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Maria Lucia Riccioli

~ La Bellezza salverà il mondo (F. Dostoevskij).

Maria Lucia Riccioli

Archivi tag: Giuseppe Bianca

LA CIVETTA DI MINERVA del 26 gennaio 2019

26 sabato Gen 2019

Posted by mlriccioli in Eventi culturali, Letteratura, Musica, scuola

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In edicola il nuovo numero de LA CIVETTA DI MINERVA!

Ecco la locandina…

L'immagine può contenere: 4 persone, persone che sorridono

Caro lettore,

Il quindicinale La Civetta di Minerva è impegnato nella difesa dell’ambiente e del territorio, dei diritti civili, della legalità, dello sviluppo economico ecosostenibile, di una società inclusiva e solidale.

Editore del giornale è l’Associazione Culturale Minerva autofinanziata dai giornalisti e da alcuni soci, tutti insieme impegnati a sostenere una sfida coraggiosa e difficilissima, soprattutto in una provincia come la nostra dove è difficile poter affermare le proprie idee senza alcun timore, a dare la parola a chi non ce l’ha e pubblicare inchieste e notizie che non si trovano sui giornali di maggiore diffusione.

Oggi il giornale si trova in grave crisi economica e l’autosostentamento tra soci e giornalisti non basta più. Ritorniamo in edicola, dopo la pausa estiva, ma non sappiamo garantire per quanto tempo ancora. Chiediamo, pertanto, a quanti apprezzano il nostro modo di fare informazione di aiutarci. L’appello è rivolto sia alle Associazioni ai Movimenti di impegno sociale e civile (ai quali ci offriamo come loro voce e sicuro alleato) sia alle singole individualità che apprezzano il nostro lavoro e ci trovano in edicola. A tutti chiediamo di sottoscrivere un abbonamento annuale (Sostenitore, di almeno 50 euro oppure Ordinario di 25 euro). In cambio promettiamo il nostro rinnovato impegno di cronisti scrupolosi e intellettualmente onesti e l’attenzione verso le loro istanze insieme al piccolo privilegio di poter ricevere il giornale per posta, direttamente a casa, invece di ritirarlo in edicola. Ci rivolgiamo inoltre agli operatori economici, a chi gestisce un’attività commerciale: siamo disponibili ad offrire spazi pubblicitari e redazionali a prezzi veramente contenuti.

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Grazie per l’attenzione. Con i più cordiali saluti.

Franco Oddo

Marina De Michele

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http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3509:biblioteca-comunale-bella-bella-e-impossibile&catid=15:attualita&Itemid=139

Biblioteca comunale bella, bella e impossibile

Maria Lucia Riccioli
Lunedì, 21 Gennaio 2019 07:34

C’è troppo freddo, niente wi-fi, ascensore guasto, orari di apertura inadeguati per studenti. L’Urban Center (ex sala Randone) di via Nino Bixio potrebbe esserne il prolungamento

 

La Civetta di Minerva, 12 gennaio 2019

“Fondare biblioteche è come costruire ancora granai pubblici, ammassare riserve contro un inverno dello spirito che, da molti indizi, mio malgrado, vedo venire”. Così scriveva Marguerite Yourcenar in “Memorie di Adriano”.

L’inverno però, oltre ad essere una stagione dello spirito, lo è innanzitutto in senso meteorologico e la nostra Biblioteca comunale di via dei Santi Coronati – che, ricordiamo ai nostri lettori, venne costituita nel 1867 con il materiale librario delle congregazioni religiose soppresse, arricchito poi con le raccolte dell’ex Gabinetto di storia letteraria e del Consiglio agrario, oltre che con donazioni (Fondo Gubernale e Carpinteri-Rio), lasciti e acquisti; custodisce una notevole raccolta di manoscritti sul Risorgimento come le lettere del Pancali, di Emanuele Giaracà e di Luigi Greco Cassia, i Privilegi e diplomi di Siracusa e “Le consuetudini di Siracusa” di G. Perno (1429), incunaboli, cinquecentine e volumi in pergamena del 1600 e del 1700 – patisce anche il freddo della stagione: personale ed utenti non possono contare sul riscaldamento.

Altri non meno gravi motivi di disagio sono l’ascensore guasto da mesi – pensiamo alle difficoltà per i visitatori anziani o diversamente abili, che dovrebbero essere portati su a braccia – e la mancanza del collegamento wi-fi, che risulta oggi necessario sia per le ricerche in rete che per attirare la fascia dei lettori più giovani (suggeriamo anche che sarebbe auspicabile modificare l’orario di apertura della biblioteca per permetterne la fruizione agli studenti, cui non possono bastare le poche ore delle due aperture pomeridiane settimanali).

Speriamo nella sensibilità della nostra amministrazione per favorire le attività della biblioteca, che comunque offre oltre al servizio del prestito librario quello del prestito digitale (Mlol), di cui ci siamo occupati in un precedente articolo (http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=2993:nelle-biblioteche-siracusane-avviato-il-prestito-digitale&catid=17:cultura&Itemid=143), letture animate, presentazioni letterarie e laboratori di varie tipologie tenuti da volontari che credono nel valore della conoscenza e del fare insieme.

L’Urban center (ex sala Randone) di via Nino Bixio (che ha recentemente ospitato, tra l’altro, l’incontro con Catena Fiorello e il Festival dell’educazione, sulle orme di Pino Pennisi) potrà essere sempre di più il prolungamento della biblioteca comunale fuori dall’isola di Ortigia; pensando al nucleo originario della biblioteca; ricordiamo che a dicembre è stata inaugurata la storica sede della Biblioteca Comunale di Siracusa in via San Pietro in Ortigia dopo un accurato lavoro di ristrutturazione per ospitare il Fondo antico, recentemente restaurato: si auspica che il fondo sia presto fruibile nuovamente da parte di studiosi, visitatori e studenti.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3505:ne-la-mia-vita-in-fabbrica-il-sogno-industriale-dei-siracusani&catid=17&Itemid=143

Ne “La mia vita in fabbrica” il sogno industriale dei siracusani

MARIA LUCIA RICCIOLI
Martedì, 22 Gennaio 2019 14:50

Libro di Antonio Andolfi rievoca le speranze e le successive frustrazioni di cittadini, enti locali e sindacati inseguendo un falso mito di progresso

 

La Civetta di Minerva, 12 gennaio 2019

Per le edizioni Carthago è recentemente uscito “La mia vita in fabbrica” del nostro Antonio Andolfi. Ancora più evocativo risulta il sottotitolo: “Eravamo solo numeri”, a significare l’alimentazione e il senso di deprivazione fisica e mentale di chi ha speso decenni della propria esistenza lavorando nel nostro polo petrolchimico per la Montedison.

Il libro, di genere difficilmente classificabile (a metà tra esposizione di quanto vissuto e studiato, narrazione e tentativo di trarre conclusioni dalla testimonianza di vita propria e altrui analizzando il territorio, le sue potenzialità, la sua reale vocazione tradita in nome di falsi miti di progresso che hanno condotto invece allo sfruttamento di ambiente e persone) si pone in sostanza come un memoriale, un film in soggettiva che a tratti spazia per interrogare il passato – le inchieste postunitarie sul Mezzogiorno – o per domandarsi se, dato l’inquinamento, dati i morti gli ammalati i nati malformati, dati il sottosviluppo e la disoccupazione, “ne è valsa la pena di soffrire così intensamente per un pezzo di pane”.

Il libro di Antonio Andolfi ripercorre la storia di un dipendente con le sue fatiche e disillusioni – umiliazioni e mobbing, rischi e annientamento psicofisico -, inquadrata nella storia più grande del nostro sogno industriale, il miracolo economico che baciò la nostra provincia come quello della lacrimazione della Madonna, cui l’autore l’apparenta nell’azzardo di creare un affresco dell’attuale crisi valoriale oltre che occupazionale.

Avremmo forse voluto una maggiore drammatizzazione dei fatti – lo scoppio del 12 novembre 1979, i blocchi stradali, la cassa integrazione e le dismissioni che squarciarono  il velo delle promesse di un benessere fallace già da soli costituirebbero un’epoca industriale e postindustriale che ci richiamano alla memoria Volponi o, azzardiamo, la Salemi e la Avallone – ma l’opera di Andolfi, che stilisticamente decide di porsi in un registro linguistico medio e a tratti colloquiale per conservare il carattere testimoniale dello scritto – si fa comunque leggere per il suo punto di vista interno sulla questione industriale e quindi per il suo valore documentale. Attendiamo altre prove saggistiche e narrative per completare il quadro di una storia troppo recente e ancora contemporanea, dato che il destino del nostro polo industriale è “una storia ancora tutta da scrivere da verificare negli anni a venire”.

L’autore si chiede se “potrà sorgere un nuovo tipo d’industria consapevole del rispetto ambientale e umano”.

Ce lo auguriamo anche noi.

 

 

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3476:i-pochi-ebrei-a-siracusa-festeggiano-la-chanukka-festa-delle-luci&catid=17&Itemid=143

I (pochi) ebrei a Siracusa festeggiano la Chanukkà, festa delle luci

MARIA LUCIA RICCIOLI
Venerdì, 21 Dicembre 2018 11:08

Dal 17 al 21 dicembre, nel Palazzo del Governo di via Roma, incontro col mondo poetico di “Johannes”

 

La Civetta di Minerva, 8 dicembre 2018

Giovanni Ferdinando Giudice, conosciuto come Johannes, è uno dei personaggi più singolari di Ortigia, della quale è definito il poeta: versifica in lingua italiana e in dialetto siciliano, che ama trasmettere alle nuove generazioni, dipinge e organizza eventi culturali come recital di poesia o la Giornata europea della cultura ebraica – per inciso, ma rimandiamo ai precedenti articoli de “La Civetta di Minerva”, l’ultimo dei quali a firma di Marina De Michele; parlando in un caffè di Ortigia con Johannes abbiamo ricostruito le ultime, spiacevoli vicende sulla comunità ebraica siracusana. Sarebbe comunque auspicabile, da parte dell’amministrazione e soprattutto della curia siracusana, una maggiore comprensione nei confronti della piccola ma resiliente comunità ebraica locale, che a tutt’ora non dispone di un locale atto al culto. Rimandiamo agli studi recenti, ad esempio quello di Angela Scandaliato e Nuccio Mulè, sugli aspetti storico-culturali del “mistero della chiesa che non fu mai sinagoga e della sinagoga trasformata in chiesa”, ovvero San Filippo e San Giovannello alla Giudecca, quest’ultima vero punctum dolens qualora non si accettino la “severa sottomissione al senso storico e unico delle carte polverose e dei documenti consunti degli archivi” e il riscontro dei rinvenimenti materiali.

Da lunedì 17 a venerdì 21 dicembre, dalle 9.00 alle 20.00, presso il Palazzo del Governo di via Roma, sarà possibile conoscere il mondo poetico e non solo di Johannes: è previsto infatti per quei giorni l’evento “Non solo poesie”.

Mentre i cristiani si apprestano a celebrare Santa Lucia, simbolo della Luce di Cristo che viene ad illuminare il mondo il 25 dicembre (data legata alla celebrazione del Sol invictus, il sole che sembra sconfitto ma trionfa sulle tenebre, collegato quindi al solstizio d’inverno: la rete dei rimandi e delle allegorie è fittissima e annoda culti antichissimi, precristiani, alla liturgia della Chiesa), per l’ebraismo questo è il periodo di feste come Chanukkà (in ebraico חנוכה o חֲנֻכָּה, ḥănukkāh), conosciuta anche con il nome di Festa delle luci o Festa dei lumi, mentre martedì 18 dicembre 2018 ricorre il digiuno del 10 Tevet per l’anno 5779, giorno di Kaddish generale per tutte le vittime della Shoah la cui data di morte e luogo di sepoltura sono sconosciute.

L’evento di via Roma potrà essere l’occasione non solo per fruire dell’arte di un poeta e pittore ortigiano, ma anche per approfondire il variegato sostrato culturale e religioso della nostra Siracusa.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3475:annalisa-stancanelli-il-caravaggio-e-la-siracusa-del-600&catid=17&Itemid=143

La trama de “Il vendicatore oscuro” si tinge di giallo per la presenza di un misterioso assassino che segue le orme del pittore

 

La Civetta di Minerva, 8 dicembre 2018

“1608. Siracusa, a nord del Porto Laccio. Il mare era calmo, solo qualche lieve increspatura”.

Questo l’incipit de “Il vendicatore oscuro”, uscito per Electa Storie per la penna di Annalisa Stancanelli, dirigente scolastica e autrice di articoli, saggi e romanzi incentrati soprattutto su personaggi aretusei, in primis Archimede, Elio Vittorini e in questo caso Caravaggio, che durante la sua fuga – per sfuggire ai Cavalieri di Malta, al papa, ai fantasmi di una vita violenta, a se stesso – e la sua breve troppo breve sosta a Siracusa dipinse “Il seppellimento di Santa Lucia”, tela che dopo varie vicissitudini adesso è collocata presso l’altare maggiore della Chiesa di Santa Lucia alla Badia – basti ricordare la permanenza al Museo Bellomo, il lungo restauro, la polemica sulla mancata ricollocazione presso la Basilica di Santa Lucia al Sepolcro in Borgata, cui il quadro era originariamente destinato.

Il romanzo della Stancanelli si pone tra gli innumerevoli libri scritti su Caravaggio, la sua arte e la sua tormentata biografia – ricordiamo almeno “La fuga, la sosta” di Pino Di Silvestro (Rizzoli, La Scala), dal linguaggio prezioso, diremmo consoliano, e dall’impianto sciasciano nel rapporto con le fonti.

Ne “Il vendicatore oscuro”, dal montaggio rapido, dalle pennellate veloci – la scrittura della Stancanelli risente della lezione del giornalismo e predilige sobrie descrizioni e dialoghi brevi, serrati – l’ultimo Caravaggio emerge come figura vivida e oscura insieme; la trama del romanzo si tinge di giallo per la presenza di un misterioso assassino che, tra reminiscenze dantesche e madrigali del Mirabella, risse con Cardarelli e amori teneri e sensuali, sembra seguire le orme del pittore. Continui flashback ricordano al lettore il passato di Michelangelo Merisi, diviso tra pittura, colleghi amici rivali amori e la frequentazione di uomini tanto potenti quanto pericolosi.

Il contesto storico-geografico e culturale fa da sottofondo alla vicenda di Caravaggio, alle sue paure, ai suoi deliri, al genio che lo spinge a lavorare ossessivamente, a trasfigurare i propri incubi nella luce superiore dell’arte: ritroviamo così Mario Minniti, Vincenzo Mirabella e tutto il potentame siracusano dell’epoca, frati, monache, popolani, schiavi, uomini di mare, le chiese di San Giovanni e Santa Lucia extra moenia e un’intera città, dimora accogliente e ostile insieme.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=category&layout=blog&id=17&Itemid=143
http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3472:la-troupe-di-paesi-che-vai-rai-1-di-nuovo-a-siracusa&catid=17&Itemid=143

La troupe di “Paesi che vai…” (Rai 1) di nuovo a Siracusa

MARIA LUCIA RICCIOLI
Mercoledì, 19 Dicembre 2018 14:23

Per documentare con immagini la vita e il martirio di Santa Lucia.La realizzazione del programma coincide con l’elevazione a Santuario diocesano della Basilica

 

La Civetta di Minerva, 8 dicembre 2018

“La Civetta di Minerva”, com’è ormai solita, ha seguito per voi i sopralluoghi e le riprese di una nuova, speciale puntata di “Paesi che vai… Luoghi, detti, comuni”, fortunata trasmissione della rete ammiraglia della Rai.

Speciale perché non è la prima volta che il format condotto da Livio Leonardi si occupa della Sicilia e di Siracusa in particolare: la Palermo arabo-normanna e le cattedrali di Cefalù e Monreale, l’Etna – per i siciliani ‘a Muntagna, la Grande Madre di fuoco e neve che ha improntato di sé ambiente, paesaggio e cultura della nostra isola -, Noto (ricordiamo la puntata della scorsa stagione, con Eleonora Nicolaci a fare da guida d’eccezione tra i gioielli del Barocco netino), Agrigento, Modica e il suo cioccolato, Marzamemi e i prodotti di tonnara, il Castello federiciano di Siracusa e la sua splendida Cattedrale, il Caravaggio di Santa Lucia alla Badia, la Neapolis e le fortificazioni di Epipoli…

Stavolta la troupe di “Paesi che vai…” (tra le trasmissioni di Leonardi ricordiamo almeno “Ciao Italia”, “Bella Italia”, “Le strade del sole”, “Una troupe racconta”; autore dei testi è Antonio Costa e la regia è curata da Daniele Biggiero), con un drone che a volo d’uccello – si direbbe di quaglia, dall’antico nome di Ortigia – riprenderà le bellezze della città aretusea, si occuperà di una figlia speciale di Siracusa: una giovane siracusana del III secolo che ebbe la forza di testimoniare la propria fede durante la terribile (l’ultima) persecuzione di Diocleziano, affrontando coraggiosamente la morte nel 304. Santa Lucia, dunque, ‘a Santuzza dei Siracusani, la patrona che la città si appresta a festeggiare il 13 dicembre, suo dies natalis (ovvero il giorno del martirio, il momento della nascita al Cielo e a nuova vita in Cristo).

Sarà nostra cura avvertire i lettori della messa in onda del programma su Rai1, girato in pochi giorni di miracolosa luce nei luoghi della vita e del martirio di Lucia: tra Ortigia, San Giovanni alle Catacombe, Santa Lucia al Sepolcro, Santa Lucia alla Badia, nella miracolosa luce decembrina che fa da scolta alla luce del Natale – millenari i simbolismi legati alla figura della Santa siracusana, che fonde cristianesimo e persistenze pagane, oggetto e protagonista di opere letterarie e artistiche – si snoderà il racconto di Livio Leonardi, tra narrazione e rievocazione; significativo anche il fatto che la realizzazione del programma coincida con l’elevazione della Basilica di Santa Lucia al Sepolcro – il tempietto di Giovanni Vermexio inscritto e insieme circoscritto alle Catacombe, che custodisce al suo interno la statua di Gregorio Tedeschi, sarà anch’esso scenario del programma – a Santuario diocesano nel 400esimo anniversario della custodia del Sepolcro da parte dei frati minori di Sicilia.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3471:magnifico-presepe-a-sortino-dell-artista-roberto-sequenzia&catid=17&Itemid=143

Magnifico presepe a Sortino dell’artista Roberto Sequenzia

MARIA LUCIA RICCIOLI
Mercoledì, 19 Dicembre 2018 14:15
Con case rurali, locande, pozzi, fondachi e putìe del territorio. Abbiamo visitato per voi la Galleria “Il Tempio dell’arte” di via Giambattista Vico

 

La Civetta di Minerva, 8 dicembre 2018

Viaggiare per la provincia di Siracusa offre sorprese interessanti e permette di valorizzare realtà spesso misconosciute. Esempio ne è Sortino, ai più nota per la sagra del miele, per il pizzolo o per lo “spirito dei fasciddari”, tutte eccellenze enogastronomiche da gustare e che sono fortemente radicate nel territorio, impregnate come sono della nostra millenaria tradizione agropastorale.

Ma Sortino offre al visitatore anche la bellezza delle sue chiese e conventi – in primis quello dei Cappuccini, con una preziosa biblioteca che conserva tesori librari inestimabili -, di palazzi e cortili tutti da scoprire.

Sortino è anche terra di ingegni e di artisti: non possiamo non nominare Salvo Zappulla, animatore culturale, scrittore e ideatore del Premio Pentèlite (notevoli anche i contributi di studiosi, poeti e artisti che confluiscono nell’omonima associazione culturale e nella rivista che periodicamente vede la luce ad opera di Zappulla e dei collaboratori, dediti anche all’opera di divulgazione culturale) o Gioacchino Bruno, impegnato da anni nella riscoperta di Sortino diruta, l’antica Sortino distrutta dal terremoto del 1693, amorosamente indagata, misurata, disegnata, riportata alla luce in un museo (l’Antiquarium del Medioevo sortinese) che meriterebbe maggiore attenzione da parte delle istituzioni locali e nazionali.

“La Civetta di Minerva” ha visitato per voi la Galleria “Il Tempio dell’arte” di via Giambattista Vico, ovvero lo studio di Roberto Sequenzia, artista locale dagli interessi poliedrici – dipinge infatti con tecniche varie sia i soggetti che incontrano maggiormente il gusto dei committenti e dei visitatori che quelli scaturiti dalla ricerca e da uno studio personali e più intimi.

Vincitore di diversi premi, Sequenzia ha partecipato a mostre collettive in tutta Italia e il suo lavoro ha meritato l’attenzione e il plauso sia del pubblico che di diversi critici d’arte. Cultore del bello, collezionista a sua volta, fondatore tra l’altro del gruppo folkloristico “La zagara”, ha realizzato un magnifico presepe ambientato nella realtà della nostra Sicilia tradizionale e che sarebbe degno sia di una collocazione prestigiosa che di un flusso più consistente di visitatori: l’evento dell’Incarnazione del Cristo è collocato in ambienti e cornice che non possiamo non considerare familiari (case rurali, locande, pozzi, fondachi e putìe, il tutto immerso nel paesaggio siciliano e sortinese in particolare, con le piante, gli animali e gli strumenti del lavoro dei nostri avi).

Per chi volesse conoscere meglio Roberto Sequenzia e la sua arte, invitiamo i nostri lettori sia a visitare il suo studio che a compiere un viaggio virtuale nel sito www.robertosequenzia.it e sulla pagina Facebookhttps://www.facebook.com/groups/283962341712258/ (presepi e diorami del mondo).

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3453:il-complimento-della-maraini-ha-battezzato-la-mia-scrittura&catid=17&Itemid=143

“Il complimento della Maraini ha battezzato la mia scrittura”

MARIA LUCIA RICCIOLI
Mercoledì, 12 Dicembre 2018 15:22

Catena Fiorello, autrice di “Picciridda” e Premio Elsa Morante 2018: “Dacia mi ha detto: da Verga alla Morante la tua prosa mi ha ricordato molto il verismo”. “Una figura fondamentale è stata per me la professoressa Rosa Peluso”

Martedì 27 novembre alle ore 17.30, presso l’Urban Center di via Nino Bixio a Siracusa, si terrà una conversazione – promossa dall’Assessorato alle Politiche culturali del Comune di Siracusa, dalla Demea Promozione eventi culturali e naturalmente dalla Biblioteca comunale di Siracusa – con Catena Fiorello, autrice di “Picciridda” e Premio Elsa Morante 2018. Ad introdurre l’incontro, che ci auguriamo sia foriero di sempre più frequenti iniziative culturali in questo spazio recuperato – pensiamo al recente Festival dell’Educazione –, i saluti dell’assessore alla Cultura e al Turismo Fabio Granata.

“La Civetta di Minerva” ha intervistato per voi Catena Fiorello, autrice e conduttrice televisiva e soprattutto scrittrice (ricordiamo “Casca il mondo, casca la terra” per i tipi di Rizzoli e “L’amore a due passi” pubblicato da Giunti), che ringraziamo per la gentilezza e la disponibilità.

L’evento all’Urban Center di Siracusa sarà una bella occasione per parlare non solo dei suoi ultimi libri, ma anche – se vuole – per anticiparci qualcosa del suo prossimo lavoro. Il suo è un percorso in cui riusciamo a intravedere un grande amore per la propria terra, l’attenzione e la sensibilità verso le figure femminili e l’infanzia in particolare e la propensione a narrare storie di rinascita. Si ritrova in queste parole? Cosa può dirci del suo libro in preparazione?

Riguardo al mio ultimo romanzo, ho deciso di dire ancora poco perché uscirà a febbraio e arriverà il momento giusto per parlarne, ma sicuramente posso anticipare che anche questa volta parlo della storia di una donna. Io sono molto affascinata dal mondo femminile. Da sempre la mia storia, i miei romanzi raccontano appunto di una “Catena” che è proprio attratta dalla forza femminile, dalle figure di donne che, anche quando sono apparentemente deboli, poi rivelano invece una forza interiore incredibile e questo aspetto credo che appartenga al 99,9 per cento delle donne. Siamo forti.

Il suo legame con Siracusa… ci racconta cosa la lega alla nostra città?

Il mio legame con Siracusa – è chiaro – nasce dal fatto che io ho abitato per tutta l’infanzia e la mia giovinezza fino a ventitré anni alle porte di Siracusa, ad Augusta. Per noi Siracusa era la grande città oltre a Catania, dove andare a fare le compere, a cercare le cose che non trovavamo nel nostro paese. Il mio legame con la città nasce anche da un altro elemento, quello della scuola. La mia insegnante di Greco, Rosa Peluso, che è di Siracusa, per me è stata un punto fondamentale nella vita e quindi una figura veramente importantissima perché ha lasciato dei segni ben precisi nella mia formazione: io associo sempre Siracusa alla professoressa Peluso, quindi quando vengo qui cerco sempre di incontrarla. E poi la bellezza, la storia di Siracusa… come fare a non innamorarsi di quella città?

La sua è una famiglia particolarmente talentuosa… evidentemente i suoi genitori hanno lasciato un’impronta fortissima sui figli che, pur in campi diversi, hanno mostrato tenacia e indubbie capacità. Come riflesso di tutto questo nella sua scrittura mi piace citare “Dacci oggi il nostro pane quotidiano. Ricordi, sogni e ricette di una famiglia come tante. La mia” e “Un padre è un padre”, pubblicati entrambi da Rizzoli. Qual è il lascito della sua famiglia, l’impronta che di loro si è scavata in lei? Oggi i ragazzi hanno bisogno più che mai di modelli e radici, che in questa società liquida – direbbe Bauman – tendono a smarrirsi. Cosa si sentirebbe di dire a un giovane di talento per incoraggiarlo a intraprendere la strada della scrittura?

Mi fa molto piacere che lei citi Bauman, i concetti che questo sociologo ha lasciato. Tutto ciò che lui ha affermato riguardo alla nostra società senza punti di riferimento, appunto appellandola come “società liquida” ma anche riguardo al pensiero, al mercato del lavoro, alla politica, ci dice che la nostra è una società che mira a gratificare l’individuo solo attraverso il consumo, quindi cosa rimane di questo? Qualche decennio fa ogni individuo si sentiva rassicurato dal gruppo, dai vicini di casa, dalla famiglia, dallo Stato, dalla società che lo circondava.

Noi fratelli – ma credo tantissimi della nostra generazione – dobbiamo davvero ringraziare i nostri genitori perché ci hanno permesso, pur avendo pochissimo, di essere felici e di trascorrere un’infanzia e una giovinezza serena, perché sono stati in grado di darci gli strumenti per fare la differenza, per capire che in fondo (sembrano banalità, discorsi triti e ritriti, ma sono comunque la base di ogni individuo) tutto sta nel cercare la propria strada.

Assolutamente io non ho nulla da consigliare a un giovane che vuole intraprendere la mia strada: non mi sento nella condizione di poter dare dei consigli perché ogni strada è troppo personale; ogni individuo fa un percorso ben preciso e la ricetta per tutti non c’è: ogni strada è lastricata di fatica e di sudore e ognuno di noi con tutte le sue forze deve capire che cosa gli assomiglia di più. Io non mi sento talmente modello da poter dire agli altri cosa fare. E poi, cara Maria Lucia, aggiungo che io mi sono tenuta sempre tenuta alla larga da quelli che dispensano consigli, che sanno sempre tutto: mi inquietano moltissimo quelli che hanno tante certezze. Io vivo perennemente nel dubbio e qualche volta invece nella convinzione di aver fatto male; guardo come grandi misteri a queste persone che hanno sempre un consiglio da dispensare.

“Abitavo in un paese affacciato sul mare, e mi sentivo la figlia della gallina nera. E non una qualunque, ma la nera più nera che si potesse immaginare. Le bambine fortunate, invece, quelle a cui era capitato un destino diverso, erano figlie delle galline bianche. Ma questa è un’altra storia”. Con “Picciridda” lei ha vinto il Premio Elsa Morante 2018 (sezione ragazzi) narrando una storia ambientata negli anni Sessanta ma che apparenta l’emigrazione italiana in Germania alla migrazione interna di quegli stessi anni e alla nostra attualità magmatica e contraddittoria. Una grandissima soddisfazione, credo, quella di vedersi associate alla Morante, “cantrice” dell’infanzia e delle sue ferite…

Quando Dacia Maraini mi ha incontrato dietro le quinte mi ha detto: “Catena, il libro è stupendo e davvero questo premio calza a pennello perché per certi versi da Verga alla Morante la tua scrittura mi ha ricordato molto un verismo, la capacità di tradurre in realtà cruda con le parole ciò che circonda le persone e in particolare una bambina di undici anni”. Per me è stato davvero il vero battesimo della mia scrittura.

 

L'immagine può contenere: 10 persone, persone che sorridono, folla e spazio al chiuso

Come potete vedere, eccomi con la mia copia de LA CIVETTA DI MINERVA da donare a Catena Fiorello!
http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3428:aurora-miriam-scala-la-mia-e-una-testimonianza-dall-aldila&catid=17&Itemid=143

Aurora Miriam Scala: “La mia è una testimonianza dall’aldilà”

MARIA LUCIA RICCIOLI
Martedì, 04 Dicembre 2018 13:26

“La storia – dice l’attrice – rievoca il rapporto di una donna con l’uomo che l’ha poi uccisa. Lo spettacolo è la favola di una bambina diventata prostituta, salvata tra i miasmi e l’immondizia dalle cicogne”

La Civetta di Minerva, 24 novembre 2018

Presso la Chiesa evangelica battista di Siracusa in via Agatocle, per la regia di Giannella Loredana d’Izzia, è stato rappresentato lo spettacolo “Voce di Donna” – Dalla parte delle Cicogne – La Donna senza Nome(due monologhi di Lina Maria Ugolini e Clelia Lombardo). In scena (video e luci sono stati curati da Alessandro Sipione) Anna Passanisi e Aurora Miriam Scala, con la partecipazione di Giorgia Matarazzo e Cristiana Fontana.

Significativa coincidenza quella della messa in scena dei testi con la scomparsa di Bice Mortillaro Salatiello, anima storica del movimento femminista palermitano, anima della folle avventura di quelle che oggi sono ricordate come “Le donne del digiuno” (aveva militato lungamente nell’Udi, l’unione delle donne in Italia), accampate di fronte al teatro Politeama per più di un mese all’indomani delle stragi di mafia del ‘92.

Donne dunque: attrici, registe, danzatrici, scrittrici, donne che narrano di donne e danno voce alle donne che non hanno più la parola o è loro impedita.

“La Civetta di Minerva” (che si era occupata qualche anno fa dell’Andromaca di Clelia Lombardo, interpretata da una superba Carmelinda Gentile) ne ha parlato con l’attrice Aurora Miriam Scala, che il pubblico ha avuto recentemente modo di apprezzare ne “Le Rane” al Teatro greco di Siracusa, spettacolo replicato nell’ultima stagione INDA e trasmesso anche su Rai5:

“La mia è una testimonianza dall’aldilà: una donna rievoca il rapporto con l’uomo che l’ha poi uccisa. È un monologo molto lineare con dei movimenti di scena geometrici, asciutto nella forma e intenso nell’interpretazione, una presa di coscienza spesso anche aggressiva di quanto accaduto; il testo interpretato da Anna Passanisi, poetico e sognante, commovente in molti punti, è la favola di una bambina diventata prostituta, salvata tra i miasmi e l’immondizia dalle cicogne”.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3410:ohibo-nella-spedizione-dei-mille-c-era-anche-una-donna&catid=17&Itemid=143

Ohibò, nella spedizione dei Mille c’era anche una donna

MARIA LUCIA RICCIOLI
Mercoledì, 21 Novembre 2018 08:39

La scrittrice Maria Attanasio, che ha rivangato in un libro la figura di Rosalia Montmasson: “L’ho scoperto per caso. Credevo fossero tutti maschi”

 

La Civetta di Minerva, novembre 2018

“La Civetta di Minerva” ha incontrato per voi Maria Attanasio, autrice per i tipi di Sellerio editore del romanzo “La ragazza di Marsiglia”. Il romanzo, vincitore del Premio Maria Messina, del Premio I Quattro Elementi, del Premio Manzoni per il romanzo storico, del Premio Internazionale Città di Como e del Premio Basilicata 2018, è imperniato sull’unica donna che prese parte alla spedizione dei Mille, Rosalia Montmasson.

Non è nuovo l’interesse della Attanasio per le microstorie, per le storie di personaggi rimasti nascosti nelle pieghe della Storia più grande che è come un grande arazzo di cui si notano però spesso solo i grandi nomi, quando invece uomini e più di sovente donne come la Montmasson restano in ombra: in “Correva l’anno 1698 e nella città avvenne il fatto memorabile” (1994), nelle “Piccole cronache di un secolo” (1997, con Domenico Amoroso), in “Di Concetta e le sue donne” (1999) e ne “Il falsario di Caltagirone” (2007), (per non parlare dell’attualissima distopia de “Il condominio di Via della Notte” (2013) – emergono volti e vicende di un passato più o meno remoto, di una Sicilia terra di contrasto fra truvature poetiche e ferocie.

La scrittura della Attanasio, mai compiaciuta ma sorvegliatissima, lucida nell’analisi di fatti e documenti, attenta alla ricostruzione degli avvenimenti nel rispetto assoluto del dato storico interpretato alla luce del presente e delle sue contraddizioni, ne “La ragazza di Marsiglia” dipana la vicenda di una donna che viene ricordata tutt’al più come di Francesco Crispi, figura cruciale del nostro Risorgimento e che in particolare giocò un ruolo importante per l’elevazione di Siracusa a capovalle nel 1865: in via XX settembre, il 21 ottobre del 1927, in piena età fascista quindi, venne posta una lapide che ricorda il “cospiratore profugo /incitatore apostolo” (per l’immagine rimandiamo al sito http://www.antoniorandazzo.it).

Il Risorgimento delle donne (pensiamo ad esempio al lavoro di Elena Doni) ci offre una visione in controluce della formazione dell’Italia, spesso in controtendenza rispetto alla memoria che ci restituiscono epigrafi, targhe, vie, piazze con date luoghi eventi e nomi che dimenticano l’apporto femminile alla storia contemporanea e non del nostro paese. Ma passiamo la parola a Maria Attanasio, che ha ridato voce a Rosalia Montmasson.

Come mai hai deciso di occuparti di questa figura?

L’ho incontrata per caso, in un pomeriggio di noia e depressi pensieri dell’autunno del 2010. Navigando in internet, mi ritrovai in un sito che riportava la notizia – vecchia di qualche anno – di una targa collocata sulla facciata di un palazzo fiorentino, dedicata a Rosalia Montmasson; l’unica donna presente tra i 1089 volontari della spedizione dei Mille, che in quel palazzo, al tempo di Firenze capitale, insieme al marito Francesco Crispi, era vissuta.

Sorpresa, stupore, incredulità. Ho studiato storia all’Università, l’ho insegnata al liceo, ma non avevo mai saputo di una donna tra i Mille partiti da Quarto: nessuna notizia né nei grossi tomi universitari, né nei libri di testo scelti per i miei alunni, né nell’aneddotica storica dei sussidiari delle elementari. Per me i Mille erano declinati solo al maschile. E non solo per me: nessuno a cui chiesi di Rosalie Montmasson ne sospettava l’esistenza. Un assurdo, inspiegabile, silenzio, su un fatto così singolare, che riguardava uno degli eventi fondativi dell’Unità d’Italia.

Da qui la mia ricerca – matta e disperatissima – tra archivi, biblioteche, internet, per infrangere quel silenzio, e restituire identità storica a questa donna coerente e libertaria; che, a differenza del marito – da repubblicano, per opportunismo politico, diventato monarchico – rimase fedele alle idee di Mazzini fino alla morte.

Un’identità, storica ed esistenziale, che però il potentissimo Crispi cercò totalmente di cancellare dopo l’annullamento del loro matrimonio – 25 anni di vita coniugale – ottenuto con la complicità di giudici e politici. Dopo il quale, di lei si perde ogni memoria.

Premio Manzoni è intitolato allo scrittore che seppe mescolare storia e invenzione donandoci, diciamo così, la ricetta del romanzo storico. Come “dosi” i due elementi nella tua scrittura? Quale futuro vedi oggi per questo genere letterario?

Più che mai necessario, oggi, il romanzo storico: per non dimenticare il nero, il buio, l’orrore che nel passato spesso è scritto… genocidi… campi di sterminio… xenofobia… E resistere alle serpeggianti tentazioni autoritarie di una storia contemporanea che alza muri contro esiliati e migranti, alimentando artatamente la paura dell’altro. Un bisogno espressivo, che, a mio parere, oggi molti scrittori fortemente sentono; non è un caso che quest’anno siano stati pubblicati tanti romanzi storici: quelli di Lia Levi, di Helena Janeczek, di Rosella Postorino, di Marco Balzano, e di tanti altri…

Ma chi, in Italia, scrive romanzi storici non può prescindere da Manzoni; a partire dalla rilettura della “Storia della colonna infame”: dal rapporto in essa tra documento e narrazione che Leonardo Sciascia con forza sottolineò, riportando all’attenzione di scrittori e lettori questo straordinario testo manzoniano; ma, per quanto mi riguarda, non si può prescindere nemmeno da Stendhal, Marguerite Yourcenar, e dalla variegata lezione del romanzo storico siciliano: da De Roberto, Sciascia, Consolo. Non c’è però una ricetta, un dosaggio espressivo unico tra storia e invenzione. Non solo tra i diversi scrittori, ma talvolta anche tra i diversi romanzi dello stesso scrittore: mi è accaduto, continua ad accadermi. Ne “La ragazza di Marsiglia” la presenza e la fedeltà al documento è fondamento ineludibile, struttura portante della finzione letteraria; assolutamente necessaria per restituire visibilità storica e voce a questa donna, nel cui vissuto storia ed esistenza, amore e utopia erano inscindibili.

La parola che narra convive in te con la parola poetica – ricordiamo ai nostri lettori le raccolte “Interni”, 1979; “Nero barocco nero”, 1985; “Eros e mente”, 1996; “Amnesia del movimento delle nuvole”, 2003. In che modo? Cosa hai in cantiere in questo momento?

Non convive, si alterna. Sono infatti una dissociata biscrittora: a volte poesia, a volte narrazione. Ma fondamentale, in tutta la mia produzione, è la lunga pratica di lettura e scrittura poetica, che mi porta a un’intransigente disciplina, a un forte controllo della parola. E a leggere la realtà dei fatti di una determinata epoca, di un determinato luogo, con una dimensione rappresentativa che – simultaneamente, liberamente – coniuga emozione e concetto, esistenza e mondo.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3389:il-coro-polifonico-giuseppe-de-cicco-si-esibisce-a-bologna&catid=17&Itemid=143

Il coro polifonico “Giuseppe De Cicco” si esibisce a Bologna

MARIA LUCIA RICCIOLI
Martedì, 06 Novembre 2018 11:18

Per il 150° dalla morte di Rossini e nel Festiva corale. Nella nuova stagione la compagine impegnata nell’attività concertistica e nell’animazione liturgica

La Civetta di Minerva, novembre 2018

È ricominciata a pieno ritmo la nuova stagione concertistica del coro polifonico europeo “Giuseppe De Cicco”, realtà musicale ormai consolidata della provincia di Siracusa diretta dal maestro Maria Carmela De Cicco.

In occasione del centocinquantesimo anniversario della morte di Gioachino Rossini, il coro eseguirà, presso il Tempio di San Giacomo di Piazza Rossini a Bologna, musiche di Monteverdi, F. Mendelssohn, M. Duruflé, E. Elgar, Lotti, De Victoria, Telemann, Schütz, Rheinberger, Bruckner, Reger, compositori di musica corale dal Barocco al Romanticismo, omaggiando Rossini con le pagine più belle dello “Stabat Mater” e della “Petite Messe Solennelle”, insieme al Coro Euridice di Bologna, diretto da Maurizio Guernieri e Pier Paolo Scattolin.

