarnano a pieno. La scrittura, poi, è fatta di lettere e di suoni e, proprio come una musica, può riprodurre la musica della vita, le sue luci e le sue ombre. Sicuramente, questo romanzo è un atto d’amore per la musica, “la più rivelatoria di tutte le arti”, come asserisce, in un passo del romanzo, uno degli affascinanti personaggi maschili che ruotano attorno a Fiamma. Da ciò, si evince come la musica sia tutto (o quasi) anche per me.

Non sei nuova all’alternarsi di libri in prosa e di poesia… come convivono in te la narratrice e la poetessa oltre che la docente?

La narratrice in prosa e in versi e la docente convivono, in me, come i famosi “tria corda” dal momento che le possibilità della scrittura sono infinite. Mi esploro in questo e in molti altri modi, cercando di instillare nei miei studenti l’amore per la lettura. Per me, scrittura creativa, laboratorio di scrittura, biblioteca di classe sono parole magiche. Le parole veicolano idealità, interiorità, speranze, e oggi c’è molto bisogno di idee, di ideali e di speranza. L’amore per ciò che faccio si traduce pure in Paola che scrive in prosa, Paola che scrive versi, Paola che insegna. E in molte altre “Paole”, tutte riflessive, impavide, piene di voglia di fare, desiderose di nuovi mondi da scoprire, mai paghe di un fine, di uno scopo, pur di offrire alle giovani generazioni validi spunti di riflessione e spronarle verso il meglio per sé stesse e per la società attuale, tanto bisognosa d’amore, così devastata dall’egoismo, insanguinata da guerre e violenze di ogni sorta quale essa, purtroppo, è. E il riferimento agli aspetti negativi del reale rintocca in tutto il romanzo, in contrapposizione con la bellezza e con la solarità evocate dalla musica di Fiamma.

Scrivi che “La musica è energia, ma anche controllo; è rigore, ma anche avventura”. Credi possa dirsi lo stesso della scrittura?

Come per Fiamma Fogliani, la protagonista del “Piano Concerto Schumann”, la musica di Schumann, e tutta la musica è vita, così per me la scrittura è musica. La scrittura è un’esigenza insopprimibile, che risuona, come musica, di vibrazioni, di sonorità, di echi, quelli che intarsiano il percorso di ricerca che il romanzo traccia e disvela davanti ai nostri occhi. Leggendo di Fiamma, non si può non immaginarsela vibrante e appassionata, al suo piano. Per infondere questa vita alle parole, si scommette su di sé, ci si precipita a capofitto in un mondo che sta nascendo, evocato sulla carta, non meno reale di quello in cui viviamo, e non si può deviare o filtrare quanto sta nascendo mentre lo si crea, mentre lo si vive. Il rigore e l’eleganza sono connaturati sia alla buona musica che alla buona scrittura: dipende da quanto si è fedeli a criteri stilistici e di buon gusto che corrispondano esattamente all’onestà dei nostri stessi intenti di scrittura. La storia si rivela e piace nell’esatta misura in cui scatta il riconoscimento di chi legge in quelle pagine, ricreando in proprio la storia, vivendola in consonanza – o meno – con il proprio mondo interiore. La scrittura è una bellissima avventura dello spirito se ci trasporta nell’altro, e nell’oltre, sempre in adesione con quanto sentiamo, con quanto vogliamo dire, con il messaggio che affidiamo al nostro scritto.

Fiamma Fogliani è artista e donna. Quanto ha contato per te confrontarti con le figure di musiciste come la tua protagonista?

Nel romanzo vi è una miriade di figure femminili: pianiste quali Clara Wieck Schumann, Annie Fisher, Clara Haskil, Martha Argerich, Hélène Grimaud, ma anche artiste, tipo Giovanna Fratellini, pittrice di corte che venne paragonata a Rosalba Carriera e fu la ritrattista della Gran Principessa Beatrice Violante di Baviera. Quest’ultima visse proprio alla corte medicea e dovette conoscere il ‘nostro’ Bartolomeo Cristofori, l’inventore del gravicembalo ‘col piano e col forte’, cioè l’antenato del pianoforte. Man mano che la storia cresceva e sbocciava nelle mie righe, ho ritrovato tutte queste figure; alcune le conoscevo già, infatti amo molto la Argerich, come pianista, e la Grimaud. Menzionare Beatrice Violante mi ha permesso di darle il giusto risalto; peraltro, fu anche un’ottima statista nel governatorato della città di Siena. L’ultima volta che, in pubblico, ho accennato a questa galleria di figure eccezionali, e spesso le donne stanno ai margini della storia, o sono appena menzionate, mi son sentita dire, proprio da una donna: “Lei non ama molto gli uomini”! Ecco, vorrei sconfessare quest’appunto. Rendere il giusto tributo a figure obliate, o meno note di corrispettive personalità maschili, ha validato ulteriormente la mia scrittura di quegli slanci che io amo esprimere. Anche portare alla ribalta Fiamma Fogliani è stata indubbiamente una bella scommessa per dare corpo a ciò che io amo, alla vera bellezza, che ci deve guidare verso il meglio, nell’arte e nella vita.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3912:teresa-laterza-le-mie-sono-un-emozione-che-cambia&catid=17&Itemid=143

Teresa Laterza: “Le mie Schegge sono un’emozione che cambia”

MARIA LUCIA RICCIOLI
Mercoledì, 06 Novembre 2019 10:46
Raccolta di aforismi, riflessioni e poesie edita da CTL Edizioni, copertina di Rosa Rosita Loiodice

 

La Civetta di Minerva, 26 ottobre 2019

Torniamo ad occuparsi di Teresa Laterza: l’autrice, pugliese di origine, vive a Caltagirone ed è impegnata nel settore della formazione; collabora con testate giornalistiche locali, nazionali e internazionali, come il periodico dell’Automobile Club Bologna (AutoBo) e la Rivista Internazionale Le Muse, fondata da Paolo Borruto e Maria Teresa Liuzzo (direttrice), oltre a proporsi come editor e book counselor. Le sue incursioni poetiche e narrative spaziano dal romanzo “Imprevisti di primavera” (Kimerik) alle sillogi poetiche “I sentieri dell’anima”, “Le stagioni del cuore” e “Frammenti d’infinito” (Irda edizioni), dalla stesura di articoli e saggi ad una nuova silloge poetica, “Armonia d’essenza”.

La sua ultima pubblicazione è “Schegge”, raccolta di aforismi, riflessioni e poesie edita da CTL Edizioni di Nino Bozzi. La copertina è illustrata da Rosa Rosita Loiodice, tra l’altro curatrice editoriale.Scheggia è un frammento, scheggia è una freccia, scheggia è un proiettile che penetra le carni, ferisce e diventa parte di noi. Ma la scheggia che ci colpisce può essere una forza, una verità, un’emozione che provocandoci dolore ci restituisce contemporaneamente a noi stessi e alla nostra vera essenza, un lampo che illumina la nostra cecità. Come fa la parola, in primis quella poetica.

Ecco allora l’invito ad evitare gli abbracci mancati, a non lasciarsi rinchiudere “dai cancelli degli schemi”; ecco l’amore per l’arte e la parola, grazie ai quali si può attingere l’infinito, l’accoglienza di se stessi e del prossimo – migrante è anche chi cerca l’amore che la “patria” della sua famiglia gli ha negato e infinite sono le povertà mentali e spirituali –, ecco il richiamo all’interconnessione degli esseri viventi e dell’universo che si rivela anche nelle azioni e nei pensieri in apparenza insignificanti… perché la vita è un “gioco duale”. I versi sono lampi, briciole di ricordi, attimi di consapevolezza, bagliori di vero, gli aforismi e le considerazioni sono bocconi, minutaglie, tessere sparse di un mosaico di cui non conosciamo il disegno, quello sempre incompiuto della saggezza.

Il titolo “Schegge” è significativo e polisemico… cosa vuol dire per te e come lo hai scelto per intitolare il libro?

Esattamente: la scheggia penetra in profondità e lascia un segno. Può far male, ma induce alla riflessione. La nostra carne, il nostro corpo è la vita e le schegge sono le esperienze. È questo il motivo della scelta del titolo. Mi auguro che le mie poesie e le mie riflessioni aiutino a fare luce dove regnano il buio o le ombre.

I tuoi progetti futuri riguardano la teoria oltre che la pratica della scrittura: puoi anticiparci qualcosa?

Tra mille difficoltà, considerate le incombenze quotidiane, sto portando avanti la stesura di un saggio sulla scrittura. L’intento è quello di fornire consigli e regole utili a chi desideri scrivere un libro di qualsiasi genere, affinché l’opera possa incontrare l’interesse del pubblico. Si tratta, in sostanza, di una specie di vademecum dello scrivere efficacemente.

LA CIVETTA DI MINERVA del 23 novembre 2019

26 martedì Nov 2019

Posted by mlriccioli in Eventi culturali, Letteratura, Musica

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Ecco la nuova prima pagina de LA CIVETTA DI MINERVA… in edicola!

Ripubblico volentieri video e post che parlano del giornale. Sostenetelo, acquistatelo, abbonatevi…

https://www.facebook.com/ReportRai3/

Report questa sera 21.20 Rai3
La giustizia dovrebbe essere imparziale. Ma cosa succede se accusa, difesa e giudici si scambiano favori, soldi e informazioni segrete? Il sistema messo in piedi da Piero Amara, ex avvocato Eni, riesce a far aprire un’inchiesta presso la procura di Siracusa grazie ad una denuncia di Alessandro Ferraro, suo uomo di fiducia, che dichiara di essere stato sequestrato “da due neri ed un bianco”. Dietro la vicenda ci sarebbe un complotto contro il manager dell’Eni Claudio Descalzi. Peccato che sia il rapimento che il complotto risulteranno finti. L’inchiesta è di Luca Chianca.

#Report lunedì 21.20 Rai3
✓ Dove e chi fabbrica le divise dei militari italiani?
✓ Chi ha messo in piedi un sistema di potere per aggiustare sentenze e
aggiudicarsi appalti pubblici?

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Da non perdere questa puntata perché si parlerà del Sistema Siracusa, di cui si è occupato in prima linea il giornale LA CIVETTA DI MINERVA!

https://www.google.com/search?q=sistema+siracusa+%2B+la+civetta&rlz=1C1AVNA_enIT559IT562&oq=sistema+siracusa+%2B+la+civetta&aqs=chrome..69i57j0.10172j0j4&sourceid=chrome&ie=UTF-8

Report, stasera alle 21.20 su Rai 3, trasmette un’inchiesta sul sistema Amara, alias Sistema Siracusa, nell’ambito della quale anche noi della Civetta siamo stati intervistati nella sede della nostra redazione. E’ per noi – piccolo giornale di provincia – un grande onore avere questa ribalta nazionale ( F. Oddo)

La diretta con Stefano Lamorgese e Luca Chianca, che ha firmato l’inchiesta di giorno 15 sul sistema di potere messo in piedi dall’ex avvocato #Eni Piero Amara
#amaragiustizia #Report #fblive

Un grande grazie a Paolo Borrometi per le sue parole:

Magistrati, politici, imprenditori: così Siracusa mise in ginocchio l’Italia

In altre epoche saremmo già stati tutti quanti a indignarci per ciò che sta accadendo nella Magistratura del nostro Paese. Ben che vada, oggi siamo forse troppo distratti da altro per interessarci alla questione. Comunque incapaci di affrontarla nel suo insieme, ricomponendo i tanti tasselli di un puzzle giallo che sembriamo ostinarci a non voler vedere una volta per tutte montato, e incorniciato.

Il cuore di tutto si trova in provincia di Siracusa, ad Augusta. La città più ricca della provincia cela affari impressionanti (dal petrolchimico ai migranti, fino al neonato porto turistico, tra i più importanti di tutto il Sud). Ed è proprio da qui che due avvocati spregiudicati, Piero Amara e Giuseppe Calafiore, si sono spinti fino al cuore del nostro Paese. Come sta emergendo dalle più recenti indagini, a pilotare le decisioni della Magistratura sono stati proprio loro, i nostri due zelanti avvocati siciliani. Tornati d’attualità a più di un anno dal loro arresto sappiamo che, oltre ad aver intrattenuto un rapporto centrale e determinante con l’Eni, a quanto pare ne avevano intessuto uno particolare proprio con l’ex presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati ed ex componente del Csm, quel Luca Palamara di cui non si fa altro che parlare in questi giorni.