Oltre che per il concerto, il coro sarà impegnato nell’animazione della liturgia. Il Festival corale internazionale Città di Bologna, giunto all’undicesima edizione, nell’ambito deIla quale sono inserite le esibizioni del coro De Cicco, si deve anche alla collaborazione con il San Giacomo Festival.

Il coro polifonico De Cicco si conferma dunque come compagine impegnata sia nell’attività concertistica – il 9 febbraio 2019 la corale si esibirà al Teatro Don Bosco di Ragusa in un concerto inserito nel cartellone dell’associazione “Melodica” – che nell’animazione liturgica, oltre che nella formazione dei coristi e dei direttori di coro con maestri di chiara fama come Pierpaolo Scattolin, Angela Troilo e Giovanni Acciai: tra le iniziative recenti che hanno visto coinvolto il coro ricordiamo “1000 voci per ricominciare” per la raccolta fondi in favore del Teatro di Amatrice, il ventennale del coro festeggiato con l’esecuzione della “Petite Messe Solennelle” di Gioachino Rossini a Carlentini (SR), Ragusa e la Chiesa di Santa Lucia alla Badia di Siracusa, raduni corali come “O Nata Lux”, la celebrazione del Giorno della Memoria, il gemellaggio con il coro di Agira, il festival “Musica sotto le stelle”, il bicentenario di Baha’u’llah, il gemellaggio con la città di Würtzburg e il sesto festival nazionale di musica sacra mariana di Bagheria (PA).

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3367:fino-al-6-novembre-a-palermo-la-mostra-sulla-poetessa-mariannina-coffa&catid=17&Itemid=143

 

A Palermo la mostra sulla poetessa di Noto Mariannina Coffa

MARIA LUCIA RICCIOLI
Domenica, 04 Novembre 2018 08:02

L’evento nel 140° anniversario della sua morte. Sempre più artisti e letterati ne scrivono in saggi e ricerche

 

La Civetta di Minerva, novembre 2018

Il 6 gennaio 1878 moriva, a soli trentasei anni, tre mesi e sei giorni, la poetessa e patriota netina Mariannina Coffa. Sono quindi trascorsi esattamente centoquarant’anni dalla scomparsa di una donna ed artista la cui fama volò oltre il Val di Noto che l’aveva vista fiorire e nel corso di questo lasso di tempo non sono mancati gli studiosi e gli estimatori della biografia e dell’opera della poetessa, soprannominata “Saffo netina” e “Capinera di Noto” per l’apparentarsi del suo destino a quello della poetessa di Mitilene e dell’eroina di Verga: tra i più recenti cultori di Mariannina Coffa non possiamo non citare Marinella Fiume e Biagio Iacono (“Sibilla arcana”, “Sguardi plurali”, “Voglio il mio cielo” i lavori principali, frutto di infaticabili studi sulle carte d’archivio e del lavorìo critico di appassionati indagatori delle carte coffiane), oltre ad Angelo Fortuna (ricordiamo il suo volume su “Anonimo 1905”) e a Stefano Vaccaro (ricordiamo il suo recente “Silfide, maga e sirena – L’ideale femminile nella letteratura italiana dell’Ottocento”), giovani appassionati di letteratura che versificano nel nome della Coffa come Giuseppe Puzzo, docenti universitari del calibro di Nicolò Mineo, Carlo Muratori (che ha musicato un sonetto della Coffa inserendo il brano nel CD “Sale” e portandolo in tournée in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia) e potremmo continuare.

A celebrare questo anniversario è stata però non la città di Noto o Ragusa (dove la poetessa netina visse dal 1860 al 1876), ma Palermo, capitale della cultura 2018, con il progetto “Mariannina Coffa 2.0 – Concorso internazionale di poesia, letteratura ed arti visive – Resurrectio, ideato e realizzato dall’Associazione culturale “Suggestioni mediterranee” (presieduta da M. Stella Pucci di Benisichi) in collaborazione con l’Associazione Culturale “PROGETTO Zyz – La Palermo Splendente”, con lo scopo di onorare la memoria della poetessa “maledetta”. Gianluca Pipitò è il responsabile del premio, articolato in area poetico-letteraria, arti visive e ricerca storica, che prevede anche la pubblicazione di un’antologia digitale.

Fino al 6 novembre sarà inoltre visitabile la mostra dedicata alla poetessa presso il Real Albergo dei Poveri: inaugurata il 6 ottobre 2018 (orari: dalle ore 10 alle 17, da martedì a domenica), vede coinvolti il Comando regionale della Guardia di Finanza, l’Associazione culturale storia e militaria di Palermo, l’Ente di formazione professionale CIRPE e i vincitori della sezione pittura e fotografia del concorso “Mariannina Coffa Caruso 2.0 resurrection”, che ha visto premiati presso la Sala Pitrè della Società siciliana di Storia patria anche i poeti e gli scrittori finalisti del concorso letterario.

Oltre ad iniziative come queste e ai convegni e conferenze dedicati alla poetessa, sarebbe auspicabile un’edizione critica delle opere di Mariannina Coffa, realizzata con la stessa acribia con cui si è lavorato all’epistolario Coffa-Mauceri (ricordiamo che Ascenzio Mauceri, drammaturgo e musicista, primo preside del Liceo classico di Noto, fu il primo sfortunato e romanticamente indagato amore della poetessa) e alle lettere della Nostra al precettore e ad altri corrispondenti come parenti ed amici. Altri campi d’indagine sulla Coffa sono naturalmente ancora aperti: il suo rapporto con la Massoneria e con la medicina omeopatica, le sue collaborazioni anche sotto pseudonimo con vari periodici, ma anche e diremmo soprattutto il mistero delle carte scomparse dopo la sua morte, che se risolto potrebbe gettare una luce nuova sull’ultima stagione poetica della poetessa e forse anche sulla rottura del fidanzamento con Mauceri, prodromo dell’infelice matrimonio di Mariannina Coffa con Giorgio Morana.

Il 2019 potrebbe essere l’occasione per ripensare alle vicende risorgimentali, che si sono intrecciate alla biografia e all’opera di una letterata che merita di essere conosciuta e apprezzata anche al di fuori dell’ambito celebrativo e locale o accademico.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=category&layout=blog&id=17&Itemid=143

 

 

 

 

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LA CIVETTA DI MINERVA dell’11 gennaio 2019

12 sabato Gen 2019

Posted by mlriccioli in Eventi culturali, Letteratura, Musica, scuola

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Visitatori nei luoghi del seppellimento di Santa Lucia

MARIA LUCIA RICCIOLI
Venerdì, 21 Dicembre 2018 14:03

Iniziativa del Rotaract. Il ricavato sarà devoluto all’acquisto di macchinari da donare al reparto di pediatria dell’Umberto I°

 

La Civetta di Minerva, 8 dicembre 2018

Nella settimana in cui ricorre la festa della Santa patrona di Siracusa, i Rotaract Club Siracusa Ortigia e Noto terra di Eloro organizzano un’attività in cui verranno ripercorsi i luoghi storici e leggendari di Santa Lucia.

Prevista per domenica 16 dicembre infatti la visita dei luoghi del martirio e del seppellimento della giovane siracusana testimone della fede cristiana durante la persecuzione del 304; tra l’altro si ammireranno le edicolette votive più famose che testimoniano alcuni dei miracoli della Santa in favore della città di Siracusa – ricordiamo ad esempio quella di Piazza delle Poste che ci riporta al terremoto del 1908 –, infine sarà possibile vedere il simulacro argenteo realizzato da Pietro Rizzo ed il celebre dipinto del Caravaggio “Il Seppellimento di Santa Lucia”.

Il ricavato dell’attività sarà interamente devoluto al progetto di acquisto di macchinari medici e strumentazione complementare da donare al reparto di pediatria dell’Umberto I.

I Rotaract Club non sono nuovi a queste iniziative benefiche: quello di “Noto – Terra di Eloro” ha recentemente visitato i pazienti con disabilità mentale della comunità “Villa della Zagara” portando un ricco buffet e trascorrendo un pomeriggio in compagnia dei ricoverati, affetti da una patologia spesso purtroppo poco compresa, i quali, felici di questa sorpresa, hanno ringraziato i giovani rotaractiani donando un graditissimo pensiero fatto con le loro mani.

Momenti come questi, che si spera non restino isolati ma siano forieri di un contatto reale e duraturo con la realtà della sofferenza, sono stimolo a fare sempre più e meglio con spirito di servizio, o di “service” come i rotaractiani amano definirlo, cercando di essere sempre più fedeli e coerenti al motto di club di questo anno sociale 2018/2019 tratto dagli Atti degli Apostoli: “C’è più gioia nel dare che nel ricevere”.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3476:i-pochi-ebrei-a-siracusa-festeggiano-la-chanukka-festa-delle-luci&catid=17&Itemid=143

I (pochi) ebrei a Siracusa festeggiano la Chanukkà, festa delle luci

MARIA LUCIA RICCIOLI
Venerdì, 21 Dicembre 2018 11:08

Dal 17 al 21 dicembre, nel Palazzo del Governo di via Roma, incontro col mondo poetico di “Johannes”

 

La Civetta di Minerva, 8 dicembre 2018

Giovanni Ferdinando Giudice, conosciuto come Johannes, è uno dei personaggi più singolari di Ortigia, della quale è definito il poeta: versifica in lingua italiana e in dialetto siciliano, che ama trasmettere alle nuove generazioni, dipinge e organizza eventi culturali come recital di poesia o la Giornata europea della cultura ebraica – per inciso, ma rimandiamo ai precedenti articoli de “La Civetta di Minerva”, l’ultimo dei quali a firma di Marina De Michele; parlando in un caffè di Ortigia con Johannes abbiamo ricostruito le ultime, spiacevoli vicende sulla comunità ebraica siracusana. Sarebbe comunque auspicabile, da parte dell’amministrazione e soprattutto della curia siracusana, una maggiore comprensione nei confronti della piccola ma resiliente comunità ebraica locale, che a tutt’ora non dispone di un locale atto al culto. Rimandiamo agli studi recenti, ad esempio quello di Angela Scandaliato e Nuccio Mulè, sugli aspetti storico-culturali del “mistero della chiesa che non fu mai sinagoga e della sinagoga trasformata in chiesa”, ovvero San Filippo e San Giovannello alla Giudecca, quest’ultima vero punctum dolens qualora non si accettino la “severa sottomissione al senso storico e unico delle carte polverose e dei documenti consunti degli archivi” e il riscontro dei rinvenimenti materiali.

Da lunedì 17 a venerdì 21 dicembre, dalle 9.00 alle 20.00, presso il Palazzo del Governo di via Roma, sarà possibile conoscere il mondo poetico e non solo di Johannes: è previsto infatti per quei giorni l’evento “Non solo poesie”.

Mentre i cristiani si apprestano a celebrare Santa Lucia, simbolo della Luce di Cristo che viene ad illuminare il mondo il 25 dicembre (data legata alla celebrazione del Sol invictus, il sole che sembra sconfitto ma trionfa sulle tenebre, collegato quindi al solstizio d’inverno: la rete dei rimandi e delle allegorie è fittissima e annoda culti antichissimi, precristiani, alla liturgia della Chiesa), per l’ebraismo questo è il periodo di feste come Chanukkà (in ebraico חנוכה o חֲנֻכָּה, ḥănukkāh), conosciuta anche con il nome di Festa delle luci o Festa dei lumi, mentre martedì 18 dicembre 2018 ricorre il digiuno del 10 Tevet per l’anno 5779, giorno di Kaddish generale per tutte le vittime della Shoah la cui data di morte e luogo di sepoltura sono sconosciute.

L’evento di via Roma potrà essere l’occasione non solo per fruire dell’arte di un poeta e pittore ortigiano, ma anche per approfondire il variegato sostrato culturale e religioso della nostra Siracusa.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3475:annalisa-stancanelli-il-caravaggio-e-la-siracusa-del-600&catid=17&Itemid=143

La trama de “Il vendicatore oscuro” si tinge di giallo per la presenza di un misterioso assassino che segue le orme del pittore

 

La Civetta di Minerva, 8 dicembre 2018

“1608. Siracusa, a nord del Porto Laccio. Il mare era calmo, solo qualche lieve increspatura”.

Questo l’incipit de “Il vendicatore oscuro”, uscito per Electa Storie per la penna di Annalisa Stancanelli, dirigente scolastica e autrice di articoli, saggi e romanzi incentrati soprattutto su personaggi aretusei, in primis Archimede, Elio Vittorini e in questo caso Caravaggio, che durante la sua fuga – per sfuggire ai Cavalieri di Malta, al papa, ai fantasmi di una vita violenta, a se stesso – e la sua breve troppo breve sosta a Siracusa dipinse “Il seppellimento di Santa Lucia”, tela che dopo varie vicissitudini adesso è collocata presso l’altare maggiore della Chiesa di Santa Lucia alla Badia – basti ricordare la permanenza al Museo Bellomo, il lungo restauro, la polemica sulla mancata ricollocazione presso la Basilica di Santa Lucia al Sepolcro in Borgata, cui il quadro era originariamente destinato.

Il romanzo della Stancanelli si pone tra gli innumerevoli libri scritti su Caravaggio, la sua arte e la sua tormentata biografia – ricordiamo almeno “La fuga, la sosta” di Pino Di Silvestro (Rizzoli, La Scala), dal linguaggio prezioso, diremmo consoliano, e dall’impianto sciasciano nel rapporto con le fonti.

Ne “Il vendicatore oscuro”, dal montaggio rapido, dalle pennellate veloci – la scrittura della Stancanelli risente della lezione del giornalismo e predilige sobrie descrizioni e dialoghi brevi, serrati – l’ultimo Caravaggio emerge come figura vivida e oscura insieme; la trama del romanzo si tinge di giallo per la presenza di un misterioso assassino che, tra reminiscenze dantesche e madrigali del Mirabella, risse con Cardarelli e amori teneri e sensuali, sembra seguire le orme del pittore. Continui flashback ricordano al lettore il passato di Michelangelo Merisi, diviso tra pittura, colleghi amici rivali amori e la frequentazione di uomini tanto potenti quanto pericolosi.

Il contesto storico-geografico e culturale fa da sottofondo alla vicenda di Caravaggio, alle sue paure, ai suoi deliri, al genio che lo spinge a lavorare ossessivamente, a trasfigurare i propri incubi nella luce superiore dell’arte: ritroviamo così Mario Minniti, Vincenzo Mirabella e tutto il potentame siracusano dell’epoca, frati, monache, popolani, schiavi, uomini di mare, le chiese di San Giovanni e Santa Lucia extra moenia e un’intera città, dimora accogliente e ostile insieme.

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La troupe di “Paesi che vai…” (Rai 1) di nuovo a Siracusa

MARIA LUCIA RICCIOLI
Mercoledì, 19 Dicembre 2018 14:23

Per documentare con immagini la vita e il martirio di Santa Lucia.La realizzazione del programma coincide con l’elevazione a Santuario diocesano della Basilica

 

La Civetta di Minerva, 8 dicembre 2018

“La Civetta di Minerva”, com’è ormai solita, ha seguito per voi i sopralluoghi e le riprese di una nuova, speciale puntata di “Paesi che vai… Luoghi, detti, comuni”, fortunata trasmissione della rete ammiraglia della Rai.

Speciale perché non è la prima volta che il format condotto da Livio Leonardi si occupa della Sicilia e di Siracusa in particolare: la Palermo arabo-normanna e le cattedrali di Cefalù e Monreale, l’Etna – per i siciliani ‘a Muntagna, la Grande Madre di fuoco e neve che ha improntato di sé ambiente, paesaggio e cultura della nostra isola -, Noto (ricordiamo la puntata della scorsa stagione, con Eleonora Nicolaci a fare da guida d’eccezione tra i gioielli del Barocco netino), Agrigento, Modica e il suo cioccolato, Marzamemi e i prodotti di tonnara, il Castello federiciano di Siracusa e la sua splendida Cattedrale, il Caravaggio di Santa Lucia alla Badia, la Neapolis e le fortificazioni di Epipoli…

Stavolta la troupe di “Paesi che vai…” (tra le trasmissioni di Leonardi ricordiamo almeno “Ciao Italia”, “Bella Italia”, “Le strade del sole”, “Una troupe racconta”; autore dei testi è Antonio Costa e la regia è curata da Daniele Biggiero), con un drone che a volo d’uccello – si direbbe di quaglia, dall’antico nome di Ortigia – riprenderà le bellezze della città aretusea, si occuperà di una figlia speciale di Siracusa: una giovane siracusana del III secolo che ebbe la forza di testimoniare la propria fede durante la terribile (l’ultima) persecuzione di Diocleziano, affrontando coraggiosamente la morte nel 304. Santa Lucia, dunque, ‘a Santuzza dei Siracusani, la patrona che la città si appresta a festeggiare il 13 dicembre, suo dies natalis (ovvero il giorno del martirio, il momento della nascita al Cielo e a nuova vita in Cristo).

Sarà nostra cura avvertire i lettori della messa in onda del programma su Rai1, girato in pochi giorni di miracolosa luce nei luoghi della vita e del martirio di Lucia: tra Ortigia, San Giovanni alle Catacombe, Santa Lucia al Sepolcro, Santa Lucia alla Badia, nella miracolosa luce decembrina che fa da scolta alla luce del Natale – millenari i simbolismi legati alla figura della Santa siracusana, che fonde cristianesimo e persistenze pagane, oggetto e protagonista di opere letterarie e artistiche – si snoderà il racconto di Livio Leonardi, tra narrazione e rievocazione; significativo anche il fatto che la realizzazione del programma coincida con l’elevazione della Basilica di Santa Lucia al Sepolcro – il tempietto di Giovanni Vermexio inscritto e insieme circoscritto alle Catacombe, che custodisce al suo interno la statua di Gregorio Tedeschi, sarà anch’esso scenario del programma – a Santuario diocesano nel 400esimo anniversario della custodia del Sepolcro da parte dei frati minori di Sicilia.

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Magnifico presepe a Sortino dell’artista Roberto Sequenzia

MARIA LUCIA RICCIOLI
Mercoledì, 19 Dicembre 2018 14:15
Con case rurali, locande, pozzi, fondachi e putìe del territorio. Abbiamo visitato per voi la Galleria “Il Tempio dell’arte” di via Giambattista Vico

 

La Civetta di Minerva, 8 dicembre 2018

Viaggiare per la provincia di Siracusa offre sorprese interessanti e permette di valorizzare realtà spesso misconosciute. Esempio ne è Sortino, ai più nota per la sagra del miele, per il pizzolo o per lo “spirito dei fasciddari”, tutte eccellenze enogastronomiche da gustare e che sono fortemente radicate nel territorio, impregnate come sono della nostra millenaria tradizione agropastorale.

Ma Sortino offre al visitatore anche la bellezza delle sue chiese e conventi – in primis quello dei Cappuccini, con una preziosa biblioteca che conserva tesori librari inestimabili -, di palazzi e cortili tutti da scoprire.

Sortino è anche terra di ingegni e di artisti: non possiamo non nominare Salvo Zappulla, animatore culturale, scrittore e ideatore del Premio Pentèlite (notevoli anche i contributi di studiosi, poeti e artisti che confluiscono nell’omonima associazione culturale e nella rivista che periodicamente vede la luce ad opera di Zappulla e dei collaboratori, dediti anche all’opera di divulgazione culturale) o Gioacchino Bruno, impegnato da anni nella riscoperta di Sortino diruta, l’antica Sortino distrutta dal terremoto del 1693, amorosamente indagata, misurata, disegnata, riportata alla luce in un museo (l’Antiquarium del Medioevo sortinese) che meriterebbe maggiore attenzione da parte delle istituzioni locali e nazionali.

“La Civetta di Minerva” ha visitato per voi la Galleria “Il Tempio dell’arte” di via Giambattista Vico, ovvero lo studio di Roberto Sequenzia, artista locale dagli interessi poliedrici – dipinge infatti con tecniche varie sia i soggetti che incontrano maggiormente il gusto dei committenti e dei visitatori che quelli scaturiti dalla ricerca e da uno studio personali e più intimi.

Vincitore di diversi premi, Sequenzia ha partecipato a mostre collettive in tutta Italia e il suo lavoro ha meritato l’attenzione e il plauso sia del pubblico che di diversi critici d’arte. Cultore del bello, collezionista a sua volta, fondatore tra l’altro del gruppo folkloristico “La zagara”, ha realizzato un magnifico presepe ambientato nella realtà della nostra Sicilia tradizionale e che sarebbe degno sia di una collocazione prestigiosa che di un flusso più consistente di visitatori: l’evento dell’Incarnazione del Cristo è collocato in ambienti e cornice che non possiamo non considerare familiari (case rurali, locande, pozzi, fondachi e putìe, il tutto immerso nel paesaggio siciliano e sortinese in particolare, con le piante, gli animali e gli strumenti del lavoro dei nostri avi).

Per chi volesse conoscere meglio Roberto Sequenzia e la sua arte, invitiamo i nostri lettori sia a visitare il suo studio che a compiere un viaggio virtuale nel sito www.robertosequenzia.it e sulla pagina Facebookhttps://www.facebook.com/groups/283962341712258/ (presepi e diorami del mondo).

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“Il complimento della Maraini ha battezzato la mia scrittura”

MARIA LUCIA RICCIOLI
Mercoledì, 12 Dicembre 2018 15:22

Catena Fiorello, autrice di “Picciridda” e Premio Elsa Morante 2018: “Dacia mi ha detto: da Verga alla Morante la tua prosa mi ha ricordato molto il verismo”. “Una figura fondamentale è stata per me la professoressa Rosa Peluso”

Martedì 27 novembre alle ore 17.30, presso l’Urban Center di via Nino Bixio a Siracusa, si terrà una conversazione – promossa dall’Assessorato alle Politiche culturali del Comune di Siracusa, dalla Demea Promozione eventi culturali e naturalmente dalla Biblioteca comunale di Siracusa – con Catena Fiorello, autrice di “Picciridda” e Premio Elsa Morante 2018. Ad introdurre l’incontro, che ci auguriamo sia foriero di sempre più frequenti iniziative culturali in questo spazio recuperato – pensiamo al recente Festival dell’Educazione –, i saluti dell’assessore alla Cultura e al Turismo Fabio Granata.

“La Civetta di Minerva” ha intervistato per voi Catena Fiorello, autrice e conduttrice televisiva e soprattutto scrittrice (ricordiamo “Casca il mondo, casca la terra” per i tipi di Rizzoli e “L’amore a due passi” pubblicato da Giunti), che ringraziamo per la gentilezza e la disponibilità.

L’evento all’Urban Center di Siracusa sarà una bella occasione per parlare non solo dei suoi ultimi libri, ma anche – se vuole – per anticiparci qualcosa del suo prossimo lavoro. Il suo è un percorso in cui riusciamo a intravedere un grande amore per la propria terra, l’attenzione e la sensibilità verso le figure femminili e l’infanzia in particolare e la propensione a narrare storie di rinascita. Si ritrova in queste parole? Cosa può dirci del suo libro in preparazione?

Riguardo al mio ultimo romanzo, ho deciso di dire ancora poco perché uscirà a febbraio e arriverà il momento giusto per parlarne, ma sicuramente posso anticipare che anche questa volta parlo della storia di una donna. Io sono molto affascinata dal mondo femminile. Da sempre la mia storia, i miei romanzi raccontano appunto di una “Catena” che è proprio attratta dalla forza femminile, dalle figure di donne che, anche quando sono apparentemente deboli, poi rivelano invece una forza interiore incredibile e questo aspetto credo che appartenga al 99,9 per cento delle donne. Siamo forti.

Il suo legame con Siracusa… ci racconta cosa la lega alla nostra città?

Il mio legame con Siracusa – è chiaro – nasce dal fatto che io ho abitato per tutta l’infanzia e la mia giovinezza fino a ventitré anni alle porte di Siracusa, ad Augusta. Per noi Siracusa era la grande città oltre a Catania, dove andare a fare le compere, a cercare le cose che non trovavamo nel nostro paese. Il mio legame con la città nasce anche da un altro elemento, quello della scuola. La mia insegnante di Greco, Rosa Peluso, che è di Siracusa, per me è stata un punto fondamentale nella vita e quindi una figura veramente importantissima perché ha lasciato dei segni ben precisi nella mia formazione: io associo sempre Siracusa alla professoressa Peluso, quindi quando vengo qui cerco sempre di incontrarla. E poi la bellezza, la storia di Siracusa… come fare a non innamorarsi di quella città?

La sua è una famiglia particolarmente talentuosa… evidentemente i suoi genitori hanno lasciato un’impronta fortissima sui figli che, pur in campi diversi, hanno mostrato tenacia e indubbie capacità. Come riflesso di tutto questo nella sua scrittura mi piace citare “Dacci oggi il nostro pane quotidiano. Ricordi, sogni e ricette di una famiglia come tante. La mia” e “Un padre è un padre”, pubblicati entrambi da Rizzoli. Qual è il lascito della sua famiglia, l’impronta che di loro si è scavata in lei? Oggi i ragazzi hanno bisogno più che mai di modelli e radici, che in questa società liquida – direbbe Bauman – tendono a smarrirsi. Cosa si sentirebbe di dire a un giovane di talento per incoraggiarlo a intraprendere la strada della scrittura?

Mi fa molto piacere che lei citi Bauman, i concetti che questo sociologo ha lasciato. Tutto ciò che lui ha affermato riguardo alla nostra società senza punti di riferimento, appunto appellandola come “società liquida” ma anche riguardo al pensiero, al mercato del lavoro, alla politica, ci dice che la nostra è una società che mira a gratificare l’individuo solo attraverso il consumo, quindi cosa rimane di questo? Qualche decennio fa ogni individuo si sentiva rassicurato dal gruppo, dai vicini di casa, dalla famiglia, dallo Stato, dalla società che lo circondava.

Noi fratelli – ma credo tantissimi della nostra generazione – dobbiamo davvero ringraziare i nostri genitori perché ci hanno permesso, pur avendo pochissimo, di essere felici e di trascorrere un’infanzia e una giovinezza serena, perché sono stati in grado di darci gli strumenti per fare la differenza, per capire che in fondo (sembrano banalità, discorsi triti e ritriti, ma sono comunque la base di ogni individuo) tutto sta nel cercare la propria strada.

Assolutamente io non ho nulla da consigliare a un giovane che vuole intraprendere la mia strada: non mi sento nella condizione di poter dare dei consigli perché ogni strada è troppo personale; ogni individuo fa un percorso ben preciso e la ricetta per tutti non c’è: ogni strada è lastricata di fatica e di sudore e ognuno di noi con tutte le sue forze deve capire che cosa gli assomiglia di più. Io non mi sento talmente modello da poter dire agli altri cosa fare. E poi, cara Maria Lucia, aggiungo che io mi sono tenuta sempre tenuta alla larga da quelli che dispensano consigli, che sanno sempre tutto: mi inquietano moltissimo quelli che hanno tante certezze. Io vivo perennemente nel dubbio e qualche volta invece nella convinzione di aver fatto male; guardo come grandi misteri a queste persone che hanno sempre un consiglio da dispensare.

“Abitavo in un paese affacciato sul mare, e mi sentivo la figlia della gallina nera. E non una qualunque, ma la nera più nera che si potesse immaginare. Le bambine fortunate, invece, quelle a cui era capitato un destino diverso, erano figlie delle galline bianche. Ma questa è un’altra storia”. Con “Picciridda” lei ha vinto il Premio Elsa Morante 2018 (sezione ragazzi) narrando una storia ambientata negli anni Sessanta ma che apparenta l’emigrazione italiana in Germania alla migrazione interna di quegli stessi anni e alla nostra attualità magmatica e contraddittoria. Una grandissima soddisfazione, credo, quella di vedersi associate alla Morante, “cantrice” dell’infanzia e delle sue ferite…

Quando Dacia Maraini mi ha incontrato dietro le quinte mi ha detto: “Catena, il libro è stupendo e davvero questo premio calza a pennello perché per certi versi da Verga alla Morante la tua scrittura mi ha ricordato molto un verismo, la capacità di tradurre in realtà cruda con le parole ciò che circonda le persone e in particolare una bambina di undici anni”. Per me è stato davvero il vero battesimo della mia scrittura.

 

 

 

 

 

L'immagine può contenere: 10 persone, persone che sorridono, folla e spazio al chiuso
Come potete vedere, eccomi con la mia copia de LA CIVETTA DI MINERVA da donare a Catena Fiorello!
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Aurora Miriam Scala: “La mia è una testimonianza dall’aldilà”

MARIA LUCIA RICCIOLI
Martedì, 04 Dicembre 2018 13:26

“La storia – dice l’attrice – rievoca il rapporto di una donna con l’uomo che l’ha poi uccisa. Lo spettacolo è la favola di una bambina diventata prostituta, salvata tra i miasmi e l’immondizia dalle cicogne”

La Civetta di Minerva, 24 novembre 2018

Presso la Chiesa evangelica battista di Siracusa in via Agatocle, per la regia di Giannella Loredana d’Izzia, è stato rappresentato lo spettacolo “Voce di Donna” – Dalla parte delle Cicogne – La Donna senza Nome(due monologhi di Lina Maria Ugolini e Clelia Lombardo). In scena (video e luci sono stati curati da Alessandro Sipione) Anna Passanisi e Aurora Miriam Scala, con la partecipazione di Giorgia Matarazzo e Cristiana Fontana.

Significativa coincidenza quella della messa in scena dei testi con la scomparsa di Bice Mortillaro Salatiello, anima storica del movimento femminista palermitano, anima della folle avventura di quelle che oggi sono ricordate come “Le donne del digiuno” (aveva militato lungamente nell’Udi, l’unione delle donne in Italia), accampate di fronte al teatro Politeama per più di un mese all’indomani delle stragi di mafia del ‘92.

Donne dunque: attrici, registe, danzatrici, scrittrici, donne che narrano di donne e danno voce alle donne che non hanno più la parola o è loro impedita.

“La Civetta di Minerva” (che si era occupata qualche anno fa dell’Andromaca di Clelia Lombardo, interpretata da una superba Carmelinda Gentile) ne ha parlato con l’attrice Aurora Miriam Scala, che il pubblico ha avuto recentemente modo di apprezzare ne “Le Rane” al Teatro greco di Siracusa, spettacolo replicato nell’ultima stagione INDA e trasmesso anche su Rai5:

“La mia è una testimonianza dall’aldilà: una donna rievoca il rapporto con l’uomo che l’ha poi uccisa. È un monologo molto lineare con dei movimenti di scena geometrici, asciutto nella forma e intenso nell’interpretazione, una presa di coscienza spesso anche aggressiva di quanto accaduto; il testo interpretato da Anna Passanisi, poetico e sognante, commovente in molti punti, è la favola di una bambina diventata prostituta, salvata tra i miasmi e l’immondizia dalle cicogne”.

 

 

 

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Ohibò, nella spedizione dei Mille c’era anche una donna

MARIA LUCIA RICCIOLI
Mercoledì, 21 Novembre 2018 08:39

La scrittrice Maria Attanasio, che ha rivangato in un libro la figura di Rosalia Montmasson: “L’ho scoperto per caso. Credevo fossero tutti maschi”

 

La Civetta di Minerva, novembre 2018

“La Civetta di Minerva” ha incontrato per voi Maria Attanasio, autrice per i tipi di Sellerio editore del romanzo “La ragazza di Marsiglia”. Il romanzo, vincitore del Premio Maria Messina, del Premio I Quattro Elementi, del Premio Manzoni per il romanzo storico, del Premio Internazionale Città di Como e del Premio Basilicata 2018, è imperniato sull’unica donna che prese parte alla spedizione dei Mille, Rosalia Montmasson.

Non è nuovo l’interesse della Attanasio per le microstorie, per le storie di personaggi rimasti nascosti nelle pieghe della Storia più grande che è come un grande arazzo di cui si notano però spesso solo i grandi nomi, quando invece uomini e più di sovente donne come la Montmasson restano in ombra: in “Correva l’anno 1698 e nella città avvenne il fatto memorabile” (1994), nelle “Piccole cronache di un secolo” (1997, con Domenico Amoroso), in “Di Concetta e le sue donne” (1999) e ne “Il falsario di Caltagirone” (2007), (per non parlare dell’attualissima distopia de “Il condominio di Via della Notte” (2013) – emergono volti e vicende di un passato più o meno remoto, di una Sicilia terra di contrasto fra truvature poetiche e ferocie.

La scrittura della Attanasio, mai compiaciuta ma sorvegliatissima, lucida nell’analisi di fatti e documenti, attenta alla ricostruzione degli avvenimenti nel rispetto assoluto del dato storico interpretato alla luce del presente e delle sue contraddizioni, ne “La ragazza di Marsiglia” dipana la vicenda di una donna che viene ricordata tutt’al più come di Francesco Crispi, figura cruciale del nostro Risorgimento e che in particolare giocò un ruolo importante per l’elevazione di Siracusa a capovalle nel 1865: in via XX settembre, il 21 ottobre del 1927, in piena età fascista quindi, venne posta una lapide che ricorda il “cospiratore profugo /incitatore apostolo” (per l’immagine rimandiamo al sito http://www.antoniorandazzo.it).

Il Risorgimento delle donne (pensiamo ad esempio al lavoro di Elena Doni) ci offre una visione in controluce della formazione dell’Italia, spesso in controtendenza rispetto alla memoria che ci restituiscono epigrafi, targhe, vie, piazze con date luoghi eventi e nomi che dimenticano l’apporto femminile alla storia contemporanea e non del nostro paese. Ma passiamo la parola a Maria Attanasio, che ha ridato voce a Rosalia Montmasson.

Come mai hai deciso di occuparti di questa figura?

L’ho incontrata per caso, in un pomeriggio di noia e depressi pensieri dell’autunno del 2010. Navigando in internet, mi ritrovai in un sito che riportava la notizia – vecchia di qualche anno – di una targa collocata sulla facciata di un palazzo fiorentino, dedicata a Rosalia Montmasson; l’unica donna presente tra i 1089 volontari della spedizione dei Mille, che in quel palazzo, al tempo di Firenze capitale, insieme al marito Francesco Crispi, era vissuta.

Sorpresa, stupore, incredulità. Ho studiato storia all’Università, l’ho insegnata al liceo, ma non avevo mai saputo di una donna tra i Mille partiti da Quarto: nessuna notizia né nei grossi tomi universitari, né nei libri di testo scelti per i miei alunni, né nell’aneddotica storica dei sussidiari delle elementari. Per me i Mille erano declinati solo al maschile. E non solo per me: nessuno a cui chiesi di Rosalie Montmasson ne sospettava l’esistenza. Un assurdo, inspiegabile, silenzio, su un fatto così singolare, che riguardava uno degli eventi fondativi dell’Unità d’Italia.

Da qui la mia ricerca – matta e disperatissima – tra archivi, biblioteche, internet, per infrangere quel silenzio, e restituire identità storica a questa donna coerente e libertaria; che, a differenza del marito – da repubblicano, per opportunismo politico, diventato monarchico – rimase fedele alle idee di Mazzini fino alla morte.

Un’identità, storica ed esistenziale, che però il potentissimo Crispi cercò totalmente di cancellare dopo l’annullamento del loro matrimonio – 25 anni di vita coniugale – ottenuto con la complicità di giudici e politici. Dopo il quale, di lei si perde ogni memoria.

Premio Manzoni è intitolato allo scrittore che seppe mescolare storia e invenzione donandoci, diciamo così, la ricetta del romanzo storico. Come “dosi” i due elementi nella tua scrittura? Quale futuro vedi oggi per questo genere letterario?

Più che mai necessario, oggi, il romanzo storico: per non dimenticare il nero, il buio, l’orrore che nel passato spesso è scritto… genocidi… campi di sterminio… xenofobia… E resistere alle serpeggianti tentazioni autoritarie di una storia contemporanea che alza muri contro esiliati e migranti, alimentando artatamente la paura dell’altro. Un bisogno espressivo, che, a mio parere, oggi molti scrittori fortemente sentono; non è un caso che quest’anno siano stati pubblicati tanti romanzi storici: quelli di Lia Levi, di Helena Janeczek, di Rosella Postorino, di Marco Balzano, e di tanti altri…

Ma chi, in Italia, scrive romanzi storici non può prescindere da Manzoni; a partire dalla rilettura della “Storia della colonna infame”: dal rapporto in essa tra documento e narrazione che Leonardo Sciascia con forza sottolineò, riportando all’attenzione di scrittori e lettori questo straordinario testo manzoniano; ma, per quanto mi riguarda, non si può prescindere nemmeno da Stendhal, Marguerite Yourcenar, e dalla variegata lezione del romanzo storico siciliano: da De Roberto, Sciascia, Consolo. Non c’è però una ricetta, un dosaggio espressivo unico tra storia e invenzione. Non solo tra i diversi scrittori, ma talvolta anche tra i diversi romanzi dello stesso scrittore: mi è accaduto, continua ad accadermi. Ne “La ragazza di Marsiglia” la presenza e la fedeltà al documento è fondamento ineludibile, struttura portante della finzione letteraria; assolutamente necessaria per restituire visibilità storica e voce a questa donna, nel cui vissuto storia ed esistenza, amore e utopia erano inscindibili.

La parola che narra convive in te con la parola poetica – ricordiamo ai nostri lettori le raccolte “Interni”, 1979; “Nero barocco nero”, 1985; “Eros e mente”, 1996; “Amnesia del movimento delle nuvole”, 2003. In che modo? Cosa hai in cantiere in questo momento?

Non convive, si alterna. Sono infatti una dissociata biscrittora: a volte poesia, a volte narrazione. Ma fondamentale, in tutta la mia produzione, è la lunga pratica di lettura e scrittura poetica, che mi porta a un’intransigente disciplina, a un forte controllo della parola. E a leggere la realtà dei fatti di una determinata epoca, di un determinato luogo, con una dimensione rappresentativa che – simultaneamente, liberamente – coniuga emozione e concetto, esistenza e mondo.

 

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I (pochi) ebrei a Siracusa festeggiano la Chanukkà, festa delle luci

MARIA LUCIA RICCIOLI
Venerdì, 21 Dicembre 2018 11:08

Dal 17 al 21 dicembre, nel Palazzo del Governo di via Roma, incontro col mondo poetico di “Johannes”

 

La Civetta di Minerva, 8 dicembre 2018

Giovanni Ferdinando Giudice, conosciuto come Johannes, è uno dei personaggi più singolari di Ortigia, della quale è definito il poeta: versifica in lingua italiana e in dialetto siciliano, che ama trasmettere alle nuove generazioni, dipinge e organizza eventi culturali come recital di poesia o la Giornata europea della cultura ebraica – per inciso, ma rimandiamo ai precedenti articoli de “La Civetta di Minerva”, l’ultimo dei quali a firma di Marina De Michele; parlando in un caffè di Ortigia con Johannes abbiamo ricostruito le ultime, spiacevoli vicende sulla comunità ebraica siracusana. Sarebbe comunque auspicabile, da parte dell’amministrazione e soprattutto della curia siracusana, una maggiore comprensione nei confronti della piccola ma resiliente comunità ebraica locale, che a tutt’ora non dispone di un locale atto al culto. Rimandiamo agli studi recenti, ad esempio quello di Angela Scandaliato e Nuccio Mulè, sugli aspetti storico-culturali del “mistero della chiesa che non fu mai sinagoga e della sinagoga trasformata in chiesa”, ovvero San Filippo e San Giovannello alla Giudecca, quest’ultima vero punctum dolens qualora non si accettino la “severa sottomissione al senso storico e unico delle carte polverose e dei documenti consunti degli archivi” e il riscontro dei rinvenimenti materiali.

Da lunedì 17 a venerdì 21 dicembre, dalle 9.00 alle 20.00, presso il Palazzo del Governo di via Roma, sarà possibile conoscere il mondo poetico e non solo di Johannes: è previsto infatti per quei giorni l’evento “Non solo poesie”.

Mentre i cristiani si apprestano a celebrare Santa Lucia, simbolo della Luce di Cristo che viene ad illuminare il mondo il 25 dicembre (data legata alla celebrazione del Sol invictus, il sole che sembra sconfitto ma trionfa sulle tenebre, collegato quindi al solstizio d’inverno: la rete dei rimandi e delle allegorie è fittissima e annoda culti antichissimi, precristiani, alla liturgia della Chiesa), per l’ebraismo questo è il periodo di feste come Chanukkà (in ebraico חנוכה o חֲנֻכָּה, ḥănukkāh), conosciuta anche con il nome di Festa delle luci o Festa dei lumi, mentre martedì 18 dicembre 2018 ricorre il digiuno del 10 Tevet per l’anno 5779, giorno di Kaddish generale per tutte le vittime della Shoah la cui data di morte e luogo di sepoltura sono sconosciute.

L’evento di via Roma potrà essere l’occasione non solo per fruire dell’arte di un poeta e pittore ortigiano, ma anche per approfondire il variegato sostrato culturale e religioso della nostra Siracusa.

 

Visitatori nei luoghi del seppellimento di Santa Lucia

MARIA LUCIA RICCIOLI
Venerdì, 21 Dicembre 2018 14:03

Iniziativa del Rotaract. Il ricavato sarà devoluto all’acquisto di macchinari da donare al reparto di pediatria dell’Umberto I°

 

La Civetta di Minerva, 8 dicembre 2018

Nella settimana in cui ricorre la festa della Santa patrona di Siracusa, i Rotaract Club Siracusa Ortigia e Noto terra di Eloro organizzano un’attività in cui verranno ripercorsi i luoghi storici e leggendari di Santa Lucia.

Prevista per domenica 16 dicembre infatti la visita dei luoghi del martirio e del seppellimento della giovane siracusana testimone della fede cristiana durante la persecuzione del 304; tra l’altro si ammireranno le edicolette votive più famose che testimoniano alcuni dei miracoli della Santa in favore della città di Siracusa – ricordiamo ad esempio quella di Piazza delle Poste che ci riporta al terremoto del 1908 –, infine sarà possibile vedere il simulacro argenteo realizzato da Pietro Rizzo ed il celebre dipinto del Caravaggio “Il Seppellimento di Santa Lucia”.

Il ricavato dell’attività sarà interamente devoluto al progetto di acquisto di macchinari medici e strumentazione complementare da donare al reparto di pediatria dell’Umberto I.

I Rotaract Club non sono nuovi a queste iniziative benefiche: quello di “Noto – Terra di Eloro” ha recentemente visitato i pazienti con disabilità mentale della comunità “Villa della Zagara” portando un ricco buffet e trascorrendo un pomeriggio in compagnia dei ricoverati, affetti da una patologia spesso purtroppo poco compresa, i quali, felici di questa sorpresa, hanno ringraziato i giovani rotaractiani donando un graditissimo pensiero fatto con le loro mani.

Momenti come questi, che si spera non restino isolati ma siano forieri di un contatto reale e duraturo con la realtà della sofferenza, sono stimolo a fare sempre più e meglio con spirito di servizio, o di “service” come i rotaractiani amano definirlo, cercando di essere sempre più fedeli e coerenti al motto di club di questo anno sociale 2018/2019 tratto dagli Atti degli Apostoli: “C’è più gioia nel dare che nel ricevere”.

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Annalisa Stancanelli, il Caravaggio e la Siracusa del ‘600

MARIA LUCIA RICCIOLI
Venerdì, 21 Dicembre 2018 10:56

La trama de “Il vendicatore oscuro” si tinge di giallo per la presenza di un misterioso assassino che segue le orme del pittore

 

La Civetta di Minerva, 8 dicembre 2018

“1608. Siracusa, a nord del Porto Laccio. Il mare era calmo, solo qualche lieve increspatura”.

Questo l’incipit de “Il vendicatore oscuro”, uscito per Electa Storie per la penna di Annalisa Stancanelli, dirigente scolastica e autrice di articoli, saggi e romanzi incentrati soprattutto su personaggi aretusei, in primis Archimede, Elio Vittorini e in questo caso Caravaggio, che durante la sua fuga – per sfuggire ai Cavalieri di Malta, al papa, ai fantasmi di una vita violenta, a se stesso – e la sua breve troppo breve sosta a Siracusa dipinse “Il seppellimento di Santa Lucia”, tela che dopo varie vicissitudini adesso è collocata presso l’altare maggiore della Chiesa di Santa Lucia alla Badia – basti ricordare la permanenza al Museo Bellomo, il lungo restauro, la polemica sulla mancata ricollocazione presso la Basilica di Santa Lucia al Sepolcro in Borgata, cui il quadro era originariamente destinato.

Il romanzo della Stancanelli si pone tra gli innumerevoli libri scritti su Caravaggio, la sua arte e la sua tormentata biografia – ricordiamo almeno “La fuga, la sosta” di Pino Di Silvestro (Rizzoli, La Scala), dal linguaggio prezioso, diremmo consoliano, e dall’impianto sciasciano nel rapporto con le fonti.

Ne “Il vendicatore oscuro”, dal montaggio rapido, dalle pennellate veloci – la scrittura della Stancanelli risente della lezione del giornalismo e predilige sobrie descrizioni e dialoghi brevi, serrati – l’ultimo Caravaggio emerge come figura vivida e oscura insieme; la trama del romanzo si tinge di giallo per la presenza di un misterioso assassino che, tra reminiscenze dantesche e madrigali del Mirabella, risse con Cardarelli e amori teneri e sensuali, sembra seguire le orme del pittore. Continui flashback ricordano al lettore il passato di Michelangelo Merisi, diviso tra pittura, colleghi amici rivali amori e la frequentazione di uomini tanto potenti quanto pericolosi.

Il contesto storico-geografico e culturale fa da sottofondo alla vicenda di Caravaggio, alle sue paure, ai suoi deliri, al genio che lo spinge a lavorare ossessivamente, a trasfigurare i propri incubi nella luce superiore dell’arte: ritroviamo così Mario Minniti, Vincenzo Mirabella e tutto il potentame siracusano dell’epoca, frati, monache, popolani, schiavi, uomini di mare, le chiese di San Giovanni e Santa Lucia extra moenia e un’intera città, dimora accogliente e ostile insieme.

 

 

 

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3389:il-coro-polifonico-giuseppe-de-cicco-si-esibisce-a-bologna&catid=17&Itemid=143

Il coro polifonico “Giuseppe De Cicco” si esibisce a Bologna

MARIA LUCIA RICCIOLI
Martedì, 06 Novembre 2018 11:18

Per il 150° dalla morte di Rossini e nel Festiva corale. Nella nuova stagione la compagine impegnata nell’attività concertistica e nell’animazione liturgica

La Civetta di Minerva, novembre 2018

È ricominciata a pieno ritmo la nuova stagione concertistica del coro polifonico europeo “Giuseppe De Cicco”, realtà musicale ormai consolidata della provincia di Siracusa diretta dal maestro Maria Carmela De Cicco.

In occasione del centocinquantesimo anniversario della morte di Gioachino Rossini, il coro eseguirà, presso il Tempio di San Giacomo di Piazza Rossini a Bologna, musiche di Monteverdi, F. Mendelssohn, M. Duruflé, E. Elgar, Lotti, De Victoria, Telemann, Schütz, Rheinberger, Bruckner, Reger, compositori di musica corale dal Barocco al Romanticismo, omaggiando Rossini con le pagine più belle dello “Stabat Mater” e della “Petite Messe Solennelle”, insieme al Coro Euridice di Bologna, diretto da Maurizio Guernieri e Pier Paolo Scattolin.

Oltre che per il concerto, il coro sarà impegnato nell’animazione della liturgia. Il Festival corale internazionale Città di Bologna, giunto all’undicesima edizione, nell’ambito deIla quale sono inserite le esibizioni del coro De Cicco, si deve anche alla collaborazione con il San Giacomo Festival.

Il coro polifonico De Cicco si conferma dunque come compagine impegnata sia nell’attività concertistica – il 9 febbraio 2019 la corale si esibirà al Teatro Don Bosco di Ragusa in un concerto inserito nel cartellone dell’associazione “Melodica” – che nell’animazione liturgica, oltre che nella formazione dei coristi e dei direttori di coro con maestri di chiara fama come Pierpaolo Scattolin, Angela Troilo e Giovanni Acciai: tra le iniziative recenti che hanno visto coinvolto il coro ricordiamo “1000 voci per ricominciare” per la raccolta fondi in favore del Teatro di Amatrice, il ventennale del coro festeggiato con l’esecuzione della “Petite Messe Solennelle” di Gioachino Rossini a Carlentini (SR), Ragusa e la Chiesa di Santa Lucia alla Badia di Siracusa, raduni corali come “O Nata Lux”, la celebrazione del Giorno della Memoria, il gemellaggio con il coro di Agira, il festival “Musica sotto le stelle”, il bicentenario di Baha’u’llah, il gemellaggio con la città di Würtzburg e il sesto festival nazionale di musica sacra mariana di Bagheria (PA).

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3367:fino-al-6-novembre-a-palermo-la-mostra-sulla-poetessa-mariannina-coffa&catid=17&Itemid=143

 

A Palermo la mostra sulla poetessa di Noto Mariannina Coffa

MARIA LUCIA RICCIOLI
Domenica, 04 Novembre 2018 08:02

L’evento nel 140° anniversario della sua morte. Sempre più artisti e letterati ne scrivono in saggi e ricerche

 

La Civetta di Minerva, novembre 2018

Il 6 gennaio 1878 moriva, a soli trentasei anni, tre mesi e sei giorni, la poetessa e patriota netina Mariannina Coffa. Sono quindi trascorsi esattamente centoquarant’anni dalla scomparsa di una donna ed artista la cui fama volò oltre il Val di Noto che l’aveva vista fiorire e nel corso di questo lasso di tempo non sono mancati gli studiosi e gli estimatori della biografia e dell’opera della poetessa, soprannominata “Saffo netina” e “Capinera di Noto” per l’apparentarsi del suo destino a quello della poetessa di Mitilene e dell’eroina di Verga: tra i più recenti cultori di Mariannina Coffa non possiamo non citare Marinella Fiume e Biagio Iacono (“Sibilla arcana”, “Sguardi plurali”, “Voglio il mio cielo” i lavori principali, frutto di infaticabili studi sulle carte d’archivio e del lavorìo critico di appassionati indagatori delle carte coffiane), oltre ad Angelo Fortuna (ricordiamo il suo volume su “Anonimo 1905”) e a Stefano Vaccaro (ricordiamo il suo recente “Silfide, maga e sirena – L’ideale femminile nella letteratura italiana dell’Ottocento”), giovani appassionati di letteratura che versificano nel nome della Coffa come Giuseppe Puzzo, docenti universitari del calibro di Nicolò Mineo, Carlo Muratori (che ha musicato un sonetto della Coffa inserendo il brano nel CD “Sale” e portandolo in tournée in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia) e potremmo continuare.

A celebrare questo anniversario è stata però non la città di Noto o Ragusa (dove la poetessa netina visse dal 1860 al 1876), ma Palermo, capitale della cultura 2018, con il progetto “Mariannina Coffa 2.0 – Concorso internazionale di poesia, letteratura ed arti visive – Resurrectio, ideato e realizzato dall’Associazione culturale “Suggestioni mediterranee” (presieduta da M. Stella Pucci di Benisichi) in collaborazione con l’Associazione Culturale “PROGETTO Zyz – La Palermo Splendente”, con lo scopo di onorare la memoria della poetessa “maledetta”. Gianluca Pipitò è il responsabile del premio, articolato in area poetico-letteraria, arti visive e ricerca storica, che prevede anche la pubblicazione di un’antologia digitale.

Fino al 6 novembre sarà inoltre visitabile la mostra dedicata alla poetessa presso il Real Albergo dei Poveri: inaugurata il 6 ottobre 2018 (orari: dalle ore 10 alle 17, da martedì a domenica), vede coinvolti il Comando regionale della Guardia di Finanza, l’Associazione culturale storia e militaria di Palermo, l’Ente di formazione professionale CIRPE e i vincitori della sezione pittura e fotografia del concorso “Mariannina Coffa Caruso 2.0 resurrection”, che ha visto premiati presso la Sala Pitrè della Società siciliana di Storia patria anche i poeti e gli scrittori finalisti del concorso letterario.

Oltre ad iniziative come queste e ai convegni e conferenze dedicati alla poetessa, sarebbe auspicabile un’edizione critica delle opere di Mariannina Coffa, realizzata con la stessa acribia con cui si è lavorato all’epistolario Coffa-Mauceri (ricordiamo che Ascenzio Mauceri, drammaturgo e musicista, primo preside del Liceo classico di Noto, fu il primo sfortunato e romanticamente indagato amore della poetessa) e alle lettere della Nostra al precettore e ad altri corrispondenti come parenti ed amici. Altri campi d’indagine sulla Coffa sono naturalmente ancora aperti: il suo rapporto con la Massoneria e con la medicina omeopatica, le sue collaborazioni anche sotto pseudonimo con vari periodici, ma anche e diremmo soprattutto il mistero delle carte scomparse dopo la sua morte, che se risolto potrebbe gettare una luce nuova sull’ultima stagione poetica della poetessa e forse anche sulla rottura del fidanzamento con Mauceri, prodromo dell’infelice matrimonio di Mariannina Coffa con Giorgio Morana.

Il 2019 potrebbe essere l’occasione per ripensare alle vicende risorgimentali, che si sono intrecciate alla biografia e all’opera di una letterata che merita di essere conosciuta e apprezzata anche al di fuori dell’ambito celebrativo e locale o accademico.

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LA CIVETTA DI MINERVA dell’8 dicembre 2018

12 mercoledì Dic 2018

Posted by mlriccioli in Eventi culturali, Letteratura, Musica, scuola

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La troupe di “Paesi che vai…” (Rai 1) di nuovo a Siracusa

MARIA LUCIA RICCIOLI
Mercoledì, 19 Dicembre 2018 14:23

Per documentare con immagini la vita e il martirio di Santa Lucia.La realizzazione del programma coincide con l’elevazione a Santuario diocesano della Basilica

 

La Civetta di Minerva, 8 dicembre 2018

“La Civetta di Minerva”, com’è ormai solita, ha seguito per voi i sopralluoghi e le riprese di una nuova, speciale puntata di “Paesi che vai… Luoghi, detti, comuni”, fortunata trasmissione della rete ammiraglia della Rai.

Speciale perché non è la prima volta che il format condotto da Livio Leonardi si occupa della Sicilia e di Siracusa in particolare: la Palermo arabo-normanna e le cattedrali di Cefalù e Monreale, l’Etna – per i siciliani ‘a Muntagna, la Grande Madre di fuoco e neve che ha improntato di sé ambiente, paesaggio e cultura della nostra isola -, Noto (ricordiamo la puntata della scorsa stagione, con Eleonora Nicolaci a fare da guida d’eccezione tra i gioielli del Barocco netino), Agrigento, Modica e il suo cioccolato, Marzamemi e i prodotti di tonnara, il Castello federiciano di Siracusa e la sua splendida Cattedrale, il Caravaggio di Santa Lucia alla Badia, la Neapolis e le fortificazioni di Epipoli…

Stavolta la troupe di “Paesi che vai…” (tra le trasmissioni di Leonardi ricordiamo almeno “Ciao Italia”, “Bella Italia”, “Le strade del sole”, “Una troupe racconta”; autore dei testi è Antonio Costa e la regia è curata da Daniele Biggiero), con un drone che a volo d’uccello – si direbbe di quaglia, dall’antico nome di Ortigia – riprenderà le bellezze della città aretusea, si occuperà di una figlia speciale di Siracusa: una giovane siracusana del III secolo che ebbe la forza di testimoniare la propria fede durante la terribile (l’ultima) persecuzione di Diocleziano, affrontando coraggiosamente la morte nel 304. Santa Lucia, dunque, ‘a Santuzza dei Siracusani, la patrona che la città si appresta a festeggiare il 13 dicembre, suo dies natalis (ovvero il giorno del martirio, il momento della nascita al Cielo e a nuova vita in Cristo).

Sarà nostra cura avvertire i lettori della messa in onda del programma su Rai1, girato in pochi giorni di miracolosa luce nei luoghi della vita e del martirio di Lucia: tra Ortigia, San Giovanni alle Catacombe, Santa Lucia al Sepolcro, Santa Lucia alla Badia, nella miracolosa luce decembrina che fa da scolta alla luce del Natale – millenari i simbolismi legati alla figura della Santa siracusana, che fonde cristianesimo e persistenze pagane, oggetto e protagonista di opere letterarie e artistiche – si snoderà il racconto di Livio Leonardi, tra narrazione e rievocazione; significativo anche il fatto che la realizzazione del programma coincida con l’elevazione della Basilica di Santa Lucia al Sepolcro – il tempietto di Giovanni Vermexio inscritto e insieme circoscritto alle Catacombe, che custodisce al suo interno la statua di Gregorio Tedeschi, sarà anch’esso scenario del programma – a Santuario diocesano nel 400esimo anniversario della custodia del Sepolcro da parte dei frati minori di Sicilia.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3471:magnifico-presepe-a-sortino-dell-artista-roberto-sequenzia&catid=17&Itemid=143

Magnifico presepe a Sortino dell’artista Roberto Sequenzia

MARIA LUCIA RICCIOLI
Mercoledì, 19 Dicembre 2018 14:15
Con case rurali, locande, pozzi, fondachi e putìe del territorio. Abbiamo visitato per voi la Galleria “Il Tempio dell’arte” di via Giambattista Vico

 

La Civetta di Minerva, 8 dicembre 2018

Viaggiare per la provincia di Siracusa offre sorprese interessanti e permette di valorizzare realtà spesso misconosciute. Esempio ne è Sortino, ai più nota per la sagra del miele, per il pizzolo o per lo “spirito dei fasciddari”, tutte eccellenze enogastronomiche da gustare e che sono fortemente radicate nel territorio, impregnate come sono della nostra millenaria tradizione agropastorale.

Ma Sortino offre al visitatore anche la bellezza delle sue chiese e conventi – in primis quello dei Cappuccini, con una preziosa biblioteca che conserva tesori librari inestimabili -, di palazzi e cortili tutti da scoprire.

Sortino è anche terra di ingegni e di artisti: non possiamo non nominare Salvo Zappulla, animatore culturale, scrittore e ideatore del Premio Pentèlite (notevoli anche i contributi di studiosi, poeti e artisti che confluiscono nell’omonima associazione culturale e nella rivista che periodicamente vede la luce ad opera di Zappulla e dei collaboratori, dediti anche all’opera di divulgazione culturale) o Gioacchino Bruno, impegnato da anni nella riscoperta di Sortino diruta, l’antica Sortino distrutta dal terremoto del 1693, amorosamente indagata, misurata, disegnata, riportata alla luce in un museo (l’Antiquarium del Medioevo sortinese) che meriterebbe maggiore attenzione da parte delle istituzioni locali e nazionali.

“La Civetta di Minerva” ha visitato per voi la Galleria “Il Tempio dell’arte” di via Giambattista Vico, ovvero lo studio di Roberto Sequenzia, artista locale dagli interessi poliedrici – dipinge infatti con tecniche varie sia i soggetti che incontrano maggiormente il gusto dei committenti e dei visitatori che quelli scaturiti dalla ricerca e da uno studio personali e più intimi.

Vincitore di diversi premi, Sequenzia ha partecipato a mostre collettive in tutta Italia e il suo lavoro ha meritato l’attenzione e il plauso sia del pubblico che di diversi critici d’arte. Cultore del bello, collezionista a sua volta, fondatore tra l’altro del gruppo folkloristico “La zagara”, ha realizzato un magnifico presepe ambientato nella realtà della nostra Sicilia tradizionale e che sarebbe degno sia di una collocazione prestigiosa che di un flusso più consistente di visitatori: l’evento dell’Incarnazione del Cristo è collocato in ambienti e cornice che non possiamo non considerare familiari (case rurali, locande, pozzi, fondachi e putìe, il tutto immerso nel paesaggio siciliano e sortinese in particolare, con le piante, gli animali e gli strumenti del lavoro dei nostri avi).

Per chi volesse conoscere meglio Roberto Sequenzia e la sua arte, invitiamo i nostri lettori sia a visitare il suo studio che a compiere un viaggio virtuale nel sito www.robertosequenzia.it e sulla pagina Facebookhttps://www.facebook.com/groups/283962341712258/ (presepi e diorami del mondo).

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3453:il-complimento-della-maraini-ha-battezzato-la-mia-scrittura&catid=17&Itemid=143

“Il complimento della Maraini ha battezzato la mia scrittura”

MARIA LUCIA RICCIOLI
Mercoledì, 12 Dicembre 2018 15:22

Catena Fiorello, autrice di “Picciridda” e Premio Elsa Morante 2018: “Dacia mi ha detto: da Verga alla Morante la tua prosa mi ha ricordato molto il verismo”. “Una figura fondamentale è stata per me la professoressa Rosa Peluso”

Martedì 27 novembre alle ore 17.30, presso l’Urban Center di via Nino Bixio a Siracusa, si terrà una conversazione – promossa dall’Assessorato alle Politiche culturali del Comune di Siracusa, dalla Demea Promozione eventi culturali e naturalmente dalla Biblioteca comunale di Siracusa – con Catena Fiorello, autrice di “Picciridda” e Premio Elsa Morante 2018. Ad introdurre l’incontro, che ci auguriamo sia foriero di sempre più frequenti iniziative culturali in questo spazio recuperato – pensiamo al recente Festival dell’Educazione –, i saluti dell’assessore alla Cultura e al Turismo Fabio Granata.

“La Civetta di Minerva” ha intervistato per voi Catena Fiorello, autrice e conduttrice televisiva e soprattutto scrittrice (ricordiamo “Casca il mondo, casca la terra” per i tipi di Rizzoli e “L’amore a due passi” pubblicato da Giunti), che ringraziamo per la gentilezza e la disponibilità.

L’evento all’Urban Center di Siracusa sarà una bella occasione per parlare non solo dei suoi ultimi libri, ma anche – se vuole – per anticiparci qualcosa del suo prossimo lavoro. Il suo è un percorso in cui riusciamo a intravedere un grande amore per la propria terra, l’attenzione e la sensibilità verso le figure femminili e l’infanzia in particolare e la propensione a narrare storie di rinascita. Si ritrova in queste parole? Cosa può dirci del suo libro in preparazione?

Riguardo al mio ultimo romanzo, ho deciso di dire ancora poco perché uscirà a febbraio e arriverà il momento giusto per parlarne, ma sicuramente posso anticipare che anche questa volta parlo della storia di una donna. Io sono molto affascinata dal mondo femminile. Da sempre la mia storia, i miei romanzi raccontano appunto di una “Catena” che è proprio attratta dalla forza femminile, dalle figure di donne che, anche quando sono apparentemente deboli, poi rivelano invece una forza interiore incredibile e questo aspetto credo che appartenga al 99,9 per cento delle donne. Siamo forti.

Il suo legame con Siracusa… ci racconta cosa la lega alla nostra città?

Il mio legame con Siracusa – è chiaro – nasce dal fatto che io ho abitato per tutta l’infanzia e la mia giovinezza fino a ventitré anni alle porte di Siracusa, ad Augusta. Per noi Siracusa era la grande città oltre a Catania, dove andare a fare le compere, a cercare le cose che non trovavamo nel nostro paese. Il mio legame con la città nasce anche da un altro elemento, quello della scuola. La mia insegnante di Greco, Rosa Peluso, che è di Siracusa, per me è stata un punto fondamentale nella vita e quindi una figura veramente importantissima perché ha lasciato dei segni ben precisi nella mia formazione: io associo sempre Siracusa alla professoressa Peluso, quindi quando vengo qui cerco sempre di incontrarla. E poi la bellezza, la storia di Siracusa… come fare a non innamorarsi di quella città?

La sua è una famiglia particolarmente talentuosa… evidentemente i suoi genitori hanno lasciato un’impronta fortissima sui figli che, pur in campi diversi, hanno mostrato tenacia e indubbie capacità. Come riflesso di tutto questo nella sua scrittura mi piace citare “Dacci oggi il nostro pane quotidiano. Ricordi, sogni e ricette di una famiglia come tante. La mia” e “Un padre è un padre”, pubblicati entrambi da Rizzoli. Qual è il lascito della sua famiglia, l’impronta che di loro si è scavata in lei? Oggi i ragazzi hanno bisogno più che mai di modelli e radici, che in questa società liquida – direbbe Bauman – tendono a smarrirsi. Cosa si sentirebbe di dire a un giovane di talento per incoraggiarlo a intraprendere la strada della scrittura?

Mi fa molto piacere che lei citi Bauman, i concetti che questo sociologo ha lasciato. Tutto ciò che lui ha affermato riguardo alla nostra società senza punti di riferimento, appunto appellandola come “società liquida” ma anche riguardo al pensiero, al mercato del lavoro, alla politica, ci dice che la nostra è una società che mira a gratificare l’individuo solo attraverso il consumo, quindi cosa rimane di questo? Qualche decennio fa ogni individuo si sentiva rassicurato dal gruppo, dai vicini di casa, dalla famiglia, dallo Stato, dalla società che lo circondava.

Noi fratelli – ma credo tantissimi della nostra generazione – dobbiamo davvero ringraziare i nostri genitori perché ci hanno permesso, pur avendo pochissimo, di essere felici e di trascorrere un’infanzia e una giovinezza serena, perché sono stati in grado di darci gli strumenti per fare la differenza, per capire che in fondo (sembrano banalità, discorsi triti e ritriti, ma sono comunque la base di ogni individuo) tutto sta nel cercare la propria strada.

Assolutamente io non ho nulla da consigliare a un giovane che vuole intraprendere la mia strada: non mi sento nella condizione di poter dare dei consigli perché ogni strada è troppo personale; ogni individuo fa un percorso ben preciso e la ricetta per tutti non c’è: ogni strada è lastricata di fatica e di sudore e ognuno di noi con tutte le sue forze deve capire che cosa gli assomiglia di più. Io non mi sento talmente modello da poter dire agli altri cosa fare. E poi, cara Maria Lucia, aggiungo che io mi sono tenuta sempre tenuta alla larga da quelli che dispensano consigli, che sanno sempre tutto: mi inquietano moltissimo quelli che hanno tante certezze. Io vivo perennemente nel dubbio e qualche volta invece nella convinzione di aver fatto male; guardo come grandi misteri a queste persone che hanno sempre un consiglio da dispensare.

“Abitavo in un paese affacciato sul mare, e mi sentivo la figlia della gallina nera. E non una qualunque, ma la nera più nera che si potesse immaginare. Le bambine fortunate, invece, quelle a cui era capitato un destino diverso, erano figlie delle galline bianche. Ma questa è un’altra storia”. Con “Picciridda” lei ha vinto il Premio Elsa Morante 2018 (sezione ragazzi) narrando una storia ambientata negli anni Sessanta ma che apparenta l’emigrazione italiana in Germania alla migrazione interna di quegli stessi anni e alla nostra attualità magmatica e contraddittoria. Una grandissima soddisfazione, credo, quella di vedersi associate alla Morante, “cantrice” dell’infanzia e delle sue ferite…

Quando Dacia Maraini mi ha incontrato dietro le quinte mi ha detto: “Catena, il libro è stupendo e davvero questo premio calza a pennello perché per certi versi da Verga alla Morante la tua scrittura mi ha ricordato molto un verismo, la capacità di tradurre in realtà cruda con le parole ciò che circonda le persone e in particolare una bambina di undici anni”. Per me è stato davvero il vero battesimo della mia scrittura.

 

 

 

 

 

L'immagine può contenere: 10 persone, persone che sorridono, folla e spazio al chiuso
Come potete vedere, eccomi con la mia copia de LA CIVETTA DI MINERVA da donare a Catena Fiorello!
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Aurora Miriam Scala: “La mia è una testimonianza dall’aldilà”

MARIA LUCIA RICCIOLI
Martedì, 04 Dicembre 2018 13:26

“La storia – dice l’attrice – rievoca il rapporto di una donna con l’uomo che l’ha poi uccisa. Lo spettacolo è la favola di una bambina diventata prostituta, salvata tra i miasmi e l’immondizia dalle cicogne”

La Civetta di Minerva, 24 novembre 2018

Presso la Chiesa evangelica battista di Siracusa in via Agatocle, per la regia di Giannella Loredana d’Izzia, è stato rappresentato lo spettacolo “Voce di Donna” – Dalla parte delle Cicogne – La Donna senza Nome(due monologhi di Lina Maria Ugolini e Clelia Lombardo). In scena (video e luci sono stati curati da Alessandro Sipione) Anna Passanisi e Aurora Miriam Scala, con la partecipazione di Giorgia Matarazzo e Cristiana Fontana.

Significativa coincidenza quella della messa in scena dei testi con la scomparsa di Bice Mortillaro Salatiello, anima storica del movimento femminista palermitano, anima della folle avventura di quelle che oggi sono ricordate come “Le donne del digiuno” (aveva militato lungamente nell’Udi, l’unione delle donne in Italia), accampate di fronte al teatro Politeama per più di un mese all’indomani delle stragi di mafia del ‘92.

Donne dunque: attrici, registe, danzatrici, scrittrici, donne che narrano di donne e danno voce alle donne che non hanno più la parola o è loro impedita.

“La Civetta di Minerva” (che si era occupata qualche anno fa dell’Andromaca di Clelia Lombardo, interpretata da una superba Carmelinda Gentile) ne ha parlato con l’attrice Aurora Miriam Scala, che il pubblico ha avuto recentemente modo di apprezzare ne “Le Rane” al Teatro greco di Siracusa, spettacolo replicato nell’ultima stagione INDA e trasmesso anche su Rai5:

“La mia è una testimonianza dall’aldilà: una donna rievoca il rapporto con l’uomo che l’ha poi uccisa. È un monologo molto lineare con dei movimenti di scena geometrici, asciutto nella forma e intenso nell’interpretazione, una presa di coscienza spesso anche aggressiva di quanto accaduto; il testo interpretato da Anna Passanisi, poetico e sognante, commovente in molti punti, è la favola di una bambina diventata prostituta, salvata tra i miasmi e l’immondizia dalle cicogne”.

 

 

 

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Ohibò, nella spedizione dei Mille c’era anche una donna

MARIA LUCIA RICCIOLI
Mercoledì, 21 Novembre 2018 08:39

La scrittrice Maria Attanasio, che ha rivangato in un libro la figura di Rosalia Montmasson: “L’ho scoperto per caso. Credevo fossero tutti maschi”

 

La Civetta di Minerva, novembre 2018

“La Civetta di Minerva” ha incontrato per voi Maria Attanasio, autrice per i tipi di Sellerio editore del romanzo “La ragazza di Marsiglia”. Il romanzo, vincitore del Premio Maria Messina, del Premio I Quattro Elementi, del Premio Manzoni per il romanzo storico, del Premio Internazionale Città di Como e del Premio Basilicata 2018, è imperniato sull’unica donna che prese parte alla spedizione dei Mille, Rosalia Montmasson.

Non è nuovo l’interesse della Attanasio per le microstorie, per le storie di personaggi rimasti nascosti nelle pieghe della Storia più grande che è come un grande arazzo di cui si notano però spesso solo i grandi nomi, quando invece uomini e più di sovente donne come la Montmasson restano in ombra: in “Correva l’anno 1698 e nella città avvenne il fatto memorabile” (1994), nelle “Piccole cronache di un secolo” (1997, con Domenico Amoroso), in “Di Concetta e le sue donne” (1999) e ne “Il falsario di Caltagirone” (2007), (per non parlare dell’attualissima distopia de “Il condominio di Via della Notte” (2013) – emergono volti e vicende di un passato più o meno remoto, di una Sicilia terra di contrasto fra truvature poetiche e ferocie.

La scrittura della Attanasio, mai compiaciuta ma sorvegliatissima, lucida nell’analisi di fatti e documenti, attenta alla ricostruzione degli avvenimenti nel rispetto assoluto del dato storico interpretato alla luce del presente e delle sue contraddizioni, ne “La ragazza di Marsiglia” dipana la vicenda di una donna che viene ricordata tutt’al più come di Francesco Crispi, figura cruciale del nostro Risorgimento e che in particolare giocò un ruolo importante per l’elevazione di Siracusa a capovalle nel 1865: in via XX settembre, il 21 ottobre del 1927, in piena età fascista quindi, venne posta una lapide che ricorda il “cospiratore profugo /incitatore apostolo” (per l’immagine rimandiamo al sito http://www.antoniorandazzo.it).

Il Risorgimento delle donne (pensiamo ad esempio al lavoro di Elena Doni) ci offre una visione in controluce della formazione dell’Italia, spesso in controtendenza rispetto alla memoria che ci restituiscono epigrafi, targhe, vie, piazze con date luoghi eventi e nomi che dimenticano l’apporto femminile alla storia contemporanea e non del nostro paese. Ma passiamo la parola a Maria Attanasio, che ha ridato voce a Rosalia Montmasson.

Come mai hai deciso di occuparti di questa figura?

L’ho incontrata per caso, in un pomeriggio di noia e depressi pensieri dell’autunno del 2010. Navigando in internet, mi ritrovai in un sito che riportava la notizia – vecchia di qualche anno – di una targa collocata sulla facciata di un palazzo fiorentino, dedicata a Rosalia Montmasson; l’unica donna presente tra i 1089 volontari della spedizione dei Mille, che in quel palazzo, al tempo di Firenze capitale, insieme al marito Francesco Crispi, era vissuta.

Sorpresa, stupore, incredulità. Ho studiato storia all’Università, l’ho insegnata al liceo, ma non avevo mai saputo di una donna tra i Mille partiti da Quarto: nessuna notizia né nei grossi tomi universitari, né nei libri di testo scelti per i miei alunni, né nell’aneddotica storica dei sussidiari delle elementari. Per me i Mille erano declinati solo al maschile. E non solo per me: nessuno a cui chiesi di Rosalie Montmasson ne sospettava l’esistenza. Un assurdo, inspiegabile, silenzio, su un fatto così singolare, che riguardava uno degli eventi fondativi dell’Unità d’Italia.

Da qui la mia ricerca – matta e disperatissima – tra archivi, biblioteche, internet, per infrangere quel silenzio, e restituire identità storica a questa donna coerente e libertaria; che, a differenza del marito – da repubblicano, per opportunismo politico, diventato monarchico – rimase fedele alle idee di Mazzini fino alla morte.

Un’identità, storica ed esistenziale, che però il potentissimo Crispi cercò totalmente di cancellare dopo l’annullamento del loro matrimonio – 25 anni di vita coniugale – ottenuto con la complicità di giudici e politici. Dopo il quale, di lei si perde ogni memoria.

Premio Manzoni è intitolato allo scrittore che seppe mescolare storia e invenzione donandoci, diciamo così, la ricetta del romanzo storico. Come “dosi” i due elementi nella tua scrittura? Quale futuro vedi oggi per questo genere letterario?

Più che mai necessario, oggi, il romanzo storico: per non dimenticare il nero, il buio, l’orrore che nel passato spesso è scritto… genocidi… campi di sterminio… xenofobia… E resistere alle serpeggianti tentazioni autoritarie di una storia contemporanea che alza muri contro esiliati e migranti, alimentando artatamente la paura dell’altro. Un bisogno espressivo, che, a mio parere, oggi molti scrittori fortemente sentono; non è un caso che quest’anno siano stati pubblicati tanti romanzi storici: quelli di Lia Levi, di Helena Janeczek, di Rosella Postorino, di Marco Balzano, e di tanti altri…

Ma chi, in Italia, scrive romanzi storici non può prescindere da Manzoni; a partire dalla rilettura della “Storia della colonna infame”: dal rapporto in essa tra documento e narrazione che Leonardo Sciascia con forza sottolineò, riportando all’attenzione di scrittori e lettori questo straordinario testo manzoniano; ma, per quanto mi riguarda, non si può prescindere nemmeno da Stendhal, Marguerite Yourcenar, e dalla variegata lezione del romanzo storico siciliano: da De Roberto, Sciascia, Consolo. Non c’è però una ricetta, un dosaggio espressivo unico tra storia e invenzione. Non solo tra i diversi scrittori, ma talvolta anche tra i diversi romanzi dello stesso scrittore: mi è accaduto, continua ad accadermi. Ne “La ragazza di Marsiglia” la presenza e la fedeltà al documento è fondamento ineludibile, struttura portante della finzione letteraria; assolutamente necessaria per restituire visibilità storica e voce a questa donna, nel cui vissuto storia ed esistenza, amore e utopia erano inscindibili.

La parola che narra convive in te con la parola poetica – ricordiamo ai nostri lettori le raccolte “Interni”, 1979; “Nero barocco nero”, 1985; “Eros e mente”, 1996; “Amnesia del movimento delle nuvole”, 2003. In che modo? Cosa hai in cantiere in questo momento?

Non convive, si alterna. Sono infatti una dissociata biscrittora: a volte poesia, a volte narrazione. Ma fondamentale, in tutta la mia produzione, è la lunga pratica di lettura e scrittura poetica, che mi porta a un’intransigente disciplina, a un forte controllo della parola. E a leggere la realtà dei fatti di una determinata epoca, di un determinato luogo, con una dimensione rappresentativa che – simultaneamente, liberamente – coniuga emozione e concetto, esistenza e mondo.

 

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3476:i-pochi-ebrei-a-siracusa-festeggiano-la-chanukka-festa-delle-luci&catid=17&Itemid=143

I (pochi) ebrei a Siracusa festeggiano la Chanukkà, festa delle luci

MARIA LUCIA RICCIOLI

 

Venerdì, 21 Dicembre 2018 11:08

Dal 17 al 21 dicembre, nel Palazzo del Governo di via Roma, incontro col mondo poetico di “Johannes”

 

La Civetta di Minerva, 8 dicembre 2018

Giovanni Ferdinando Giudice, conosciuto come Johannes, è uno dei personaggi più singolari di Ortigia, della quale è definito il poeta: versifica in lingua italiana e in dialetto siciliano, che ama trasmettere alle nuove generazioni, dipinge e organizza eventi culturali come recital di poesia o la Giornata europea della cultura ebraica – per inciso, ma rimandiamo ai precedenti articoli de “La Civetta di Minerva”, l’ultimo dei quali a firma di Marina De Michele; parlando in un caffè di Ortigia con Johannes abbiamo ricostruito le ultime, spiacevoli vicende sulla comunità ebraica siracusana. Sarebbe comunque auspicabile, da parte dell’amministrazione e soprattutto della curia siracusana, una maggiore comprensione nei confronti della piccola ma resiliente comunità ebraica locale, che a tutt’ora non dispone di un locale atto al culto. Rimandiamo agli studi recenti, ad esempio quello di Angela Scandaliato e Nuccio Mulè, sugli aspetti storico-culturali del “mistero della chiesa che non fu mai sinagoga e della sinagoga trasformata in chiesa”, ovvero San Filippo e San Giovannello alla Giudecca, quest’ultima vero punctum dolens qualora non si accettino la “severa sottomissione al senso storico e unico delle carte polverose e dei documenti consunti degli archivi” e il riscontro dei rinvenimenti materiali.

Da lunedì 17 a venerdì 21 dicembre, dalle 9.00 alle 20.00, presso il Palazzo del Governo di via Roma, sarà possibile conoscere il mondo poetico e non solo di Johannes: è previsto infatti per quei giorni l’evento “Non solo poesie”.