Sono stati loro, Amara e Calafiore, facilitatori di grandi poteri, a pagare giornalisti per scrivere, di loro e contro i “nemici”. Loro, spesso, a decidere chi dovessero essere gli “eletti” in Parlamento, si pensi anche solo alla vicenda che ha coinvolto il pregiudicato Pippo Gennuso (in procinto di rientrarci, paradossi italiani), o dell’ex deputato Pippo Gianni (oggi sindaco di Priolo). Loro, Amara e Calafiore, persino a scegliere chi avrebbe dovuto essere il più adatto a ricoprire l’incarico di Procuratore a Gela – esattamente quello che avrebbe poi dovuto indagare (o non indagare), ad esempio, sul petrolchimico dell’Eni. Loro, insomma, ad aver influenzato negli anni molte questioni nevralgiche per il nostro Paese, loro ad aver “dato” le carte, vere o false. Loro in regia.

Partendo proprio da Augusta ho tentato di descrivere i loro affari nel mio “Un morto ogni tanto”, come in moltissime occasioni hanno fatto Mario Barresi per La Sicilia, o i colleghi de La Civetta e di Siracusa News nei loro racconti quotidiani, quando nessuno sembrava interessarsene. Adesso però sarebbe ora che tutti insieme si facesse e si chiedesse chiarezza fino in fondo. E senza sconti per nessuno. Che si precisassero ad esempio quali trame si siano potute intessere a partire da una provincia, quella di Siracusa, considerata “tranquilla” e senza mafia, quando invece vi hanno trovato riparo uomini del calibro di Simone Castello, già “postino” e uomo di fiducia di Bernardo Provenzano: proprio lui, l’uomo conosciuto per essere la mente della mafia imprenditoriale. Guadagni, intermediazioni, investimenti enormi, tutto a partire da Siracusa. Affari e soldi in un territorio che ha imparato molto presto e molto bene a farsi baricentro del Paese, trasformandosi in una delle più importanti culle della sua «mafia imprenditoriale»

Ma per comprendere bisogna ricostruire, bisogna legare frammento a frammento, tassello a tassello, isolare e poi accostare un fatto all’altro: per quanto persino da slegati questi possano apparirci drammaticamente complessi, o all’opposto di poco conto, se sovrapposti possono restituirci la complessità del fenomeno di cui stiamo parlando. Anche una tranquilla cena in barca d’estate, come quella di cui parlo nel mio libro, cui parteciparono alcuni fra i più importanti imprenditori del nostro Paese, deputati e non, o il caso di professionisti legati a società che partono da Castelvetrano, conosciuti per essere gli stessi “commercialisti delle società di Matteo Messina Denaro”. Allegre brigate che partendo dal nostro territorio sono state libere di fare il buono ed il cattivo tempo nel Paese. Un territorio, non dimentichiamocelo, che ha avuto diversi comuni sciolti per mafia, come Augusta – neanche a dirlo città di Amara -, Pachino (città del pomodorino più buono e insieme luogo di “riposo” per i boss più importanti di cosa nostra). Comuni come Avola, oggi con un accesso per valutarne le infiltrazioni mafiose. O Noto, capitale del Barocco e drammaticamente colpita dalla presenza di clan che hanno saputo legarsi alla politica in maniera particolarmente spregiudicata. E poi Lentini, culla del clan che unisce Catania a Siracusa, città degli affari di “munnizza” (leggasi spazzatura). O Priolo.

La vera questione è se c’è qualcuno che davvero ha voglia di riannodare tutti i fili e di ricostruire ciò che è stato. Molto di ciò che è accaduto ci suggerisce che proprio da qui si sia tentato di influenzare il più grande colosso industriale del nostro Paese: l’Eni. A Siracusa, indizi, o spiegazioni, se ne trovano. Bisogna cercarle, e volerle riconoscerle. Isolare e ricomporre ogni tassello. Mettendoli insieme il puzzle sarà completo. E una volta incorniciato, allora sì che ne vedremo delle belle.

(la mia analisi pubblicata questa mattina sulla prima pagina del lasicilia.it)

Paolo Borrometi

6 giugno 2019

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Grazie per l’attenzione. Con i più cordiali saluti.

Franco Oddo

Marina De Michele

Tutta la Redazione

Sono fiera, nel mio piccolo, di far parte dei collaboratori di questo giornale che dalla Sicilia, da Siracusa e dalla sua provincia, fa sentire la propria voce…
Un video di Rainews del giugno 2012…

 

 

 

Alcuni pezzi recenti…

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Lo scrittore Vito Catalano e l’impronta “genetica” di Sciascia

MARIA LUCIA RICCIOLI

 

Venerdì, 29 Novembre 2019 19:00

Il nuovo romanzo “La notte della colpa” apre a suggestioni inaspettate

 

Nel maggio 2019 abbiamo salutato l’uscita in tutte le librerie e i web store de “I romanzi della black list”, per i tipi di Lisciani libri: storie gialle noir thriller, anche mirate ad un pubblico più giovane da avvicinare alla lettura, come è accaduto per le prime uscite.

Grazie al giornalista e scrittore Mariano Sabatini – tra l’altro spesso opinionista oltre che autore per la Rai, Tmc e altri network nazionali di programmi televisivi come “Tappeto volante”, “Campionato di lingua italiana”, “Parola mia”, “Uno Mattina”), ideatore e conduttore di ATuXTv e Techetechemé su InBlu Radio, autore di noir quali “L’inganno dell’ippocastano”, premio Flaiano opera prima 2017, e “Primo venne Caino” – abbiamo conosciuto l’Agenzia letteraria Maieutica e i suoi lanci di diversi prodotti editoriali tra cui l’antologia “Moon” curata da Divier Nelli (che comprende anche un racconto di Giada Trebeschi, uno dei volti di Maieutica) e, appunto, “I romanzi della black list”.

A questa collana appartiene “La notte della colpa” di Vito Catalano, palermitano, autore inoltre di “L’orma del lupo” e “Il pugnale di Toledo” per Avagliano e de “La sciabola spezzata” per Rubbettino.

Il primo uomo. Il secondo uomo. Il terzo uomo. Confessione. Senza via di scampo.

Come in un dramma in cinque atti, “La notte della colpa” si divide in cinque sezioni dalle trame in apparenza slegate ma che si interconnetteranno svelando il mistero della notte eponima, senza finali consolatori e senza che si ristabilisca – apparentemente – un equilibrio di giustizia e verità: forse la notte vera è quella dell’animo umano, capace di passione e forse anche di amore ma dal fondale oscuro; forse è la notte della memoria, i cui fantasmi continuano a perseguitarci nonostante l’apparenza luminosa di vite che apparecchiamo a noi stessi e agli altri ma che hanno la consistenza del fumo.

Vincenzo Cardella, Marcello Guzzo, Daniele Torrisi, Sergio Massaro – quanta Sicilia nei semplici nomi –, donne intriganti o forse davvero innamorate, l’incombere di misteri e ricatti, la leggenda oscura del castello di Liw, un’ombra che incombe da un passato sepolto…

La scrittura disvela eppure al contempo predispone depistaggi e cortine. Forse è lo specchio deformato dello stesso destino che “gioca e si fa beffe di noi uomini”.

“La Civetta di Minerva” ha intervistato Vito Catalano per voi.

L’occasione è doppiamente gradita perché è anche l’occasione per ricordare Leonardo Sciascia – di cui Vito Catalano è uno dei nipoti – nel trentesimo anniversario della scomparsa, avvenuta il 20 novembre del 1989.

Senza voler troppo svelare della trama, mi è venuto spontaneo fare un’associazione con certo Cornell Woolrich: quali sono i suoi modelli di riferimento?

Sì, ha centrato. Nello scrivere il romanzo erano presenti in me grandi autori di noir e thriller attivi intorno alla metà del Novecento: l’americano Cornell Woolrich, appunto, e insieme a lui Georges Simenon e la coppia Boileau-Narcejac (ma anche il cinema di Hitchcock dello stesso periodo).

Alla base del romanzo, ma forse potremmo dire di ogni buona storia, c’è il disvelamento di una “impostura”, specie quando parliamo di gialli thriller noi nelle loro innumerevoli sfaccettature. Impossibile non ripensare alle riscritture e alle imposture sciasciane. In “La notte della colpa” l’impostura è privata e i riferimenti alla società sono blandi e lontani. Ma è proprio così? I personaggi del romanzo e le “imposture” delle loro vite, che li conducono alla colpa, all’espiazione o al castigo – non c’è comunque redenzione in questo romanzo e forse ne è spia lo stesso linguaggio, referenziale, raggelato, distaccato, quasi anodino nella sua registrazione dei fatti – possono essere ricondotti ad un male sociale oppure il male che li pervade è radicale, incistato nella condizione umana?

Almeno nelle mie intenzioni, al centro della narrazione c’è la condizione umana più che un male sociale. D’altra parte ogni lettore sente, vive e vede a modo proprio ciò che legge e dunque altre letture sono possibili al di là di quelle che erano le mie intenzioni iniziali.

I luoghi del romanzo spaziano da una Palermo e una Randazzo per nulla oleografiche o da cartolina a una Polonia inedita, quindi appaiono provinciali nel senso cechoviano e internazionali insieme, quasi universali – anche se, fresca di rilettura de “Il maestro di Regalpetra” di Matteo Collura, ho sussultato nel leggere alcune descrizioni -: questo rispecchia la sua vita personale e il suo lavoro? C’è una volontà precisa di fare dei luoghi un “everywhere” in cui ogni lettore possa trovarsi a suo agio?

Sì, i luoghi narrati rispecchiano le mie esperienze di vita. Palermo è la città dove sono nato e cresciuto; con Randazzo e con la campagna etnea ho una certa confidenza; a Varsavia vivo per buona parte dell’anno. È anche vero che credo bello e riuscito che ognuno trovi senza difficoltà delle immagini leggendo i luoghi descritti dall’autore. Quando, ne “I miserabili”, leggiamo della piccola Cosette che deve andare a prendere l’acqua percorrendo la via che dal paese esce fino ad arrivare al bosco buio, Victor Hugo ci sta parlando del paesaggio intorno a Montfermeil ma ad ogni lettore non viene facile associare i luoghi descritti a quelli che gli sono familiari o che conosce?

I suoi progetti futuri: a cosa sta lavorando? Il genere che ha frequentato finora le è più congeniale o farà incursione in altri campi della scrittura letteraria?

Ci sono in cantiere due romanzi a sfondo storico che incrociano mistero e avventura, ambientati entrambi in Sicilia (uno nel XVII secolo, l’altro nel XVIII). La mia immaginazione viene più intensamente stimolata da immagini e vicende legate al passato. Ma alle volte i percorsi di ognuno di noi fanno svolte inaspettate.

 

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3918:nelly-marlier-l-arte-come-terapia&catid=17:cultura&Itemid=143

Nelly Marlier: L’arte come terapia

MARIA LUCIA RICCIOLI
Mercoledì, 20 Novembre 2019 15:04
“Ero affetta da artrite reumatoide, quando ho ripreso i pennelli in mano, poco alla volta i dolori sono scomparsi. Nella morbidezza della pittura ad olio, la voluttà della natura”

 

Nelly Marlier è stata per così dire “adottata” da Siracusa che l’ha accolta facendone una delle sue cittadine d’elezione: si è scelti da una città più che sceglierla e questo è particolarmente vero nel suo caso.

Donna curiosa, gentile, ironica e arguta, dai molteplici interessi – non ultima la scrittura creativa –, è appassionata di pittura: dal 15 al 18 novembre 2019, ha esposto ad Arte Padova; con alcuni dei suoi lavori ha partecipato a Torino, sino al 14 novembre, a una collettiva presso la Galleria Accorsi Arte, intitolata Mostra Internazionale d’Arte Contemporanea; ha siglato un contratto di un anno sempre con la Galleria Accorsi Arte e le sue tele saranno esposte sia nella sede di Torino che in quella di Venezia.