Mentre i cristiani si apprestano a celebrare Santa Lucia, simbolo della Luce di Cristo che viene ad illuminare il mondo il 25 dicembre (data legata alla celebrazione del Sol invictus, il sole che sembra sconfitto ma trionfa sulle tenebre, collegato quindi al solstizio d’inverno: la rete dei rimandi e delle allegorie è fittissima e annoda culti antichissimi, precristiani, alla liturgia della Chiesa), per l’ebraismo questo è il periodo di feste come Chanukkà (in ebraico חנוכה o חֲנֻכָּה, ḥănukkāh), conosciuta anche con il nome di Festa delle luci o Festa dei lumi, mentre martedì 18 dicembre 2018 ricorre il digiuno del 10 Tevet per l’anno 5779, giorno di Kaddish generale per tutte le vittime della Shoah la cui data di morte e luogo di sepoltura sono sconosciute.

L’evento di via Roma potrà essere l’occasione non solo per fruire dell’arte di un poeta e pittore ortigiano, ma anche per approfondire il variegato sostrato culturale e religioso della nostra Siracusa.

 

Visitatori nei luoghi del seppellimento di Santa Lucia

MARIA LUCIA RICCIOLI

 

Venerdì, 21 Dicembre 2018 14:03

Iniziativa del Rotaract. Il ricavato sarà devoluto all’acquisto di macchinari da donare al reparto di pediatria dell’Umberto I°

 

La Civetta di Minerva, 8 dicembre 2018

Nella settimana in cui ricorre la festa della Santa patrona di Siracusa, i Rotaract Club Siracusa Ortigia e Noto terra di Eloro organizzano un’attività in cui verranno ripercorsi i luoghi storici e leggendari di Santa Lucia.

Prevista per domenica 16 dicembre infatti la visita dei luoghi del martirio e del seppellimento della giovane siracusana testimone della fede cristiana durante la persecuzione del 304; tra l’altro si ammireranno le edicolette votive più famose che testimoniano alcuni dei miracoli della Santa in favore della città di Siracusa – ricordiamo ad esempio quella di Piazza delle Poste che ci riporta al terremoto del 1908 –, infine sarà possibile vedere il simulacro argenteo realizzato da Pietro Rizzo ed il celebre dipinto del Caravaggio “Il Seppellimento di Santa Lucia”.

Il ricavato dell’attività sarà interamente devoluto al progetto di acquisto di macchinari medici e strumentazione complementare da donare al reparto di pediatria dell’Umberto I.

I Rotaract Club non sono nuovi a queste iniziative benefiche: quello di “Noto – Terra di Eloro” ha recentemente visitato i pazienti con disabilità mentale della comunità “Villa della Zagara” portando un ricco buffet e trascorrendo un pomeriggio in compagnia dei ricoverati, affetti da una patologia spesso purtroppo poco compresa, i quali, felici di questa sorpresa, hanno ringraziato i giovani rotaractiani donando un graditissimo pensiero fatto con le loro mani.

Momenti come questi, che si spera non restino isolati ma siano forieri di un contatto reale e duraturo con la realtà della sofferenza, sono stimolo a fare sempre più e meglio con spirito di servizio, o di “service” come i rotaractiani amano definirlo, cercando di essere sempre più fedeli e coerenti al motto di club di questo anno sociale 2018/2019 tratto dagli Atti degli Apostoli: “C’è più gioia nel dare che nel ricevere”.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3479:visitatori-nei-luoghi-del-seppellimento-di-santa-lucia&catid=17&Itemid=143

 

 

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3475:annalisa-stancanelli-il-caravaggio-e-la-siracusa-del-600&catid=17&Itemid=143

Annalisa Stancanelli, il Caravaggio e la Siracusa del ‘600

MARIA LUCIA RICCIOLI

 

Venerdì, 21 Dicembre 2018 10:56

La trama de “Il vendicatore oscuro” si tinge di giallo per la presenza di un misterioso assassino che segue le orme del pittore

 

La Civetta di Minerva, 8 dicembre 2018

“1608. Siracusa, a nord del Porto Laccio. Il mare era calmo, solo qualche lieve increspatura”.

Questo l’incipit de “Il vendicatore oscuro”, uscito per Electa Storie per la penna di Annalisa Stancanelli, dirigente scolastica e autrice di articoli, saggi e romanzi incentrati soprattutto su personaggi aretusei, in primis Archimede, Elio Vittorini e in questo caso Caravaggio, che durante la sua fuga – per sfuggire ai Cavalieri di Malta, al papa, ai fantasmi di una vita violenta, a se stesso – e la sua breve troppo breve sosta a Siracusa dipinse “Il seppellimento di Santa Lucia”, tela che dopo varie vicissitudini adesso è collocata presso l’altare maggiore della Chiesa di Santa Lucia alla Badia – basti ricordare la permanenza al Museo Bellomo, il lungo restauro, la polemica sulla mancata ricollocazione presso la Basilica di Santa Lucia al Sepolcro in Borgata, cui il quadro era originariamente destinato.

Il romanzo della Stancanelli si pone tra gli innumerevoli libri scritti su Caravaggio, la sua arte e la sua tormentata biografia – ricordiamo almeno “La fuga, la sosta” di Pino Di Silvestro (Rizzoli, La Scala), dal linguaggio prezioso, diremmo consoliano, e dall’impianto sciasciano nel rapporto con le fonti.

Ne “Il vendicatore oscuro”, dal montaggio rapido, dalle pennellate veloci – la scrittura della Stancanelli risente della lezione del giornalismo e predilige sobrie descrizioni e dialoghi brevi, serrati – l’ultimo Caravaggio emerge come figura vivida e oscura insieme; la trama del romanzo si tinge di giallo per la presenza di un misterioso assassino che, tra reminiscenze dantesche e madrigali del Mirabella, risse con Cardarelli e amori teneri e sensuali, sembra seguire le orme del pittore. Continui flashback ricordano al lettore il passato di Michelangelo Merisi, diviso tra pittura, colleghi amici rivali amori e la frequentazione di uomini tanto potenti quanto pericolosi.

Il contesto storico-geografico e culturale fa da sottofondo alla vicenda di Caravaggio, alle sue paure, ai suoi deliri, al genio che lo spinge a lavorare ossessivamente, a trasfigurare i propri incubi nella luce superiore dell’arte: ritroviamo così Mario Minniti, Vincenzo Mirabella e tutto il potentame siracusano dell’epoca, frati, monache, popolani, schiavi, uomini di mare, le chiese di San Giovanni e Santa Lucia extra moenia e un’intera città, dimora accogliente e ostile insieme.

 

 

 

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3389:il-coro-polifonico-giuseppe-de-cicco-si-esibisce-a-bologna&catid=17&Itemid=143

Il coro polifonico “Giuseppe De Cicco” si esibisce a Bologna

MARIA LUCIA RICCIOLI
Martedì, 06 Novembre 2018 11:18

Per il 150° dalla morte di Rossini e nel Festiva corale. Nella nuova stagione la compagine impegnata nell’attività concertistica e nell’animazione liturgica

La Civetta di Minerva, novembre 2018

È ricominciata a pieno ritmo la nuova stagione concertistica del coro polifonico europeo “Giuseppe De Cicco”, realtà musicale ormai consolidata della provincia di Siracusa diretta dal maestro Maria Carmela De Cicco.

In occasione del centocinquantesimo anniversario della morte di Gioachino Rossini, il coro eseguirà, presso il Tempio di San Giacomo di Piazza Rossini a Bologna, musiche di Monteverdi, F. Mendelssohn, M. Duruflé, E. Elgar, Lotti, De Victoria, Telemann, Schütz, Rheinberger, Bruckner, Reger, compositori di musica corale dal Barocco al Romanticismo, omaggiando Rossini con le pagine più belle dello “Stabat Mater” e della “Petite Messe Solennelle”, insieme al Coro Euridice di Bologna, diretto da Maurizio Guernieri e Pier Paolo Scattolin.

Oltre che per il concerto, il coro sarà impegnato nell’animazione della liturgia. Il Festival corale internazionale Città di Bologna, giunto all’undicesima edizione, nell’ambito deIla quale sono inserite le esibizioni del coro De Cicco, si deve anche alla collaborazione con il San Giacomo Festival.

Il coro polifonico De Cicco si conferma dunque come compagine impegnata sia nell’attività concertistica – il 9 febbraio 2019 la corale si esibirà al Teatro Don Bosco di Ragusa in un concerto inserito nel cartellone dell’associazione “Melodica” – che nell’animazione liturgica, oltre che nella formazione dei coristi e dei direttori di coro con maestri di chiara fama come Pierpaolo Scattolin, Angela Troilo e Giovanni Acciai: tra le iniziative recenti che hanno visto coinvolto il coro ricordiamo “1000 voci per ricominciare” per la raccolta fondi in favore del Teatro di Amatrice, il ventennale del coro festeggiato con l’esecuzione della “Petite Messe Solennelle” di Gioachino Rossini a Carlentini (SR), Ragusa e la Chiesa di Santa Lucia alla Badia di Siracusa, raduni corali come “O Nata Lux”, la celebrazione del Giorno della Memoria, il gemellaggio con il coro di Agira, il festival “Musica sotto le stelle”, il bicentenario di Baha’u’llah, il gemellaggio con la città di Würtzburg e il sesto festival nazionale di musica sacra mariana di Bagheria (PA).

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3367:fino-al-6-novembre-a-palermo-la-mostra-sulla-poetessa-mariannina-coffa&catid=17&Itemid=143

 

A Palermo la mostra sulla poetessa di Noto Mariannina Coffa

MARIA LUCIA RICCIOLI
Domenica, 04 Novembre 2018 08:02

L’evento nel 140° anniversario della sua morte. Sempre più artisti e letterati ne scrivono in saggi e ricerche

 

La Civetta di Minerva, novembre 2018

Il 6 gennaio 1878 moriva, a soli trentasei anni, tre mesi e sei giorni, la poetessa e patriota netina Mariannina Coffa. Sono quindi trascorsi esattamente centoquarant’anni dalla scomparsa di una donna ed artista la cui fama volò oltre il Val di Noto che l’aveva vista fiorire e nel corso di questo lasso di tempo non sono mancati gli studiosi e gli estimatori della biografia e dell’opera della poetessa, soprannominata “Saffo netina” e “Capinera di Noto” per l’apparentarsi del suo destino a quello della poetessa di Mitilene e dell’eroina di Verga: tra i più recenti cultori di Mariannina Coffa non possiamo non citare Marinella Fiume e Biagio Iacono (“Sibilla arcana”, “Sguardi plurali”, “Voglio il mio cielo” i lavori principali, frutto di infaticabili studi sulle carte d’archivio e del lavorìo critico di appassionati indagatori delle carte coffiane), oltre ad Angelo Fortuna (ricordiamo il suo volume su “Anonimo 1905”) e a Stefano Vaccaro (ricordiamo il suo recente “Silfide, maga e sirena – L’ideale femminile nella letteratura italiana dell’Ottocento”), giovani appassionati di letteratura che versificano nel nome della Coffa come Giuseppe Puzzo, docenti universitari del calibro di Nicolò Mineo, Carlo Muratori (che ha musicato un sonetto della Coffa inserendo il brano nel CD “Sale” e portandolo in tournée in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia) e potremmo continuare.

A celebrare questo anniversario è stata però non la città di Noto o Ragusa (dove la poetessa netina visse dal 1860 al 1876), ma Palermo, capitale della cultura 2018, con il progetto “Mariannina Coffa 2.0 – Concorso internazionale di poesia, letteratura ed arti visive – Resurrectio, ideato e realizzato dall’Associazione culturale “Suggestioni mediterranee” (presieduta da M. Stella Pucci di Benisichi) in collaborazione con l’Associazione Culturale “PROGETTO Zyz – La Palermo Splendente”, con lo scopo di onorare la memoria della poetessa “maledetta”. Gianluca Pipitò è il responsabile del premio, articolato in area poetico-letteraria, arti visive e ricerca storica, che prevede anche la pubblicazione di un’antologia digitale.

Fino al 6 novembre sarà inoltre visitabile la mostra dedicata alla poetessa presso il Real Albergo dei Poveri: inaugurata il 6 ottobre 2018 (orari: dalle ore 10 alle 17, da martedì a domenica), vede coinvolti il Comando regionale della Guardia di Finanza, l’Associazione culturale storia e militaria di Palermo, l’Ente di formazione professionale CIRPE e i vincitori della sezione pittura e fotografia del concorso “Mariannina Coffa Caruso 2.0 resurrection”, che ha visto premiati presso la Sala Pitrè della Società siciliana di Storia patria anche i poeti e gli scrittori finalisti del concorso letterario.

Oltre ad iniziative come queste e ai convegni e conferenze dedicati alla poetessa, sarebbe auspicabile un’edizione critica delle opere di Mariannina Coffa, realizzata con la stessa acribia con cui si è lavorato all’epistolario Coffa-Mauceri (ricordiamo che Ascenzio Mauceri, drammaturgo e musicista, primo preside del Liceo classico di Noto, fu il primo sfortunato e romanticamente indagato amore della poetessa) e alle lettere della Nostra al precettore e ad altri corrispondenti come parenti ed amici. Altri campi d’indagine sulla Coffa sono naturalmente ancora aperti: il suo rapporto con la Massoneria e con la medicina omeopatica, le sue collaborazioni anche sotto pseudonimo con vari periodici, ma anche e diremmo soprattutto il mistero delle carte scomparse dopo la sua morte, che se risolto potrebbe gettare una luce nuova sull’ultima stagione poetica della poetessa e forse anche sulla rottura del fidanzamento con Mauceri, prodromo dell’infelice matrimonio di Mariannina Coffa con Giorgio Morana.

Il 2019 potrebbe essere l’occasione per ripensare alle vicende risorgimentali, che si sono intrecciate alla biografia e all’opera di una letterata che merita di essere conosciuta e apprezzata anche al di fuori dell’ambito celebrativo e locale o accademico.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=category&layout=blog&id=17&Itemid=143

 

 

 

LA CIVETTA DI MINERVA del 24 novembre 2018

24 sabato Nov 2018

Posted by mlriccioli in Eventi culturali, Letteratura, Musica, scuola

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Ecco il link ai miei ultimi articoli usciti sul cartaceo e poi confluiti nel sito…
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Ohibò, nella spedizione dei Mille c’era anche una donna

MARIA LUCIA RICCIOLI
Mercoledì, 21 Novembre 2018 08:39

La scrittrice Maria Attanasio, che ha rivangato in un libro la figura di Rosalia Montmasson: “L’ho scoperto per caso. Credevo fossero tutti maschi”

 

La Civetta di Minerva, novembre 2018

“La Civetta di Minerva” ha incontrato per voi Maria Attanasio, autrice per i tipi di Sellerio editore del romanzo “La ragazza di Marsiglia”. Il romanzo, vincitore del Premio Maria Messina, del Premio I Quattro Elementi, del Premio Manzoni per il romanzo storico, del Premio Internazionale Città di Como e del Premio Basilicata 2018, è imperniato sull’unica donna che prese parte alla spedizione dei Mille, Rosalia Montmasson.

Non è nuovo l’interesse della Attanasio per le microstorie, per le storie di personaggi rimasti nascosti nelle pieghe della Storia più grande che è come un grande arazzo di cui si notano però spesso solo i grandi nomi, quando invece uomini e più di sovente donne come la Montmasson restano in ombra: in “Correva l’anno 1698 e nella città avvenne il fatto memorabile” (1994), nelle “Piccole cronache di un secolo” (1997, con Domenico Amoroso), in “Di Concetta e le sue donne” (1999) e ne “Il falsario di Caltagirone” (2007), (per non parlare dell’attualissima distopia de “Il condominio di Via della Notte” (2013) – emergono volti e vicende di un passato più o meno remoto, di una Sicilia terra di contrasto fra truvature poetiche e ferocie.

La scrittura della Attanasio, mai compiaciuta ma sorvegliatissima, lucida nell’analisi di fatti e documenti, attenta alla ricostruzione degli avvenimenti nel rispetto assoluto del dato storico interpretato alla luce del presente e delle sue contraddizioni, ne “La ragazza di Marsiglia” dipana la vicenda di una donna che viene ricordata tutt’al più come di Francesco Crispi, figura cruciale del nostro Risorgimento e che in particolare giocò un ruolo importante per l’elevazione di Siracusa a capovalle nel 1865: in via XX settembre, il 21 ottobre del 1927, in piena età fascista quindi, venne posta una lapide che ricorda il “cospiratore profugo /incitatore apostolo” (per l’immagine rimandiamo al sito http://www.antoniorandazzo.it).

Il Risorgimento delle donne (pensiamo ad esempio al lavoro di Elena Doni) ci offre una visione in controluce della formazione dell’Italia, spesso in controtendenza rispetto alla memoria che ci restituiscono epigrafi, targhe, vie, piazze con date luoghi eventi e nomi che dimenticano l’apporto femminile alla storia contemporanea e non del nostro paese. Ma passiamo la parola a Maria Attanasio, che ha ridato voce a Rosalia Montmasson.

Come mai hai deciso di occuparti di questa figura?

L’ho incontrata per caso, in un pomeriggio di noia e depressi pensieri dell’autunno del 2010. Navigando in internet, mi ritrovai in un sito che riportava la notizia – vecchia di qualche anno – di una targa collocata sulla facciata di un palazzo fiorentino, dedicata a Rosalia Montmasson; l’unica donna presente tra i 1089 volontari della spedizione dei Mille, che in quel palazzo, al tempo di Firenze capitale, insieme al marito Francesco Crispi, era vissuta.

Sorpresa, stupore, incredulità. Ho studiato storia all’Università, l’ho insegnata al liceo, ma non avevo mai saputo di una donna tra i Mille partiti da Quarto: nessuna notizia né nei grossi tomi universitari, né nei libri di testo scelti per i miei alunni, né nell’aneddotica storica dei sussidiari delle elementari. Per me i Mille erano declinati solo al maschile. E non solo per me: nessuno a cui chiesi di Rosalie Montmasson ne sospettava l’esistenza. Un assurdo, inspiegabile, silenzio, su un fatto così singolare, che riguardava uno degli eventi fondativi dell’Unità d’Italia.

Da qui la mia ricerca – matta e disperatissima – tra archivi, biblioteche, internet, per infrangere quel silenzio, e restituire identità storica a questa donna coerente e libertaria; che, a differenza del marito – da repubblicano, per opportunismo politico, diventato monarchico – rimase fedele alle idee di Mazzini fino alla morte.

Un’identità, storica ed esistenziale, che però il potentissimo Crispi cercò totalmente di cancellare dopo l’annullamento del loro matrimonio – 25 anni di vita coniugale – ottenuto con la complicità di giudici e politici. Dopo il quale, di lei si perde ogni memoria.

Premio Manzoni è intitolato allo scrittore che seppe mescolare storia e invenzione donandoci, diciamo così, la ricetta del romanzo storico. Come “dosi” i due elementi nella tua scrittura? Quale futuro vedi oggi per questo genere letterario?

Più che mai necessario, oggi, il romanzo storico: per non dimenticare il nero, il buio, l’orrore che nel passato spesso è scritto… genocidi… campi di sterminio… xenofobia… E resistere alle serpeggianti tentazioni autoritarie di una storia contemporanea che alza muri contro esiliati e migranti, alimentando artatamente la paura dell’altro. Un bisogno espressivo, che, a mio parere, oggi molti scrittori fortemente sentono; non è un caso che quest’anno siano stati pubblicati tanti romanzi storici: quelli di Lia Levi, di Helena Janeczek, di Rosella Postorino, di Marco Balzano, e di tanti altri…

Ma chi, in Italia, scrive romanzi storici non può prescindere da Manzoni; a partire dalla rilettura della “Storia della colonna infame”: dal rapporto in essa tra documento e narrazione che Leonardo Sciascia con forza sottolineò, riportando all’attenzione di scrittori e lettori questo straordinario testo manzoniano; ma, per quanto mi riguarda, non si può prescindere nemmeno da Stendhal, Marguerite Yourcenar, e dalla variegata lezione del romanzo storico siciliano: da De Roberto, Sciascia, Consolo. Non c’è però una ricetta, un dosaggio espressivo unico tra storia e invenzione. Non solo tra i diversi scrittori, ma talvolta anche tra i diversi romanzi dello stesso scrittore: mi è accaduto, continua ad accadermi. Ne “La ragazza di Marsiglia” la presenza e la fedeltà al documento è fondamento ineludibile, struttura portante della finzione letteraria; assolutamente necessaria per restituire visibilità storica e voce a questa donna, nel cui vissuto storia ed esistenza, amore e utopia erano inscindibili.

La parola che narra convive in te con la parola poetica – ricordiamo ai nostri lettori le raccolte “Interni”, 1979; “Nero barocco nero”, 1985; “Eros e mente”, 1996; “Amnesia del movimento delle nuvole”, 2003. In che modo? Cosa hai in cantiere in questo momento?

Non convive, si alterna. Sono infatti una dissociata biscrittora: a volte poesia, a volte narrazione. Ma fondamentale, in tutta la mia produzione, è la lunga pratica di lettura e scrittura poetica, che mi porta a un’intransigente disciplina, a un forte controllo della parola. E a leggere la realtà dei fatti di una determinata epoca, di un determinato luogo, con una dimensione rappresentativa che – simultaneamente, liberamente – coniuga emozione e concetto, esistenza e mondo.

 

 

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3389:il-coro-polifonico-giuseppe-de-cicco-si-esibisce-a-bologna&catid=17&Itemid=143

Il coro polifonico “Giuseppe De Cicco” si esibisce a Bologna

MARIA LUCIA RICCIOLI
Martedì, 06 Novembre 2018 11:18

Per il 150° dalla morte di Rossini e nel Festiva corale. Nella nuova stagione la compagine impegnata nell’attività concertistica e nell’animazione liturgica

La Civetta di Minerva, novembre 2018

È ricominciata a pieno ritmo la nuova stagione concertistica del coro polifonico europeo “Giuseppe De Cicco”, realtà musicale ormai consolidata della provincia di Siracusa diretta dal maestro Maria Carmela De Cicco.

In occasione del centocinquantesimo anniversario della morte di Gioachino Rossini, il coro eseguirà, presso il Tempio di San Giacomo di Piazza Rossini a Bologna, musiche di Monteverdi, F. Mendelssohn, M. Duruflé, E. Elgar, Lotti, De Victoria, Telemann, Schütz, Rheinberger, Bruckner, Reger, compositori di musica corale dal Barocco al Romanticismo, omaggiando Rossini con le pagine più belle dello “Stabat Mater” e della “Petite Messe Solennelle”, insieme al Coro Euridice di Bologna, diretto da Maurizio Guernieri e Pier Paolo Scattolin.

Oltre che per il concerto, il coro sarà impegnato nell’animazione della liturgia. Il Festival corale internazionale Città di Bologna, giunto all’undicesima edizione, nell’ambito deIla quale sono inserite le esibizioni del coro De Cicco, si deve anche alla collaborazione con il San Giacomo Festival.

Il coro polifonico De Cicco si conferma dunque come compagine impegnata sia nell’attività concertistica – il 9 febbraio 2019 la corale si esibirà al Teatro Don Bosco di Ragusa in un concerto inserito nel cartellone dell’associazione “Melodica” – che nell’animazione liturgica, oltre che nella formazione dei coristi e dei direttori di coro con maestri di chiara fama come Pierpaolo Scattolin, Angela Troilo e Giovanni Acciai: tra le iniziative recenti che hanno visto coinvolto il coro ricordiamo “1000 voci per ricominciare” per la raccolta fondi in favore del Teatro di Amatrice, il ventennale del coro festeggiato con l’esecuzione della “Petite Messe Solennelle” di Gioachino Rossini a Carlentini (SR), Ragusa e la Chiesa di Santa Lucia alla Badia di Siracusa, raduni corali come “O Nata Lux”, la celebrazione del Giorno della Memoria, il gemellaggio con il coro di Agira, il festival “Musica sotto le stelle”, il bicentenario di Baha’u’llah, il gemellaggio con la città di Würtzburg e il sesto festival nazionale di musica sacra mariana di Bagheria (PA).

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3367:fino-al-6-novembre-a-palermo-la-mostra-sulla-poetessa-mariannina-coffa&catid=17&Itemid=143

 

A Palermo la mostra sulla poetessa di Noto Mariannina Coffa

MARIA LUCIA RICCIOLI
Domenica, 04 Novembre 2018 08:02

L’evento nel 140° anniversario della sua morte. Sempre più artisti e letterati ne scrivono in saggi e ricerche

 

La Civetta di Minerva, novembre 2018

Il 6 gennaio 1878 moriva, a soli trentasei anni, tre mesi e sei giorni, la poetessa e patriota netina Mariannina Coffa. Sono quindi trascorsi esattamente centoquarant’anni dalla scomparsa di una donna ed artista la cui fama volò oltre il Val di Noto che l’aveva vista fiorire e nel corso di questo lasso di tempo non sono mancati gli studiosi e gli estimatori della biografia e dell’opera della poetessa, soprannominata “Saffo netina” e “Capinera di Noto” per l’apparentarsi del suo destino a quello della poetessa di Mitilene e dell’eroina di Verga: tra i più recenti cultori di Mariannina Coffa non possiamo non citare Marinella Fiume e Biagio Iacono (“Sibilla arcana”, “Sguardi plurali”, “Voglio il mio cielo” i lavori principali, frutto di infaticabili studi sulle carte d’archivio e del lavorìo critico di appassionati indagatori delle carte coffiane), oltre ad Angelo Fortuna (ricordiamo il suo volume su “Anonimo 1905”) e a Stefano Vaccaro (ricordiamo il suo recente “Silfide, maga e sirena – L’ideale femminile nella letteratura italiana dell’Ottocento”), giovani appassionati di letteratura che versificano nel nome della Coffa come Giuseppe Puzzo, docenti universitari del calibro di Nicolò Mineo, Carlo Muratori (che ha musicato un sonetto della Coffa inserendo il brano nel CD “Sale” e portandolo in tournée in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia) e potremmo continuare.

A celebrare questo anniversario è stata però non la città di Noto o Ragusa (dove la poetessa netina visse dal 1860 al 1876), ma Palermo, capitale della cultura 2018, con il progetto “Mariannina Coffa 2.0 – Concorso internazionale di poesia, letteratura ed arti visive – Resurrectio, ideato e realizzato dall’Associazione culturale “Suggestioni mediterranee” (presieduta da M. Stella Pucci di Benisichi) in collaborazione con l’Associazione Culturale “PROGETTO Zyz – La Palermo Splendente”, con lo scopo di onorare la memoria della poetessa “maledetta”. Gianluca Pipitò è il responsabile del premio, articolato in area poetico-letteraria, arti visive e ricerca storica, che prevede anche la pubblicazione di un’antologia digitale.

Fino al 6 novembre sarà inoltre visitabile la mostra dedicata alla poetessa presso il Real Albergo dei Poveri: inaugurata il 6 ottobre 2018 (orari: dalle ore 10 alle 17, da martedì a domenica), vede coinvolti il Comando regionale della Guardia di Finanza, l’Associazione culturale storia e militaria di Palermo, l’Ente di formazione professionale CIRPE e i vincitori della sezione pittura e fotografia del concorso “Mariannina Coffa Caruso 2.0 resurrection”, che ha visto premiati presso la Sala Pitrè della Società siciliana di Storia patria anche i poeti e gli scrittori finalisti del concorso letterario.

Oltre ad iniziative come queste e ai convegni e conferenze dedicati alla poetessa, sarebbe auspicabile un’edizione critica delle opere di Mariannina Coffa, realizzata con la stessa acribia con cui si è lavorato all’epistolario Coffa-Mauceri (ricordiamo che Ascenzio Mauceri, drammaturgo e musicista, primo preside del Liceo classico di Noto, fu il primo sfortunato e romanticamente indagato amore della poetessa) e alle lettere della Nostra al precettore e ad altri corrispondenti come parenti ed amici. Altri campi d’indagine sulla Coffa sono naturalmente ancora aperti: il suo rapporto con la Massoneria e con la medicina omeopatica, le sue collaborazioni anche sotto pseudonimo con vari periodici, ma anche e diremmo soprattutto il mistero delle carte scomparse dopo la sua morte, che se risolto potrebbe gettare una luce nuova sull’ultima stagione poetica della poetessa e forse anche sulla rottura del fidanzamento con Mauceri, prodromo dell’infelice matrimonio di Mariannina Coffa con Giorgio Morana.

Il 2019 potrebbe essere l’occasione per ripensare alle vicende risorgimentali, che si sono intrecciate alla biografia e all’opera di una letterata che merita di essere conosciuta e apprezzata anche al di fuori dell’ambito celebrativo e locale o accademico.

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Francesco Costa, dal noir all’horror de “Il dottor Neanderthal”

MARIA LUCIA RICCIOLI

Sabato, 30 Giugno 2018 14:04

Sullo sfondo di una barocca Lecce dalle tinte gotiche, il protagonista invischiato in una trama suggestiva.“Anche i paesaggi roventi di sole sono ottimo sfondo per i mistery”

 

La Civetta di Minerva, 8 giugno 2018

Francesco Costa, scrittore e sceneggiatore napoletano (ricordiamo le esperienze cinematografiche e teatrali, anche attoriali, con nomi del calibro di Peter Dal Monte, Roberto Rossellini e Silvano Agosti, i lavori per la Lancio e le collaborazioni con importanti fumettisti, l’attività di recensore, la stesure di voci su attori cinematografici per la Treccani, i romanzi come “La volpe a tre zampe”, trasposto nel film di Sandro Dionisio interpretato da Miranda Otto, Nadja Uhl e Angela Luce, e “L’imbroglio nel lenzuolo” di Alfonso Arau con Maria Grazia Cucinotta, Anne Parillaud e Geraldine Chaplin), a Catania (presso la Libreria Catania) e Siracusa (Casa del Libro Rosario Mascali) ha presentato il suo ultimo lavoro, il primo di una trilogia, “Dottor Neanderthal – Il colore morto della mezzanotte”, edito da Cento Autori.

“È scivolato suo malgrado dentro una spirale perversa che, avvolgendosi attorno a un susseguirsi di sanguinosi eventi, si sviluppa verso soluzioni preoccupanti. Che cosa gli riserva il futuro?”.

“Il dottor Neanderthal” è incentrato, come tutti i personaggi dei romanzi di Costa, sulle vicende di un personaggio un po’ sprovveduto, in questo caso lo scrittore Leonardo Corona: sullo sfondo di una barocca Lecce dalle tinte gotiche il protagonista si trova invischiato in una trama che gli svelerà verità sconvolgenti.

Ne parliamo con l’autore.

Tu hai scritto un romanzo noir, “Orrore Vesuviano” (Bompiani, 2015), arrivato semifinalista al Premio Scerbanenco e adesso ti cimenti nel genere fantastico virando sull’horror, immaginando che i Neanderthal non si siano estinti e che addirittura siano stati le prime vittime di genocidio della storia umana: una storia originale e raccontata con ritmo ed eleganza, cogliendo le suggestioni della cronaca e dei reperti che ci narrano un passato remoto ma in fondo parte del nostro stesso codice genetico.

Calvino affermava che la Sicilia – ma potremmo estendere l’affermazione a tutto il Sud – non sarebbe adatta al giallo e potremmo dire meno che mai al noir e addirittura al gotico, che richiederebbero le atmosfere brumose del Nord. Con il tuo lavoro tu sembri smentire questa affermazione. Cosa puoi dirci in proposito?

Sicuramente si sbagliava. Il Sud è stato il fosco teatro dei primi romanzi gotici inglesi come il celeberrimo “Il castello di Otranto” (1764) di Horace Walpole, considerato il capostipite del genere, e seguito nel corso dei secoli da numerose altre opere di questo tono, scritte da romanzieri italiani, come “I misteri di Napoli” (1869) di Antonio Mastriani e “I Beati Paoli” (1909) di Luigi Natoli, fino ad arrivare ai nostri giorni con il successo di autori più sofisticati come Leonardo Sciascia e Andrea Camilleri. Attualmente le classifiche dei libri più venduti comprendono molti romanzi gialli ambientati nel Meridione come, per esempio, quelli di Maurizio de Giovanni. Per concludere, non sono soltanto le brumose contrade del Nord a costituire lo sfondo ideale del mystery, ma anche i paesaggi semidesertici e arroventati dal sole accecante delle regioni meridionali. Nel caso di “Dottor Neanderthal” ho trovato che la splendida Lecce, seguita poi da Napoli e da Pozzuoli, fosse lo scenario perfetto per una vicenda che sconfina nel fantastico.

Nello scrivere questo romanzo (dove tra l’altro ritroviamo la tua passione per le donne enigmatiche, direi chandleriane, di certo cinema e di tanta letteratura, il tema dell’inganno e del protagonista apparentemente “ingenuo” che deve decifrare una verità che lo sovrasta, i Leitmotiv della tua produzione artistica) che peso ha avuto la fantasia e quanto invece la ricerca?

Sono andate avanti di pari passo, tenendosi a braccetto come due buone amiche, e dopo la folgorazione che mi ha colpito nel museo preistorico di Lecce (dove ho visto una statua raffigurante

un uomo di Neanderthal che mi ha profondamente suggestionato), non ho fatto altro che tuffarmi in

ricerche scientifiche su cui innestavo invenzioni di pura fantasia. Diciamo che immaginazione e ricerca si sono illuminate a vicenda durante un lavoro di scrittura che è durato praticamente un decennio fra interruzioni e riprese.

Durante la tua presentazione catanese parlavi di scrittori e scriventi: puoi approfondire? E cos’è per te la scrittura?

La scrittura è per me fondamentale come il respiro. È possessione, ispirazione, pienezza. È una vera

e propria militanza. Per gli scriventi è un modo d’illudersi di avere un’identità, un modo di passare il tempo, forse di guadagnare denaro.

Quali consigli daresti a un esordiente, data la tua esperienza di scrittore e sceneggiatore (ricordiamo ai lettori anche i tuoi successi come autore per bambini e ragazzi come “L’orologio capriccioso” o la serie per Touring Junior e la soddisfazione di aver visto tradotti i tuoi libri in Germania, Spagna, Grecia e Giappone)?

Gli suggerirei di indagare quanto sia profondo il suo desiderio di scrivere e, successivamente, di leggere quanti più romanzi è possibile per farsi le ossa e imparare un mestiere che non può limitarsi

all’attesa dell’ispirazione, come generalmente si crede, ma deve essere sostanziato da un’incessante applicazione e da una perfetta conoscenza della lingua italiana. Scrivere per gli altri non può essere

un semplice passatempo.

Quali sono le tue impressioni dopo il tour siciliano? Catania, Milo (per lo stage di scrittura con Luigi La Rosa, che ti ha accompagnato e presentato), Siracusa… Le tue origini sono campane ma anche tedesche quindi ti immagino come uno degli scrittori del Grand Tour affascinati dal Sud e in particolare dalla Sicilia. È così?

Il sommo Goethe scrive in “Viaggio in Italia” che la Sicilia è la chiave di tutto. Per me è un accecante lampo di luce, un tuffo nel sogno, una barca su cui salire per tagliare gli ormeggi con le abitudini di ogni giorno e salpare in direzione di qualcosa d’immenso. In Sicilia conto ormai molti amici che mi accolgono con un affetto che mi sorprende e mi commuove. Pensando a loro, mi conforta l’idea di poter rientrare nel sogno ogni volta che mi sarà possibile. E per osar tanto basta un volo lungo poco più di un’ora.

 

“Fondare biblioteche è un po’ come costruire ancora granai pubblici: ammassare riserve contro l’inverno dello spirito che da molti indizi, mio malgrado, vedo venire”: non c’è forse citazione migliore di quella tratta da Marguerite Yourcenar per invitare i nostri lettori a (ri)scoprire il valore del ruolo delle biblioteche per la nostra vita personale e comunitaria.

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Nel Comprensivo di via Gela “Leggimi una storia”

MARIA LUCIA RICCIOLI
Martedì, 15 Maggio 2018 10:42

Cappè, Politi e Astore presentano “Il mago tre P” di Moscon. Neil Gaiman: “Una città non è una città senza una biblioteca, anche se pretende di esserlo”

La Civetta di Minerva, 27 aprile 2018

I futuristi sognavano di dar fuoco alle biblioteche, viste come sepolcreti di libri morti. Magari, se oggi partecipassero alle iniziative che rendono la biblioteca cuore di un quartiere, punto di riferimento e d’incontro, luogo dove si sperimenta l’inclusione, istituzione che si muove per andare incontro ai lettori, forse cambierebbero idea.

Nello scorso numero abbiamo parlato di MediaLibraryOnLine, adesso disponibile in biblioteca: è possibile prendere in prestito, direttamente da casa, due e-book al mese tra 30.000 nuovi titoli e 800.000 testi classici, oltre che consultare gratuitamente l’archivio del Corriere della Sera, dal 1876 al 2016; in occasione della Giornata mondiale del libro e del diritto d’autore, presso la Biblioteca comunale di Canicattini Bagni (SR) intitolata a Giuseppe Agnello, si è svolto il Canicattini Bagni BookFest, che ha salutato l’inverno e festeggiato con la primavera il rifiorire delle più originali, diffuse e coinvolgenti occasioni di lettura, legate al Maggio dei Libri che torna con la sua sfida, leggere, e leggere ovunque: il 22 e 23 aprile scorsi, in collaborazione dell’Associazione La Tana dei Goblin Siracusa, Titò di Cettina Marziano e VerbaVolant edizioni, casa editrice siracusana specializzata nella letteratura per bambini e ragazzi, la biblioteca ha accolto attività di lettura e di gioco, coinvolgendo bambini e ragazzi di scuola elementare e media.

Altro appuntamento interessante sarà quello di “Leggimi una storia – Associazione Culturale”: il 2 maggio prossimo verrà approfondita la figura di Giuseppe Pitrè, oltre al tema dell’ “accessibilità” dei contenuti letterari a lettori con difficoltà di lettura insieme alla cooperativa Phronesis: presso il X Istituto comprensivo “Emanuele Giaracà” di via Gela a Siracusa, la dottoressa Paola Cappè (che non solo dirige la Biblioteca di Canicattini Bagni ma è anche responsabile per la regione Sicilia dell’AIB, l’associazione che riunisce e coordina le biblioteche italiane), la dottoressa Viviana Politi e la dottoressa Luana Astorepresenteranno “Il mago tre P” di Lilith Moscon, illustrato da Marta Pantaleo.

“La cultura è un bene primario come l’acqua; i teatri, le biblioteche e i cinema sono come tanti acquedotti”, diceva Claudio Abbado. Ci permettiamo di ricordarlo ai nostri amministratori, perché – e qui citiamo Neil Gaiman – “Una città non è una città senza una biblioteca. Magari pretende di chiamarsi città lo stesso, ma se non ha una biblioteca sa bene di non poter ingannare nessuno”.

 

 

 

 

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Del Pasticciaccio di Gadda ho riprodotto assonanze, dissonanze, ritmi”

MARIA LUCIA RICCIOLI
Venerdì, 27 Aprile 2018 16:25

“In ogni pagina del romanzo c’è la storia dell’italiano”. Intervista all’avolese Jean Paul Manganaro, uno dei più importanti traduttori dal e in francese

La Civetta di Minerva, 13 aprile 2018

A coronamento del laboratorio di lettura organizzato dalla Biblioteca comunale di Siracusa sul romanzo“Quer pasticciaccio brutto de via Merulana” di Carlo Emilio Gadda, il 10 aprile scorso si è tenuto l’incontro, moderato sapientemente da Salvo Gennuso, con uno dei più importanti traduttori dal e in lingua francese, Jean-Paul Manganaro, una vera e propria autorità nel proprio campo, che ha affrontato l’improba ma grata fatica – lunga e amorosa è la frequentazione di Gadda da parte del traduttore, che è nativo di Bordeaux, vive a Parigi ma è di origini avolesi – di trasporre il gliuòmmero, il pasticcio, lo strano oggetto che è quest’opera affascinante e impervia come una scalata.

Manganaro, nel corso di quella che è stata quasi una conversazione più che una conferenza, ha spaziato con ironia e competenza dall’infanzia difficile dell’autore, orfano di padre e lacerato da un irrisolto edipico rapporto con la madre, alla scrittura di Gadda, la cui biografia – apparentemente scarna e priva di fatti significativi – confluisce tutta nella scrittura: l’élan vitale di Gadda fluisce tutto nell’opera – basterebbe pensare a “La cognizione del dolore”.