Le sue opere possono anche essere viste dai nostri lettori in due negozi virtuali: il primo con Gigarte (https://www.gigarte.com/nellymarlier); il secondo con Pitturiamo; il terzo è in fase di realizzazione. La intervistiamo.

Quando hai iniziato a dipingere? Quali sono le tecniche che prediligi?

Ho iniziato a dipingere cinque o sei anni fa. Ho preso lezioni da un maestro per circa due anni, si può dire però che sia autodidatta. Principalmente olio su tela: mi piace l’untuosità e la morbidezza della pittura ad olio, il vedere come i pigmenti si mescolano tra di loro, gli arabeschi che formano man mano che i colori si amalgamano. Mi dà un senso di dolce voluttà. Quella parte che a volte precede l’azione di dipingere mi dà un senso di pace mentre il mescolare direttamente i colori sulla tela mi inebria. Per questo, la mia pennellata è formosa. I pigmenti devono avvicinarsi, incontrarsi, baciarsi, a volte compenetrarsi. Ogni volta è qualche cosa di diverso e mi capita di lasciare al caso il risultato finale. Mi piace accarezzare i miei dipinti ad occhi chiusi per assaporare la texture sotto le dita. Mi piace pensare che le mie tele siano sentite non solo guardate.

Quali soggetti preferisci?

I soggetti che preferisco sono quelli appartenenti alla natura: le nuvole, l’acqua, la vegetazione… Mi piace interpretare a modo mio paesaggi, tramonti, albe. Adoro i riflessi della luce e i giochi che essa crea nell’acqua. Mi perdo nel vedere fremere la superficie di un torrente, nell’osservare il via vai delle nuvole, il loro cambiar forma in continuazione.

Per ora, dipingo in atelier spesso da foto realizzate da me o da amici. Ma, appena starò ancora meglio di salute, desidero dipingere en plein air. È importante poter utilizzare tutti i sensi. L’udito e l’olfatto anch’essi trasmettono sensazioni influendo la percezione dell’ambiente.

Credi che l’arte abbia una funzione catartica, oltre che estetica? C’è una connessione tra arte e benessere psicofisico a tuo modo di vedere?

Questa domanda riveste per me un’importanza fondamentale, perché tocca uno degli aspetti per me più importanti e che vorrei far conoscere attorno a me perché penso possa aiutare persone ammalate a ritrovare fiducia, libertà di pensiero e d’azione e a liberarsi dalle paure.

Tutto è nato dalla malattia, l’artrite reumatoide. Nel 2001, la diagnosi dopo mesi di terribili dolori fisici e di limitazioni sempre più diffuse nell’uso delle mani e nel camminare. È iniziato allora il percorso della malattia cronica, invalidante e senza ritorno. Così, in effetti, mi presentarono questa compagna degli anni che avevo di fronte.

A distanza di anni, di terapie mediche spesso pesanti, di rifiuto della malattia e delle medicine, di digiuni esagerati, di ricerche di percorsi per una crescita interiore, di lettura di decine e decine di libri, di un ricovero ospedaliero urgente, arriva la consapevolezza di voler riprendere i pennelli in mano subito, oggi, domani, e di nuovo, sempre più spesso. E un pomeriggio di un anno fa circa, mi resi conto che i dolori erano praticamente scomparsi mentre seduta davanti al cavalletto ed ascoltando i Queen stavo dipingendo un tormentato cielo nuvoloso. Ho ripetuto l’esperimento il giorno dopo. Sostituii gli antidolorifici con la pittura e… funzionò. E funziona ancora oggi. Funziona sul fisico ma anche sulla mente.  Ho ritrovato le forze che avevo perse da lungo tempo, ho ritrovato la voglia di incontrare gente, ho ricominciato a fare progetti.  Per me, è una rinascita.

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Michelle Messina Reale: “La Sicilia e Siracusa sono il mio rifugio”

MARIA LUCIA RICCIOLI
Sabato, 02 Novembre 2019 20:02
La scrittrice e poetessa di Philadelfia è autrice di molte opere, tra cui “Season of Subtraction”, che richiama la nostra prosa d’arte di primo ‘900

 

La Civetta di Minerva, 26 ottobre 2019 – I legami tra gli italoamericani e il nostro paese sono fatti di sangue ma anche di sapori, di odori, di lingua storie tradizioni. Di parole. È così anche per Michelle Messina Reale, scrittrice e poetessa di Philadelphia, docente associata presso l’Arcadia University della Pennsylvania (tra l’altro fondatrice e direttrice del progetto “Ovunque Siamo: New Italian-American Writing”), che unisce gli interessi accademici – è tra l’altro responsabile dei servizi di accesso, di ricerca e comunicazione dell’ateneo – all’attitudine poetica e narrativa: testi come “Inquiry and Research: A Relational Approach in the Classroom”, “Mentoring and Managing Students in the Academic Library, The Indispensable Academic Librarian: Teaching and Academig for Change” e “Becoming a Reflective Librarian and Teacher: Strategies for Mindful Academic Practice” si alternano ad opere come “Season of Subtraction – Prose Poems” (Bordighera Press, New York 2019), raccolta di poesie in prosa o di prose poetiche che dir si voglia, genere che richiama la nostra prosa d’arte di primo Novecento, la rivista “La Voce”, certi calligrafismi tra l’ermetico e il crepuscolare.

Ma qui la “stagione della sottrazione” è molto di più: “ciò che va via è ciò che rimane”, come recitano in esergo le parole di Charles Wright: il tempo sottrae volti odiosamati, gesti, voci, consuma gli oggetti ma ne lascia le persistenti reliquie nella retina ostinata della memoria. E si fa parola. Accurata, precisa, geometrica. Preziosa. Eppure allusiva, sfuggente, enigmatica. Parola che tende a definire, scolpire, dipingere con nettezza, parola che rivela, che ricerca, che rievoca un passato a volte difficile da rielaborare, luoghi dell’anima, antenati che sono custodi ma anche presenze insistenti, fantasmi inconciliati o memento per un presente da ridefinire. Per un futuro che è carico del peso dolce e insieme amaro del passato.

“Season of Subtraction” è dunque uno scavo memoriale e insieme un lavoro di immaginazione alla ricerca delle proprie radici, un viaggio tra i rami noti e sconosciuti della propria famiglia, un’indagine sul senso della presenza propria e altrui nel mondo, tra nostalgia per la terra d’origine e la vita oltreoceano.

Abbiamo incontrato Michelle Messina Reale insieme a Patti Trimble in occasione di un reading trilingue, a Siracusa, grazie all’iniziativa “101 Poets for Change”; poi i contatti in rete, un caffè in Ortigia a parlare di poesia e di Trump, di Sicilia e d’America. Ecco qualche risposta alle nostre domande.

Le tue radici italiane e familiari sono molto forti e questo risalta chiaramente anche negli allusivi versi del tuo libro. Puoi parlarcene?

I miei legami familiari con l’Italia sono molto forti, questo è un nodo che non si spezzerà mai. Ancora ho molti parenti in Italia, specialmente in Sicilia. Ho avuto un’infanzia molto italiana: scuola prevalentemente italoamericana, parrocchia italoamericana e vicinato italoamericano. Ci sentivamo diversi dagli altri perché la nostra cultura era molto forte. A mia madre non piacevano i modi di fare o le abitudini che non coincidessero con le nostre. Ha sempre pensato che gli americani fossero freddi ed egoisti, e non apprezzava la loro idea di famiglia. Eravamo diversi.

La Sicilia e Siracusa sono per te dei luoghi dell’anima, vero?

Trascorro molto tempo in Sicilia, che è semplicemente “casa” per me [… da notare che Michelle Messina Reale usa la parola “home”, che in inglese significa sia “casa” nel senso più domestico e intimo sia “patria”, un po’ come avviene con il latino “domi”, n.d.r.]. La Sicilia e Siracusa sono il mio rifugio. Lo avverto non appena arrivo proprio perché posso rilassarmi. Questo è un aspetto molto diverso rispetto al modo di vivere americano, che mantiene un passo molto veloce e mette in competizione le persone tra loro. Io vivo vicino Philadelphia e la “cultura” può essere molto dura, sbrigativa e perfino rude. A Siracusa trovo ancora gentilezza nelle persone, vedo che la gente dà valore al tempo e agli altri. E il mare sempre bellissimo a fare da panorama e da sfondo pacifica la mia anima.

“Sottrazione” è una parola piena di significati: ha qualcosa a che vedere con le mancanze nella nostra vita e nel nostro spirito, ma la sottrazione è anche il potere dell’artista: eliminare ciò che è vecchio e morto per lasciar crescere ciò che rimane. Sei d’accordo?

Sono pienamente d’accordo su ciò che dici su “Season of Subtraction”! Ci sono molte ferite traumatiche nella mia famiglia. Mio nonno non avrebbe mai voluto lasciare la Sicilia ma fu costretto a farlo… odiava gli States e tutto ciò che comportava viverci. Questo lo rese rabbioso e aggressivo verso tutti e verso la vita. Noi siamo stati costretti a fare i conti con le sofferenze che ha provocato. E la figlia che ebbe e non riconobbe mai ferì tutti noi. Quel rifiuto fu difficile da accettare. Quando trovammo la sorella di mio padre, cercammo di costruire un rapporto nuovo. Lei dice di sentirsi siciliana, ma visto che non è stata cresciuta come tale, non riesce a spiegarsi perché provi questo! [Nella postfazione del libro, Michelle Messina Reale riassume la rocambolesca vicenda della ricerca di questa zia “sottratta”, motore pulsante dei versi di “Season of Subtraction”, omaggio alla tenacità dei legami, n.d.r.].

I tuoi versi sono come prosa e la tua prosa è molto poetica… questo è comune nella poesia americana attuale oppure nella storia più antica o recente della letteratura americana?

No, non è molto comune nella poesia americana, ma è una forma che amo molto utilizzare perché mi permette di usare un linguaggio molto immaginifico in una piccola forma narrativa. Amo leggere poesie in prosa e scriverne, anche!

Salutiamo Michelle Messina Reale e attendiamo le nuove raccolte “Confini: Poems of Refugees in Sicily” e “In the Blink of a Mottled Eye”, che vedranno la luce tra il 2019 e il 2020 per i tipi di Cervena Barva Press e Kelsey Books.

 

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3828:in-fratelli-di-cielo-di-don-aprile-liriche-e-testimonianze-di-fede&catid=17&Itemid=143

In “Fratelli di cielo” di don Aprile liriche e testimonianze di fede

MARIA LUCIA RICCIOLI
Domenica, 23 Giugno 2019 22:20
Il libro comprende la prefazione di Claudio Maniago, vescovo di Castellaneta, e i contributi di vari poeti

 

La Civetta di Minerva, 15 giugno 2019

“La Civetta di Minerva” ha dedicato diversi articoli all’opera pastorale e letteraria di don Raffaele Aprile, che, dopo “Innamorato del cielo”, ha deciso di dare alle stampe il volume “Fratelli di cielo – in versi si raccontano in cammino con Maria” (Bonfirraro Editore), che verrà presentato il 20 giugno alle ore 20 presso il Salone Baranzini della Basilica Santuario Madonna delle Lacrime di Siracusa.

Don Aprile, augustano, oltre a svolgere il suo ministero presbiteriale come assistente spirituale del gruppo di preghiera Madonna delle Lacrime e del gruppo Caritas, accoglie i pellegrini che vengono a visitare la Basilica Santuario e si occupa anche delle missioni con il Reliquiario. Ricordiamo alcuni dei riconoscimenti che ha ottenuto per la sua passione per la scrittura: ha partecipato alla stesura di un’antologia poetico-letteraria in omaggio a Luigi Pirandello a cura di Giuseppe La Delfa, al libro di don Francesco Cristofaro, conduttore televisivo presso Padre Pio TV e a vari concorsi poetici (quello di Favara intitolato ad Ignazio Buttitta, “Il Federiciano”…); per iniziativa del parroco don Domenico Cirigliano, a ricordo della visita del Reliquiario della Madonna delle Lacrime, è stato collocato in modo definitivo nella parete laterale esterna della Chiesa Madre di Rocca Imperiale il quadretto della Madonnina con una sua preghiera/poesia Vergine delle Lacrime; collabora col settimanale “Notizie della diocesi” di Carpi, curando una rubrica poetica.