Manganaro ha quindi narrato la parabola dell’ingegnere elettrotecnico “prestato” alla scrittura, che si nutrì di Leibniz e Spinoza, filosofi fondamentali per comprendere l’universo gaddiano, un universo policentrico, plurilinguistico e polifonico, dallo stile diremmo jazzato e cubista, se l’immaginifico barocco scrittore non sfuggisse a qualsiasi tentativo di sistematizzazione; dai saggi alle novelle, veri e propri frammenti di esistenza, alla pubblicazione di alcuni “tratti” ovvero capitoli, sezioni del romanzo su rivista – tra le più importanti dell’epoca ricordiamo per tutte “Solaria” e “Letteratura” –, Gadda ridefinisce il modello letterario ereditato dalla tradizione.

Per comprendere Gadda, Manganaro si serve delle spie linguistiche: le descrizioni, le digressioni che danno stoffa al ragionamento – pensiamo ai cieli e alle nuvole gaddiane –, l’utilizzo peculiare della punteggiatura, materializzano l’idea di Gadda – molto pirandelliana – secondo il quale la realtà della verità non esiste e anche se esistesse non potrebbe essere trovata: alla Deleuze, la soluzione potrebbe essere uno dei possibili che non si è attuato; un fatto non ha una sola causale ma tante causali; tutto è effetto e tutto è causa.Realtà e verità sono dunque punti di interrogazione… i puntini di sospensione rappresentano graficamente il non si sa, i chissà. Una frase che procedesse per virgole e punti e virgola passerebbe dalle tesi e antitesi ad una sintesi (secondo la logica classica), conferendo al discorso un ordine gerarchico che invece Gadda sovverte tramite l’uso quasi matematico dei due punti, che pongono tutte le situazioni sullo stesso piano di equivalenza e corresponsabilità. E qui il sovvertimento diventa anche politico: noto è il disprezzo di Gadda per il fascismo – sublime il grottesco di “Eros e Priapo” – e nel romanzo Polizia e Carabinieri, tra l’altro intralciandosi a vicenda, nonostante la dichiarata e muscolare intransigenza non riusciranno a dipanare l’imbroglio, impotenti come sono a dirimere il pasticciaccio, il gomitolo intrecciato del delitto.

Tradurre è trans-ducere, trasportare. Io la immagino come un barcaiolo intento a trasportare della merce preziosa da una riva all’altra – le lingue di partenza e arrivo –: qualcosa è andato perduto in acqua?

Il carico è arrivato tutto. Ho riprodotto assonanze, dissonanze, ritmi, la sinfonia di questo romanzo il cui stile mette il lettore sull’attenti: non permette distrazioni e per tradurlo, per cucire le parole punto per punto a maglia fina, per non perdere il filo, la musicalità della scrittura, ho impiegato dodici ore al giorno per un anno senza fare altro. Forse qualcosa si sciupa ma il carico è arrivato per intero. Non è il primo libro di Gadda che traduco e comunque questa traduzione arriva dopo anni di lavoro. L’amore per Gadda per me è viscerale, inspiegabile: prende qui – sorride – alle trippe. Rileggo “Quer pasticciaccio…” ogni due anni circa e ricordo la prima volta: non riuscivo a credere ai miei occhi. Tutta la storia della lingua italiana si ritrova in ogni pagina, in ogni riga del libro.

Oggi purtroppo la lingua – anche quella letteraria – sta subendo una sorta di normalizzazione che la fa somigliare non ad un organismo vivente e “multistrato” ma che la rende una lingua “Standa” più che standard, piatta e involuta, esattamente il contrario del lussureggiante e ben biodiversificato linguaggio gaddiano. Come ha reso la polifonia dialettale del romanzo, l’imbroglio linguistico oltre che quello della trama? Il napoletano, il romanesco, il molisano di Ingravallo e dei personaggi gaddiani… come sono stati “traghettati” in francese?

In Italia i dialetti sono ancora parlati, intesi, capiti: sono la vita quotidiana che entra nel discorso, anche del parlante colto. In Francia ci sono degli slang, l’argot, ma non dialetti: ho tradotto in un francese “strano” ma sempre comprensibile, come all’orecchio risulta strana ma comunque viene riconosciuta come italiana la lingua di Gadda (ricordiamo che all’epoca il cinema italiano, arte e industria insieme, supportava il napoletano ma soprattutto il romanesco come dialetto neorealistico per eccellenza); nel frasato diretto l’autore usa appunto i dialetti (che io rendo con un francese sviato o meglio traviato, con la sonorizzazione della dentale o una diversa tonalizzazione, scambiando per esempio T e D: le agglutinazioni sonore sono aggiunte di suono ma non di senso, le elisioni sono violente), mentre nel discorso indiretto utilizza dei ricami con il dialetto per non perdere la mescidanza tra le lingue. In questo mi ha facilitato l’aver lavorato a “Le baruffe chiozzotte” di Goldoni – anche in Gadda troviamo il legame con Venezia dato dalla contessa, ad esempio.

La traduzione è letterale oppure è più un lavoro di interpretazione? Che rapporto c’è tra un autore e chi lo traduce?

Interpretare vuol dire non essere stati capaci di tradurre, aggirare l’ostacolo senza trovare l’espressione, la parola precisa, esatta. La scrittura è il gancio, la materia e il terreno comune, il momento di confronto tra autore e traduttore che non può né deve essere traditore. Bisogna cogliere i soffi, i respiri, le pulsazioni di ciò che si traduce, sordi alle suggestioni, ingannevoli come sirene, dell’interpretazione.

E qui Manganaro senza dirlo credo che accenni anche ad una misura più alta del proprio mestiere, che è quella etica.

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Vaccaro: “Gli uomini dell’800 reagirono alla lotta delle donne”

MARIA LUCIA RICCIOLI 
Giovedì, 26 Aprile 2018 11:25
“Chiamandole maliarde grifagne o angeli tentatori”. Intervista all’autore di “Silfide, maga e sirena – L’ideale femminile nella letteratura italiana dell’Ottocento”

 

La Civetta di Minerva, 13 aprile 2018

Forse l’Ottocento è stato il secolo che ci ha donato le più fulgide rappresentazioni femminili – connotate sia positivamente che in una valenza negativa –: pensiamo a Madame Bovary, ad Anna Karenina, alle protagoniste dei romanzi delle sorelle Brönte e prima ancora alle smaglianti invenzioni del genio di Jane Austen, per citare solamente i primi nomi in punta di penna.

Possiamo dire che l’Ottocento porta alla ribalta e forse esaspera non solo la femminilità, ma anche e soprattutto il conflitto tra i sessi e l’irriducibilità della loro complementarietà / differenza, proprio in un’epoca in cui tante artiste oltre che tante donne comuni pretendevano un proprio posto in una società mutevole e attraversata da cambiamenti rivoluzionari in campo politico, economico e sociale.

Sirene, incantatrici, maliarde, dame eleganti, virago, civette narcise da una parte – il cliché della femme fatale declinato in ogni possibile sfaccettatura – contro Nedda e gli angeli del focolare dall’altra: questo il catalogo dei destini delle donne rappresentate nella letteratura del secondo Ottocento, che riflette da una parte e dall’altra precorre i mutamenti socio-culturali di un’epoca convulsa, che segue a quella risorgimentale e si proietta verso il ventesimo secolo.

Dell’argomento si è recentemente occupato il giovane studioso ragusano Stefano Vaccaro nel suo saggio, fresco di stampa per i tipi de Il Convivio Editore, intitolato appunto “Silfide, maga e sirena – L’ideale femminile nella letteratura italiana dell’Ottocento”, presentato il 6 aprile presso la sala del fondo antico della Biblioteca diocesana di Ragusa – intitolata a Monsignor Pennisi e diretta da don Giuseppe Di Corrado – nell’ambito della manifestazione LIBeRI A RAGUSA (di cui l’Ufficio Comunicazioni Sociali della Diocesi di Ragusa è media partner; la prefazione, di cui vi abbiamo offerto qualche stralcio all’inizio del pezzo, è della docente e scrittrice Maria Lucia Riccioli); con l’autore l’eminente prof.ssa Margherita Bonomo (Università degli Studi di Catania), che tra l’altro si è occupata a lungo di carteggi femminili ottocenteschi.

“La Civetta di Minerva” lo ha intervistato per voi.

Com’è nato in te l’interesse verso la letteratura dell’Ottocento?

Nell’immaginario fanciullesco che già dalla più tenera età mi si palesava innanzi, l’Ottocento prendeva sempre più la forma di una lunga galleria di immagini gotiche e spettrali, un pentagramma vivificato da figure grottesche, al limite del picaresco, all’interno del quale personaggi e trame considerate scriteriate o insolite avevano liceità non solo di essere pensate ma anche narrate. Il  fascino esercitato dal “diverso” ha fatto sì che sentissi la letteratura del XIX secolo molto vicina a me scegliendola difatti come oggetto della mia ricerca. Gli anni di studio mi hanno poi restituito un secolo molto complesso letterariamente e stratificato culturalmente, attraversato da numerose correnti e diversi “modi di sentire”; un viaggio affascinante che dura tutt’oggi e che dall’analisi del Verismo mi ha condotto allo studio del Simbolismo, senza tralasciare l’approfondimento per “movimenti” quali il Naturalismo, il Romanticismo e il Decadentismo. Ciò che mi preme coniugare è il rigore del metodo critico-scientifico alla curiosità che mi spinse ad indagare la letteratura italiana anni fa.

Silfide, maga e sirena… spiegaci come mai l’eterno femminino assume questi volti. E poi… ritieni queste “classificazioni” ancora attuali? Quali personificazioni o maschere potrebbero raffigurare le donne odierne?

Silfide, maga e sirena è un trinomio che ho preso in prestito da Verga (Una peccatrice, 1865) e che ben sintetizza la visione che si ebbe della donna per tutto il XIX secolo. L’Ottocento è di per sé il secolo delle rivoluzioni in tutti i campi dell’esperienza umana, pensiamo a quello politico con le rivoluzioni del ‘48 prima e le lotte risorgimentali poi, e ancora agli scompaginamenti sociali portati dalla meccanizzazione del lavoro e dell’avvento della borghesia, e non da ultimo ai risvolti culturali dovuti alla presenza, per la prima volta massiva e consapevole, della figura femminile anche in ambito culturale la quale, minando un sistema maschilista e patriarcale, cominciò a ritagliarsi, con fatica, spazi del sapere prima preclusi, facendo sentire la propria voce attraverso la pubblicazione di romanzi, feuillettons, articoli e pamphlets. La determinazione e la tenacia con le quali le intellettuali dell’Ottocento si batterono affinché i propri diritti d’espressione venissero riconosciuti dovette apparire del tutto nuova e allarmante per gli uomini del tempo che per questo, non appare sbagliato pensare, caricano la donna di aggettivi non sempre lusinghieri, descrivendola come una maliarda grifagna o un angelo tentatore.

Già a cominciare dal Novecento la figura muliebre non è più, o non è solo, silfide, maga e sirena ma acquista caratteri nuovi anche in vista di un impegno civile più vistoso che non rifugge connotati politici (pensiamo alle battaglie del ‘68). Oggi il polinomio verghiano con il quale il Siciliano descriveva la sua peccatrice appare svuotato di senso, rimane però, a mio avviso, una dicotomia “ottocentesca” di fondo per cui l’accostamento angelo-demone ha nuove possibili interpretazioni: se da un lato, in alcuni contesti e società, la donna può dirsi emancipata ricoprendo prestigiosi incarichi istituzionali e posizioni di rilievo nel campo della scienza, delle arti, dell’imprenditoria, della moda e delle telecomunicazioni, dall’altro lato la stessa donna, e il suo corpo, è tristemente vittima di attenzioni “superomistiche” fin troppo invasive, violente e incontrollate, finanche manesche, sanguinose e mortali.

Hai in cantiere altri lavori? Come vedi lo “stato dell’arte” della critica? Quali altri campi sarebbero da esplorare e quali vorresti affrontare tu?

Dopo aver reso nota, attraverso quest’ultima raccolta di saggi da poco edita, alle voci e ai pensieri degli intellettuali dell’Ottocento e al loro modo di pensare ed interpretare la donna, sto lavorando affinché abbia voce la controparte femminile. L’impegno muliebre difatti ha coinciso con volti e figure ben definite il cui studio spero riesca a sottrarle dall’oblio a cui per troppo tempo e ingiustamente sono state condannate. La mia ricerca si concentra innanzitutto sulle letterate siciliane che operarono nell’Isola nel medio e tardo Ottocento, dalle più note Giuseppina Turrisi Colonna (1822-1848) e Mariannina Coffa (1841-1878) alle misconosciute palermitane Concettina Ramondetta Fileti (1829-1900), Rosa Muzio Salvo (1815-1866), Lauretta Li Greci (1833-1849) e alla messinese Letteria Montoro (1825-1893): un’intera generazione di autrici che con forza e coraggio si batté affinché potesse esprimere le proprie idee contravvenendo spesso ai dettami imposti dalla società, rischiando cioè l’esclusione familiare, la sofferenza della solitudine e la stessa reputazione. Altro campo d’indagine è ancora la poesia novecentesca con particolare attenzione a quel segmento letterario al femminile che operò un nuovo linguaggio lirico italiano: Antonia Pozzi (1912-1938), Amelia Rosselli (1930-1996), Nadia Campana (1954-1985) e Catrina Saviane (1962 -1991).

   
http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=2958:le-eroine-di-jane-austen-modelli-dell-eterno-femminino&catid=17:cultura&Itemid=143

Incontro letterario-musicale al cine teatro Italia di Sortino, organizzato dal Comune in collaborazione con la Biblioteca Comunale ”Andrea Gurciullo” e il Primo istituto comprensivo “G.M. Columba” di Sortino

La Civetta di Minerva, 2 marzo 2018

“Persuasione” e “Northanger Abbey”(1818) sono due romanzi postumi: mentre il secondo era già terminato nel 1803, il primo è in realtà l’ultima opera completa scritta poco prima dell’aggravarsi della malattia di Addison che ne porterà alla morte l’autrice il 18 luglio del 1817: quindi, quest’anno ricorrono duecento anni esatti dalla pubblicazione di due dei sei romanzi canonici – gli altri sono naturalmente “Orgoglio e pregiudizio”, “Ragione e sentimento”, “Emma” e “Mansfield Park” – di Jane Austen, il bicentenario della cui scomparsa è stato celebrato nel 2017.

L’autrice inglese, letta, parodiata, reinventata, frequentata dal teatro e dal cinema (ricordiamo per tutti “Il club di Jane Austen”), gode di un successo imperituro: Catherine, Anne, Elizabeth, Elinor e Marianne, Emma e Fanny, le sue eroine, sono modelli dell’eterno femminino in lotta per la propria affermazione nonostante l’epoca Regency e la nostra sembrino agli antipodi. La Austen, ironica e pungente, genio universale che è sbagliato imbrigliare nell’assurda categoria dei “romanzi per signorine” sebbene le apparenze mostrino il contrario – gli eventi storici non sembrano toccare i suoi romanzi, che ruotano intorno a balli, intrighi matrimoniali, pettegolezzi, concerti casalinghi, picnic –, ritrae con la sua penna acuta la piccola nobiltà di campagna e la borghesia che tenta la scalata sociale: nulla sfugge alla sua penna acuta che lavora su “tre o quattro famiglie in un villaggio di campagna” come un incisore, come un monaco alle prese con le miniature di una pergamena; la Austen paragonava infatti il proprio lavoro ad un “pezzettino di avorio, largo due pollici”, modellato “col più fine dei pennelli, in modo da produrre il minimo degli effetti col massimo dello sforzo”: nonostante una biografia apparentemente priva di avvenimenti rimarchevoli, la profondità della riflessione e la vastità dell’immaginazione – sense and sensibility, razionalismo illuminista e romanticismo ottocentesco, che la Austen comunque aborriva e parodiava nei suoi eccessi lacrimevoli e gotici – l’hanno resa universalmente nota e apprezzata sia dai lettori che da studiosi e critici.

Lo scorso anno, la pianista Donatella Motta e la docente e scrittrice Maria Lucia Riccioli, qui in veste di voce narrante, si erano rese protagoniste di un aperitivo letterario a tema Jane Austen organizzato dalla dottoressa Paola Cappè, impegnata nel diffondere l’amore per i libri e la lettura con varie iniziative che ruotano intorno alla biblioteca Agnello di Canicattini Bagni (SR); quest’anno, venerdì 2 marzo scorso il recital è stato riproposto all’interno dell’incontro letterario-musicale “Vi presento Jane Austen” che si è tenuto presso il CineTeatro Italia a Sortino. L’evento è organizzato dal Comune di Sortino in collaborazione con la Biblioteca Comunale ”Andrea Gurciullo” e il Primo istituto comprensivo “G.M. Columba” di Sortino: le classi seconde della scuola secondaria di primo grado – da rimarcare la sensibilità della docente Lisa Manca, oltre che l’impegno della dottoressa Maria Sequenzia, che ha fortemente voluto il progetto – hanno presentato un lavoro di ricerca sulla scrittrice che si è concluso con il recital del duo siracusano.

 

LA CIVETTA DI MINERVA del 10 novembre 2018

10 sabato Nov 2018

Posted by mlriccioli in Eventi culturali, Letteratura, Musica, scuola

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Il coro polifonico “Giuseppe De Cicco” si esibisce a Bologna

MARIA LUCIA RICCIOLI
Martedì, 06 Novembre 2018 11:18

Per il 150° dalla morte di Rossini e nel Festiva corale. Nella nuova stagione la compagine impegnata nell’attività concertistica e nell’animazione liturgica

La Civetta di Minerva, novembre 2018

È ricominciata a pieno ritmo la nuova stagione concertistica del coro polifonico europeo “Giuseppe De Cicco”, realtà musicale ormai consolidata della provincia di Siracusa diretta dal maestro Maria Carmela De Cicco.

In occasione del centocinquantesimo anniversario della morte di Gioachino Rossini, il coro eseguirà, presso il Tempio di San Giacomo di Piazza Rossini a Bologna, musiche di Monteverdi, F. Mendelssohn, M. Duruflé, E. Elgar, Lotti, De Victoria, Telemann, Schütz, Rheinberger, Bruckner, Reger, compositori di musica corale dal Barocco al Romanticismo, omaggiando Rossini con le pagine più belle dello “Stabat Mater” e della “Petite Messe Solennelle”, insieme al Coro Euridice di Bologna, diretto da Maurizio Guernieri e Pier Paolo Scattolin.

Oltre che per il concerto, il coro sarà impegnato nell’animazione della liturgia. Il Festival corale internazionale Città di Bologna, giunto all’undicesima edizione, nell’ambito deIla quale sono inserite le esibizioni del coro De Cicco, si deve anche alla collaborazione con il San Giacomo Festival.

Il coro polifonico De Cicco si conferma dunque come compagine impegnata sia nell’attività concertistica – il 9 febbraio 2019 la corale si esibirà al Teatro Don Bosco di Ragusa in un concerto inserito nel cartellone dell’associazione “Melodica” – che nell’animazione liturgica, oltre che nella formazione dei coristi e dei direttori di coro con maestri di chiara fama come Pierpaolo Scattolin, Angela Troilo e Giovanni Acciai: tra le iniziative recenti che hanno visto coinvolto il coro ricordiamo “1000 voci per ricominciare” per la raccolta fondi in favore del Teatro di Amatrice, il ventennale del coro festeggiato con l’esecuzione della “Petite Messe Solennelle” di Gioachino Rossini a Carlentini (SR), Ragusa e la Chiesa di Santa Lucia alla Badia di Siracusa, raduni corali come “O Nata Lux”, la celebrazione del Giorno della Memoria, il gemellaggio con il coro di Agira, il festival “Musica sotto le stelle”, il bicentenario di Baha’u’llah, il gemellaggio con la città di Würtzburg e il sesto festival nazionale di musica sacra mariana di Bagheria (PA).

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3367:fino-al-6-novembre-a-palermo-la-mostra-sulla-poetessa-mariannina-coffa&catid=17&Itemid=143

 

A Palermo la mostra sulla poetessa di Noto Mariannina Coffa

MARIA LUCIA RICCIOLI

 

Domenica, 04 Novembre 2018 08:02

L’evento nel 140° anniversario della sua morte. Sempre più artisti e letterati ne scrivono in saggi e ricerche

 

La Civetta di Minerva, novembre 2018

Il 6 gennaio 1878 moriva, a soli trentasei anni, tre mesi e sei giorni, la poetessa e patriota netina Mariannina Coffa. Sono quindi trascorsi esattamente centoquarant’anni dalla scomparsa di una donna ed artista la cui fama volò oltre il Val di Noto che l’aveva vista fiorire e nel corso di questo lasso di tempo non sono mancati gli studiosi e gli estimatori della biografia e dell’opera della poetessa, soprannominata “Saffo netina” e “Capinera di Noto” per l’apparentarsi del suo destino a quello della poetessa di Mitilene e dell’eroina di Verga: tra i più recenti cultori di Mariannina Coffa non possiamo non citare Marinella Fiume e Biagio Iacono (“Sibilla arcana”, “Sguardi plurali”, “Voglio il mio cielo” i lavori principali, frutto di infaticabili studi sulle carte d’archivio e del lavorìo critico di appassionati indagatori delle carte coffiane), oltre ad Angelo Fortuna (ricordiamo il suo volume su “Anonimo 1905”) e a Stefano Vaccaro (ricordiamo il suo recente “Silfide, maga e sirena – L’ideale femminile nella letteratura italiana dell’Ottocento”), giovani appassionati di letteratura che versificano nel nome della Coffa come Giuseppe Puzzo, docenti universitari del calibro di Nicolò Mineo, Carlo Muratori (che ha musicato un sonetto della Coffa inserendo il brano nel CD “Sale” e portandolo in tournée in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia) e potremmo continuare.

A celebrare questo anniversario è stata però non la città di Noto o Ragusa (dove la poetessa netina visse dal 1860 al 1876), ma Palermo, capitale della cultura 2018, con il progetto “Mariannina Coffa 2.0 – Concorso internazionale di poesia, letteratura ed arti visive – Resurrectio, ideato e realizzato dall’Associazione culturale “Suggestioni mediterranee” (presieduta da M. Stella Pucci di Benisichi) in collaborazione con l’Associazione Culturale “PROGETTO Zyz – La Palermo Splendente”, con lo scopo di onorare la memoria della poetessa “maledetta”. Gianluca Pipitò è il responsabile del premio, articolato in area poetico-letteraria, arti visive e ricerca storica, che prevede anche la pubblicazione di un’antologia digitale.

Fino al 6 novembre sarà inoltre visitabile la mostra dedicata alla poetessa presso il Real Albergo dei Poveri: inaugurata il 6 ottobre 2018 (orari: dalle ore 10 alle 17, da martedì a domenica), vede coinvolti il Comando regionale della Guardia di Finanza, l’Associazione culturale storia e militaria di Palermo, l’Ente di formazione professionale CIRPE e i vincitori della sezione pittura e fotografia del concorso “Mariannina Coffa Caruso 2.0 resurrection”, che ha visto premiati presso la Sala Pitrè della Società siciliana di Storia patria anche i poeti e gli scrittori finalisti del concorso letterario.

Oltre ad iniziative come queste e ai convegni e conferenze dedicati alla poetessa, sarebbe auspicabile un’edizione critica delle opere di Mariannina Coffa, realizzata con la stessa acribia con cui si è lavorato all’epistolario Coffa-Mauceri (ricordiamo che Ascenzio Mauceri, drammaturgo e musicista, primo preside del Liceo classico di Noto, fu il primo sfortunato e romanticamente indagato amore della poetessa) e alle lettere della Nostra al precettore e ad altri corrispondenti come parenti ed amici. Altri campi d’indagine sulla Coffa sono naturalmente ancora aperti: il suo rapporto con la Massoneria e con la medicina omeopatica, le sue collaborazioni anche sotto pseudonimo con vari periodici, ma anche e diremmo soprattutto il mistero delle carte scomparse dopo la sua morte, che se risolto potrebbe gettare una luce nuova sull’ultima stagione poetica della poetessa e forse anche sulla rottura del fidanzamento con Mauceri, prodromo dell’infelice matrimonio di Mariannina Coffa con Giorgio Morana.

Il 2019 potrebbe essere l’occasione per ripensare alle vicende risorgimentali, che si sono intrecciate alla biografia e all’opera di una letterata che merita di essere conosciuta e apprezzata anche al di fuori dell’ambito celebrativo e locale o accademico.

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Francesco Costa, dal noir all’horror de “Il dottor Neanderthal”

MARIA LUCIA RICCIOLI

Sabato, 30 Giugno 2018 14:04

Sullo sfondo di una barocca Lecce dalle tinte gotiche, il protagonista invischiato in una trama suggestiva.“Anche i paesaggi roventi di sole sono ottimo sfondo per i mistery”

 

La Civetta di Minerva, 8 giugno 2018

Francesco Costa, scrittore e sceneggiatore napoletano (ricordiamo le esperienze cinematografiche e teatrali, anche attoriali, con nomi del calibro di Peter Dal Monte, Roberto Rossellini e Silvano Agosti, i lavori per la Lancio e le collaborazioni con importanti fumettisti, l’attività di recensore, la stesure di voci su attori cinematografici per la Treccani, i romanzi come “La volpe a tre zampe”, trasposto nel film di Sandro Dionisio interpretato da Miranda Otto, Nadja Uhl e Angela Luce, e “L’imbroglio nel lenzuolo” di Alfonso Arau con Maria Grazia Cucinotta, Anne Parillaud e Geraldine Chaplin), a Catania (presso la Libreria Catania) e Siracusa (Casa del Libro Rosario Mascali) ha presentato il suo ultimo lavoro, il primo di una trilogia, “Dottor Neanderthal – Il colore morto della mezzanotte”, edito da Cento Autori.

“È scivolato suo malgrado dentro una spirale perversa che, avvolgendosi attorno a un susseguirsi di sanguinosi eventi, si sviluppa verso soluzioni preoccupanti. Che cosa gli riserva il futuro?”.

“Il dottor Neanderthal” è incentrato, come tutti i personaggi dei romanzi di Costa, sulle vicende di un personaggio un po’ sprovveduto, in questo caso lo scrittore Leonardo Corona: sullo sfondo di una barocca Lecce dalle tinte gotiche il protagonista si trova invischiato in una trama che gli svelerà verità sconvolgenti.

Ne parliamo con l’autore.

Tu hai scritto un romanzo noir, “Orrore Vesuviano” (Bompiani, 2015), arrivato semifinalista al Premio Scerbanenco e adesso ti cimenti nel genere fantastico virando sull’horror, immaginando che i Neanderthal non si siano estinti e che addirittura siano stati le prime vittime di genocidio della storia umana: una storia originale e raccontata con ritmo ed eleganza, cogliendo le suggestioni della cronaca e dei reperti che ci narrano un passato remoto ma in fondo parte del nostro stesso codice genetico.

Calvino affermava che la Sicilia – ma potremmo estendere l’affermazione a tutto il Sud – non sarebbe adatta al giallo e potremmo dire meno che mai al noir e addirittura al gotico, che richiederebbero le atmosfere brumose del Nord. Con il tuo lavoro tu sembri smentire questa affermazione. Cosa puoi dirci in proposito?

Sicuramente si sbagliava. Il Sud è stato il fosco teatro dei primi romanzi gotici inglesi come il celeberrimo “Il castello di Otranto” (1764) di Horace Walpole, considerato il capostipite del genere, e seguito nel corso dei secoli da numerose altre opere di questo tono, scritte da romanzieri italiani, come “I misteri di Napoli” (1869) di Antonio Mastriani e “I Beati Paoli” (1909) di Luigi Natoli, fino ad arrivare ai nostri giorni con il successo di autori più sofisticati come Leonardo Sciascia e Andrea Camilleri. Attualmente le classifiche dei libri più venduti comprendono molti romanzi gialli ambientati nel Meridione come, per esempio, quelli di Maurizio de Giovanni. Per concludere, non sono soltanto le brumose contrade del Nord a costituire lo sfondo ideale del mystery, ma anche i paesaggi semidesertici e arroventati dal sole accecante delle regioni meridionali. Nel caso di “Dottor Neanderthal” ho trovato che la splendida Lecce, seguita poi da Napoli e da Pozzuoli, fosse lo scenario perfetto per una vicenda che sconfina nel fantastico.

Nello scrivere questo romanzo (dove tra l’altro ritroviamo la tua passione per le donne enigmatiche, direi chandleriane, di certo cinema e di tanta letteratura, il tema dell’inganno e del protagonista apparentemente “ingenuo” che deve decifrare una verità che lo sovrasta, i Leitmotiv della tua produzione artistica) che peso ha avuto la fantasia e quanto invece la ricerca?

Sono andate avanti di pari passo, tenendosi a braccetto come due buone amiche, e dopo la folgorazione che mi ha colpito nel museo preistorico di Lecce (dove ho visto una statua raffigurante

un uomo di Neanderthal che mi ha profondamente suggestionato), non ho fatto altro che tuffarmi in

ricerche scientifiche su cui innestavo invenzioni di pura fantasia. Diciamo che immaginazione e ricerca si sono illuminate a vicenda durante un lavoro di scrittura che è durato praticamente un decennio fra interruzioni e riprese.

Durante la tua presentazione catanese parlavi di scrittori e scriventi: puoi approfondire? E cos’è per te la scrittura?

La scrittura è per me fondamentale come il respiro. È possessione, ispirazione, pienezza. È una vera

e propria militanza. Per gli scriventi è un modo d’illudersi di avere un’identità, un modo di passare il tempo, forse di guadagnare denaro.

Quali consigli daresti a un esordiente, data la tua esperienza di scrittore e sceneggiatore (ricordiamo ai lettori anche i tuoi successi come autore per bambini e ragazzi come “L’orologio capriccioso” o la serie per Touring Junior e la soddisfazione di aver visto tradotti i tuoi libri in Germania, Spagna, Grecia e Giappone)?

Gli suggerirei di indagare quanto sia profondo il suo desiderio di scrivere e, successivamente, di leggere quanti più romanzi è possibile per farsi le ossa e imparare un mestiere che non può limitarsi

all’attesa dell’ispirazione, come generalmente si crede, ma deve essere sostanziato da un’incessante applicazione e da una perfetta conoscenza della lingua italiana. Scrivere per gli altri non può essere

un semplice passatempo.

Quali sono le tue impressioni dopo il tour siciliano? Catania, Milo (per lo stage di scrittura con Luigi La Rosa, che ti ha accompagnato e presentato), Siracusa… Le tue origini sono campane ma anche tedesche quindi ti immagino come uno degli scrittori del Grand Tour affascinati dal Sud e in particolare dalla Sicilia. È così?

Il sommo Goethe scrive in “Viaggio in Italia” che la Sicilia è la chiave di tutto. Per me è un accecante lampo di luce, un tuffo nel sogno, una barca su cui salire per tagliare gli ormeggi con le abitudini di ogni giorno e salpare in direzione di qualcosa d’immenso. In Sicilia conto ormai molti amici che mi accolgono con un affetto che mi sorprende e mi commuove. Pensando a loro, mi conforta l’idea di poter rientrare nel sogno ogni volta che mi sarà possibile. E per osar tanto basta un volo lungo poco più di un’ora.

 

“Fondare biblioteche è un po’ come costruire ancora granai pubblici: ammassare riserve contro l’inverno dello spirito che da molti indizi, mio malgrado, vedo venire”: non c’è forse citazione migliore di quella tratta da Marguerite Yourcenar per invitare i nostri lettori a (ri)scoprire il valore del ruolo delle biblioteche per la nostra vita personale e comunitaria.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3116:nel-comprensivo-di-via-gela-leggimi-una-storia&catid=17&Itemid=143

Nel Comprensivo di via Gela “Leggimi una storia”

MARIA LUCIA RICCIOLI
Martedì, 15 Maggio 2018 10:42

Cappè, Politi e Astore presentano “Il mago tre P” di Moscon. Neil Gaiman: “Una città non è una città senza una biblioteca, anche se pretende di esserlo”

La Civetta di Minerva, 27 aprile 2018

I futuristi sognavano di dar fuoco alle biblioteche, viste come sepolcreti di libri morti. Magari, se oggi partecipassero alle iniziative che rendono la biblioteca cuore di un quartiere, punto di riferimento e d’incontro, luogo dove si sperimenta l’inclusione, istituzione che si muove per andare incontro ai lettori, forse cambierebbero idea.

Nello scorso numero abbiamo parlato di MediaLibraryOnLine, adesso disponibile in biblioteca: è possibile prendere in prestito, direttamente da casa, due e-book al mese tra 30.000 nuovi titoli e 800.000 testi classici, oltre che consultare gratuitamente l’archivio del Corriere della Sera, dal 1876 al 2016; in occasione della Giornata mondiale del libro e del diritto d’autore, presso la Biblioteca comunale di Canicattini Bagni (SR) intitolata a Giuseppe Agnello, si è svolto il Canicattini Bagni BookFest, che ha salutato l’inverno e festeggiato con la primavera il rifiorire delle più originali, diffuse e coinvolgenti occasioni di lettura, legate al Maggio dei Libri che torna con la sua sfida, leggere, e leggere ovunque: il 22 e 23 aprile scorsi, in collaborazione dell’Associazione La Tana dei Goblin Siracusa, Titò di Cettina Marziano e VerbaVolant edizioni, casa editrice siracusana specializzata nella letteratura per bambini e ragazzi, la biblioteca ha accolto attività di lettura e di gioco, coinvolgendo bambini e ragazzi di scuola elementare e media.

Altro appuntamento interessante sarà quello di “Leggimi una storia – Associazione Culturale”: il 2 maggio prossimo verrà approfondita la figura di Giuseppe Pitrè, oltre al tema dell’ “accessibilità” dei contenuti letterari a lettori con difficoltà di lettura insieme alla cooperativa Phronesis: presso il X Istituto comprensivo “Emanuele Giaracà” di via Gela a Siracusa, la dottoressa Paola Cappè (che non solo dirige la Biblioteca di Canicattini Bagni ma è anche responsabile per la regione Sicilia dell’AIB, l’associazione che riunisce e coordina le biblioteche italiane), la dottoressa Viviana Politi e la dottoressa Luana Astorepresenteranno “Il mago tre P” di Lilith Moscon, illustrato da Marta Pantaleo.

“La cultura è un bene primario come l’acqua; i teatri, le biblioteche e i cinema sono come tanti acquedotti”, diceva Claudio Abbado. Ci permettiamo di ricordarlo ai nostri amministratori, perché – e qui citiamo Neil Gaiman – “Una città non è una città senza una biblioteca. Magari pretende di chiamarsi città lo stesso, ma se non ha una biblioteca sa bene di non poter ingannare nessuno”.

 

 

 

 

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3082:del-pasticciaccio-di-gadda-ho-riprodotto-assonanze-dissonanze-ritmi&catid=17:cultura&Itemid=143

Del Pasticciaccio di Gadda ho riprodotto assonanze, dissonanze, ritmi”

MARIA LUCIA RICCIOLI
Venerdì, 27 Aprile 2018 16:25

“In ogni pagina del romanzo c’è la storia dell’italiano”. Intervista all’avolese Jean Paul Manganaro, uno dei più importanti traduttori dal e in francese

La Civetta di Minerva, 13 aprile 2018

A coronamento del laboratorio di lettura organizzato dalla Biblioteca comunale di Siracusa sul romanzo“Quer pasticciaccio brutto de via Merulana” di Carlo Emilio Gadda, il 10 aprile scorso si è tenuto l’incontro, moderato sapientemente da Salvo Gennuso, con uno dei più importanti traduttori dal e in lingua francese, Jean-Paul Manganaro, una vera e propria autorità nel proprio campo, che ha affrontato l’improba ma grata fatica – lunga e amorosa è la frequentazione di Gadda da parte del traduttore, che è nativo di Bordeaux, vive a Parigi ma è di origini avolesi – di trasporre il gliuòmmero, il pasticcio, lo strano oggetto che è quest’opera affascinante e impervia come una scalata.

Manganaro, nel corso di quella che è stata quasi una conversazione più che una conferenza, ha spaziato con ironia e competenza dall’infanzia difficile dell’autore, orfano di padre e lacerato da un irrisolto edipico rapporto con la madre, alla scrittura di Gadda, la cui biografia – apparentemente scarna e priva di fatti significativi – confluisce tutta nella scrittura: l’élan vitale di Gadda fluisce tutto nell’opera – basterebbe pensare a “La cognizione del dolore”.

Manganaro ha quindi narrato la parabola dell’ingegnere elettrotecnico “prestato” alla scrittura, che si nutrì di Leibniz e Spinoza, filosofi fondamentali per comprendere l’universo gaddiano, un universo policentrico, plurilinguistico e polifonico, dallo stile diremmo jazzato e cubista, se l’immaginifico barocco scrittore non sfuggisse a qualsiasi tentativo di sistematizzazione; dai saggi alle novelle, veri e propri frammenti di esistenza, alla pubblicazione di alcuni “tratti” ovvero capitoli, sezioni del romanzo su rivista – tra le più importanti dell’epoca ricordiamo per tutte “Solaria” e “Letteratura” –, Gadda ridefinisce il modello letterario ereditato dalla tradizione.

Per comprendere Gadda, Manganaro si serve delle spie linguistiche: le descrizioni, le digressioni che danno stoffa al ragionamento – pensiamo ai cieli e alle nuvole gaddiane –, l’utilizzo peculiare della punteggiatura, materializzano l’idea di Gadda – molto pirandelliana – secondo il quale la realtà della verità non esiste e anche se esistesse non potrebbe essere trovata: alla Deleuze, la soluzione potrebbe essere uno dei possibili che non si è attuato; un fatto non ha una sola causale ma tante causali; tutto è effetto e tutto è causa.Realtà e verità sono dunque punti di interrogazione… i puntini di sospensione rappresentano graficamente il non si sa, i chissà. Una frase che procedesse per virgole e punti e virgola passerebbe dalle tesi e antitesi ad una sintesi (secondo la logica classica), conferendo al discorso un ordine gerarchico che invece Gadda sovverte tramite l’uso quasi matematico dei due punti, che pongono tutte le situazioni sullo stesso piano di equivalenza e corresponsabilità. E qui il sovvertimento diventa anche politico: noto è il disprezzo di Gadda per il fascismo – sublime il grottesco di “Eros e Priapo” – e nel romanzo Polizia e Carabinieri, tra l’altro intralciandosi a vicenda, nonostante la dichiarata e muscolare intransigenza non riusciranno a dipanare l’imbroglio, impotenti come sono a dirimere il pasticciaccio, il gomitolo intrecciato del delitto.

Tradurre è trans-ducere, trasportare. Io la immagino come un barcaiolo intento a trasportare della merce preziosa da una riva all’altra – le lingue di partenza e arrivo –: qualcosa è andato perduto in acqua?

Il carico è arrivato tutto. Ho riprodotto assonanze, dissonanze, ritmi, la sinfonia di questo romanzo il cui stile mette il lettore sull’attenti: non permette distrazioni e per tradurlo, per cucire le parole punto per punto a maglia fina, per non perdere il filo, la musicalità della scrittura, ho impiegato dodici ore al giorno per un anno senza fare altro. Forse qualcosa si sciupa ma il carico è arrivato per intero. Non è il primo libro di Gadda che traduco e comunque questa traduzione arriva dopo anni di lavoro. L’amore per Gadda per me è viscerale, inspiegabile: prende qui – sorride – alle trippe. Rileggo “Quer pasticciaccio…” ogni due anni circa e ricordo la prima volta: non riuscivo a credere ai miei occhi. Tutta la storia della lingua italiana si ritrova in ogni pagina, in ogni riga del libro.