La pubblicazione collettanea comprende la prefazione di Claudio Maniago, vescovo di Castellaneta, e di Francesco Maria Marino OP, una introduzione di Fabrizio Mattioli, Avvocato della Rota Romana, e i contributi dei poeti Monsignor Giuseppe Greco, Loris Filippetto, Sonia Accossano, Roberto Giovanni Bizzotto, Filippo Cacioppo, Albino Fattore, Don Ernesto Piraino, Giuseppe Puzzo, Maria Lucia Riccioli, Andrea Maniglia, Nino Cardillo, Don Pasqualino di Dio, Rita Masala, Suor Vincenzina Botindari, Michele Taboni, Rafał Soroczyński, Gruppo di Preghiera Carismatica Madonna delle Lacrime, Nicola Douglas De Fenzi, Claudia Koll e le testimonianze di Salvatore Pappalardo Arcivescovo di Siracusa, Aurelio Russo, Gabriele Russo, Lucia Palmieri, Gabriele Dini, Ida Vasta, Giuseppe Aletti, Danilo Zirone, Loris Filippetto: ecclesiastici e laici, semplici devoti e studiosi, ma comunque voci che narrano, che liricamente si effondono, voci pellegrine, in cammino dunque, come suggerisce il sottotitolo del volume.

Il libro raccoglie sia poesie che testimonianze di fede e di guarigione fisica e spirituale: la parola è canale privilegiato di espressione dei sentimenti più profondi e quindi anche della contemplazione mistica, del rapporto con la Natura e con il Divino, delle lacerazioni, delle sofferenze e delle gioie; se l’arte è a suo modo testimonianza, la narrazione di un percorso di vita, dei bivi e delle svolte inattese dovute ad un incontro con qualcosa che trascende il solco dell’abitudine o peggio ancora della rassegnazione lo è ad un altro livello.

 

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3830:paola-m-liotta-puntare-su-fiamma-fogliani-e-stata-una-scommessa&catid=17&Itemid=143

Paola M. Liotta: “Puntare su Fiamma Fogliani è stata una scommessa”

MARIA LUCIA RICCIOLI
Lunedì, 24 Giugno 2019 08:22
“Per me la scrittura è musica, esigenza che risuona di vibrazioni, sonorità, echi che intarsiano il romanzo”

 

La Civetta di Minerva, 15 giugno 2019

“La Civetta di Minerva” ha incontrato per voi Paola Maria Liotta, appassionata docente, fine poetessa e scrittrice (i suoi lavori poetici e narrativi le hanno meritato l’attenzione di critici e giurati in vari concorsi letterari come il Premio “Pietro Carrera” e il Premio Letterario Città di Castiglione “Cento Sicilie Cento Scrittori”), animatrice culturale nella sua Avola ed oltre. “Piano concerto Schumann” è il suo ultimo romanzo, uscito per i tipi de Il seme bianco.

Fiamma Fogliani, il maestro Marni e una misteriosa spinetta, “invenzione” all’interno di ciò che è manzonianamente “storia”, ovvero la musica e compositori come Schumann… quanto del tuo amore per la musica è confluito nella stesura del tuo romanzo?

L’amore per la musica convoglia e rappresenta i miei amori, i miei interessi, e molti altri sensi e sentimenti. E non ritroviamo nel romanzo solo Schumann, il cui celebre Piano Concerto gli dà il titolo e ne catalizza vicende e intrighi, ma anche molti altri bei nomi della musica. Le notizie legate all’invenzione del fortepiano, sullo sfondo, delineano il quadro perfetto in cui le passioni, le gioie, la forte testimonianza di vita della mia protagonista si incarnano a pieno. La scrittura, poi, è fatta di lettere e di suoni e, proprio come una musica, può riprodurre la musica della vita, le sue luci e le sue ombre. Sicuramente, questo romanzo è un atto d’amore per la musica, “la più rivelatoria di tutte le arti”, come asserisce, in un passo del romanzo, uno degli affascinanti personaggi maschili che ruotano attorno a Fiamma. Da ciò, si evince come la musica sia tutto (o quasi) anche per me.

Non sei nuova all’alternarsi di libri in prosa e di poesia… come convivono in te la narratrice e la poetessa oltre che la docente?

La narratrice in prosa e in versi e la docente convivono, in me, come i famosi “tria corda” dal momento che le possibilità della scrittura sono infinite. Mi esploro in questo e in molti altri modi, cercando di instillare nei miei studenti l’amore per la lettura. Per me, scrittura creativa, laboratorio di scrittura, biblioteca di classe sono parole magiche. Le parole veicolano idealità, interiorità, speranze, e oggi c’è molto bisogno di idee, di ideali e di speranza. L’amore per ciò che faccio si traduce pure in Paola che scrive in prosa, Paola che scrive versi, Paola che insegna. E in molte altre “Paole”, tutte riflessive, impavide, piene di voglia di fare, desiderose di nuovi mondi da scoprire, mai paghe di un fine, di uno scopo, pur di offrire alle giovani generazioni validi spunti di riflessione e spronarle verso il meglio per sé stesse e per la società attuale, tanto bisognosa d’amore, così devastata dall’egoismo, insanguinata da guerre e violenze di ogni sorta quale essa, purtroppo, è. E il riferimento agli aspetti negativi del reale rintocca in tutto il romanzo, in contrapposizione con la bellezza e con la solarità evocate dalla musica di Fiamma.

Scrivi che “La musica è energia, ma anche controllo; è rigore, ma anche avventura”. Credi possa dirsi lo stesso della scrittura?

Come per Fiamma Fogliani, la protagonista del “Piano Concerto Schumann”, la musica di Schumann, e tutta la musica è vita, così per me la scrittura è musica. La scrittura è un’esigenza insopprimibile, che risuona, come musica, di vibrazioni, di sonorità, di echi, quelli che intarsiano il percorso di ricerca che il romanzo traccia e disvela davanti ai nostri occhi. Leggendo di Fiamma, non si può non immaginarsela vibrante e appassionata, al suo piano. Per infondere questa vita alle parole, si scommette su di sé, ci si precipita a capofitto in un mondo che sta nascendo, evocato sulla carta, non meno reale di quello in cui viviamo, e non si può deviare o filtrare quanto sta nascendo mentre lo si crea, mentre lo si vive. Il rigore e l’eleganza sono connaturati sia alla buona musica che alla buona scrittura: dipende da quanto si è fedeli a criteri stilistici e di buon gusto che corrispondano esattamente all’onestà dei nostri stessi intenti di scrittura. La storia si rivela e piace nell’esatta misura in cui scatta il riconoscimento di chi legge in quelle pagine, ricreando in proprio la storia, vivendola in consonanza – o meno – con il proprio mondo interiore. La scrittura è una bellissima avventura dello spirito se ci trasporta nell’altro, e nell’oltre, sempre in adesione con quanto sentiamo, con quanto vogliamo dire, con il messaggio che affidiamo al nostro scritto.

Fiamma Fogliani è artista e donna. Quanto ha contato per te confrontarti con le figure di musiciste come la tua protagonista?

Nel romanzo vi è una miriade di figure femminili: pianiste quali Clara Wieck Schumann, Annie Fisher, Clara Haskil, Martha Argerich, Hélène Grimaud, ma anche artiste, tipo Giovanna Fratellini, pittrice di corte che venne paragonata a Rosalba Carriera e fu la ritrattista della Gran Principessa Beatrice Violante di Baviera. Quest’ultima visse proprio alla corte medicea e dovette conoscere il ‘nostro’ Bartolomeo Cristofori, l’inventore del gravicembalo ‘col piano e col forte’, cioè l’antenato del pianoforte. Man mano che la storia cresceva e sbocciava nelle mie righe, ho ritrovato tutte queste figure; alcune le conoscevo già, infatti amo molto la Argerich, come pianista, e la Grimaud. Menzionare Beatrice Violante mi ha permesso di darle il giusto risalto; peraltro, fu anche un’ottima statista nel governatorato della città di Siena. L’ultima volta che, in pubblico, ho accennato a questa galleria di figure eccezionali, e spesso le donne stanno ai margini della storia, o sono appena menzionate, mi son sentita dire, proprio da una donna: “Lei non ama molto gli uomini”! Ecco, vorrei sconfessare quest’appunto. Rendere il giusto tributo a figure obliate, o meno note di corrispettive personalità maschili, ha validato ulteriormente la mia scrittura di quegli slanci che io amo esprimere. Anche portare alla ribalta Fiamma Fogliani è stata indubbiamente una bella scommessa per dare corpo a ciò che io amo, alla vera bellezza, che ci deve guidare verso il meglio, nell’arte e nella vita.

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Teresa Laterza: “Le mie Schegge sono un’emozione che cambia”

MARIA LUCIA RICCIOLI
Mercoledì, 06 Novembre 2019 10:46
Raccolta di aforismi, riflessioni e poesie edita da CTL Edizioni, copertina di Rosa Rosita Loiodice

 

La Civetta di Minerva, 26 ottobre 2019

Torniamo ad occuparsi di Teresa Laterza: l’autrice, pugliese di origine, vive a Caltagirone ed è impegnata nel settore della formazione; collabora con testate giornalistiche locali, nazionali e internazionali, come il periodico dell’Automobile Club Bologna (AutoBo) e la Rivista Internazionale Le Muse, fondata da Paolo Borruto e Maria Teresa Liuzzo (direttrice), oltre a proporsi come editor e book counselor. Le sue incursioni poetiche e narrative spaziano dal romanzo “Imprevisti di primavera” (Kimerik) alle sillogi poetiche “I sentieri dell’anima”, “Le stagioni del cuore” e “Frammenti d’infinito” (Irda edizioni), dalla stesura di articoli e saggi ad una nuova silloge poetica, “Armonia d’essenza”.

La sua ultima pubblicazione è “Schegge”, raccolta di aforismi, riflessioni e poesie edita da CTL Edizioni di Nino Bozzi. La copertina è illustrata da Rosa Rosita Loiodice, tra l’altro curatrice editoriale.Scheggia è un frammento, scheggia è una freccia, scheggia è un proiettile che penetra le carni, ferisce e diventa parte di noi. Ma la scheggia che ci colpisce può essere una forza, una verità, un’emozione che provocandoci dolore ci restituisce contemporaneamente a noi stessi e alla nostra vera essenza, un lampo che illumina la nostra cecità. Come fa la parola, in primis quella poetica.

Ecco allora l’invito ad evitare gli abbracci mancati, a non lasciarsi rinchiudere “dai cancelli degli schemi”; ecco l’amore per l’arte e la parola, grazie ai quali si può attingere l’infinito, l’accoglienza di se stessi e del prossimo – migrante è anche chi cerca l’amore che la “patria” della sua famiglia gli ha negato e infinite sono le povertà mentali e spirituali –, ecco il richiamo all’interconnessione degli esseri viventi e dell’universo che si rivela anche nelle azioni e nei pensieri in apparenza insignificanti… perché la vita è un “gioco duale”. I versi sono lampi, briciole di ricordi, attimi di consapevolezza, bagliori di vero, gli aforismi e le considerazioni sono bocconi, minutaglie, tessere sparse di un mosaico di cui non conosciamo il disegno, quello sempre incompiuto della saggezza.

Il titolo “Schegge” è significativo e polisemico… cosa vuol dire per te e come lo hai scelto per intitolare il libro?

Esattamente: la scheggia penetra in profondità e lascia un segno. Può far male, ma induce alla riflessione. La nostra carne, il nostro corpo è la vita e le schegge sono le esperienze. È questo il motivo della scelta del titolo. Mi auguro che le mie poesie e le mie riflessioni aiutino a fare luce dove regnano il buio o le ombre.

I tuoi progetti futuri riguardano la teoria oltre che la pratica della scrittura: puoi anticiparci qualcosa?

Tra mille difficoltà, considerate le incombenze quotidiane, sto portando avanti la stesura di un saggio sulla scrittura. L’intento è quello di fornire consigli e regole utili a chi desideri scrivere un libro di qualsiasi genere, affinché l’opera possa incontrare l’interesse del pubblico. Si tratta, in sostanza, di una specie di vademecum dello scrivere efficacemente.

LA CIVETTA DI MINERVA del 9 novembre 2019

10 domenica Nov 2019

Posted by mlriccioli in Eventi culturali, Letteratura, Musica

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Report questa sera 21.20 Rai3
La giustizia dovrebbe essere imparziale. Ma cosa succede se accusa, difesa e giudici si scambiano favori, soldi e informazioni segrete? Il sistema messo in piedi da Piero Amara, ex avvocato Eni, riesce a far aprire un’inchiesta presso la procura di Siracusa grazie ad una denuncia di Alessandro Ferraro, suo uomo di fiducia, che dichiara di essere stato sequestrato “da due neri ed un bianco”. Dietro la vicenda ci sarebbe un complotto contro il manager dell’Eni Claudio Descalzi. Peccato che sia il rapimento che il complotto risulteranno finti. L’inchiesta è di Luca Chianca.

#Report lunedì 21.20 Rai3
✓ Dove e chi fabbrica le divise dei militari italiani?
✓ Chi ha messo in piedi un sistema di potere per aggiustare sentenze e
aggiudicarsi appalti pubblici?

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Da non perdere questa puntata perché si parlerà del Sistema Siracusa, di cui si è occupato in prima linea il giornale LA CIVETTA DI MINERVA!

https://www.google.com/search?q=sistema+siracusa+%2B+la+civetta&rlz=1C1AVNA_enIT559IT562&oq=sistema+siracusa+%2B+la+civetta&aqs=chrome..69i57j0.10172j0j4&sourceid=chrome&ie=UTF-8

Report, stasera alle 21.20 su Rai 3, trasmette un’inchiesta sul sistema Amara, alias Sistema Siracusa, nell’ambito della quale anche noi della Civetta siamo stati intervistati nella sede della nostra redazione. E’ per noi – piccolo giornale di provincia – un grande onore avere questa ribalta nazionale ( F. Oddo)

La diretta con Stefano Lamorgese e Luca Chianca, che ha firmato l’inchiesta di giorno 15 sul sistema di potere messo in piedi dall’ex avvocato #Eni Piero Amara
#amaragiustizia #Report #fblive

Un grande grazie a Paolo Borrometi per le sue parole:

Magistrati, politici, imprenditori: così Siracusa mise in ginocchio l’Italia

In altre epoche saremmo già stati tutti quanti a indignarci per ciò che sta accadendo nella Magistratura del nostro Paese. Ben che vada, oggi siamo forse troppo distratti da altro per interessarci alla questione. Comunque incapaci di affrontarla nel suo insieme, ricomponendo i tanti tasselli di un puzzle giallo che sembriamo ostinarci a non voler vedere una volta per tutte montato, e incorniciato.

Il cuore di tutto si trova in provincia di Siracusa, ad Augusta. La città più ricca della provincia cela affari impressionanti (dal petrolchimico ai migranti, fino al neonato porto turistico, tra i più importanti di tutto il Sud). Ed è proprio da qui che due avvocati spregiudicati, Piero Amara e Giuseppe Calafiore, si sono spinti fino al cuore del nostro Paese. Come sta emergendo dalle più recenti indagini, a pilotare le decisioni della Magistratura sono stati proprio loro, i nostri due zelanti avvocati siciliani. Tornati d’attualità a più di un anno dal loro arresto sappiamo che, oltre ad aver intrattenuto un rapporto centrale e determinante con l’Eni, a quanto pare ne avevano intessuto uno particolare proprio con l’ex presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati ed ex componente del Csm, quel Luca Palamara di cui non si fa altro che parlare in questi giorni.

Sono stati loro, Amara e Calafiore, facilitatori di grandi poteri, a pagare giornalisti per scrivere, di loro e contro i “nemici”. Loro, spesso, a decidere chi dovessero essere gli “eletti” in Parlamento, si pensi anche solo alla vicenda che ha coinvolto il pregiudicato Pippo Gennuso (in procinto di rientrarci, paradossi italiani), o dell’ex deputato Pippo Gianni (oggi sindaco di Priolo). Loro, Amara e Calafiore, persino a scegliere chi avrebbe dovuto essere il più adatto a ricoprire l’incarico di Procuratore a Gela – esattamente quello che avrebbe poi dovuto indagare (o non indagare), ad esempio, sul petrolchimico dell’Eni. Loro, insomma, ad aver influenzato negli anni molte questioni nevralgiche per il nostro Paese, loro ad aver “dato” le carte, vere o false. Loro in regia.

Partendo proprio da Augusta ho tentato di descrivere i loro affari nel mio “Un morto ogni tanto”, come in moltissime occasioni hanno fatto Mario Barresi per La Sicilia, o i colleghi de La Civetta e di Siracusa News nei loro racconti quotidiani, quando nessuno sembrava interessarsene. Adesso però sarebbe ora che tutti insieme si facesse e si chiedesse chiarezza fino in fondo. E senza sconti per nessuno. Che si precisassero ad esempio quali trame si siano potute intessere a partire da una provincia, quella di Siracusa, considerata “tranquilla” e senza mafia, quando invece vi hanno trovato riparo uomini del calibro di Simone Castello, già “postino” e uomo di fiducia di Bernardo Provenzano: proprio lui, l’uomo conosciuto per essere la mente della mafia imprenditoriale. Guadagni, intermediazioni, investimenti enormi, tutto a partire da Siracusa. Affari e soldi in un territorio che ha imparato molto presto e molto bene a farsi baricentro del Paese, trasformandosi in una delle più importanti culle della sua «mafia imprenditoriale»

Ma per comprendere bisogna ricostruire, bisogna legare frammento a frammento, tassello a tassello, isolare e poi accostare un fatto all’altro: per quanto persino da slegati questi possano apparirci drammaticamente complessi, o all’opposto di poco conto, se sovrapposti possono restituirci la complessità del fenomeno di cui stiamo parlando. Anche una tranquilla cena in barca d’estate, come quella di cui parlo nel mio libro, cui parteciparono alcuni fra i più importanti imprenditori del nostro Paese, deputati e non, o il caso di professionisti legati a società che partono da Castelvetrano, conosciuti per essere gli stessi “commercialisti delle società di Matteo Messina Denaro”. Allegre brigate che partendo dal nostro territorio sono state libere di fare il buono ed il cattivo tempo nel Paese. Un territorio, non dimentichiamocelo, che ha avuto diversi comuni sciolti per mafia, come Augusta – neanche a dirlo città di Amara -, Pachino (città del pomodorino più buono e insieme luogo di “riposo” per i boss più importanti di cosa nostra). Comuni come Avola, oggi con un accesso per valutarne le infiltrazioni mafiose. O Noto, capitale del Barocco e drammaticamente colpita dalla presenza di clan che hanno saputo legarsi alla politica in maniera particolarmente spregiudicata. E poi Lentini, culla del clan che unisce Catania a Siracusa, città degli affari di “munnizza” (leggasi spazzatura). O Priolo.

La vera questione è se c’è qualcuno che davvero ha voglia di riannodare tutti i fili e di ricostruire ciò che è stato. Molto di ciò che è accaduto ci suggerisce che proprio da qui si sia tentato di influenzare il più grande colosso industriale del nostro Paese: l’Eni. A Siracusa, indizi, o spiegazioni, se ne trovano. Bisogna cercarle, e volerle riconoscerle. Isolare e ricomporre ogni tassello. Mettendoli insieme il puzzle sarà completo. E una volta incorniciato, allora sì che ne vedremo delle belle.

(la mia analisi pubblicata questa mattina sulla prima pagina del lasicilia.it)

Paolo Borrometi

6 giugno 2019

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Sono fiera, nel mio piccolo, di far parte dei collaboratori di questo giornale che dalla Sicilia, da Siracusa e dalla sua provincia, fa sentire la propria voce…
Un video di Rainews del giugno 2012…

 

 

 

Alcuni pezzi recenti…

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3901:michelle-messina-reale-la-sicilia-e-siracusa-sono-il-mio-rifugio&catid=17&Itemid=143

Michelle Messina Reale: “La Sicilia e Siracusa sono il mio rifugio”

MARIA LUCIA RICCIOLI
Sabato, 02 Novembre 2019 20:02
La scrittrice e poetessa di Philadelfia è autrice di molte opere, tra cui “Season of Subtraction”, che richiama la nostra prosa d’arte di primo ‘900

 

La Civetta di Minerva, 26 ottobre 2019 – I legami tra gli italoamericani e il nostro paese sono fatti di sangue ma anche di sapori, di odori, di lingua storie tradizioni. Di parole. È così anche per Michelle Messina Reale, scrittrice e poetessa di Philadelphia, docente associata presso l’Arcadia University della Pennsylvania (tra l’altro fondatrice e direttrice del progetto “Ovunque Siamo: New Italian-American Writing”), che unisce gli interessi accademici – è tra l’altro responsabile dei servizi di accesso, di ricerca e comunicazione dell’ateneo – all’attitudine poetica e narrativa: testi come “Inquiry and Research: A Relational Approach in the Classroom”, “Mentoring and Managing Students in the Academic Library, The Indispensable Academic Librarian: Teaching and Academig for Change” e “Becoming a Reflective Librarian and Teacher: Strategies for Mindful Academic Practice” si alternano ad opere come “Season of Subtraction – Prose Poems” (Bordighera Press, New York 2019), raccolta di poesie in prosa o di prose poetiche che dir si voglia, genere che richiama la nostra prosa d’arte di primo Novecento, la rivista “La Voce”, certi calligrafismi tra l’ermetico e il crepuscolare.

Ma qui la “stagione della sottrazione” è molto di più: “ciò che va via è ciò che rimane”, come recitano in esergo le parole di Charles Wright: il tempo sottrae volti odiosamati, gesti, voci, consuma gli oggetti ma ne lascia le persistenti reliquie nella retina ostinata della memoria. E si fa parola. Accurata, precisa, geometrica. Preziosa. Eppure allusiva, sfuggente, enigmatica. Parola che tende a definire, scolpire, dipingere con nettezza, parola che rivela, che ricerca, che rievoca un passato a volte difficile da rielaborare, luoghi dell’anima, antenati che sono custodi ma anche presenze insistenti, fantasmi inconciliati o memento per un presente da ridefinire. Per un futuro che è carico del peso dolce e insieme amaro del passato.

“Season of Subtraction” è dunque uno scavo memoriale e insieme un lavoro di immaginazione alla ricerca delle proprie radici, un viaggio tra i rami noti e sconosciuti della propria famiglia, un’indagine sul senso della presenza propria e altrui nel mondo, tra nostalgia per la terra d’origine e la vita oltreoceano.

Abbiamo incontrato Michelle Messina Reale insieme a Patti Trimble in occasione di un reading trilingue, a Siracusa, grazie all’iniziativa “101 Poets for Change”; poi i contatti in rete, un caffè in Ortigia a parlare di poesia e di Trump, di Sicilia e d’America. Ecco qualche risposta alle nostre domande.

Le tue radici italiane e familiari sono molto forti e questo risalta chiaramente anche negli allusivi versi del tuo libro. Puoi parlarcene?

I miei legami familiari con l’Italia sono molto forti, questo è un nodo che non si spezzerà mai. Ancora ho molti parenti in Italia, specialmente in Sicilia. Ho avuto un’infanzia molto italiana: scuola prevalentemente italoamericana, parrocchia italoamericana e vicinato italoamericano. Ci sentivamo diversi dagli altri perché la nostra cultura era molto forte. A mia madre non piacevano i modi di fare o le abitudini che non coincidessero con le nostre. Ha sempre pensato che gli americani fossero freddi ed egoisti, e non apprezzava la loro idea di famiglia. Eravamo diversi.

La Sicilia e Siracusa sono per te dei luoghi dell’anima, vero?

Trascorro molto tempo in Sicilia, che è semplicemente “casa” per me [… da notare che Michelle Messina Reale usa la parola “home”, che in inglese significa sia “casa” nel senso più domestico e intimo sia “patria”, un po’ come avviene con il latino “domi”, n.d.r.]. La Sicilia e Siracusa sono il mio rifugio. Lo avverto non appena arrivo proprio perché posso rilassarmi. Questo è un aspetto molto diverso rispetto al modo di vivere americano, che mantiene un passo molto veloce e mette in competizione le persone tra loro. Io vivo vicino Philadelphia e la “cultura” può essere molto dura, sbrigativa e perfino rude. A Siracusa trovo ancora gentilezza nelle persone, vedo che la gente dà valore al tempo e agli altri. E il mare sempre bellissimo a fare da panorama e da sfondo pacifica la mia anima.