Oggi purtroppo la lingua – anche quella letteraria – sta subendo una sorta di normalizzazione che la fa somigliare non ad un organismo vivente e “multistrato” ma che la rende una lingua “Standa” più che standard, piatta e involuta, esattamente il contrario del lussureggiante e ben biodiversificato linguaggio gaddiano. Come ha reso la polifonia dialettale del romanzo, l’imbroglio linguistico oltre che quello della trama? Il napoletano, il romanesco, il molisano di Ingravallo e dei personaggi gaddiani… come sono stati “traghettati” in francese?

In Italia i dialetti sono ancora parlati, intesi, capiti: sono la vita quotidiana che entra nel discorso, anche del parlante colto. In Francia ci sono degli slang, l’argot, ma non dialetti: ho tradotto in un francese “strano” ma sempre comprensibile, come all’orecchio risulta strana ma comunque viene riconosciuta come italiana la lingua di Gadda (ricordiamo che all’epoca il cinema italiano, arte e industria insieme, supportava il napoletano ma soprattutto il romanesco come dialetto neorealistico per eccellenza); nel frasato diretto l’autore usa appunto i dialetti (che io rendo con un francese sviato o meglio traviato, con la sonorizzazione della dentale o una diversa tonalizzazione, scambiando per esempio T e D: le agglutinazioni sonore sono aggiunte di suono ma non di senso, le elisioni sono violente), mentre nel discorso indiretto utilizza dei ricami con il dialetto per non perdere la mescidanza tra le lingue. In questo mi ha facilitato l’aver lavorato a “Le baruffe chiozzotte” di Goldoni – anche in Gadda troviamo il legame con Venezia dato dalla contessa, ad esempio.

La traduzione è letterale oppure è più un lavoro di interpretazione? Che rapporto c’è tra un autore e chi lo traduce?

Interpretare vuol dire non essere stati capaci di tradurre, aggirare l’ostacolo senza trovare l’espressione, la parola precisa, esatta. La scrittura è il gancio, la materia e il terreno comune, il momento di confronto tra autore e traduttore che non può né deve essere traditore. Bisogna cogliere i soffi, i respiri, le pulsazioni di ciò che si traduce, sordi alle suggestioni, ingannevoli come sirene, dell’interpretazione.

E qui Manganaro senza dirlo credo che accenni anche ad una misura più alta del proprio mestiere, che è quella etica.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3076:vaccaro-gli-uomini-dell-800-reagirono-alla-lotta-delle-donne&catid=17&Itemid=143

Vaccaro: “Gli uomini dell’800 reagirono alla lotta delle donne”

MARIA LUCIA RICCIOLI 
Giovedì, 26 Aprile 2018 11:25
“Chiamandole maliarde grifagne o angeli tentatori”. Intervista all’autore di “Silfide, maga e sirena – L’ideale femminile nella letteratura italiana dell’Ottocento”

 

La Civetta di Minerva, 13 aprile 2018

Forse l’Ottocento è stato il secolo che ci ha donato le più fulgide rappresentazioni femminili – connotate sia positivamente che in una valenza negativa –: pensiamo a Madame Bovary, ad Anna Karenina, alle protagoniste dei romanzi delle sorelle Brönte e prima ancora alle smaglianti invenzioni del genio di Jane Austen, per citare solamente i primi nomi in punta di penna.

Possiamo dire che l’Ottocento porta alla ribalta e forse esaspera non solo la femminilità, ma anche e soprattutto il conflitto tra i sessi e l’irriducibilità della loro complementarietà / differenza, proprio in un’epoca in cui tante artiste oltre che tante donne comuni pretendevano un proprio posto in una società mutevole e attraversata da cambiamenti rivoluzionari in campo politico, economico e sociale.

Sirene, incantatrici, maliarde, dame eleganti, virago, civette narcise da una parte – il cliché della femme fatale declinato in ogni possibile sfaccettatura – contro Nedda e gli angeli del focolare dall’altra: questo il catalogo dei destini delle donne rappresentate nella letteratura del secondo Ottocento, che riflette da una parte e dall’altra precorre i mutamenti socio-culturali di un’epoca convulsa, che segue a quella risorgimentale e si proietta verso il ventesimo secolo.

Dell’argomento si è recentemente occupato il giovane studioso ragusano Stefano Vaccaro nel suo saggio, fresco di stampa per i tipi de Il Convivio Editore, intitolato appunto “Silfide, maga e sirena – L’ideale femminile nella letteratura italiana dell’Ottocento”, presentato il 6 aprile presso la sala del fondo antico della Biblioteca diocesana di Ragusa – intitolata a Monsignor Pennisi e diretta da don Giuseppe Di Corrado – nell’ambito della manifestazione LIBeRI A RAGUSA (di cui l’Ufficio Comunicazioni Sociali della Diocesi di Ragusa è media partner; la prefazione, di cui vi abbiamo offerto qualche stralcio all’inizio del pezzo, è della docente e scrittrice Maria Lucia Riccioli); con l’autore l’eminente prof.ssa Margherita Bonomo (Università degli Studi di Catania), che tra l’altro si è occupata a lungo di carteggi femminili ottocenteschi.

“La Civetta di Minerva” lo ha intervistato per voi.

Com’è nato in te l’interesse verso la letteratura dell’Ottocento?

Nell’immaginario fanciullesco che già dalla più tenera età mi si palesava innanzi, l’Ottocento prendeva sempre più la forma di una lunga galleria di immagini gotiche e spettrali, un pentagramma vivificato da figure grottesche, al limite del picaresco, all’interno del quale personaggi e trame considerate scriteriate o insolite avevano liceità non solo di essere pensate ma anche narrate. Il  fascino esercitato dal “diverso” ha fatto sì che sentissi la letteratura del XIX secolo molto vicina a me scegliendola difatti come oggetto della mia ricerca. Gli anni di studio mi hanno poi restituito un secolo molto complesso letterariamente e stratificato culturalmente, attraversato da numerose correnti e diversi “modi di sentire”; un viaggio affascinante che dura tutt’oggi e che dall’analisi del Verismo mi ha condotto allo studio del Simbolismo, senza tralasciare l’approfondimento per “movimenti” quali il Naturalismo, il Romanticismo e il Decadentismo. Ciò che mi preme coniugare è il rigore del metodo critico-scientifico alla curiosità che mi spinse ad indagare la letteratura italiana anni fa.

Silfide, maga e sirena… spiegaci come mai l’eterno femminino assume questi volti. E poi… ritieni queste “classificazioni” ancora attuali? Quali personificazioni o maschere potrebbero raffigurare le donne odierne?

Silfide, maga e sirena è un trinomio che ho preso in prestito da Verga (Una peccatrice, 1865) e che ben sintetizza la visione che si ebbe della donna per tutto il XIX secolo. L’Ottocento è di per sé il secolo delle rivoluzioni in tutti i campi dell’esperienza umana, pensiamo a quello politico con le rivoluzioni del ‘48 prima e le lotte risorgimentali poi, e ancora agli scompaginamenti sociali portati dalla meccanizzazione del lavoro e dell’avvento della borghesia, e non da ultimo ai risvolti culturali dovuti alla presenza, per la prima volta massiva e consapevole, della figura femminile anche in ambito culturale la quale, minando un sistema maschilista e patriarcale, cominciò a ritagliarsi, con fatica, spazi del sapere prima preclusi, facendo sentire la propria voce attraverso la pubblicazione di romanzi, feuillettons, articoli e pamphlets. La determinazione e la tenacia con le quali le intellettuali dell’Ottocento si batterono affinché i propri diritti d’espressione venissero riconosciuti dovette apparire del tutto nuova e allarmante per gli uomini del tempo che per questo, non appare sbagliato pensare, caricano la donna di aggettivi non sempre lusinghieri, descrivendola come una maliarda grifagna o un angelo tentatore.

Già a cominciare dal Novecento la figura muliebre non è più, o non è solo, silfide, maga e sirena ma acquista caratteri nuovi anche in vista di un impegno civile più vistoso che non rifugge connotati politici (pensiamo alle battaglie del ‘68). Oggi il polinomio verghiano con il quale il Siciliano descriveva la sua peccatrice appare svuotato di senso, rimane però, a mio avviso, una dicotomia “ottocentesca” di fondo per cui l’accostamento angelo-demone ha nuove possibili interpretazioni: se da un lato, in alcuni contesti e società, la donna può dirsi emancipata ricoprendo prestigiosi incarichi istituzionali e posizioni di rilievo nel campo della scienza, delle arti, dell’imprenditoria, della moda e delle telecomunicazioni, dall’altro lato la stessa donna, e il suo corpo, è tristemente vittima di attenzioni “superomistiche” fin troppo invasive, violente e incontrollate, finanche manesche, sanguinose e mortali.

Hai in cantiere altri lavori? Come vedi lo “stato dell’arte” della critica? Quali altri campi sarebbero da esplorare e quali vorresti affrontare tu?

Dopo aver reso nota, attraverso quest’ultima raccolta di saggi da poco edita, alle voci e ai pensieri degli intellettuali dell’Ottocento e al loro modo di pensare ed interpretare la donna, sto lavorando affinché abbia voce la controparte femminile. L’impegno muliebre difatti ha coinciso con volti e figure ben definite il cui studio spero riesca a sottrarle dall’oblio a cui per troppo tempo e ingiustamente sono state condannate. La mia ricerca si concentra innanzitutto sulle letterate siciliane che operarono nell’Isola nel medio e tardo Ottocento, dalle più note Giuseppina Turrisi Colonna (1822-1848) e Mariannina Coffa (1841-1878) alle misconosciute palermitane Concettina Ramondetta Fileti (1829-1900), Rosa Muzio Salvo (1815-1866), Lauretta Li Greci (1833-1849) e alla messinese Letteria Montoro (1825-1893): un’intera generazione di autrici che con forza e coraggio si batté affinché potesse esprimere le proprie idee contravvenendo spesso ai dettami imposti dalla società, rischiando cioè l’esclusione familiare, la sofferenza della solitudine e la stessa reputazione. Altro campo d’indagine è ancora la poesia novecentesca con particolare attenzione a quel segmento letterario al femminile che operò un nuovo linguaggio lirico italiano: Antonia Pozzi (1912-1938), Amelia Rosselli (1930-1996), Nadia Campana (1954-1985) e Catrina Saviane (1962 -1991).

   
http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=2958:le-eroine-di-jane-austen-modelli-dell-eterno-femminino&catid=17:cultura&Itemid=143

Incontro letterario-musicale al cine teatro Italia di Sortino, organizzato dal Comune in collaborazione con la Biblioteca Comunale ”Andrea Gurciullo” e il Primo istituto comprensivo “G.M. Columba” di Sortino

La Civetta di Minerva, 2 marzo 2018

“Persuasione” e “Northanger Abbey”(1818) sono due romanzi postumi: mentre il secondo era già terminato nel 1803, il primo è in realtà l’ultima opera completa scritta poco prima dell’aggravarsi della malattia di Addison che ne porterà alla morte l’autrice il 18 luglio del 1817: quindi, quest’anno ricorrono duecento anni esatti dalla pubblicazione di due dei sei romanzi canonici – gli altri sono naturalmente “Orgoglio e pregiudizio”, “Ragione e sentimento”, “Emma” e “Mansfield Park” – di Jane Austen, il bicentenario della cui scomparsa è stato celebrato nel 2017.

L’autrice inglese, letta, parodiata, reinventata, frequentata dal teatro e dal cinema (ricordiamo per tutti “Il club di Jane Austen”), gode di un successo imperituro: Catherine, Anne, Elizabeth, Elinor e Marianne, Emma e Fanny, le sue eroine, sono modelli dell’eterno femminino in lotta per la propria affermazione nonostante l’epoca Regency e la nostra sembrino agli antipodi. La Austen, ironica e pungente, genio universale che è sbagliato imbrigliare nell’assurda categoria dei “romanzi per signorine” sebbene le apparenze mostrino il contrario – gli eventi storici non sembrano toccare i suoi romanzi, che ruotano intorno a balli, intrighi matrimoniali, pettegolezzi, concerti casalinghi, picnic –, ritrae con la sua penna acuta la piccola nobiltà di campagna e la borghesia che tenta la scalata sociale: nulla sfugge alla sua penna acuta che lavora su “tre o quattro famiglie in un villaggio di campagna” come un incisore, come un monaco alle prese con le miniature di una pergamena; la Austen paragonava infatti il proprio lavoro ad un “pezzettino di avorio, largo due pollici”, modellato “col più fine dei pennelli, in modo da produrre il minimo degli effetti col massimo dello sforzo”: nonostante una biografia apparentemente priva di avvenimenti rimarchevoli, la profondità della riflessione e la vastità dell’immaginazione – sense and sensibility, razionalismo illuminista e romanticismo ottocentesco, che la Austen comunque aborriva e parodiava nei suoi eccessi lacrimevoli e gotici – l’hanno resa universalmente nota e apprezzata sia dai lettori che da studiosi e critici.

Lo scorso anno, la pianista Donatella Motta e la docente e scrittrice Maria Lucia Riccioli, qui in veste di voce narrante, si erano rese protagoniste di un aperitivo letterario a tema Jane Austen organizzato dalla dottoressa Paola Cappè, impegnata nel diffondere l’amore per i libri e la lettura con varie iniziative che ruotano intorno alla biblioteca Agnello di Canicattini Bagni (SR); quest’anno, venerdì 2 marzo scorso il recital è stato riproposto all’interno dell’incontro letterario-musicale “Vi presento Jane Austen” che si è tenuto presso il CineTeatro Italia a Sortino. L’evento è organizzato dal Comune di Sortino in collaborazione con la Biblioteca Comunale ”Andrea Gurciullo” e il Primo istituto comprensivo “G.M. Columba” di Sortino: le classi seconde della scuola secondaria di primo grado – da rimarcare la sensibilità della docente Lisa Manca, oltre che l’impegno della dottoressa Maria Sequenzia, che ha fortemente voluto il progetto – hanno presentato un lavoro di ricerca sulla scrittrice che si è concluso con il recital del duo siracusano.

 

LA CIVETTA DI MINERVA del 27 ottobre 2018

30 martedì Ott 2018

Posted by mlriccioli in Eventi culturali, Letteratura, Musica, scuola

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Giorno 13 ottobre è tornata in edicola LA CIVETTA DI MINERVA dopo le vacanze estive che in realtà vacanze non sono state perché avete potuto continuare a vedere i contributi della redazione sul sito… ed ecco la locandina del nuovo numero, uscito il 27 ottobre 2018, quindi eccezionalmente di sabato…

Sostieni il nostro impegno: chiedilo in edicola. Per te è solo un euro, per noi un grande aiuto, per la realtà sociale un mezzo di informazione libero, unico e originale. Non fermiamo le poche voci che sono svincolate da chi decide cosa e quando bisogna sapere. L’informazione è potere. Riappropriamoci della capacità di avere un nostro strumento d’informazione. Ti aspettiamo!
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Francesco Costa, dal noir all’horror de “Il dottor Neanderthal”

MARIA LUCIA RICCIOLI

Sabato, 30 Giugno 2018 14:04

Sullo sfondo di una barocca Lecce dalle tinte gotiche, il protagonista invischiato in una trama suggestiva.“Anche i paesaggi roventi di sole sono ottimo sfondo per i mistery”

 

La Civetta di Minerva, 8 giugno 2018

Francesco Costa, scrittore e sceneggiatore napoletano (ricordiamo le esperienze cinematografiche e teatrali, anche attoriali, con nomi del calibro di Peter Dal Monte, Roberto Rossellini e Silvano Agosti, i lavori per la Lancio e le collaborazioni con importanti fumettisti, l’attività di recensore, la stesure di voci su attori cinematografici per la Treccani, i romanzi come “La volpe a tre zampe”, trasposto nel film di Sandro Dionisio interpretato da Miranda Otto, Nadja Uhl e Angela Luce, e “L’imbroglio nel lenzuolo” di Alfonso Arau con Maria Grazia Cucinotta, Anne Parillaud e Geraldine Chaplin), a Catania (presso la Libreria Catania) e Siracusa (Casa del Libro Rosario Mascali) ha presentato il suo ultimo lavoro, il primo di una trilogia, “Dottor Neanderthal – Il colore morto della mezzanotte”, edito da Cento Autori.

“È scivolato suo malgrado dentro una spirale perversa che, avvolgendosi attorno a un susseguirsi di sanguinosi eventi, si sviluppa verso soluzioni preoccupanti. Che cosa gli riserva il futuro?”.

“Il dottor Neanderthal” è incentrato, come tutti i personaggi dei romanzi di Costa, sulle vicende di un personaggio un po’ sprovveduto, in questo caso lo scrittore Leonardo Corona: sullo sfondo di una barocca Lecce dalle tinte gotiche il protagonista si trova invischiato in una trama che gli svelerà verità sconvolgenti.

Ne parliamo con l’autore.

Tu hai scritto un romanzo noir, “Orrore Vesuviano” (Bompiani, 2015), arrivato semifinalista al Premio Scerbanenco e adesso ti cimenti nel genere fantastico virando sull’horror, immaginando che i Neanderthal non si siano estinti e che addirittura siano stati le prime vittime di genocidio della storia umana: una storia originale e raccontata con ritmo ed eleganza, cogliendo le suggestioni della cronaca e dei reperti che ci narrano un passato remoto ma in fondo parte del nostro stesso codice genetico.

Calvino affermava che la Sicilia – ma potremmo estendere l’affermazione a tutto il Sud – non sarebbe adatta al giallo e potremmo dire meno che mai al noir e addirittura al gotico, che richiederebbero le atmosfere brumose del Nord. Con il tuo lavoro tu sembri smentire questa affermazione. Cosa puoi dirci in proposito?

Sicuramente si sbagliava. Il Sud è stato il fosco teatro dei primi romanzi gotici inglesi come il celeberrimo “Il castello di Otranto” (1764) di Horace Walpole, considerato il capostipite del genere, e seguito nel corso dei secoli da numerose altre opere di questo tono, scritte da romanzieri italiani, come “I misteri di Napoli” (1869) di Antonio Mastriani e “I Beati Paoli” (1909) di Luigi Natoli, fino ad arrivare ai nostri giorni con il successo di autori più sofisticati come Leonardo Sciascia e Andrea Camilleri. Attualmente le classifiche dei libri più venduti comprendono molti romanzi gialli ambientati nel Meridione come, per esempio, quelli di Maurizio de Giovanni. Per concludere, non sono soltanto le brumose contrade del Nord a costituire lo sfondo ideale del mystery, ma anche i paesaggi semidesertici e arroventati dal sole accecante delle regioni meridionali. Nel caso di “Dottor Neanderthal” ho trovato che la splendida Lecce, seguita poi da Napoli e da Pozzuoli, fosse lo scenario perfetto per una vicenda che sconfina nel fantastico.

Nello scrivere questo romanzo (dove tra l’altro ritroviamo la tua passione per le donne enigmatiche, direi chandleriane, di certo cinema e di tanta letteratura, il tema dell’inganno e del protagonista apparentemente “ingenuo” che deve decifrare una verità che lo sovrasta, i Leitmotiv della tua produzione artistica) che peso ha avuto la fantasia e quanto invece la ricerca?

Sono andate avanti di pari passo, tenendosi a braccetto come due buone amiche, e dopo la folgorazione che mi ha colpito nel museo preistorico di Lecce (dove ho visto una statua raffigurante

un uomo di Neanderthal che mi ha profondamente suggestionato), non ho fatto altro che tuffarmi in

ricerche scientifiche su cui innestavo invenzioni di pura fantasia. Diciamo che immaginazione e ricerca si sono illuminate a vicenda durante un lavoro di scrittura che è durato praticamente un decennio fra interruzioni e riprese.

Durante la tua presentazione catanese parlavi di scrittori e scriventi: puoi approfondire? E cos’è per te la scrittura?

La scrittura è per me fondamentale come il respiro. È possessione, ispirazione, pienezza. È una vera

e propria militanza. Per gli scriventi è un modo d’illudersi di avere un’identità, un modo di passare il tempo, forse di guadagnare denaro.

Quali consigli daresti a un esordiente, data la tua esperienza di scrittore e sceneggiatore (ricordiamo ai lettori anche i tuoi successi come autore per bambini e ragazzi come “L’orologio capriccioso” o la serie per Touring Junior e la soddisfazione di aver visto tradotti i tuoi libri in Germania, Spagna, Grecia e Giappone)?

Gli suggerirei di indagare quanto sia profondo il suo desiderio di scrivere e, successivamente, di leggere quanti più romanzi è possibile per farsi le ossa e imparare un mestiere che non può limitarsi

all’attesa dell’ispirazione, come generalmente si crede, ma deve essere sostanziato da un’incessante applicazione e da una perfetta conoscenza della lingua italiana. Scrivere per gli altri non può essere

un semplice passatempo.

Quali sono le tue impressioni dopo il tour siciliano? Catania, Milo (per lo stage di scrittura con Luigi La Rosa, che ti ha accompagnato e presentato), Siracusa… Le tue origini sono campane ma anche tedesche quindi ti immagino come uno degli scrittori del Grand Tour affascinati dal Sud e in particolare dalla Sicilia. È così?

Il sommo Goethe scrive in “Viaggio in Italia” che la Sicilia è la chiave di tutto. Per me è un accecante lampo di luce, un tuffo nel sogno, una barca su cui salire per tagliare gli ormeggi con le abitudini di ogni giorno e salpare in direzione di qualcosa d’immenso. In Sicilia conto ormai molti amici che mi accolgono con un affetto che mi sorprende e mi commuove. Pensando a loro, mi conforta l’idea di poter rientrare nel sogno ogni volta che mi sarà possibile. E per osar tanto basta un volo lungo poco più di un’ora.

 

“Fondare biblioteche è un po’ come costruire ancora granai pubblici: ammassare riserve contro l’inverno dello spirito che da molti indizi, mio malgrado, vedo venire”: non c’è forse citazione migliore di quella tratta da Marguerite Yourcenar per invitare i nostri lettori a (ri)scoprire il valore del ruolo delle biblioteche per la nostra vita personale e comunitaria.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3116:nel-comprensivo-di-via-gela-leggimi-una-storia&catid=17&Itemid=143

Nel Comprensivo di via Gela “Leggimi una storia”

MARIA LUCIA RICCIOLI
Martedì, 15 Maggio 2018 10:42

Cappè, Politi e Astore presentano “Il mago tre P” di Moscon. Neil Gaiman: “Una città non è una città senza una biblioteca, anche se pretende di esserlo”

La Civetta di Minerva, 27 aprile 2018

I futuristi sognavano di dar fuoco alle biblioteche, viste come sepolcreti di libri morti. Magari, se oggi partecipassero alle iniziative che rendono la biblioteca cuore di un quartiere, punto di riferimento e d’incontro, luogo dove si sperimenta l’inclusione, istituzione che si muove per andare incontro ai lettori, forse cambierebbero idea.

Nello scorso numero abbiamo parlato di MediaLibraryOnLine, adesso disponibile in biblioteca: è possibile prendere in prestito, direttamente da casa, due e-book al mese tra 30.000 nuovi titoli e 800.000 testi classici, oltre che consultare gratuitamente l’archivio del Corriere della Sera, dal 1876 al 2016; in occasione della Giornata mondiale del libro e del diritto d’autore, presso la Biblioteca comunale di Canicattini Bagni (SR) intitolata a Giuseppe Agnello, si è svolto il Canicattini Bagni BookFest, che ha salutato l’inverno e festeggiato con la primavera il rifiorire delle più originali, diffuse e coinvolgenti occasioni di lettura, legate al Maggio dei Libri che torna con la sua sfida, leggere, e leggere ovunque: il 22 e 23 aprile scorsi, in collaborazione dell’Associazione La Tana dei Goblin Siracusa, Titò di Cettina Marziano e VerbaVolant edizioni, casa editrice siracusana specializzata nella letteratura per bambini e ragazzi, la biblioteca ha accolto attività di lettura e di gioco, coinvolgendo bambini e ragazzi di scuola elementare e media.

Altro appuntamento interessante sarà quello di “Leggimi una storia – Associazione Culturale”: il 2 maggio prossimo verrà approfondita la figura di Giuseppe Pitrè, oltre al tema dell’ “accessibilità” dei contenuti letterari a lettori con difficoltà di lettura insieme alla cooperativa Phronesis: presso il X Istituto comprensivo “Emanuele Giaracà” di via Gela a Siracusa, la dottoressa Paola Cappè (che non solo dirige la Biblioteca di Canicattini Bagni ma è anche responsabile per la regione Sicilia dell’AIB, l’associazione che riunisce e coordina le biblioteche italiane), la dottoressa Viviana Politi e la dottoressa Luana Astorepresenteranno “Il mago tre P” di Lilith Moscon, illustrato da Marta Pantaleo.

“La cultura è un bene primario come l’acqua; i teatri, le biblioteche e i cinema sono come tanti acquedotti”, diceva Claudio Abbado. Ci permettiamo di ricordarlo ai nostri amministratori, perché – e qui citiamo Neil Gaiman – “Una città non è una città senza una biblioteca. Magari pretende di chiamarsi città lo stesso, ma se non ha una biblioteca sa bene di non poter ingannare nessuno”.

 

 

 

 

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Del Pasticciaccio di Gadda ho riprodotto assonanze, dissonanze, ritmi”

MARIA LUCIA RICCIOLI
Venerdì, 27 Aprile 2018 16:25

“In ogni pagina del romanzo c’è la storia dell’italiano”. Intervista all’avolese Jean Paul Manganaro, uno dei più importanti traduttori dal e in francese

La Civetta di Minerva, 13 aprile 2018

A coronamento del laboratorio di lettura organizzato dalla Biblioteca comunale di Siracusa sul romanzo“Quer pasticciaccio brutto de via Merulana” di Carlo Emilio Gadda, il 10 aprile scorso si è tenuto l’incontro, moderato sapientemente da Salvo Gennuso, con uno dei più importanti traduttori dal e in lingua francese, Jean-Paul Manganaro, una vera e propria autorità nel proprio campo, che ha affrontato l’improba ma grata fatica – lunga e amorosa è la frequentazione di Gadda da parte del traduttore, che è nativo di Bordeaux, vive a Parigi ma è di origini avolesi – di trasporre il gliuòmmero, il pasticcio, lo strano oggetto che è quest’opera affascinante e impervia come una scalata.

Manganaro, nel corso di quella che è stata quasi una conversazione più che una conferenza, ha spaziato con ironia e competenza dall’infanzia difficile dell’autore, orfano di padre e lacerato da un irrisolto edipico rapporto con la madre, alla scrittura di Gadda, la cui biografia – apparentemente scarna e priva di fatti significativi – confluisce tutta nella scrittura: l’élan vitale di Gadda fluisce tutto nell’opera – basterebbe pensare a “La cognizione del dolore”.

Manganaro ha quindi narrato la parabola dell’ingegnere elettrotecnico “prestato” alla scrittura, che si nutrì di Leibniz e Spinoza, filosofi fondamentali per comprendere l’universo gaddiano, un universo policentrico, plurilinguistico e polifonico, dallo stile diremmo jazzato e cubista, se l’immaginifico barocco scrittore non sfuggisse a qualsiasi tentativo di sistematizzazione; dai saggi alle novelle, veri e propri frammenti di esistenza, alla pubblicazione di alcuni “tratti” ovvero capitoli, sezioni del romanzo su rivista – tra le più importanti dell’epoca ricordiamo per tutte “Solaria” e “Letteratura” –, Gadda ridefinisce il modello letterario ereditato dalla tradizione.

Per comprendere Gadda, Manganaro si serve delle spie linguistiche: le descrizioni, le digressioni che danno stoffa al ragionamento – pensiamo ai cieli e alle nuvole gaddiane –, l’utilizzo peculiare della punteggiatura, materializzano l’idea di Gadda – molto pirandelliana – secondo il quale la realtà della verità non esiste e anche se esistesse non potrebbe essere trovata: alla Deleuze, la soluzione potrebbe essere uno dei possibili che non si è attuato; un fatto non ha una sola causale ma tante causali; tutto è effetto e tutto è causa.Realtà e verità sono dunque punti di interrogazione… i puntini di sospensione rappresentano graficamente il non si sa, i chissà. Una frase che procedesse per virgole e punti e virgola passerebbe dalle tesi e antitesi ad una sintesi (secondo la logica classica), conferendo al discorso un ordine gerarchico che invece Gadda sovverte tramite l’uso quasi matematico dei due punti, che pongono tutte le situazioni sullo stesso piano di equivalenza e corresponsabilità. E qui il sovvertimento diventa anche politico: noto è il disprezzo di Gadda per il fascismo – sublime il grottesco di “Eros e Priapo” – e nel romanzo Polizia e Carabinieri, tra l’altro intralciandosi a vicenda, nonostante la dichiarata e muscolare intransigenza non riusciranno a dipanare l’imbroglio, impotenti come sono a dirimere il pasticciaccio, il gomitolo intrecciato del delitto.

Tradurre è trans-ducere, trasportare. Io la immagino come un barcaiolo intento a trasportare della merce preziosa da una riva all’altra – le lingue di partenza e arrivo –: qualcosa è andato perduto in acqua?

Il carico è arrivato tutto. Ho riprodotto assonanze, dissonanze, ritmi, la sinfonia di questo romanzo il cui stile mette il lettore sull’attenti: non permette distrazioni e per tradurlo, per cucire le parole punto per punto a maglia fina, per non perdere il filo, la musicalità della scrittura, ho impiegato dodici ore al giorno per un anno senza fare altro. Forse qualcosa si sciupa ma il carico è arrivato per intero. Non è il primo libro di Gadda che traduco e comunque questa traduzione arriva dopo anni di lavoro. L’amore per Gadda per me è viscerale, inspiegabile: prende qui – sorride – alle trippe. Rileggo “Quer pasticciaccio…” ogni due anni circa e ricordo la prima volta: non riuscivo a credere ai miei occhi. Tutta la storia della lingua italiana si ritrova in ogni pagina, in ogni riga del libro.

Oggi purtroppo la lingua – anche quella letteraria – sta subendo una sorta di normalizzazione che la fa somigliare non ad un organismo vivente e “multistrato” ma che la rende una lingua “Standa” più che standard, piatta e involuta, esattamente il contrario del lussureggiante e ben biodiversificato linguaggio gaddiano. Come ha reso la polifonia dialettale del romanzo, l’imbroglio linguistico oltre che quello della trama? Il napoletano, il romanesco, il molisano di Ingravallo e dei personaggi gaddiani… come sono stati “traghettati” in francese?

In Italia i dialetti sono ancora parlati, intesi, capiti: sono la vita quotidiana che entra nel discorso, anche del parlante colto. In Francia ci sono degli slang, l’argot, ma non dialetti: ho tradotto in un francese “strano” ma sempre comprensibile, come all’orecchio risulta strana ma comunque viene riconosciuta come italiana la lingua di Gadda (ricordiamo che all’epoca il cinema italiano, arte e industria insieme, supportava il napoletano ma soprattutto il romanesco come dialetto neorealistico per eccellenza); nel frasato diretto l’autore usa appunto i dialetti (che io rendo con un francese sviato o meglio traviato, con la sonorizzazione della dentale o una diversa tonalizzazione, scambiando per esempio T e D: le agglutinazioni sonore sono aggiunte di suono ma non di senso, le elisioni sono violente), mentre nel discorso indiretto utilizza dei ricami con il dialetto per non perdere la mescidanza tra le lingue. In questo mi ha facilitato l’aver lavorato a “Le baruffe chiozzotte” di Goldoni – anche in Gadda troviamo il legame con Venezia dato dalla contessa, ad esempio.

La traduzione è letterale oppure è più un lavoro di interpretazione? Che rapporto c’è tra un autore e chi lo traduce?

Interpretare vuol dire non essere stati capaci di tradurre, aggirare l’ostacolo senza trovare l’espressione, la parola precisa, esatta. La scrittura è il gancio, la materia e il terreno comune, il momento di confronto tra autore e traduttore che non può né deve essere traditore. Bisogna cogliere i soffi, i respiri, le pulsazioni di ciò che si traduce, sordi alle suggestioni, ingannevoli come sirene, dell’interpretazione.

E qui Manganaro senza dirlo credo che accenni anche ad una misura più alta del proprio mestiere, che è quella etica.

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Vaccaro: “Gli uomini dell’800 reagirono alla lotta delle donne”

MARIA LUCIA RICCIOLI 
Giovedì, 26 Aprile 2018 11:25
“Chiamandole maliarde grifagne o angeli tentatori”. Intervista all’autore di “Silfide, maga e sirena – L’ideale femminile nella letteratura italiana dell’Ottocento”

 

La Civetta di Minerva, 13 aprile 2018

Forse l’Ottocento è stato il secolo che ci ha donato le più fulgide rappresentazioni femminili – connotate sia positivamente che in una valenza negativa –: pensiamo a Madame Bovary, ad Anna Karenina, alle protagoniste dei romanzi delle sorelle Brönte e prima ancora alle smaglianti invenzioni del genio di Jane Austen, per citare solamente i primi nomi in punta di penna.

Possiamo dire che l’Ottocento porta alla ribalta e forse esaspera non solo la femminilità, ma anche e soprattutto il conflitto tra i sessi e l’irriducibilità della loro complementarietà / differenza, proprio in un’epoca in cui tante artiste oltre che tante donne comuni pretendevano un proprio posto in una società mutevole e attraversata da cambiamenti rivoluzionari in campo politico, economico e sociale.

Sirene, incantatrici, maliarde, dame eleganti, virago, civette narcise da una parte – il cliché della femme fatale declinato in ogni possibile sfaccettatura – contro Nedda e gli angeli del focolare dall’altra: questo il catalogo dei destini delle donne rappresentate nella letteratura del secondo Ottocento, che riflette da una parte e dall’altra precorre i mutamenti socio-culturali di un’epoca convulsa, che segue a quella risorgimentale e si proietta verso il ventesimo secolo.

Dell’argomento si è recentemente occupato il giovane studioso ragusano Stefano Vaccaro nel suo saggio, fresco di stampa per i tipi de Il Convivio Editore, intitolato appunto “Silfide, maga e sirena – L’ideale femminile nella letteratura italiana dell’Ottocento”, presentato il 6 aprile presso la sala del fondo antico della Biblioteca diocesana di Ragusa – intitolata a Monsignor Pennisi e diretta da don Giuseppe Di Corrado – nell’ambito della manifestazione LIBeRI A RAGUSA (di cui l’Ufficio Comunicazioni Sociali della Diocesi di Ragusa è media partner; la prefazione, di cui vi abbiamo offerto qualche stralcio all’inizio del pezzo, è della docente e scrittrice Maria Lucia Riccioli); con l’autore l’eminente prof.ssa Margherita Bonomo (Università degli Studi di Catania), che tra l’altro si è occupata a lungo di carteggi femminili ottocenteschi.

“La Civetta di Minerva” lo ha intervistato per voi.

Com’è nato in te l’interesse verso la letteratura dell’Ottocento?

Nell’immaginario fanciullesco che già dalla più tenera età mi si palesava innanzi, l’Ottocento prendeva sempre più la forma di una lunga galleria di immagini gotiche e spettrali, un pentagramma vivificato da figure grottesche, al limite del picaresco, all’interno del quale personaggi e trame considerate scriteriate o insolite avevano liceità non solo di essere pensate ma anche narrate. Il  fascino esercitato dal “diverso” ha fatto sì che sentissi la letteratura del XIX secolo molto vicina a me scegliendola difatti come oggetto della mia ricerca. Gli anni di studio mi hanno poi restituito un secolo molto complesso letterariamente e stratificato culturalmente, attraversato da numerose correnti e diversi “modi di sentire”; un viaggio affascinante che dura tutt’oggi e che dall’analisi del Verismo mi ha condotto allo studio del Simbolismo, senza tralasciare l’approfondimento per “movimenti” quali il Naturalismo, il Romanticismo e il Decadentismo. Ciò che mi preme coniugare è il rigore del metodo critico-scientifico alla curiosità che mi spinse ad indagare la letteratura italiana anni fa.

Silfide, maga e sirena… spiegaci come mai l’eterno femminino assume questi volti. E poi… ritieni queste “classificazioni” ancora attuali? Quali personificazioni o maschere potrebbero raffigurare le donne odierne?

Silfide, maga e sirena è un trinomio che ho preso in prestito da Verga (Una peccatrice, 1865) e che ben sintetizza la visione che si ebbe della donna per tutto il XIX secolo. L’Ottocento è di per sé il secolo delle rivoluzioni in tutti i campi dell’esperienza umana, pensiamo a quello politico con le rivoluzioni del ‘48 prima e le lotte risorgimentali poi, e ancora agli scompaginamenti sociali portati dalla meccanizzazione del lavoro e dell’avvento della borghesia, e non da ultimo ai risvolti culturali dovuti alla presenza, per la prima volta massiva e consapevole, della figura femminile anche in ambito culturale la quale, minando un sistema maschilista e patriarcale, cominciò a ritagliarsi, con fatica, spazi del sapere prima preclusi, facendo sentire la propria voce attraverso la pubblicazione di romanzi, feuillettons, articoli e pamphlets. La determinazione e la tenacia con le quali le intellettuali dell’Ottocento si batterono affinché i propri diritti d’espressione venissero riconosciuti dovette apparire del tutto nuova e allarmante per gli uomini del tempo che per questo, non appare sbagliato pensare, caricano la donna di aggettivi non sempre lusinghieri, descrivendola come una maliarda grifagna o un angelo tentatore.

Già a cominciare dal Novecento la figura muliebre non è più, o non è solo, silfide, maga e sirena ma acquista caratteri nuovi anche in vista di un impegno civile più vistoso che non rifugge connotati politici (pensiamo alle battaglie del ‘68). Oggi il polinomio verghiano con il quale il Siciliano descriveva la sua peccatrice appare svuotato di senso, rimane però, a mio avviso, una dicotomia “ottocentesca” di fondo per cui l’accostamento angelo-demone ha nuove possibili interpretazioni: se da un lato, in alcuni contesti e società, la donna può dirsi emancipata ricoprendo prestigiosi incarichi istituzionali e posizioni di rilievo nel campo della scienza, delle arti, dell’imprenditoria, della moda e delle telecomunicazioni, dall’altro lato la stessa donna, e il suo corpo, è tristemente vittima di attenzioni “superomistiche” fin troppo invasive, violente e incontrollate, finanche manesche, sanguinose e mortali.

Hai in cantiere altri lavori? Come vedi lo “stato dell’arte” della critica? Quali altri campi sarebbero da esplorare e quali vorresti affrontare tu?

Dopo aver reso nota, attraverso quest’ultima raccolta di saggi da poco edita, alle voci e ai pensieri degli intellettuali dell’Ottocento e al loro modo di pensare ed interpretare la donna, sto lavorando affinché abbia voce la controparte femminile. L’impegno muliebre difatti ha coinciso con volti e figure ben definite il cui studio spero riesca a sottrarle dall’oblio a cui per troppo tempo e ingiustamente sono state condannate. La mia ricerca si concentra innanzitutto sulle letterate siciliane che operarono nell’Isola nel medio e tardo Ottocento, dalle più note Giuseppina Turrisi Colonna (1822-1848) e Mariannina Coffa (1841-1878) alle misconosciute palermitane Concettina Ramondetta Fileti (1829-1900), Rosa Muzio Salvo (1815-1866), Lauretta Li Greci (1833-1849) e alla messinese Letteria Montoro (1825-1893): un’intera generazione di autrici che con forza e coraggio si batté affinché potesse esprimere le proprie idee contravvenendo spesso ai dettami imposti dalla società, rischiando cioè l’esclusione familiare, la sofferenza della solitudine e la stessa reputazione. Altro campo d’indagine è ancora la poesia novecentesca con particolare attenzione a quel segmento letterario al femminile che operò un nuovo linguaggio lirico italiano: Antonia Pozzi (1912-1938), Amelia Rosselli (1930-1996), Nadia Campana (1954-1985) e Catrina Saviane (1962 -1991).