“Sottrazione” è una parola piena di significati: ha qualcosa a che vedere con le mancanze nella nostra vita e nel nostro spirito, ma la sottrazione è anche il potere dell’artista: eliminare ciò che è vecchio e morto per lasciar crescere ciò che rimane. Sei d’accordo?

Sono pienamente d’accordo su ciò che dici su “Season of Subtraction”! Ci sono molte ferite traumatiche nella mia famiglia. Mio nonno non avrebbe mai voluto lasciare la Sicilia ma fu costretto a farlo… odiava gli States e tutto ciò che comportava viverci. Questo lo rese rabbioso e aggressivo verso tutti e verso la vita. Noi siamo stati costretti a fare i conti con le sofferenze che ha provocato. E la figlia che ebbe e non riconobbe mai ferì tutti noi. Quel rifiuto fu difficile da accettare. Quando trovammo la sorella di mio padre, cercammo di costruire un rapporto nuovo. Lei dice di sentirsi siciliana, ma visto che non è stata cresciuta come tale, non riesce a spiegarsi perché provi questo! [Nella postfazione del libro, Michelle Messina Reale riassume la rocambolesca vicenda della ricerca di questa zia “sottratta”, motore pulsante dei versi di “Season of Subtraction”, omaggio alla tenacità dei legami, n.d.r.].

I tuoi versi sono come prosa e la tua prosa è molto poetica… questo è comune nella poesia americana attuale oppure nella storia più antica o recente della letteratura americana?

No, non è molto comune nella poesia americana, ma è una forma che amo molto utilizzare perché mi permette di usare un linguaggio molto immaginifico in una piccola forma narrativa. Amo leggere poesie in prosa e scriverne, anche!

Salutiamo Michelle Messina Reale e attendiamo le nuove raccolte “Confini: Poems of Refugees in Sicily” e “In the Blink of a Mottled Eye”, che vedranno la luce tra il 2019 e il 2020 per i tipi di Cervena Barva Press e Kelsey Books.

 

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3828:in-fratelli-di-cielo-di-don-aprile-liriche-e-testimonianze-di-fede&catid=17&Itemid=143

In “Fratelli di cielo” di don Aprile liriche e testimonianze di fede

MARIA LUCIA RICCIOLI
Domenica, 23 Giugno 2019 22:20
Il libro comprende la prefazione di Claudio Maniago, vescovo di Castellaneta, e i contributi di vari poeti

 

La Civetta di Minerva, 15 giugno 2019

“La Civetta di Minerva” ha dedicato diversi articoli all’opera pastorale e letteraria di don Raffaele Aprile, che, dopo “Innamorato del cielo”, ha deciso di dare alle stampe il volume “Fratelli di cielo – in versi si raccontano in cammino con Maria” (Bonfirraro Editore), che verrà presentato il 20 giugno alle ore 20 presso il Salone Baranzini della Basilica Santuario Madonna delle Lacrime di Siracusa.

Don Aprile, augustano, oltre a svolgere il suo ministero presbiteriale come assistente spirituale del gruppo di preghiera Madonna delle Lacrime e del gruppo Caritas, accoglie i pellegrini che vengono a visitare la Basilica Santuario e si occupa anche delle missioni con il Reliquiario. Ricordiamo alcuni dei riconoscimenti che ha ottenuto per la sua passione per la scrittura: ha partecipato alla stesura di un’antologia poetico-letteraria in omaggio a Luigi Pirandello a cura di Giuseppe La Delfa, al libro di don Francesco Cristofaro, conduttore televisivo presso Padre Pio TV e a vari concorsi poetici (quello di Favara intitolato ad Ignazio Buttitta, “Il Federiciano”…); per iniziativa del parroco don Domenico Cirigliano, a ricordo della visita del Reliquiario della Madonna delle Lacrime, è stato collocato in modo definitivo nella parete laterale esterna della Chiesa Madre di Rocca Imperiale il quadretto della Madonnina con una sua preghiera/poesia Vergine delle Lacrime; collabora col settimanale “Notizie della diocesi” di Carpi, curando una rubrica poetica.

La pubblicazione collettanea comprende la prefazione di Claudio Maniago, vescovo di Castellaneta, e di Francesco Maria Marino OP, una introduzione di Fabrizio Mattioli, Avvocato della Rota Romana, e i contributi dei poeti Monsignor Giuseppe Greco, Loris Filippetto, Sonia Accossano, Roberto Giovanni Bizzotto, Filippo Cacioppo, Albino Fattore, Don Ernesto Piraino, Giuseppe Puzzo, Maria Lucia Riccioli, Andrea Maniglia, Nino Cardillo, Don Pasqualino di Dio, Rita Masala, Suor Vincenzina Botindari, Michele Taboni, Rafał Soroczyński, Gruppo di Preghiera Carismatica Madonna delle Lacrime, Nicola Douglas De Fenzi, Claudia Koll e le testimonianze di Salvatore Pappalardo Arcivescovo di Siracusa, Aurelio Russo, Gabriele Russo, Lucia Palmieri, Gabriele Dini, Ida Vasta, Giuseppe Aletti, Danilo Zirone, Loris Filippetto: ecclesiastici e laici, semplici devoti e studiosi, ma comunque voci che narrano, che liricamente si effondono, voci pellegrine, in cammino dunque, come suggerisce il sottotitolo del volume.

Il libro raccoglie sia poesie che testimonianze di fede e di guarigione fisica e spirituale: la parola è canale privilegiato di espressione dei sentimenti più profondi e quindi anche della contemplazione mistica, del rapporto con la Natura e con il Divino, delle lacerazioni, delle sofferenze e delle gioie; se l’arte è a suo modo testimonianza, la narrazione di un percorso di vita, dei bivi e delle svolte inattese dovute ad un incontro con qualcosa che trascende il solco dell’abitudine o peggio ancora della rassegnazione lo è ad un altro livello.

 

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3830:paola-m-liotta-puntare-su-fiamma-fogliani-e-stata-una-scommessa&catid=17&Itemid=143

Paola M. Liotta: “Puntare su Fiamma Fogliani è stata una scommessa”

MARIA LUCIA RICCIOLI
Lunedì, 24 Giugno 2019 08:22
“Per me la scrittura è musica, esigenza che risuona di vibrazioni, sonorità, echi che intarsiano il romanzo”

 

La Civetta di Minerva, 15 giugno 2019

“La Civetta di Minerva” ha incontrato per voi Paola Maria Liotta, appassionata docente, fine poetessa e scrittrice (i suoi lavori poetici e narrativi le hanno meritato l’attenzione di critici e giurati in vari concorsi letterari come il Premio “Pietro Carrera” e il Premio Letterario Città di Castiglione “Cento Sicilie Cento Scrittori”), animatrice culturale nella sua Avola ed oltre. “Piano concerto Schumann” è il suo ultimo romanzo, uscito per i tipi de Il seme bianco.

Fiamma Fogliani, il maestro Marni e una misteriosa spinetta, “invenzione” all’interno di ciò che è manzonianamente “storia”, ovvero la musica e compositori come Schumann… quanto del tuo amore per la musica è confluito nella stesura del tuo romanzo?

L’amore per la musica convoglia e rappresenta i miei amori, i miei interessi, e molti altri sensi e sentimenti. E non ritroviamo nel romanzo solo Schumann, il cui celebre Piano Concerto gli dà il titolo e ne catalizza vicende e intrighi, ma anche molti altri bei nomi della musica. Le notizie legate all’invenzione del fortepiano, sullo sfondo, delineano il quadro perfetto in cui le passioni, le gioie, la forte testimonianza di vita della mia protagonista si incarnano a pieno. La scrittura, poi, è fatta di lettere e di suoni e, proprio come una musica, può riprodurre la musica della vita, le sue luci e le sue ombre. Sicuramente, questo romanzo è un atto d’amore per la musica, “la più rivelatoria di tutte le arti”, come asserisce, in un passo del romanzo, uno degli affascinanti personaggi maschili che ruotano attorno a Fiamma. Da ciò, si evince come la musica sia tutto (o quasi) anche per me.

Non sei nuova all’alternarsi di libri in prosa e di poesia… come convivono in te la narratrice e la poetessa oltre che la docente?

La narratrice in prosa e in versi e la docente convivono, in me, come i famosi “tria corda” dal momento che le possibilità della scrittura sono infinite. Mi esploro in questo e in molti altri modi, cercando di instillare nei miei studenti l’amore per la lettura. Per me, scrittura creativa, laboratorio di scrittura, biblioteca di classe sono parole magiche. Le parole veicolano idealità, interiorità, speranze, e oggi c’è molto bisogno di idee, di ideali e di speranza. L’amore per ciò che faccio si traduce pure in Paola che scrive in prosa, Paola che scrive versi, Paola che insegna. E in molte altre “Paole”, tutte riflessive, impavide, piene di voglia di fare, desiderose di nuovi mondi da scoprire, mai paghe di un fine, di uno scopo, pur di offrire alle giovani generazioni validi spunti di riflessione e spronarle verso il meglio per sé stesse e per la società attuale, tanto bisognosa d’amore, così devastata dall’egoismo, insanguinata da guerre e violenze di ogni sorta quale essa, purtroppo, è. E il riferimento agli aspetti negativi del reale rintocca in tutto il romanzo, in contrapposizione con la bellezza e con la solarità evocate dalla musica di Fiamma.

Scrivi che “La musica è energia, ma anche controllo; è rigore, ma anche avventura”. Credi possa dirsi lo stesso della scrittura?

Come per Fiamma Fogliani, la protagonista del “Piano Concerto Schumann”, la musica di Schumann, e tutta la musica è vita, così per me la scrittura è musica. La scrittura è un’esigenza insopprimibile, che risuona, come musica, di vibrazioni, di sonorità, di echi, quelli che intarsiano il percorso di ricerca che il romanzo traccia e disvela davanti ai nostri occhi. Leggendo di Fiamma, non si può non immaginarsela vibrante e appassionata, al suo piano. Per infondere questa vita alle parole, si scommette su di sé, ci si precipita a capofitto in un mondo che sta nascendo, evocato sulla carta, non meno reale di quello in cui viviamo, e non si può deviare o filtrare quanto sta nascendo mentre lo si crea, mentre lo si vive. Il rigore e l’eleganza sono connaturati sia alla buona musica che alla buona scrittura: dipende da quanto si è fedeli a criteri stilistici e di buon gusto che corrispondano esattamente all’onestà dei nostri stessi intenti di scrittura. La storia si rivela e piace nell’esatta misura in cui scatta il riconoscimento di chi legge in quelle pagine, ricreando in proprio la storia, vivendola in consonanza – o meno – con il proprio mondo interiore. La scrittura è una bellissima avventura dello spirito se ci trasporta nell’altro, e nell’oltre, sempre in adesione con quanto sentiamo, con quanto vogliamo dire, con il messaggio che affidiamo al nostro scritto.

Fiamma Fogliani è artista e donna. Quanto ha contato per te confrontarti con le figure di musiciste come la tua protagonista?