   
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Incontro letterario-musicale al cine teatro Italia di Sortino, organizzato dal Comune in collaborazione con la Biblioteca Comunale ”Andrea Gurciullo” e il Primo istituto comprensivo “G.M. Columba” di Sortino

La Civetta di Minerva, 2 marzo 2018

“Persuasione” e “Northanger Abbey”(1818) sono due romanzi postumi: mentre il secondo era già terminato nel 1803, il primo è in realtà l’ultima opera completa scritta poco prima dell’aggravarsi della malattia di Addison che ne porterà alla morte l’autrice il 18 luglio del 1817: quindi, quest’anno ricorrono duecento anni esatti dalla pubblicazione di due dei sei romanzi canonici – gli altri sono naturalmente “Orgoglio e pregiudizio”, “Ragione e sentimento”, “Emma” e “Mansfield Park” – di Jane Austen, il bicentenario della cui scomparsa è stato celebrato nel 2017.

L’autrice inglese, letta, parodiata, reinventata, frequentata dal teatro e dal cinema (ricordiamo per tutti “Il club di Jane Austen”), gode di un successo imperituro: Catherine, Anne, Elizabeth, Elinor e Marianne, Emma e Fanny, le sue eroine, sono modelli dell’eterno femminino in lotta per la propria affermazione nonostante l’epoca Regency e la nostra sembrino agli antipodi. La Austen, ironica e pungente, genio universale che è sbagliato imbrigliare nell’assurda categoria dei “romanzi per signorine” sebbene le apparenze mostrino il contrario – gli eventi storici non sembrano toccare i suoi romanzi, che ruotano intorno a balli, intrighi matrimoniali, pettegolezzi, concerti casalinghi, picnic –, ritrae con la sua penna acuta la piccola nobiltà di campagna e la borghesia che tenta la scalata sociale: nulla sfugge alla sua penna acuta che lavora su “tre o quattro famiglie in un villaggio di campagna” come un incisore, come un monaco alle prese con le miniature di una pergamena; la Austen paragonava infatti il proprio lavoro ad un “pezzettino di avorio, largo due pollici”, modellato “col più fine dei pennelli, in modo da produrre il minimo degli effetti col massimo dello sforzo”: nonostante una biografia apparentemente priva di avvenimenti rimarchevoli, la profondità della riflessione e la vastità dell’immaginazione – sense and sensibility, razionalismo illuminista e romanticismo ottocentesco, che la Austen comunque aborriva e parodiava nei suoi eccessi lacrimevoli e gotici – l’hanno resa universalmente nota e apprezzata sia dai lettori che da studiosi e critici.

Lo scorso anno, la pianista Donatella Motta e la docente e scrittrice Maria Lucia Riccioli, qui in veste di voce narrante, si erano rese protagoniste di un aperitivo letterario a tema Jane Austen organizzato dalla dottoressa Paola Cappè, impegnata nel diffondere l’amore per i libri e la lettura con varie iniziative che ruotano intorno alla biblioteca Agnello di Canicattini Bagni (SR); quest’anno, venerdì 2 marzo scorso il recital è stato riproposto all’interno dell’incontro letterario-musicale “Vi presento Jane Austen” che si è tenuto presso il CineTeatro Italia a Sortino. L’evento è organizzato dal Comune di Sortino in collaborazione con la Biblioteca Comunale ”Andrea Gurciullo” e il Primo istituto comprensivo “G.M. Columba” di Sortino: le classi seconde della scuola secondaria di primo grado – da rimarcare la sensibilità della docente Lisa Manca, oltre che l’impegno della dottoressa Maria Sequenzia, che ha fortemente voluto il progetto – hanno presentato un lavoro di ricerca sulla scrittrice che si è concluso con il recital del duo siracusano.

 

LA CIVETTA DI MINERVA torna in edicola…

18 giovedì Ott 2018

Posted by mlriccioli in Eventi culturali, Letteratura, Musica, scuola

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Francesco Costa, dal noir all’horror de “Il dottor Neanderthal”

MARIA LUCIA RICCIOLI

Sabato, 30 Giugno 2018 14:04

Sullo sfondo di una barocca Lecce dalle tinte gotiche, il protagonista invischiato in una trama suggestiva.“Anche i paesaggi roventi di sole sono ottimo sfondo per i mistery”

 

La Civetta di Minerva, 8 giugno 2018

Francesco Costa, scrittore e sceneggiatore napoletano (ricordiamo le esperienze cinematografiche e teatrali, anche attoriali, con nomi del calibro di Peter Dal Monte, Roberto Rossellini e Silvano Agosti, i lavori per la Lancio e le collaborazioni con importanti fumettisti, l’attività di recensore, la stesure di voci su attori cinematografici per la Treccani, i romanzi come “La volpe a tre zampe”, trasposto nel film di Sandro Dionisio interpretato da Miranda Otto, Nadja Uhl e Angela Luce, e “L’imbroglio nel lenzuolo” di Alfonso Arau con Maria Grazia Cucinotta, Anne Parillaud e Geraldine Chaplin), a Catania (presso la Libreria Catania) e Siracusa (Casa del Libro Rosario Mascali) ha presentato il suo ultimo lavoro, il primo di una trilogia, “Dottor Neanderthal – Il colore morto della mezzanotte”, edito da Cento Autori.

“È scivolato suo malgrado dentro una spirale perversa che, avvolgendosi attorno a un susseguirsi di sanguinosi eventi, si sviluppa verso soluzioni preoccupanti. Che cosa gli riserva il futuro?”.

“Il dottor Neanderthal” è incentrato, come tutti i personaggi dei romanzi di Costa, sulle vicende di un personaggio un po’ sprovveduto, in questo caso lo scrittore Leonardo Corona: sullo sfondo di una barocca Lecce dalle tinte gotiche il protagonista si trova invischiato in una trama che gli svelerà verità sconvolgenti.

Ne parliamo con l’autore.

Tu hai scritto un romanzo noir, “Orrore Vesuviano” (Bompiani, 2015), arrivato semifinalista al Premio Scerbanenco e adesso ti cimenti nel genere fantastico virando sull’horror, immaginando che i Neanderthal non si siano estinti e che addirittura siano stati le prime vittime di genocidio della storia umana: una storia originale e raccontata con ritmo ed eleganza, cogliendo le suggestioni della cronaca e dei reperti che ci narrano un passato remoto ma in fondo parte del nostro stesso codice genetico.

Calvino affermava che la Sicilia – ma potremmo estendere l’affermazione a tutto il Sud – non sarebbe adatta al giallo e potremmo dire meno che mai al noir e addirittura al gotico, che richiederebbero le atmosfere brumose del Nord. Con il tuo lavoro tu sembri smentire questa affermazione. Cosa puoi dirci in proposito?

Sicuramente si sbagliava. Il Sud è stato il fosco teatro dei primi romanzi gotici inglesi come il celeberrimo “Il castello di Otranto” (1764) di Horace Walpole, considerato il capostipite del genere, e seguito nel corso dei secoli da numerose altre opere di questo tono, scritte da romanzieri italiani, come “I misteri di Napoli” (1869) di Antonio Mastriani e “I Beati Paoli” (1909) di Luigi Natoli, fino ad arrivare ai nostri giorni con il successo di autori più sofisticati come Leonardo Sciascia e Andrea Camilleri. Attualmente le classifiche dei libri più venduti comprendono molti romanzi gialli ambientati nel Meridione come, per esempio, quelli di Maurizio de Giovanni. Per concludere, non sono soltanto le brumose contrade del Nord a costituire lo sfondo ideale del mystery, ma anche i paesaggi semidesertici e arroventati dal sole accecante delle regioni meridionali. Nel caso di “Dottor Neanderthal” ho trovato che la splendida Lecce, seguita poi da Napoli e da Pozzuoli, fosse lo scenario perfetto per una vicenda che sconfina nel fantastico.

Nello scrivere questo romanzo (dove tra l’altro ritroviamo la tua passione per le donne enigmatiche, direi chandleriane, di certo cinema e di tanta letteratura, il tema dell’inganno e del protagonista apparentemente “ingenuo” che deve decifrare una verità che lo sovrasta, i Leitmotiv della tua produzione artistica) che peso ha avuto la fantasia e quanto invece la ricerca?

Sono andate avanti di pari passo, tenendosi a braccetto come due buone amiche, e dopo la folgorazione che mi ha colpito nel museo preistorico di Lecce (dove ho visto una statua raffigurante

un uomo di Neanderthal che mi ha profondamente suggestionato), non ho fatto altro che tuffarmi in

ricerche scientifiche su cui innestavo invenzioni di pura fantasia. Diciamo che immaginazione e ricerca si sono illuminate a vicenda durante un lavoro di scrittura che è durato praticamente un decennio fra interruzioni e riprese.

Durante la tua presentazione catanese parlavi di scrittori e scriventi: puoi approfondire? E cos’è per te la scrittura?

La scrittura è per me fondamentale come il respiro. È possessione, ispirazione, pienezza. È una vera

e propria militanza. Per gli scriventi è un modo d’illudersi di avere un’identità, un modo di passare il tempo, forse di guadagnare denaro.

Quali consigli daresti a un esordiente, data la tua esperienza di scrittore e sceneggiatore (ricordiamo ai lettori anche i tuoi successi come autore per bambini e ragazzi come “L’orologio capriccioso” o la serie per Touring Junior e la soddisfazione di aver visto tradotti i tuoi libri in Germania, Spagna, Grecia e Giappone)?

Gli suggerirei di indagare quanto sia profondo il suo desiderio di scrivere e, successivamente, di leggere quanti più romanzi è possibile per farsi le ossa e imparare un mestiere che non può limitarsi

all’attesa dell’ispirazione, come generalmente si crede, ma deve essere sostanziato da un’incessante applicazione e da una perfetta conoscenza della lingua italiana. Scrivere per gli altri non può essere

un semplice passatempo.

Quali sono le tue impressioni dopo il tour siciliano? Catania, Milo (per lo stage di scrittura con Luigi La Rosa, che ti ha accompagnato e presentato), Siracusa… Le tue origini sono campane ma anche tedesche quindi ti immagino come uno degli scrittori del Grand Tour affascinati dal Sud e in particolare dalla Sicilia. È così?

Il sommo Goethe scrive in “Viaggio in Italia” che la Sicilia è la chiave di tutto. Per me è un accecante lampo di luce, un tuffo nel sogno, una barca su cui salire per tagliare gli ormeggi con le abitudini di ogni giorno e salpare in direzione di qualcosa d’immenso. In Sicilia conto ormai molti amici che mi accolgono con un affetto che mi sorprende e mi commuove. Pensando a loro, mi conforta l’idea di poter rientrare nel sogno ogni volta che mi sarà possibile. E per osar tanto basta un volo lungo poco più di un’ora.

 

“Fondare biblioteche è un po’ come costruire ancora granai pubblici: ammassare riserve contro l’inverno dello spirito che da molti indizi, mio malgrado, vedo venire”: non c’è forse citazione migliore di quella tratta da Marguerite Yourcenar per invitare i nostri lettori a (ri)scoprire il valore del ruolo delle biblioteche per la nostra vita personale e comunitaria.

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Nel Comprensivo di via Gela “Leggimi una storia”

MARIA LUCIA RICCIOLI
Martedì, 15 Maggio 2018 10:42

Cappè, Politi e Astore presentano “Il mago tre P” di Moscon. Neil Gaiman: “Una città non è una città senza una biblioteca, anche se pretende di esserlo”

La Civetta di Minerva, 27 aprile 2018

I futuristi sognavano di dar fuoco alle biblioteche, viste come sepolcreti di libri morti. Magari, se oggi partecipassero alle iniziative che rendono la biblioteca cuore di un quartiere, punto di riferimento e d’incontro, luogo dove si sperimenta l’inclusione, istituzione che si muove per andare incontro ai lettori, forse cambierebbero idea.

Nello scorso numero abbiamo parlato di MediaLibraryOnLine, adesso disponibile in biblioteca: è possibile prendere in prestito, direttamente da casa, due e-book al mese tra 30.000 nuovi titoli e 800.000 testi classici, oltre che consultare gratuitamente l’archivio del Corriere della Sera, dal 1876 al 2016; in occasione della Giornata mondiale del libro e del diritto d’autore, presso la Biblioteca comunale di Canicattini Bagni (SR) intitolata a Giuseppe Agnello, si è svolto il Canicattini Bagni BookFest, che ha salutato l’inverno e festeggiato con la primavera il rifiorire delle più originali, diffuse e coinvolgenti occasioni di lettura, legate al Maggio dei Libri che torna con la sua sfida, leggere, e leggere ovunque: il 22 e 23 aprile scorsi, in collaborazione dell’Associazione La Tana dei Goblin Siracusa, Titò di Cettina Marziano e VerbaVolant edizioni, casa editrice siracusana specializzata nella letteratura per bambini e ragazzi, la biblioteca ha accolto attività di lettura e di gioco, coinvolgendo bambini e ragazzi di scuola elementare e media.

Altro appuntamento interessante sarà quello di “Leggimi una storia – Associazione Culturale”: il 2 maggio prossimo verrà approfondita la figura di Giuseppe Pitrè, oltre al tema dell’ “accessibilità” dei contenuti letterari a lettori con difficoltà di lettura insieme alla cooperativa Phronesis: presso il X Istituto comprensivo “Emanuele Giaracà” di via Gela a Siracusa, la dottoressa Paola Cappè (che non solo dirige la Biblioteca di Canicattini Bagni ma è anche responsabile per la regione Sicilia dell’AIB, l’associazione che riunisce e coordina le biblioteche italiane), la dottoressa Viviana Politi e la dottoressa Luana Astorepresenteranno “Il mago tre P” di Lilith Moscon, illustrato da Marta Pantaleo.

“La cultura è un bene primario come l’acqua; i teatri, le biblioteche e i cinema sono come tanti acquedotti”, diceva Claudio Abbado. Ci permettiamo di ricordarlo ai nostri amministratori, perché – e qui citiamo Neil Gaiman – “Una città non è una città senza una biblioteca. Magari pretende di chiamarsi città lo stesso, ma se non ha una biblioteca sa bene di non poter ingannare nessuno”.

 

 

 

 

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Del Pasticciaccio di Gadda ho riprodotto assonanze, dissonanze, ritmi”

MARIA LUCIA RICCIOLI
Venerdì, 27 Aprile 2018 16:25

“In ogni pagina del romanzo c’è la storia dell’italiano”. Intervista all’avolese Jean Paul Manganaro, uno dei più importanti traduttori dal e in francese

La Civetta di Minerva, 13 aprile 2018

A coronamento del laboratorio di lettura organizzato dalla Biblioteca comunale di Siracusa sul romanzo“Quer pasticciaccio brutto de via Merulana” di Carlo Emilio Gadda, il 10 aprile scorso si è tenuto l’incontro, moderato sapientemente da Salvo Gennuso, con uno dei più importanti traduttori dal e in lingua francese, Jean-Paul Manganaro, una vera e propria autorità nel proprio campo, che ha affrontato l’improba ma grata fatica – lunga e amorosa è la frequentazione di Gadda da parte del traduttore, che è nativo di Bordeaux, vive a Parigi ma è di origini avolesi – di trasporre il gliuòmmero, il pasticcio, lo strano oggetto che è quest’opera affascinante e impervia come una scalata.

Manganaro, nel corso di quella che è stata quasi una conversazione più che una conferenza, ha spaziato con ironia e competenza dall’infanzia difficile dell’autore, orfano di padre e lacerato da un irrisolto edipico rapporto con la madre, alla scrittura di Gadda, la cui biografia – apparentemente scarna e priva di fatti significativi – confluisce tutta nella scrittura: l’élan vitale di Gadda fluisce tutto nell’opera – basterebbe pensare a “La cognizione del dolore”.

Manganaro ha quindi narrato la parabola dell’ingegnere elettrotecnico “prestato” alla scrittura, che si nutrì di Leibniz e Spinoza, filosofi fondamentali per comprendere l’universo gaddiano, un universo policentrico, plurilinguistico e polifonico, dallo stile diremmo jazzato e cubista, se l’immaginifico barocco scrittore non sfuggisse a qualsiasi tentativo di sistematizzazione; dai saggi alle novelle, veri e propri frammenti di esistenza, alla pubblicazione di alcuni “tratti” ovvero capitoli, sezioni del romanzo su rivista – tra le più importanti dell’epoca ricordiamo per tutte “Solaria” e “Letteratura” –, Gadda ridefinisce il modello letterario ereditato dalla tradizione.

Per comprendere Gadda, Manganaro si serve delle spie linguistiche: le descrizioni, le digressioni che danno stoffa al ragionamento – pensiamo ai cieli e alle nuvole gaddiane –, l’utilizzo peculiare della punteggiatura, materializzano l’idea di Gadda – molto pirandelliana – secondo il quale la realtà della verità non esiste e anche se esistesse non potrebbe essere trovata: alla Deleuze, la soluzione potrebbe essere uno dei possibili che non si è attuato; un fatto non ha una sola causale ma tante causali; tutto è effetto e tutto è causa.Realtà e verità sono dunque punti di interrogazione… i puntini di sospensione rappresentano graficamente il non si sa, i chissà. Una frase che procedesse per virgole e punti e virgola passerebbe dalle tesi e antitesi ad una sintesi (secondo la logica classica), conferendo al discorso un ordine gerarchico che invece Gadda sovverte tramite l’uso quasi matematico dei due punti, che pongono tutte le situazioni sullo stesso piano di equivalenza e corresponsabilità. E qui il sovvertimento diventa anche politico: noto è il disprezzo di Gadda per il fascismo – sublime il grottesco di “Eros e Priapo” – e nel romanzo Polizia e Carabinieri, tra l’altro intralciandosi a vicenda, nonostante la dichiarata e muscolare intransigenza non riusciranno a dipanare l’imbroglio, impotenti come sono a dirimere il pasticciaccio, il gomitolo intrecciato del delitto.

Tradurre è trans-ducere, trasportare. Io la immagino come un barcaiolo intento a trasportare della merce preziosa da una riva all’altra – le lingue di partenza e arrivo –: qualcosa è andato perduto in acqua?

Il carico è arrivato tutto. Ho riprodotto assonanze, dissonanze, ritmi, la sinfonia di questo romanzo il cui stile mette il lettore sull’attenti: non permette distrazioni e per tradurlo, per cucire le parole punto per punto a maglia fina, per non perdere il filo, la musicalità della scrittura, ho impiegato dodici ore al giorno per un anno senza fare altro. Forse qualcosa si sciupa ma il carico è arrivato per intero. Non è il primo libro di Gadda che traduco e comunque questa traduzione arriva dopo anni di lavoro. L’amore per Gadda per me è viscerale, inspiegabile: prende qui – sorride – alle trippe. Rileggo “Quer pasticciaccio…” ogni due anni circa e ricordo la prima volta: non riuscivo a credere ai miei occhi. Tutta la storia della lingua italiana si ritrova in ogni pagina, in ogni riga del libro.

Oggi purtroppo la lingua – anche quella letteraria – sta subendo una sorta di normalizzazione che la fa somigliare non ad un organismo vivente e “multistrato” ma che la rende una lingua “Standa” più che standard, piatta e involuta, esattamente il contrario del lussureggiante e ben biodiversificato linguaggio gaddiano. Come ha reso la polifonia dialettale del romanzo, l’imbroglio linguistico oltre che quello della trama? Il napoletano, il romanesco, il molisano di Ingravallo e dei personaggi gaddiani… come sono stati “traghettati” in francese?

In Italia i dialetti sono ancora parlati, intesi, capiti: sono la vita quotidiana che entra nel discorso, anche del parlante colto. In Francia ci sono degli slang, l’argot, ma non dialetti: ho tradotto in un francese “strano” ma sempre comprensibile, come all’orecchio risulta strana ma comunque viene riconosciuta come italiana la lingua di Gadda (ricordiamo che all’epoca il cinema italiano, arte e industria insieme, supportava il napoletano ma soprattutto il romanesco come dialetto neorealistico per eccellenza); nel frasato diretto l’autore usa appunto i dialetti (che io rendo con un francese sviato o meglio traviato, con la sonorizzazione della dentale o una diversa tonalizzazione, scambiando per esempio T e D: le agglutinazioni sonore sono aggiunte di suono ma non di senso, le elisioni sono violente), mentre nel discorso indiretto utilizza dei ricami con il dialetto per non perdere la mescidanza tra le lingue. In questo mi ha facilitato l’aver lavorato a “Le baruffe chiozzotte” di Goldoni – anche in Gadda troviamo il legame con Venezia dato dalla contessa, ad esempio.

La traduzione è letterale oppure è più un lavoro di interpretazione? Che rapporto c’è tra un autore e chi lo traduce?

Interpretare vuol dire non essere stati capaci di tradurre, aggirare l’ostacolo senza trovare l’espressione, la parola precisa, esatta. La scrittura è il gancio, la materia e il terreno comune, il momento di confronto tra autore e traduttore che non può né deve essere traditore. Bisogna cogliere i soffi, i respiri, le pulsazioni di ciò che si traduce, sordi alle suggestioni, ingannevoli come sirene, dell’interpretazione.

E qui Manganaro senza dirlo credo che accenni anche ad una misura più alta del proprio mestiere, che è quella etica.

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Vaccaro: “Gli uomini dell’800 reagirono alla lotta delle donne”

MARIA LUCIA RICCIOLI 
Giovedì, 26 Aprile 2018 11:25
“Chiamandole maliarde grifagne o angeli tentatori”. Intervista all’autore di “Silfide, maga e sirena – L’ideale femminile nella letteratura italiana dell’Ottocento”

 

La Civetta di Minerva, 13 aprile 2018

Forse l’Ottocento è stato il secolo che ci ha donato le più fulgide rappresentazioni femminili – connotate sia positivamente che in una valenza negativa –: pensiamo a Madame Bovary, ad Anna Karenina, alle protagoniste dei romanzi delle sorelle Brönte e prima ancora alle smaglianti invenzioni del genio di Jane Austen, per citare solamente i primi nomi in punta di penna.

Possiamo dire che l’Ottocento porta alla ribalta e forse esaspera non solo la femminilità, ma anche e soprattutto il conflitto tra i sessi e l’irriducibilità della loro complementarietà / differenza, proprio in un’epoca in cui tante artiste oltre che tante donne comuni pretendevano un proprio posto in una società mutevole e attraversata da cambiamenti rivoluzionari in campo politico, economico e sociale.

Sirene, incantatrici, maliarde, dame eleganti, virago, civette narcise da una parte – il cliché della femme fatale declinato in ogni possibile sfaccettatura – contro Nedda e gli angeli del focolare dall’altra: questo il catalogo dei destini delle donne rappresentate nella letteratura del secondo Ottocento, che riflette da una parte e dall’altra precorre i mutamenti socio-culturali di un’epoca convulsa, che segue a quella risorgimentale e si proietta verso il ventesimo secolo.

Dell’argomento si è recentemente occupato il giovane studioso ragusano Stefano Vaccaro nel suo saggio, fresco di stampa per i tipi de Il Convivio Editore, intitolato appunto “Silfide, maga e sirena – L’ideale femminile nella letteratura italiana dell’Ottocento”, presentato il 6 aprile presso la sala del fondo antico della Biblioteca diocesana di Ragusa – intitolata a Monsignor Pennisi e diretta da don Giuseppe Di Corrado – nell’ambito della manifestazione LIBeRI A RAGUSA (di cui l’Ufficio Comunicazioni Sociali della Diocesi di Ragusa è media partner; la prefazione, di cui vi abbiamo offerto qualche stralcio all’inizio del pezzo, è della docente e scrittrice Maria Lucia Riccioli); con l’autore l’eminente prof.ssa Margherita Bonomo (Università degli Studi di Catania), che tra l’altro si è occupata a lungo di carteggi femminili ottocenteschi.

“La Civetta di Minerva” lo ha intervistato per voi.

Com’è nato in te l’interesse verso la letteratura dell’Ottocento?

Nell’immaginario fanciullesco che già dalla più tenera età mi si palesava innanzi, l’Ottocento prendeva sempre più la forma di una lunga galleria di immagini gotiche e spettrali, un pentagramma vivificato da figure grottesche, al limite del picaresco, all’interno del quale personaggi e trame considerate scriteriate o insolite avevano liceità non solo di essere pensate ma anche narrate. Il  fascino esercitato dal “diverso” ha fatto sì che sentissi la letteratura del XIX secolo molto vicina a me scegliendola difatti come oggetto della mia ricerca. Gli anni di studio mi hanno poi restituito un secolo molto complesso letterariamente e stratificato culturalmente, attraversato da numerose correnti e diversi “modi di sentire”; un viaggio affascinante che dura tutt’oggi e che dall’analisi del Verismo mi ha condotto allo studio del Simbolismo, senza tralasciare l’approfondimento per “movimenti” quali il Naturalismo, il Romanticismo e il Decadentismo. Ciò che mi preme coniugare è il rigore del metodo critico-scientifico alla curiosità che mi spinse ad indagare la letteratura italiana anni fa.

Silfide, maga e sirena… spiegaci come mai l’eterno femminino assume questi volti. E poi… ritieni queste “classificazioni” ancora attuali? Quali personificazioni o maschere potrebbero raffigurare le donne odierne?

Silfide, maga e sirena è un trinomio che ho preso in prestito da Verga (Una peccatrice, 1865) e che ben sintetizza la visione che si ebbe della donna per tutto il XIX secolo. L’Ottocento è di per sé il secolo delle rivoluzioni in tutti i campi dell’esperienza umana, pensiamo a quello politico con le rivoluzioni del ‘48 prima e le lotte risorgimentali poi, e ancora agli scompaginamenti sociali portati dalla meccanizzazione del lavoro e dell’avvento della borghesia, e non da ultimo ai risvolti culturali dovuti alla presenza, per la prima volta massiva e consapevole, della figura femminile anche in ambito culturale la quale, minando un sistema maschilista e patriarcale, cominciò a ritagliarsi, con fatica, spazi del sapere prima preclusi, facendo sentire la propria voce attraverso la pubblicazione di romanzi, feuillettons, articoli e pamphlets. La determinazione e la tenacia con le quali le intellettuali dell’Ottocento si batterono affinché i propri diritti d’espressione venissero riconosciuti dovette apparire del tutto nuova e allarmante per gli uomini del tempo che per questo, non appare sbagliato pensare, caricano la donna di aggettivi non sempre lusinghieri, descrivendola come una maliarda grifagna o un angelo tentatore.

Già a cominciare dal Novecento la figura muliebre non è più, o non è solo, silfide, maga e sirena ma acquista caratteri nuovi anche in vista di un impegno civile più vistoso che non rifugge connotati politici (pensiamo alle battaglie del ‘68). Oggi il polinomio verghiano con il quale il Siciliano descriveva la sua peccatrice appare svuotato di senso, rimane però, a mio avviso, una dicotomia “ottocentesca” di fondo per cui l’accostamento angelo-demone ha nuove possibili interpretazioni: se da un lato, in alcuni contesti e società, la donna può dirsi emancipata ricoprendo prestigiosi incarichi istituzionali e posizioni di rilievo nel campo della scienza, delle arti, dell’imprenditoria, della moda e delle telecomunicazioni, dall’altro lato la stessa donna, e il suo corpo, è tristemente vittima di attenzioni “superomistiche” fin troppo invasive, violente e incontrollate, finanche manesche, sanguinose e mortali.

Hai in cantiere altri lavori? Come vedi lo “stato dell’arte” della critica? Quali altri campi sarebbero da esplorare e quali vorresti affrontare tu?

Dopo aver reso nota, attraverso quest’ultima raccolta di saggi da poco edita, alle voci e ai pensieri degli intellettuali dell’Ottocento e al loro modo di pensare ed interpretare la donna, sto lavorando affinché abbia voce la controparte femminile. L’impegno muliebre difatti ha coinciso con volti e figure ben definite il cui studio spero riesca a sottrarle dall’oblio a cui per troppo tempo e ingiustamente sono state condannate. La mia ricerca si concentra innanzitutto sulle letterate siciliane che operarono nell’Isola nel medio e tardo Ottocento, dalle più note Giuseppina Turrisi Colonna (1822-1848) e Mariannina Coffa (1841-1878) alle misconosciute palermitane Concettina Ramondetta Fileti (1829-1900), Rosa Muzio Salvo (1815-1866), Lauretta Li Greci (1833-1849) e alla messinese Letteria Montoro (1825-1893): un’intera generazione di autrici che con forza e coraggio si batté affinché potesse esprimere le proprie idee contravvenendo spesso ai dettami imposti dalla società, rischiando cioè l’esclusione familiare, la sofferenza della solitudine e la stessa reputazione. Altro campo d’indagine è ancora la poesia novecentesca con particolare attenzione a quel segmento letterario al femminile che operò un nuovo linguaggio lirico italiano: Antonia Pozzi (1912-1938), Amelia Rosselli (1930-1996), Nadia Campana (1954-1985) e Catrina Saviane (1962 -1991).

   
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Incontro letterario-musicale al cine teatro Italia di Sortino, organizzato dal Comune in collaborazione con la Biblioteca Comunale ”Andrea Gurciullo” e il Primo istituto comprensivo “G.M. Columba” di Sortino

La Civetta di Minerva, 2 marzo 2018

“Persuasione” e “Northanger Abbey”(1818) sono due romanzi postumi: mentre il secondo era già terminato nel 1803, il primo è in realtà l’ultima opera completa scritta poco prima dell’aggravarsi della malattia di Addison che ne porterà alla morte l’autrice il 18 luglio del 1817: quindi, quest’anno ricorrono duecento anni esatti dalla pubblicazione di due dei sei romanzi canonici – gli altri sono naturalmente “Orgoglio e pregiudizio”, “Ragione e sentimento”, “Emma” e “Mansfield Park” – di Jane Austen, il bicentenario della cui scomparsa è stato celebrato nel 2017.

L’autrice inglese, letta, parodiata, reinventata, frequentata dal teatro e dal cinema (ricordiamo per tutti “Il club di Jane Austen”), gode di un successo imperituro: Catherine, Anne, Elizabeth, Elinor e Marianne, Emma e Fanny, le sue eroine, sono modelli dell’eterno femminino in lotta per la propria affermazione nonostante l’epoca Regency e la nostra sembrino agli antipodi. La Austen, ironica e pungente, genio universale che è sbagliato imbrigliare nell’assurda categoria dei “romanzi per signorine” sebbene le apparenze mostrino il contrario – gli eventi storici non sembrano toccare i suoi romanzi, che ruotano intorno a balli, intrighi matrimoniali, pettegolezzi, concerti casalinghi, picnic –, ritrae con la sua penna acuta la piccola nobiltà di campagna e la borghesia che tenta la scalata sociale: nulla sfugge alla sua penna acuta che lavora su “tre o quattro famiglie in un villaggio di campagna” come un incisore, come un monaco alle prese con le miniature di una pergamena; la Austen paragonava infatti il proprio lavoro ad un “pezzettino di avorio, largo due pollici”, modellato “col più fine dei pennelli, in modo da produrre il minimo degli effetti col massimo dello sforzo”: nonostante una biografia apparentemente priva di avvenimenti rimarchevoli, la profondità della riflessione e la vastità dell’immaginazione – sense and sensibility, razionalismo illuminista e romanticismo ottocentesco, che la Austen comunque aborriva e parodiava nei suoi eccessi lacrimevoli e gotici – l’hanno resa universalmente nota e apprezzata sia dai lettori che da studiosi e critici.

Lo scorso anno, la pianista Donatella Motta e la docente e scrittrice Maria Lucia Riccioli, qui in veste di voce narrante, si erano rese protagoniste di un aperitivo letterario a tema Jane Austen organizzato dalla dottoressa Paola Cappè, impegnata nel diffondere l’amore per i libri e la lettura con varie iniziative che ruotano intorno alla biblioteca Agnello di Canicattini Bagni (SR); quest’anno, venerdì 2 marzo scorso il recital è stato riproposto all’interno dell’incontro letterario-musicale “Vi presento Jane Austen” che si è tenuto presso il CineTeatro Italia a Sortino. L’evento è organizzato dal Comune di Sortino in collaborazione con la Biblioteca Comunale ”Andrea Gurciullo” e il Primo istituto comprensivo “G.M. Columba” di Sortino: le classi seconde della scuola secondaria di primo grado – da rimarcare la sensibilità della docente Lisa Manca, oltre che l’impegno della dottoressa Maria Sequenzia, che ha fortemente voluto il progetto – hanno presentato un lavoro di ricerca sulla scrittrice che si è concluso con il recital del duo siracusano.

 

LA CIVETTA DI MINERVA in versione estiva…

01 mercoledì Ago 2018

Posted by mlriccioli in Eventi culturali, Letteratura, Musica, scuola

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Giorno 22 giugno è uscito l’ultimo numero cartaceo de LA CIVETTA DI MINERVA prima delle vacanze estive… ma in realtà on line continuerete a vedere i contributi della redazione in attesa del ritorno nelle edicole…

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La storia di Siracusa sarà raccontata con la lingua dei segni

MARIA LUCIA RICCIOLI
Martedì, 10 Luglio 2018 12:51

Il 5 luglio all’Antico Mercato di Ortigia. Nell’ambito delle Feste archimedee, la prima edizione del progetto “Il teatro che fa la differenza”

 

La Civetta di Minerva, 22 giugno 2018

Giovedì 5 luglio alle ore 19 presso l’Antico mercato di Ortigia a Siracusa, nell’ambito delle Feste archimedee, verrà presentata la prima edizione del progetto “Il teatro che fa la differenza: la storia di Siracusa verrà raccontata sia a voce che attraverso la lingua dei segni italiana.

Il laboratorio teatrale in Lingua dei Segni Italiana (LIS), ideato e diretto da Francesco Paolo Ferrara, è sostenuto dalla onlus Diversamente uguali – associazione di famiglie di persone con disabilità e attraverso l’abbattimento delle barriere architettoniche, religiose, culturali, mira a valorizzare le differenze annullando le disuguaglianze, accogliendo l’alterità e facendone ricchezza e dono. La lingua dei segni, poi, con il suo portato visivo e iconico e nello stesso tempo dotata di una sensorialità motoria, tattile, è particolarmente adatta a mettere in contatto le persone, proprio perché coinvolge il volto, il corpo, l’espressione, il movimento, permettendo di azzerare i muri della comunicazione verbale.

Il progetto vedrà la partecipazione di Simona Caruso, Vanila Cerami, Pamela Di Dio, Nadia Garofalo, Gregory Lorefice, Ivana Mangione, Cinzia Mazzone, Teresa Miccichè, Ibrahim Muritada, Severina Oliva, Bah Ousmane, Lisa Rubino, Erika Salemi, Giuliana Santoro, Gianluca Sanzaro, Nicoletta Sastri, Michela Tinè.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3248:maria-giovanna-luini-i-libri-l-arte-la-bellezza-sanno-curare&catid=17&Itemid=143

Maria Giovanna Luini: “I libri, l’arte, la bellezza sanno curare”

MARIA LUCIA RICCIOLI
Martedì, 10 Luglio 2018 12:56

La scrittrice (“Il grande lucernario”, ed. Mondadori) e medico è stata assistente di Umberto Veronesi all’Istituto europeo di Oncologia. Errato ridurre la persona – insieme complesso di psiche, soma, corpo… – a carrozzeria da riparare

 

La Civetta di Minerva, 22 giugno 2018

Vaccinisti, no vax, Burioni, Lorenzin, campagne e autodiagnosi su Internet, bufale e scientismo, guru, santoni, sciamani… mai come oggi si è dibattuto su scienza, coscienza, cure “tradizionali”, alternative, allopatiche, omeopatiche, rimedi della nonna e nuove tecnologie applicate alla millenaria arte della cura.

MariaGiovanna Luini, scrittrice e medico, è una senologa specializzata che presso il centro Metis di Milano promuove l’integrazione fra la medicina convenzionale d’eccellenza – ha lavorato per sedici anni come assistente medico di Umberto Veronesi nella direzione scientifica dell’IEO, l’Istituto europeo di oncologia – e alcune tecniche come il Reiki, la meditazione e i percorsi di autoconsapevolezza.

Autrice di romanzi come “La luce brilla sui tetti” e saggi, ha collaborato alla stesura di sceneggiature cinematografiche (la Luini è stata anche consulente di Ferzan Ozpetek per “Allacciate le cinture”), con il suo ultimo libro, “Il grande lucernario”, uscito per Mondadori, la dottoressa Luini – tramite la narrazione di vicende personali, del rapporto con Veronesi, delle molteplici esperienze in campo professionale, raccontate con uno stile immediato e scorrevole – punta l’attenzione sulla necessità di integrare l’approccio scientifico, razionale, intellettivo, della cura con quello emotivo ed empatico, istanza particolarmente presente negli approcci non convenzionali (frutto magari di tradizioni antiche; per non andare troppo lontano, pensiamo all’omeopatia, alla medicina “raffaellitica”, al mesmerismo, presenti nel nostro Sud nell’Ottocento come reazione antipositivistica e insieme come approccio alternativo allo spiritualismo, e persino simbolo di idee eversive contro il conservatorismo reazionario: emblema può esserne la vicenda della poetessa e patriota netina Mariannina Coffa, di cui “La Civetta di Minerva” si è spesso occupata e di cui quest’anno ricorrono i 140 anni dalla morte): più banalmente, l’amore – con tutto quello che comporta in termini di vicinanza, presa in carico, tocco, emozione – cura.

Bando naturalmente all’improvvisazione o alle cure fai da te, sì invece a tutto ciò che fa di un operatore sanitario una figura pronta a “sub-levare”, a sollevare, a consigliare, a lenire, a riequilibrare, a “curare”.

Se solo pensassimo che in latino “cura” vuol dire preoccupazione, affanno, sollecitudine, premura, attenzione, riguardo, diligenza, solerzia, inquietudine, amministrazione, governo, direzione, opera, ufficio, impegno, incarico, studio, compilazione, ricerca, occupazione, curiosità, interesse, custodia, tutela, sorveglianza, amore e persino pena amorosa e persona amata (e ancora: ornamento, acconciatura, cura della persona, coltivazione di piante, allevamento di animali, oltre che ovviamente trattamento, cura delle malattie, rimedio, guarigione, che sembrerebbero i significati primari), comprenderemmo che è errato ridurre la persona – che è un insieme complesso e vario di psiche, soma, corpo… – a carrozzeria da riparare: “La scrittura, i libri, l’arte, la bellezza sanno curare: che si tratti di corpo fisico, di psiche, di energie non ha importanza. Si può curare chi sta male porgendo il volo di una lettura o la nenia delle parole nei momenti del dolore, una musica, un mantra, un disegno, un esercizio di danza, il fuoco di un quadro o un albero di Natale bianco”.

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“Per il Tatuatore mi sono calato nell’inferno mentale di un serial killer”

MARIA LUCIA RICCIOLI
Martedì, 10 Luglio 2018 13:12

Nel nuovo giallo di Mariano Sabatini il giornalista e scrittore scava con maestria negli abissi della psiche

 

La Civetta di Minerva, 22 giugno 2018

Forse è proprio il secondo libro il vero banco di prova della tenuta di uno scrittore e Mariano Sabatini, giornalista e critico televisivo, sembra proprio voler confermare la regola. Dopo “L’inganno dell’ippocastano” (uscito per i tipi di Adriano Salani Editore e tra l’altro Premio Ennio Flaiano e Premio Romiti opera prima 2017), romanzo che adombrava quasi anticipatoriamente gli scandali di Roma capitale e le elezioni del nuovo sindaco dell’Urbe attraverso il districarsi del gliuòmmero dell’assassinio di un imprenditore, la seconda avventura del giornalista Leonardo Malinverno – bel tenebroso ma, se possibile, stavolta ancora più cupo nella sua metereopatica scontentezza nonostante i successi lavorativi e amorosi – scava negli abissi della psiche umana con la sconvolgente storia di un serial killer, il Tatuatore, dai rituali tanto macabri quanto indicativi della nostra ossessione attuale per l’immagine, l’icona, il segno, di cui il tatuaggio è simbolo e correlativo oggettivo insieme, verrebbe da dire pensando a Eliot.