Nel romanzo vi è una miriade di figure femminili: pianiste quali Clara Wieck Schumann, Annie Fisher, Clara Haskil, Martha Argerich, Hélène Grimaud, ma anche artiste, tipo Giovanna Fratellini, pittrice di corte che venne paragonata a Rosalba Carriera e fu la ritrattista della Gran Principessa Beatrice Violante di Baviera. Quest’ultima visse proprio alla corte medicea e dovette conoscere il ‘nostro’ Bartolomeo Cristofori, l’inventore del gravicembalo ‘col piano e col forte’, cioè l’antenato del pianoforte. Man mano che la storia cresceva e sbocciava nelle mie righe, ho ritrovato tutte queste figure; alcune le conoscevo già, infatti amo molto la Argerich, come pianista, e la Grimaud. Menzionare Beatrice Violante mi ha permesso di darle il giusto risalto; peraltro, fu anche un’ottima statista nel governatorato della città di Siena. L’ultima volta che, in pubblico, ho accennato a questa galleria di figure eccezionali, e spesso le donne stanno ai margini della storia, o sono appena menzionate, mi son sentita dire, proprio da una donna: “Lei non ama molto gli uomini”! Ecco, vorrei sconfessare quest’appunto. Rendere il giusto tributo a figure obliate, o meno note di corrispettive personalità maschili, ha validato ulteriormente la mia scrittura di quegli slanci che io amo esprimere. Anche portare alla ribalta Fiamma Fogliani è stata indubbiamente una bella scommessa per dare corpo a ciò che io amo, alla vera bellezza, che ci deve guidare verso il meglio, nell’arte e nella vita.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3912:teresa-laterza-le-mie-sono-un-emozione-che-cambia&catid=17&Itemid=143

Teresa Laterza: “Le mie Schegge sono un’emozione che cambia”

MARIA LUCIA RICCIOLI
Mercoledì, 06 Novembre 2019 10:46
Raccolta di aforismi, riflessioni e poesie edita da CTL Edizioni, copertina di Rosa Rosita Loiodice

 

La Civetta di Minerva, 26 ottobre 2019

Torniamo ad occuparsi di Teresa Laterza: l’autrice, pugliese di origine, vive a Caltagirone ed è impegnata nel settore della formazione; collabora con testate giornalistiche locali, nazionali e internazionali, come il periodico dell’Automobile Club Bologna (AutoBo) e la Rivista Internazionale Le Muse, fondata da Paolo Borruto e Maria Teresa Liuzzo (direttrice), oltre a proporsi come editor e book counselor. Le sue incursioni poetiche e narrative spaziano dal romanzo “Imprevisti di primavera” (Kimerik) alle sillogi poetiche “I sentieri dell’anima”, “Le stagioni del cuore” e “Frammenti d’infinito” (Irda edizioni), dalla stesura di articoli e saggi ad una nuova silloge poetica, “Armonia d’essenza”.

La sua ultima pubblicazione è “Schegge”, raccolta di aforismi, riflessioni e poesie edita da CTL Edizioni di Nino Bozzi. La copertina è illustrata da Rosa Rosita Loiodice, tra l’altro curatrice editoriale.Scheggia è un frammento, scheggia è una freccia, scheggia è un proiettile che penetra le carni, ferisce e diventa parte di noi. Ma la scheggia che ci colpisce può essere una forza, una verità, un’emozione che provocandoci dolore ci restituisce contemporaneamente a noi stessi e alla nostra vera essenza, un lampo che illumina la nostra cecità. Come fa la parola, in primis quella poetica.

Ecco allora l’invito ad evitare gli abbracci mancati, a non lasciarsi rinchiudere “dai cancelli degli schemi”; ecco l’amore per l’arte e la parola, grazie ai quali si può attingere l’infinito, l’accoglienza di se stessi e del prossimo – migrante è anche chi cerca l’amore che la “patria” della sua famiglia gli ha negato e infinite sono le povertà mentali e spirituali –, ecco il richiamo all’interconnessione degli esseri viventi e dell’universo che si rivela anche nelle azioni e nei pensieri in apparenza insignificanti… perché la vita è un “gioco duale”. I versi sono lampi, briciole di ricordi, attimi di consapevolezza, bagliori di vero, gli aforismi e le considerazioni sono bocconi, minutaglie, tessere sparse di un mosaico di cui non conosciamo il disegno, quello sempre incompiuto della saggezza.

Il titolo “Schegge” è significativo e polisemico… cosa vuol dire per te e come lo hai scelto per intitolare il libro?

Esattamente: la scheggia penetra in profondità e lascia un segno. Può far male, ma induce alla riflessione. La nostra carne, il nostro corpo è la vita e le schegge sono le esperienze. È questo il motivo della scelta del titolo. Mi auguro che le mie poesie e le mie riflessioni aiutino a fare luce dove regnano il buio o le ombre.

I tuoi progetti futuri riguardano la teoria oltre che la pratica della scrittura: puoi anticiparci qualcosa?

Tra mille difficoltà, considerate le incombenze quotidiane, sto portando avanti la stesura di un saggio sulla scrittura. L’intento è quello di fornire consigli e regole utili a chi desideri scrivere un libro di qualsiasi genere, affinché l’opera possa incontrare l’interesse del pubblico. Si tratta, in sostanza, di una specie di vademecum dello scrivere efficacemente.

LA CIVETTA DI MINERVA del 26 ottobre 2019

27 domenica Ott 2019

Posted by mlriccioli in Eventi culturali, Letteratura, Musica

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Report questa sera 21.20 Rai3
La giustizia dovrebbe essere imparziale. Ma cosa succede se accusa, difesa e giudici si scambiano favori, soldi e informazioni segrete? Il sistema messo in piedi da Piero Amara, ex avvocato Eni, riesce a far aprire un’inchiesta presso la procura di Siracusa grazie ad una denuncia di Alessandro Ferraro, suo uomo di fiducia, che dichiara di essere stato sequestrato “da due neri ed un bianco”. Dietro la vicenda ci sarebbe un complotto contro il manager dell’Eni Claudio Descalzi. Peccato che sia il rapimento che il complotto risulteranno finti. L’inchiesta è di Luca Chianca.

#Report lunedì 21.20 Rai3
✓ Dove e chi fabbrica le divise dei militari italiani?
✓ Chi ha messo in piedi un sistema di potere per aggiustare sentenze e
aggiudicarsi appalti pubblici?

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Da non perdere questa puntata perché si parlerà del Sistema Siracusa, di cui si è occupato in prima linea il giornale LA CIVETTA DI MINERVA!

https://www.google.com/search?q=sistema+siracusa+%2B+la+civetta&rlz=1C1AVNA_enIT559IT562&oq=sistema+siracusa+%2B+la+civetta&aqs=chrome..69i57j0.10172j0j4&sourceid=chrome&ie=UTF-8

Report, stasera alle 21.20 su Rai 3, trasmette un’inchiesta sul sistema Amara, alias Sistema Siracusa, nell’ambito della quale anche noi della Civetta siamo stati intervistati nella sede della nostra redazione. E’ per noi – piccolo giornale di provincia – un grande onore avere questa ribalta nazionale ( F. Oddo)

La diretta con Stefano Lamorgese e Luca Chianca, che ha firmato l’inchiesta di giorno 15 sul sistema di potere messo in piedi dall’ex avvocato #Eni Piero Amara
#amaragiustizia #Report #fblive

Un grande grazie a Paolo Borrometi per le sue parole:

Magistrati, politici, imprenditori: così Siracusa mise in ginocchio l’Italia

In altre epoche saremmo già stati tutti quanti a indignarci per ciò che sta accadendo nella Magistratura del nostro Paese. Ben che vada, oggi siamo forse troppo distratti da altro per interessarci alla questione. Comunque incapaci di affrontarla nel suo insieme, ricomponendo i tanti tasselli di un puzzle giallo che sembriamo ostinarci a non voler vedere una volta per tutte montato, e incorniciato.

Il cuore di tutto si trova in provincia di Siracusa, ad Augusta. La città più ricca della provincia cela affari impressionanti (dal petrolchimico ai migranti, fino al neonato porto turistico, tra i più importanti di tutto il Sud). Ed è proprio da qui che due avvocati spregiudicati, Piero Amara e Giuseppe Calafiore, si sono spinti fino al cuore del nostro Paese. Come sta emergendo dalle più recenti indagini, a pilotare le decisioni della Magistratura sono stati proprio loro, i nostri due zelanti avvocati siciliani. Tornati d’attualità a più di un anno dal loro arresto sappiamo che, oltre ad aver intrattenuto un rapporto centrale e determinante con l’Eni, a quanto pare ne avevano intessuto uno particolare proprio con l’ex presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati ed ex componente del Csm, quel Luca Palamara di cui non si fa altro che parlare in questi giorni.

Sono stati loro, Amara e Calafiore, facilitatori di grandi poteri, a pagare giornalisti per scrivere, di loro e contro i “nemici”. Loro, spesso, a decidere chi dovessero essere gli “eletti” in Parlamento, si pensi anche solo alla vicenda che ha coinvolto il pregiudicato Pippo Gennuso (in procinto di rientrarci, paradossi italiani), o dell’ex deputato Pippo Gianni (oggi sindaco di Priolo). Loro, Amara e Calafiore, persino a scegliere chi avrebbe dovuto essere il più adatto a ricoprire l’incarico di Procuratore a Gela – esattamente quello che avrebbe poi dovuto indagare (o non indagare), ad esempio, sul petrolchimico dell’Eni. Loro, insomma, ad aver influenzato negli anni molte questioni nevralgiche per il nostro Paese, loro ad aver “dato” le carte, vere o false. Loro in regia.

Partendo proprio da Augusta ho tentato di descrivere i loro affari nel mio “Un morto ogni tanto”, come in moltissime occasioni hanno fatto Mario Barresi per La Sicilia, o i colleghi de La Civetta e di Siracusa News nei loro racconti quotidiani, quando nessuno sembrava interessarsene. Adesso però sarebbe ora che tutti insieme si facesse e si chiedesse chiarezza fino in fondo. E senza sconti per nessuno. Che si precisassero ad esempio quali trame si siano potute intessere a partire da una provincia, quella di Siracusa, considerata “tranquilla” e senza mafia, quando invece vi hanno trovato riparo uomini del calibro di Simone Castello, già “postino” e uomo di fiducia di Bernardo Provenzano: proprio lui, l’uomo conosciuto per essere la mente della mafia imprenditoriale. Guadagni, intermediazioni, investimenti enormi, tutto a partire da Siracusa. Affari e soldi in un territorio che ha imparato molto presto e molto bene a farsi baricentro del Paese, trasformandosi in una delle più importanti culle della sua «mafia imprenditoriale»

Ma per comprendere bisogna ricostruire, bisogna legare frammento a frammento, tassello a tassello, isolare e poi accostare un fatto all’altro: per quanto persino da slegati questi possano apparirci drammaticamente complessi, o all’opposto di poco conto, se sovrapposti possono restituirci la complessità del fenomeno di cui stiamo parlando. Anche una tranquilla cena in barca d’estate, come quella di cui parlo nel mio libro, cui parteciparono alcuni fra i più importanti imprenditori del nostro Paese, deputati e non, o il caso di professionisti legati a società che partono da Castelvetrano, conosciuti per essere gli stessi “commercialisti delle società di Matteo Messina Denaro”. Allegre brigate che partendo dal nostro territorio sono state libere di fare il buono ed il cattivo tempo nel Paese. Un territorio, non dimentichiamocelo, che ha avuto diversi comuni sciolti per mafia, come Augusta – neanche a dirlo città di Amara -, Pachino (città del pomodorino più buono e insieme luogo di “riposo” per i boss più importanti di cosa nostra). Comuni come Avola, oggi con un accesso per valutarne le infiltrazioni mafiose. O Noto, capitale del Barocco e drammaticamente colpita dalla presenza di clan che hanno saputo legarsi alla politica in maniera particolarmente spregiudicata. E poi Lentini, culla del clan che unisce Catania a Siracusa, città degli affari di “munnizza” (leggasi spazzatura). O Priolo.

La vera questione è se c’è qualcuno che davvero ha voglia di riannodare tutti i fili e di ricostruire ciò che è stato. Molto di ciò che è accaduto ci suggerisce che proprio da qui si sia tentato di influenzare il più grande colosso industriale del nostro Paese: l’Eni. A Siracusa, indizi, o spiegazioni, se ne trovano. Bisogna cercarle, e volerle riconoscerle. Isolare e ricomporre ogni tassello. Mettendoli insieme il puzzle sarà completo. E una volta incorniciato, allora sì che ne vedremo delle belle.

(la mia analisi pubblicata questa mattina sulla prima pagina del lasicilia.it)

Paolo Borrometi

6 giugno 2019

Caro lettore,

Il quindicinale La Civetta di Minerva è impegnato nella difesa dell’ambiente e del territorio, dei diritti civili, della legalità, dello sviluppo economico ecosostenibile, di una società inclusiva e solidale.

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Oggi il giornale si trova in grave crisi economica e l’autosostentamento tra soci e giornalisti non basta più. Ritorniamo in edicola, dopo la pausa estiva, ma non sappiamo garantire per quanto tempo ancora. Chiediamo, pertanto, a quanti apprezzano il nostro modo di fare informazione di aiutarci. L’appello è rivolto sia alle Associazioni ai Movimenti di impegno sociale e civile (ai quali ci offriamo come loro voce e sicuro alleato) sia alle singole individualità che apprezzano il nostro lavoro e ci trovano in edicola. A tutti chiediamo di sottoscrivere un abbonamento annuale (Sostenitore, di almeno 50 euro oppure Ordinario di 25 euro). In cambio promettiamo il nostro rinnovato impegno di cronisti scrupolosi e intellettualmente onesti e l’attenzione verso le loro istanze insieme al piccolo privilegio di poter ricevere il giornale per posta, direttamente a casa, invece di ritirarlo in edicola. Ci rivolgiamo inoltre agli operatori economici, a chi gestisce un’attività commerciale: siamo disponibili ad offrire spazi pubblicitari e redazionali a prezzi veramente contenuti.

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Grazie per l’attenzione. Con i più cordiali saluti.

Franco Oddo

Marina De Michele

Tutta la Redazione

Sono fiera, nel mio piccolo, di far parte dei collaboratori di questo giornale che dalla Sicilia, da Siracusa e dalla sua provincia, fa sentire la propria voce…
Un video di Rainews del giugno 2012…

 

 

 

Alcuni pezzi recenti…

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3828:in-fratelli-di-cielo-di-don-aprile-liriche-e-testimonianze-di-fede&catid=17&Itemid=143

In “Fratelli di cielo” di don Aprile liriche e testimonianze di fede

MARIA LUCIA RICCIOLI
Domenica, 23 Giugno 2019 22:20
Il libro comprende la prefazione di Claudio Maniago, vescovo di Castellaneta, e i contributi di vari poeti

 

La Civetta di Minerva, 15 giugno 2019

“La Civetta di Minerva” ha dedicato diversi articoli all’opera pastorale e letteraria di don Raffaele Aprile, che, dopo “Innamorato del cielo”, ha deciso di dare alle stampe il volume “Fratelli di cielo – in versi si raccontano in cammino con Maria” (Bonfirraro Editore), che verrà presentato il 20 giugno alle ore 20 presso il Salone Baranzini della Basilica Santuario Madonna delle Lacrime di Siracusa.

Don Aprile, augustano, oltre a svolgere il suo ministero presbiteriale come assistente spirituale del gruppo di preghiera Madonna delle Lacrime e del gruppo Caritas, accoglie i pellegrini che vengono a visitare la Basilica Santuario e si occupa anche delle missioni con il Reliquiario. Ricordiamo alcuni dei riconoscimenti che ha ottenuto per la sua passione per la scrittura: ha partecipato alla stesura di un’antologia poetico-letteraria in omaggio a Luigi Pirandello a cura di Giuseppe La Delfa, al libro di don Francesco Cristofaro, conduttore televisivo presso Padre Pio TV e a vari concorsi poetici (quello di Favara intitolato ad Ignazio Buttitta, “Il Federiciano”…); per iniziativa del parroco don Domenico Cirigliano, a ricordo della visita del Reliquiario della Madonna delle Lacrime, è stato collocato in modo definitivo nella parete laterale esterna della Chiesa Madre di Rocca Imperiale il quadretto della Madonnina con una sua preghiera/poesia Vergine delle Lacrime; collabora col settimanale “Notizie della diocesi” di Carpi, curando una rubrica poetica.

La pubblicazione collettanea comprende la prefazione di Claudio Maniago, vescovo di Castellaneta, e di Francesco Maria Marino OP, una introduzione di Fabrizio Mattioli, Avvocato della Rota Romana, e i contributi dei poeti Monsignor Giuseppe Greco, Loris Filippetto, Sonia Accossano, Roberto Giovanni Bizzotto, Filippo Cacioppo, Albino Fattore, Don Ernesto Piraino, Giuseppe Puzzo, Maria Lucia Riccioli, Andrea Maniglia, Nino Cardillo, Don Pasqualino di Dio, Rita Masala, Suor Vincenzina Botindari, Michele Taboni, Rafał Soroczyński, Gruppo di Preghiera Carismatica Madonna delle Lacrime, Nicola Douglas De Fenzi, Claudia Koll e le testimonianze di Salvatore Pappalardo Arcivescovo di Siracusa, Aurelio Russo, Gabriele Russo, Lucia Palmieri, Gabriele Dini, Ida Vasta, Giuseppe Aletti, Danilo Zirone, Loris Filippetto: ecclesiastici e laici, semplici devoti e studiosi, ma comunque voci che narrano, che liricamente si effondono, voci pellegrine, in cammino dunque, come suggerisce il sottotitolo del volume.

Il libro raccoglie sia poesie che testimonianze di fede e di guarigione fisica e spirituale: la parola è canale privilegiato di espressione dei sentimenti più profondi e quindi anche della contemplazione mistica, del rapporto con la Natura e con il Divino, delle lacerazioni, delle sofferenze e delle gioie; se l’arte è a suo modo testimonianza, la narrazione di un percorso di vita, dei bivi e delle svolte inattese dovute ad un incontro con qualcosa che trascende il solco dell’abitudine o peggio ancora della rassegnazione lo è ad un altro livello.

 

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3830:paola-m-liotta-puntare-su-fiamma-fogliani-e-stata-una-scommessa&catid=17&Itemid=143

Paola M. Liotta: “Puntare su Fiamma Fogliani è stata una scommessa”

MARIA LUCIA RICCIOLI
Lunedì, 24 Giugno 2019 08:22
“Per me la scrittura è musica, esigenza che risuona di vibrazioni, sonorità, echi che intarsiano il romanzo”

 

La Civetta di Minerva, 15 giugno 2019

“La Civetta di Minerva” ha incontrato per voi Paola Maria Liotta, appassionata docente, fine poetessa e scrittrice (i suoi lavori poetici e narrativi le hanno meritato l’attenzione di critici e giurati in vari concorsi letterari come il Premio “Pietro Carrera” e il Premio Letterario Città di Castiglione “Cento Sicilie Cento Scrittori”), animatrice culturale nella sua Avola ed oltre. “Piano concerto Schumann” è il suo ultimo romanzo, uscito per i tipi de Il seme bianco.

Fiamma Fogliani, il maestro Marni e una misteriosa spinetta, “invenzione” all’interno di ciò che è manzonianamente “storia”, ovvero la musica e compositori come Schumann… quanto del tuo amore per la musica è confluito nella stesura del tuo romanzo?

L’amore per la musica convoglia e rappresenta i miei amori, i miei interessi, e molti altri sensi e sentimenti. E non ritroviamo nel romanzo solo Schumann, il cui celebre Piano Concerto gli dà il titolo e ne catalizza vicende e intrighi, ma anche molti altri bei nomi della musica. Le notizie legate all’invenzione del fortepiano, sullo sfondo, delineano il quadro perfetto in cui le passioni, le gioie, la forte testimonianza di vita della mia protagonista si incarnano a pieno. La scrittura, poi, è fatta di lettere e di suoni e, proprio come una musica, può riprodurre la musica della vita, le sue luci e le sue ombre. Sicuramente, questo romanzo è un atto d’amore per la musica, “la più rivelatoria di tutte le arti”, come asserisce, in un passo del romanzo, uno degli affascinanti personaggi maschili che ruotano attorno a Fiamma. Da ciò, si evince come la musica sia tutto (o quasi) anche per me.

Non sei nuova all’alternarsi di libri in prosa e di poesia… come convivono in te la narratrice e la poetessa oltre che la docente?

La narratrice in prosa e in versi e la docente convivono, in me, come i famosi “tria corda” dal momento che le possibilità della scrittura sono infinite. Mi esploro in questo e in molti altri modi, cercando di instillare nei miei studenti l’amore per la lettura. Per me, scrittura creativa, laboratorio di scrittura, biblioteca di classe sono parole magiche. Le parole veicolano idealità, interiorità, speranze, e oggi c’è molto bisogno di idee, di ideali e di speranza. L’amore per ciò che faccio si traduce pure in Paola che scrive in prosa, Paola che scrive versi, Paola che insegna. E in molte altre “Paole”, tutte riflessive, impavide, piene di voglia di fare, desiderose di nuovi mondi da scoprire, mai paghe di un fine, di uno scopo, pur di offrire alle giovani generazioni validi spunti di riflessione e spronarle verso il meglio per sé stesse e per la società attuale, tanto bisognosa d’amore, così devastata dall’egoismo, insanguinata da guerre e violenze di ogni sorta quale essa, purtroppo, è. E il riferimento agli aspetti negativi del reale rintocca in tutto il romanzo, in contrapposizione con la bellezza e con la solarità evocate dalla musica di Fiamma.

Scrivi che “La musica è energia, ma anche controllo; è rigore, ma anche avventura”. Credi possa dirsi lo stesso della scrittura?

Come per Fiamma Fogliani, la protagonista del “Piano Concerto Schumann”, la musica di Schumann, e tutta la musica è vita, così per me la scrittura è musica. La scrittura è un’esigenza insopprimibile, che risuona, come musica, di vibrazioni, di sonorità, di echi, quelli che intarsiano il percorso di ricerca che il romanzo traccia e disvela davanti ai nostri occhi. Leggendo di Fiamma, non si può non immaginarsela vibrante e appassionata, al suo piano. Per infondere questa vita alle parole, si scommette su di sé, ci si precipita a capofitto in un mondo che sta nascendo, evocato sulla carta, non meno reale di quello in cui viviamo, e non si può deviare o filtrare quanto sta nascendo mentre lo si crea, mentre lo si vive. Il rigore e l’eleganza sono connaturati sia alla buona musica che alla buona scrittura: dipende da quanto si è fedeli a criteri stilistici e di buon gusto che corrispondano esattamente all’onestà dei nostri stessi intenti di scrittura. La storia si rivela e piace nell’esatta misura in cui scatta il riconoscimento di chi legge in quelle pagine, ricreando in proprio la storia, vivendola in consonanza – o meno – con il proprio mondo interiore. La scrittura è una bellissima avventura dello spirito se ci trasporta nell’altro, e nell’oltre, sempre in adesione con quanto sentiamo, con quanto vogliamo dire, con il messaggio che affidiamo al nostro scritto.

Fiamma Fogliani è artista e donna. Quanto ha contato per te confrontarti con le figure di musiciste come la tua protagonista?

Nel romanzo vi è una miriade di figure femminili: pianiste quali Clara Wieck Schumann, Annie Fisher, Clara Haskil, Martha Argerich, Hélène Grimaud, ma anche artiste, tipo Giovanna Fratellini, pittrice di corte che venne paragonata a Rosalba Carriera e fu la ritrattista della Gran Principessa Beatrice Violante di Baviera. Quest’ultima visse proprio alla corte medicea e dovette conoscere il ‘nostro’ Bartolomeo Cristofori, l’inventore del gravicembalo ‘col piano e col forte’, cioè l’antenato del pianoforte. Man mano che la storia cresceva e sbocciava nelle mie righe, ho ritrovato tutte queste figure; alcune le conoscevo già, infatti amo molto la Argerich, come pianista, e la Grimaud. Menzionare Beatrice Violante mi ha permesso di darle il giusto risalto; peraltro, fu anche un’ottima statista nel governatorato della città di Siena. L’ultima volta che, in pubblico, ho accennato a questa galleria di figure eccezionali, e spesso le donne stanno ai margini della storia, o sono appena menzionate, mi son sentita dire, proprio da una donna: “Lei non ama molto gli uomini”! Ecco, vorrei sconfessare quest’appunto. Rendere il giusto tributo a figure obliate, o meno note di corrispettive personalità maschili, ha validato ulteriormente la mia scrittura di quegli slanci che io amo esprimere. Anche portare alla ribalta Fiamma Fogliani è stata indubbiamente una bella scommessa per dare corpo a ciò che io amo, alla vera bellezza, che ci deve guidare verso il meglio, nell’arte e nella vita.

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