“La Civetta di Minerva” ha incontrato Mariano Sabatini per voi.

Anticipaci qualcosa: quella di Malinverno sarà una trilogia o potrebbe diventare un seriale? E… potrebbe esserci una trasposizione televisiva, come quelle cui ci hanno abituato i libri di Camilleri e di altri colleghi?

Sto scrivendo la terza avventura, sono a un terzo… scrivere gialli è difficile perché tutto deve rigorosamente tornare, non bisogna ingannare i lettori, ma disseminare gli indizi per rendere il gioco “alla pari” tra Malinverno e il lettore. Quanto alla fiction, magari! Secondo me i romanzi si presterebbero e Luca Argentero, che ha letto e amato le storie di Malinverno, sarebbe felicissimo di dargli il volto. Per me è perfetto, lui spiccicato. Sia fisicamente sia come caratteristiche morali.

Il noir non è Triviallitteratur, letteratura destinata al semplice consumo: credo che la Napoli di un Di Giovanni, la Sicilia di Camilleri e Piazzese, la Roma che tu, Manzini e altri autori disegnate come sfondo e protagonista insieme delle vostre storie, possano essere viste in una luce dal taglio particolare, quello della vostra penna. Ritieni i tuoi romanzi un modo per raccontare Roma e la società contemporanea?

Ma certo, il romanzo “di genere” rimane un romanzo e la suspense che richiede serve per far passare temi come la commistione capitolina tra mafie e politica, come nel caso dell’Inganno dell’ippocastano, o come il dilagare conformistico del tatuage in “Primo venne Caino”, per il quale ho letto molti libri di antropologia e sociologia. Il giallo o noir è un rivelatore sociale.

In molte descrizioni dei tuoi libri ascolto la voce di Malinverno che mi sembra un po’ la tua, quella che ho imparato a conoscere dai tuoi libri sulla tua attività di giornalista e dai tuoi pezzi, da “Metro” in poi…

Inevitabilmente quando si scrivono storie si fa autobiografia, non nel senso che si raccontano fatti propri. Ma si riversano nei dialoghi pezzi di conversazioni afferrate qui e là, un tic, un vezzo linguistico, i personaggi sono sempre ispirati a qualcuno conosciuto. Poi si mescola realtà e invenzione e il senso di onnipotenza che se ne ricava è impagabile.

La tua scrittura è scorrevole, vivace nel ritmo, anche se narra storie forti come quella del “ladro” di tatuaggi. Penso al “canaro” della Magliana e a “Dogman” di Garrone con il suo stupefacente protagonista, Marcello Fonte. Credi che un noir come il tuo contribuisca ad illuminare i pozzi oscuri della psiche umana?

Ti dirò, anche della propria. Gli psicanalisti la chiamano zona cieca, quella che è percepibile agli altri più che a noi. Uno scrittore riesce a guardarsi da fuori, almeno mentre scrive, e a contattare parti di sé che altrimenti rimarrebbero sepolte. Non ho mai ucciso nessuno, ovviamente, ma per dar vita alle parti del Tatuatore ho dovuto calarmi nell’inferno mentale di un serial killer. Da quello che mi dicono i lettori e le recensioni ci sono riuscito bene. E un po’ mi inquieta.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3277:nel-segno-delle-colonne-del-cattolicesimo-i-santi-pietro-e-paolo&catid=17&Itemid=143

Nel segno delle colonne del cattolicesimo i santi Pietro e Paolo

MARIA LUCIA RICCIOLI
Venerdì, 20 Luglio 2018 10:34

La tradizione apostolica non è trasmissione di cose o di parole, una collezione di cose morte essa è il fiume vivo che ci collega alle origini e nel quale le origini sono sempre presenti

 

Festa per la Chiesa siracusana nel segno dei Santi Pietro e Paolo, le due colonne del cattolicesimo (pensiamo alla nostra Cattedrale, che vede le sculture di Ignazio Marabitti raffiguranti proprio Paolo di Tarso e Pietro il pescatore quasi come basi della splendida facciata di Andrea Palma, conclusa nel 1753): padre Daniele Lipari, padre Marco Politini e padre Raffaele Aprile hanno festeggiato l’anniversario della propria ordinazione sacerdotale e quest’ultimo, autore per i tipi di Bonfirraro editore del volume “Innamorato del cielo”, contenente poesie, prose e preghiere, ha potuto rinnovare le sue promesse concelebrando con Papa Francesco a San Pietro in Vaticano, in occasione della Santa Messa e della benedizione dei Palli per i nuovi Arcivescovi Metropoliti – significativi anche gli incontri con Monsignor Angelo Comastri, arciprete della Basilica papale, e con Monsignor Guido Marini, cerimoniere del papa.

La tradizione apostolica «non è trasmissione di cose o di parole, una collezione di cose morte. La Tradizione è il fiume vivo che ci collega alle origini, il fiume vivo nel quale sempre le origini sono presenti» (Benedetto XVI, Catechesi, 26 aprile 2006): questo è forse il senso ultimo della vocazione sacerdotale, anche nel segno della modernità, dell’uso delle nuove tecnologie, dell’amore per la poesia e la parola, del ministero in Santuario di padre Aprile, che ringraziamo del reportage.

Il 29 giugno è dunque il giorno in cui “la Chiesa, pellegrina a Roma e nel mondo intero, va alle radici della sua fede e celebra gli Apostoli Pietro e Paolo. I loro resti mortali, custoditi nelle due Basiliche ad essi dedicate, sono tanto cari ai romani e ai numerosi pellegrini che da ogni parte vengono a venerarli”, occasione per ricordare ad ogni fedele e ad ogni consacrato in particolare “a Roma e nel mondo intero, di essere sempre fedele al Vangelo, al cui servizio i santi Pietro e Paolo hanno consacrato la loro vita” (dall’Angelus di papa Francesco).

 

 

 

 

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3219:cetti-curfino-nacque-dalla-di-una-40enne-dietro-le-sbarre&catid=17&Itemid=143

Mauceri: “L’uso del dialetto non ha a che fare con lo stile di Camilleri. Cetti è bella ma ignorante…”

L’evento di domani 9 giugno (alle ore 19,30 presso il teatro dei pupi nella storica e splendida Giudecca di Siracusa) è l’occasione per vedere simultaneamente all’opera tanti talenti ed eccellenze siracusane: Simona Lo Iacono, magistrato e scrittrice, presenterà infatti il nuovo romanzo di Massimo Maugeri “Cetti Curfino”, uscito per i tipi de La Nave di Teseo; la storia della bella e sfortunata Cetti – woman is the nigger of the world, verrebbe da dire con le parole di John Lennon – sarà inscenata dai fratelli Vaccaro-Mauceri, eredi e continuatori della storica dinastia di pupari siracusani: la rappresentazione (inserita nella rassegna “Libri da bere, Vini da leggere” curata dalla Lo Iacono insieme ad Elena Flavia Castagnino, con la Fildis Siracusa) avrà come voci narranti Alfredo Mauceri e Arianna Vinci, mentre le coreografie e i movimenti di scena saranno a cura di Daniele Carrubba e Daniel Mauceri.

“La Civetta di Minerva” ha incontrato per voi Massimo Maugeri, che nel settembre 2017, nell’ambito di NaxosLegge, ha ricevuto il premio “Promotori della Lettura e del Libro”: il blogger catanese (suo è il fortunato “Letteratitudine”, che oltre ad avere un’appendice dedicata alle news culturali ha una propaggine radiofonica su Radio Polis; una nutrita selezione di autori, opere e discussioni ospitate è confluita in volume per Azimut, Historica e LiberAria), è autore, tra l’altro, di “Identità distorte” (Prova d’Autore, 2005 – Premio Martoglio – finalista al Premio Brancati), del racconto lungo “La coda di pesce che inseguiva l’amore” (Sampognaro & Pupi, 2010 – Premio “Più a Sud di Tunisi” 2011), scritto a quattro mani con Simona Lo Iacono; del saggio/reportage “L’e-book è (è?) il futuro del libro” (Historica, 2011); della raccolta di racconti “Viaggio all’alba del millennio” (Perdisa Pop, 2011 – Premio Internazionale Sebastiano Addamo – Selezione “Premio dei Lettori” di Lucca 2011-2012) e, per le edizioni E/O, del romanzo “Trinacria Park” (Premio Vittorini 2013 – finalista Premio Letterario Minerva “Letteratura di impegno civile” 2013 – Selezione “Premio dei Lettori” di Lucca 2013-2014), inserito da Panorama nell’elenco dei 10 migliori romanzi italiani pubblicati nel 2013.

Questo tuo romanzo ha una genesi “multimediale” potremmo dire: da racconto a testo teatrale a romanzo. Ti va di parlarcene?

È proprio così. Il personaggio Cetti Curfino appare per la prima volta in un racconto pubblicato all’interno della mia raccolta intitolata “Viaggio all’alba del millennio” (Perdisa Pop, 2011). Posso dire che, originariamente, la mia Cetti nacque nell’ambito di una specie di visione. Nella mia mente apparve l’immagine di questa bella quarantenne che, aggrappata alle sbarre della cella di una prigione, desiderava raccontare la sua storia: «Intanto per incominciare è meglio che chiariamo un punto», diceva. Chi era questa donna? Cosa voleva raccontare? E perché si trovava in prigione? Le diedi spazio, cominciai ad ascoltarla e a trascrivere la sua storia (che era frutto, ovviamente, della mia fantasia, ma che si dipanava sulla carta quasi come fossi sotto dettatura). Immaginai che Cetti volesse scrivere una lettera al commissario di polizia che l’aveva arrestata. Non tanto per giustificarsi, quanto piuttosto per mettere in risalto tutte le vicissitudini e le disgrazie che avevano preceduto il crimine che si era trovata a commettere.

Qualche anno dopo fui contattato dal regista Manuel Giliberti. Aveva letto il racconto e ne era rimasto molto colpito. Mi propose di adattarlo per una pièce teatrale. “Ho in mente l’attrice perfetta per questo ruolo”, mi disse. L’attrice in questione era Carmelinda Gentile. Aveva ragione. Carmelinda era (ed è) davvero perfetta per interpretare Cetti Curfino. Quando assistetti alla prima dello spettacolo ne rimasi così emotivamente travolto che decisi che la mia Cetti doveva avere altro spazio… perché aveva ancora molto altro da dire. Così mi buttai a capofitto nella scrittura di questo romanzo, coinvolgendo nuovi personaggi (in primis il giovane giornalista Andrea Coriano, che desidera raccontare la storia di Cetti in un libro) e proponendo nuove prospettive, nuove trame e nuove tematiche.

Il linguaggio utilizzato sia nel racconto che nella versione teatrale che adesso in quella “romanzesca” trova uno dei punti di forza nel linguaggio forte e dall’impronta dialettale cucito addosso a Cetti. Come hai strutturato il modo di parlare della tua protagonista? Molti critici storcono il naso di fronte a certo “camillerese”: come ti poni a tal proposito scrivendo?

Cetti è bella, ma profondamente ignorante. Quindi la sua lettera al commissario non poteva non risentire di questa sua condizione linguistica e subculturale. Non c’è alcun riferimento allo stile narrativo del buon Camilleri, per la verità. Qui c’è una donna che si sforza di riportare in un italiano pasticciato e sgrammaticato espressioni che conosce in siciliano, nonché modi di dire comuni che ha appreso a modo suo e che trascrive sulla carta spesse volte storpiandoli. C’è un evidente contrasto tra la forte drammaticità delle dolorose vicende raccontate da Cetti e alcuni strafalcioni che spesse volte fanno sorridere. È il suo linguaggio. Il linguaggio di Cetti. Lo definisco come “cetticurfinese” ed è paradossalmente dotato di sue regole interne.

Sembra proprio che la tua Cetti sia legata a Siracusa – il premio internazionale Sicilia “Il Paladino”, i nostri attori e pupari Vaccaro Mauceri, i nostri attori Arianna Vinci e Carmelinda Gentile, straordinaria interprete quest’ultima – oltre ad essere una dotata interprete del teatro classico e contemporaneo e ad incarnare la Beba de “Il commissario Montalbano” – della Cetti “teatrale”… Qual è il tuo rapporto con la nostra Siracusa?

Cetti Curfino è senz’altro molto legata a Siracusa, così come lo sono io. Ho tantissimi amici che abitano in questa città, che è una delle più belle città d’Europa (non è un caso che, soprattutto da qualche tempo a questa parte, “esplode” di turisti). A parte l’amicizia che mi lega a te, Maria Lucia, e alla cara Simona Lo Iacono (che ha allestito il bellissimo spettacolo dove i pupi siciliani dei Vaccaro-Mauceri interpretano la storia di Cetti Curfino), oltre a già nominati Carmelinda Gentile e Manuel Giliberti, potrei citare tantissimi altri amici. Evito di farlo, per evitare di dimenticare qualche nome… ma sono proprio tanti. Spero di rivederli in occasione della presentazione siracusana di “Cetti Curfino”. Sarà una bella festa.

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Francesco Costa, dal noir all’horror de “Il dottor Neanderthal”

MARIA LUCIA RICCIOLI

Sabato, 30 Giugno 2018 14:04

Sullo sfondo di una barocca Lecce dalle tinte gotiche, il protagonista invischiato in una trama suggestiva.“Anche i paesaggi roventi di sole sono ottimo sfondo per i mistery”

 

La Civetta di Minerva, 8 giugno 2018

Francesco Costa, scrittore e sceneggiatore napoletano (ricordiamo le esperienze cinematografiche e teatrali, anche attoriali, con nomi del calibro di Peter Dal Monte, Roberto Rossellini e Silvano Agosti, i lavori per la Lancio e le collaborazioni con importanti fumettisti, l’attività di recensore, la stesure di voci su attori cinematografici per la Treccani, i romanzi come “La volpe a tre zampe”, trasposto nel film di Sandro Dionisio interpretato da Miranda Otto, Nadja Uhl e Angela Luce, e “L’imbroglio nel lenzuolo” di Alfonso Arau con Maria Grazia Cucinotta, Anne Parillaud e Geraldine Chaplin), a Catania (presso la Libreria Catania) e Siracusa (Casa del Libro Rosario Mascali) ha presentato il suo ultimo lavoro, il primo di una trilogia, “Dottor Neanderthal – Il colore morto della mezzanotte”, edito da Cento Autori.

“È scivolato suo malgrado dentro una spirale perversa che, avvolgendosi attorno a un susseguirsi di sanguinosi eventi, si sviluppa verso soluzioni preoccupanti. Che cosa gli riserva il futuro?”.

“Il dottor Neanderthal” è incentrato, come tutti i personaggi dei romanzi di Costa, sulle vicende di un personaggio un po’ sprovveduto, in questo caso lo scrittore Leonardo Corona: sullo sfondo di una barocca Lecce dalle tinte gotiche il protagonista si trova invischiato in una trama che gli svelerà verità sconvolgenti.

Ne parliamo con l’autore.

Tu hai scritto un romanzo noir, “Orrore Vesuviano” (Bompiani, 2015), arrivato semifinalista al Premio Scerbanenco e adesso ti cimenti nel genere fantastico virando sull’horror, immaginando che i Neanderthal non si siano estinti e che addirittura siano stati le prime vittime di genocidio della storia umana: una storia originale e raccontata con ritmo ed eleganza, cogliendo le suggestioni della cronaca e dei reperti che ci narrano un passato remoto ma in fondo parte del nostro stesso codice genetico.

Calvino affermava che la Sicilia – ma potremmo estendere l’affermazione a tutto il Sud – non sarebbe adatta al giallo e potremmo dire meno che mai al noir e addirittura al gotico, che richiederebbero le atmosfere brumose del Nord. Con il tuo lavoro tu sembri smentire questa affermazione. Cosa puoi dirci in proposito?

Sicuramente si sbagliava. Il Sud è stato il fosco teatro dei primi romanzi gotici inglesi come il celeberrimo “Il castello di Otranto” (1764) di Horace Walpole, considerato il capostipite del genere, e seguito nel corso dei secoli da numerose altre opere di questo tono, scritte da romanzieri italiani, come “I misteri di Napoli” (1869) di Antonio Mastriani e “I Beati Paoli” (1909) di Luigi Natoli, fino ad arrivare ai nostri giorni con il successo di autori più sofisticati come Leonardo Sciascia e Andrea Camilleri. Attualmente le classifiche dei libri più venduti comprendono molti romanzi gialli ambientati nel Meridione come, per esempio, quelli di Maurizio de Giovanni. Per concludere, non sono soltanto le brumose contrade del Nord a costituire lo sfondo ideale del mystery, ma anche i paesaggi semidesertici e arroventati dal sole accecante delle regioni meridionali. Nel caso di “Dottor Neanderthal” ho trovato che la splendida Lecce, seguita poi da Napoli e da Pozzuoli, fosse lo scenario perfetto per una vicenda che sconfina nel fantastico.

Nello scrivere questo romanzo (dove tra l’altro ritroviamo la tua passione per le donne enigmatiche, direi chandleriane, di certo cinema e di tanta letteratura, il tema dell’inganno e del protagonista apparentemente “ingenuo” che deve decifrare una verità che lo sovrasta, i Leitmotiv della tua produzione artistica) che peso ha avuto la fantasia e quanto invece la ricerca?

Sono andate avanti di pari passo, tenendosi a braccetto come due buone amiche, e dopo la folgorazione che mi ha colpito nel museo preistorico di Lecce (dove ho visto una statua raffigurante

un uomo di Neanderthal che mi ha profondamente suggestionato), non ho fatto altro che tuffarmi in

ricerche scientifiche su cui innestavo invenzioni di pura fantasia. Diciamo che immaginazione e ricerca si sono illuminate a vicenda durante un lavoro di scrittura che è durato praticamente un decennio fra interruzioni e riprese.

Durante la tua presentazione catanese parlavi di scrittori e scriventi: puoi approfondire? E cos’è per te la scrittura?

La scrittura è per me fondamentale come il respiro. È possessione, ispirazione, pienezza. È una vera

e propria militanza. Per gli scriventi è un modo d’illudersi di avere un’identità, un modo di passare il tempo, forse di guadagnare denaro.

Quali consigli daresti a un esordiente, data la tua esperienza di scrittore e sceneggiatore (ricordiamo ai lettori anche i tuoi successi come autore per bambini e ragazzi come “L’orologio capriccioso” o la serie per Touring Junior e la soddisfazione di aver visto tradotti i tuoi libri in Germania, Spagna, Grecia e Giappone)?

Gli suggerirei di indagare quanto sia profondo il suo desiderio di scrivere e, successivamente, di leggere quanti più romanzi è possibile per farsi le ossa e imparare un mestiere che non può limitarsi

all’attesa dell’ispirazione, come generalmente si crede, ma deve essere sostanziato da un’incessante applicazione e da una perfetta conoscenza della lingua italiana. Scrivere per gli altri non può essere

un semplice passatempo.

Quali sono le tue impressioni dopo il tour siciliano? Catania, Milo (per lo stage di scrittura con Luigi La Rosa, che ti ha accompagnato e presentato), Siracusa… Le tue origini sono campane ma anche tedesche quindi ti immagino come uno degli scrittori del Grand Tour affascinati dal Sud e in particolare dalla Sicilia. È così?

Il sommo Goethe scrive in “Viaggio in Italia” che la Sicilia è la chiave di tutto. Per me è un accecante lampo di luce, un tuffo nel sogno, una barca su cui salire per tagliare gli ormeggi con le abitudini di ogni giorno e salpare in direzione di qualcosa d’immenso. In Sicilia conto ormai molti amici che mi accolgono con un affetto che mi sorprende e mi commuove. Pensando a loro, mi conforta l’idea di poter rientrare nel sogno ogni volta che mi sarà possibile. E per osar tanto basta un volo lungo poco più di un’ora.

 

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3199:mito-e-misteri-nelle-opere-di-liz-caffin&catid=17&Itemid=143

 

Mito e misteri nelle opere di Liz Caffin

MARIA LUCIA RICCIOLI
Mercoledì, 20 Giugno 2018 07:55

Mostra dell’artista australiana

Fino al 24 giugno (dalle 10 alle 13 e dalle 17,30 alle 20,30) sarà possibile visitare la mostra “Volare” dell’artista Liz Caffin, inaugurata il 2 giugno scorso e ospitata presso la sala Alexandria di via Cavour 57.

Un palazzo dalle stratificazioni incredibili – ebbene sì, sul portale c’è la famosa iscrizione del 1696 per il restauro della quale si stanno spendendo Antonio Randazzo, Ermanno Adorno e tanti siracusani di buona volontà -, l’accoglienza gentile di Enzo Pennone, instancabile organizzatore culturale (tra tutte le iniziative promosse ricordo ai lettori almeno i convegni dedicati a Sciascia e al nostro Vittorini, oltre a quello sui migranti) ed esperto appassionato di sport – il nostro giornale si è occupato di una sua recente e pregevole pubblicazione sugli sportivi siracusani, in primis gli antichi atleti che hanno reso grande la nostra città anche nel corso dei giochi olimpici.

E poi indoviniamo che la signora discreta e dallo sguardo dolce, che si scusa per il proprio Italiano e loda l’inglese che improvvisiamo per chiacchierare, sia proprio l’autrice delle opere delicate e misteriose che ammiriamo – incisioni, acquetinte, carboncino…  e poi il colore, delicato e mai chiassoso, morbido come le linee sfumate del disegno.

Si mescolano ricordo e sogno, realtà e mito – sì, i miti greci che occhieggiano dalle scene che ci riportano alla Zante di Foscolo, a Zeus e ai suoi mille amori metamorfici, ma anche a miti che vengono fuori dall’immaginazione dell’artista: ammiriamo un uomo-echidna, un ibrido affascinante tra uomo e una specie di ornitorinco tipica e specifica dell’Australia, terra novissima e lontana, primitiva e incontaminata da cui viene Liz Caffin e che l’artista sente come propria insieme all’Europa.

Vicoli, scorci, paesaggi – riconosciamo il nostro mare, quello che d’inverno frusta il lungomare, e poi Piazza Minerva, la Chiesa del Collegio… – si mescolano a visioni fantastiche: foreste e danze sacre, intrecci di rami, gatti e perturbanti silhouette umane su tetti ballatoi altane: ci tornano davanti agli occhi Escher e la sua geometria deformante, oppure i chiaroscuri del Rinascimento tanto amato dalla Caffin, ma qui c’è la mano di un’autrice che illustra anche libri per bambini e i suoi delfini sono creature gioiose che saltano fuori da un incantevole libriccino che si apre come una fisarmonica: qui e in altre piccole deliziose creazioni siamo di fronte ad oggetti artigianali oltre che ad illustrazioni o semplici disegni.

Per saperne di più e ammirare anche virtualmente le opere di Liz Caffin:https://volarelizcaffin.weebly.com/

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Teatro Greco, a Ficarra e Picone 4 repliche delle Rane

MARIA LUCIA RICCIOLI
Sabato, 19 Maggio 2018 08:20

Un caso unico nella storia dell’INDA. Quale fil rouge lega le rappresentazioni classiche in cartello? Cos’hanno in comune Edipo, Teseo, Eracle e Cleone?

La Civetta di Minerva, 11 maggio 2018

Al via il Festival del Teatro greco di Siracusa, le rappresentazioni classiche che fino al 18 luglio animeranno di poesia, di mito, di parola suoni e movimento l’antica cavea che era il cuore pulsante della polis fondata dai Greci di Corinto nel 734 a.C.

La 54esima edizione delle feste classiche vedrà in scena il Sofocle dell’Edipo a Colono, l’Euripide dell’Eracle el’Aristofane de “I cavalieri”, quest’ultima mai prevista nella programmazione dell’INDA. Qual è il fil rouge che lega le tre rappresentazioni? Cos’hanno in comune Edipo, Teseo, Eracle e il demagogo Cleone? Cos’hanno da dire agli spettatori di oggi grazie al teatro, che per gli antichi era esercizio di democrazia oltre che spettacolo e rito religioso?

“Risparmiai la terra patria, non ricorsi all’amara violenza e alla tirannide né macchiando né disonorando la mia reputazione, e non me ne vergogno: così, credo, maggiore autorità avrò su tutti gli uomini”: queste le parole del legislatore ateniese Solone. “Tiranno” è parola ambivalente, perché indica sia il pacificatore (quello che sarà il “dictator” romano, magistrato supremo nei momenti di crisi): quindi sta nelle diverse sfaccettature e storture del potere il nodo gordiano che avvinghia i protagonisti delle due tragedie e della commedia, monito e stimolo per la riflessione – di certo lo spettatore accorto saprà trovare gli intrecci fra le vicende teatrali e gli avvenimenti politici odierni.

La regia degli spettacoli sarà affidata rispettivamente a Yannis Kokkos – la Grecia della madrepatria nella Magna Grecia: come non pensare ad esempio all’inarrivabile Irene Papas, o alla Callas attrice per Pasolini? , a Emma Dante, coraggiosa e visionaria, e a Giampiero Solari, mentre le traduzioni sono di Federico Condello, Giorgio Ieranò e Olimpia Imperio.

Ficarra e Picone – un unicum nella storia dell’INDA – riproporranno per il secondo anno consecutivo la commedia di Aristofane “Le Rane” in 4 repliche a conclusione dell’intero ciclo firmato anche quest’anno dal regista Roberto Andò in qualità di direttore artistico (12-15 luglio).

Un momento particolare sarà quello da vivere l’11 giugno con Andrea Camilleri e la sua “Conversazione su Tiresia”, sempre per la regia di Roberto Andò: lo scrittore di Porto Empedocle rifletterà su un personaggio del quale può vestire perfettamente i panni sia per l’età che per la condizione di cecità, che per gli antichi – Omero docet – è uno stato di visione forse più profonda dell’essenza delle cose, non solo nemesi e castigo (pensiamo a Edipo e alla sua terribile vicenda).

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3130:peppino-impastato-l-eroe-che-combatte-la-mafia-anche-contro-i-familiari&catid=17&Itemid=143

Peppino Impastato, l’eroe che combatté la mafia anche contro i familiari

MARIA LUCIA RICCIOLI
Giovedì, 17 Maggio 2018

Lorella Rossitto (100 Passi):“Mai come oggi le sue parole e i suoi pensieri devono essere di monito alle nuove generazioni”

La Civetta di Minerva, 11 maggio 2018

Il 9 maggio 1978 non è solo legato alla tragedia dell’assassinio di Aldo Moro, punto di non ritorno della nostra democrazia, ma anche alla morte di Peppino Impastato per mano mafiosa.

Per ricordare l’importanza di questo testimone coraggioso dell’opposizione – giovane, beffarda, dirompente – alla criminalità mafiosa, si è tenuto il sit-in al casolare dove è stato ucciso Peppino Impastato, con la partecipazione delle scuole aderenti al progetto “Diritti negati”, dei vespisti aderenti all’iniziativa “In VESPA contro la mafia”, mentre nel pomeriggio si è svolto il corteo dalla sede di Radio Aut a Terrasini a Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato a Cinisi, con concerto conclusivo serale. Ecco il link con le iniziative progettate per ricordare questo quarantennale così significativo: http://www.ilcompagno.it/9-maggio-2018-9-giorni-di-iniziative-per-ricordare-peppino-nel-40-anniversario-del-suo-assassinio/

La Civetta di Minerva ha contattato per voi Lorella Rossitto, che presiede l’Associazione 100 Passi, per saperne di più.

Cosa rimane a quarant’anni dalla scomparsa della testimonianza di Peppino Impastato?

Peppino Impastato è una figura importante e ancora oggi viene ricordato come un eroe che ha avuto il coraggio di combattere contro lo strapotere Mafioso. Lo ha fatto andando contro persino quello che c’è di più caro, la propria famiglia, e ricordare ancora oggi il suo coraggio è un dovere. Quello che ci resta di Peppino oltre il ricordo, il coraggio e le storie di chi lo ha conosciuto, è l’ideale di libertà e di giustizia sociale in cui credeva, mai come oggi le sue parole e i suoi pensieri devono essere da monito alle nuove generazioni e negli ultimi anni la società sembra aver preso coscienza di cosa è la MAFIA.

Il quarantennale della morte di Peppino arriva proprio mentre viene comprovata l’esistenza della trattativa Stato-Mafia. Che pensate di questa coincidenza significativa?

La sentenza sulla trattativa stato mafia deve essere considerata un fatto storico nel nostro paese, ma non è una vittoria definitiva e non bisogna abbassare la guardia. Tra i condannati vogliamo ricordare in particolare il Generale Subranni, coinvolto nel depistaggio sull’assassinio di Peppino Impastato. In tutti questi anni c’è chi ha fatto e portato avanti un lavoro egregio; va ricordato comunque che le persone che vogliono ripulire questo paese dalla Mafia continuano a vivere sotto scorta e chi viene condannato, invece, continua a stare seduto tra le più alte cariche dello stato e decide, ancora oggi, le sorti del nostro paese. Quindi siamo davvero sicuri di poter cantar vittoria? Penso proprio di no. Purtroppo i fatti di cronaca recenti ci portano alla luce come stato e mafia siano legate a doppio filo, ed è davvero difficile spezzare questo legame.

Presentatevi ai nostri lettori. Chi siete e quali obiettivi intendete perseguire?

L’associazione 100 Passi nasce dalla voglia di un gruppo di giovani siracusani di creare un luogo dove si potesse discutere di temi riguardanti l’antimafia, dove si potessero creare degli spazi di inclusione sociale, attraverso progetti e attività socialmente utili; abbiamo per anni portato avanti diversi progetti soprattutto nelle periferie della città, dove la criminalità ancora oggi trova terreno fertile.

L’associazione ringrazia La Civetta di Minerva per lo spazio concessoci e approfitta di questo spazio per chiedere a coloro che il prossimo 10 Giugno si prepareranno a governare questa città di impegnarsi a creare spazi sociali e inclusivi nelle periferie, oltre che firmare dei protocolli sulla legalità, visto anche i recenti e preoccupanti atti intimidatori avvenuti nei confronti dei negozianti e delle attività commerciali.

Abbassare la guardia significherebbe arrendersi a volere di imbecilli che lavorano e guadagnano solo con la fatica di altri, capaci solo ad usare armi e intimidazioni. Forse pensano di essere invincibili ma di invincibile non hanno nulla, sta a noi prendere coscienza e fare del nostro meglio per migliorare la società in cui viviamo.

“La mafia uccide, il silenzio pure” (Peppino Impastato).

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3129:il-25-lauretta-rinauro-libera-su-cultura-e-legalita&catid=17&Itemid=143

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 Il Maggio dei Libri nella prima edizione di “Floridia in biblioteca” tantissimi eventi culturali. Sabato 19 iniziativa a ricordo della scrittrice Chiara Palazzolo, prematuramente scomparsa

La Civetta di Minerva, 11 maggio 2018

Insieme al Salone internazionale del Libro di Torino, il Maggio dei Libri è un altro degli appuntamenti culturali di primavera.

Tra le numerose iniziative che coinvolgono scuole, scrittori, lettori, operatori culturali, biblioteche, archivi di tutta Italia, segnaliamo la I edizione di “Floridia in biblioteca” (progetto dell’associazione Ninphea diretto dalla professoressa Stefania Germenia, realizzato con il patrocinio del Comune di Floridia con la collaborazione di Naxoslegge): la biblioteca del terzo millennio non è più o non è soltanto deposito di libri e luogo deputato alla ricerca e allo studio, ma si apre al territorio e coinvolge tutte le forze in campo per promuovere una cittadinanza attiva e consapevole e una fruizione creativa, perfino giocosa, della cultura.

Dopo l’appuntamento del 7 maggio scorso, che ha visto l’inaugurazione della mostra di cartoline d’epoca del professor Vincenzo La Rocca “Saluti da…”, con la collaborazione della Soprintendenza BB.CC.AA. di Siracusa, la tavola rotonda “Storie di biblioteche che resistono”, con gli interventi delle professoresse Girmenia e Gozzo, della professoressa Elena Savatta (direttrice del centro studio ibleo), del dottor Giuseppe Garro, antropologo, e della dottoressa Paola Cappè, che presiede l’Associazione italiana biblioteche e dirige la Biblioteca comunale di Canicattini Bagni (ricordiamo la recente iniziativa del 6 maggio scorso legata a “Nati per leggere” presso la Galleria regionale di Palazzo Bellomo), ecco le prossime date: il 19 maggio, sabato, sarà la volta delle iniziative a ricordo della scrittrice Chiara Palazzolo, prematuramente scomparsa (un convegno, che vedrà l’intervento di Fulvia Toscano, direttore artistico di Naxoslegge e Nostos e consulente culturale di Ninphea – rappresentata dalla dottoressa Giovanna Tidona e dalla professoressa Paola Gozzo – della professoressa Filomena Migneco Frasca e del professor Giuseppe Lupo, docente di letteratura moderna e contemporanea presso la Cattolica di Milano, sarà dedicato alla figura di Chiara Palazzolo, che verrà omaggiata anche con una lettura di brani tratti dalle sue opere accompagnata da brani eseguiti dal maestro Antonio Granata; la sala lettura della biblioteca sarà intitolata alla memoria dell’autrice).

Venerdì 25 maggio, nell’ambito dell’incontro “Cultura è legalità”, l’avvocatessa Lauretta Rinauro, coordinatrice provinciale di “Libera”, interverrà sul tema; verrà proiettato il corto “Il silenzio è mafia” a cura della Chain Production, mentre la compagnia teatrale “Il Sipario” di Canicattini Bagni si esibirà nel recital “Sacrificati nella vita… vivi nella storia”. La professoressa Daniela Campisi donerà un’opera fotografica alla biblioteca.

“Fondare biblioteche è un po’ come costruire ancora granai pubblici: ammassare riserve contro l’inverno dello spirito che da molti indizi, mio malgrado, vedo venire”: non c’è forse citazione migliore di quella tratta da Marguerite Yourcenar per invitare i nostri lettori a (ri)scoprire il valore del ruolo delle biblioteche per la nostra vita personale e comunitaria.

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Nel Comprensivo di via Gela “Leggimi una storia”

MARIA LUCIA RICCIOLI
Martedì, 15 Maggio 2018 10:42

Cappè, Politi e Astore presentano “Il mago tre P” di Moscon. Neil Gaiman: “Una città non è una città senza una biblioteca, anche se pretende di esserlo”

La Civetta di Minerva, 27 aprile 2018

I futuristi sognavano di dar fuoco alle biblioteche, viste come sepolcreti di libri morti. Magari, se oggi partecipassero alle iniziative che rendono la biblioteca cuore di un quartiere, punto di riferimento e d’incontro, luogo dove si sperimenta l’inclusione, istituzione che si muove per andare incontro ai lettori, forse cambierebbero idea.

Nello scorso numero abbiamo parlato di MediaLibraryOnLine, adesso disponibile in biblioteca: è possibile prendere in prestito, direttamente da casa, due e-book al mese tra 30.000 nuovi titoli e 800.000 testi classici, oltre che consultare gratuitamente l’archivio del Corriere della Sera, dal 1876 al 2016; in occasione della Giornata mondiale del libro e del diritto d’autore, presso la Biblioteca comunale di Canicattini Bagni (SR) intitolata a Giuseppe Agnello, si è svolto il Canicattini Bagni BookFest, che ha salutato l’inverno e festeggiato con la primavera il rifiorire delle più originali, diffuse e coinvolgenti occasioni di lettura, legate al Maggio dei Libri che torna con la sua sfida, leggere, e leggere ovunque: il 22 e 23 aprile scorsi, in collaborazione dell’Associazione La Tana dei Goblin Siracusa, Titò di Cettina Marziano e VerbaVolant edizioni, casa editrice siracusana specializzata nella letteratura per bambini e ragazzi, la biblioteca ha accolto attività di lettura e di gioco, coinvolgendo bambini e ragazzi di scuola elementare e media.

Altro appuntamento interessante sarà quello di “Leggimi una storia – Associazione Culturale”: il 2 maggio prossimo verrà approfondita la figura di Giuseppe Pitrè, oltre al tema dell’ “accessibilità” dei contenuti letterari a lettori con difficoltà di lettura insieme alla cooperativa Phronesis: presso il X Istituto comprensivo “Emanuele Giaracà” di via Gela a Siracusa, la dottoressa Paola Cappè (che non solo dirige la Biblioteca di Canicattini Bagni ma è anche responsabile per la regione Sicilia dell’AIB, l’associazione che riunisce e coordina le biblioteche italiane), la dottoressa Viviana Politi e la dottoressa Luana Astorepresenteranno “Il mago tre P” di Lilith Moscon, illustrato da Marta Pantaleo.

“La cultura è un bene primario come l’acqua; i teatri, le biblioteche e i cinema sono come tanti acquedotti”, diceva Claudio Abbado. Ci permettiamo di ricordarlo ai nostri amministratori, perché – e qui citiamo Neil Gaiman – “Una città non è una città senza una biblioteca. Magari pretende di chiamarsi città lo stesso, ma se non ha una biblioteca sa bene di non poter ingannare nessuno”.

 

 

 

 

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Del Pasticciaccio di Gadda ho riprodotto assonanze, dissonanze, ritmi”

MARIA LUCIA RICCIOLI
Venerdì, 27 Aprile 2018 16:25

“In ogni pagina del romanzo c’è la storia dell’italiano”. Intervista all’avolese Jean Paul Manganaro, uno dei più importanti traduttori dal e in francese

La Civetta di Minerva, 13 aprile 2018

A coronamento del laboratorio di lettura organizzato dalla Biblioteca comunale di Siracusa sul romanzo“Quer pasticciaccio brutto de via Merulana” di Carlo Emilio Gadda, il 10 aprile scorso si è tenuto l’incontro, moderato sapientemente da Salvo Gennuso, con uno dei più importanti traduttori dal e in lingua francese, Jean-Paul Manganaro, una vera e propria autorità nel proprio campo, che ha affrontato l’improba ma grata fatica – lunga e amorosa è la frequentazione di Gadda da parte del traduttore, che è nativo di Bordeaux, vive a Parigi ma è di origini avolesi – di trasporre il gliuòmmero, il pasticcio, lo strano oggetto che è quest’opera affascinante e impervia come una scalata.

Manganaro, nel corso di quella che è stata quasi una conversazione più che una conferenza, ha spaziato con ironia e competenza dall’infanzia difficile dell’autore, orfano di padre e lacerato da un irrisolto edipico rapporto con la madre, alla scrittura di Gadda, la cui biografia – apparentemente scarna e priva di fatti significativi – confluisce tutta nella scrittura: l’élan vitale di Gadda fluisce tutto nell’opera – basterebbe pensare a “La cognizione del dolore”.

Manganaro ha quindi narrato la parabola dell’ingegnere elettrotecnico “prestato” alla scrittura, che si nutrì di Leibniz e Spinoza, filosofi fondamentali per comprendere l’universo gaddiano, un universo policentrico, plurilinguistico e polifonico, dallo stile diremmo jazzato e cubista, se l’immaginifico barocco scrittore non sfuggisse a qualsiasi tentativo di sistematizzazione; dai saggi alle novelle, veri e propri frammenti di esistenza, alla pubblicazione di alcuni “tratti” ovvero capitoli, sezioni del romanzo su rivista – tra le più importanti dell’epoca ricordiamo per tutte “Solaria” e “Letteratura” –, Gadda ridefinisce il modello letterario ereditato dalla tradizione.

Per comprendere Gadda, Manganaro si serve delle spie linguistiche: le descrizioni, le digressioni che danno stoffa al ragionamento – pensiamo ai cieli e alle nuvole gaddiane –, l’utilizzo peculiare della punteggiatura, materializzano l’idea di Gadda – molto pirandelliana – secondo il quale la realtà della verità non esiste e anche se esistesse non potrebbe essere trovata: alla Deleuze, la soluzione potrebbe essere uno dei possibili che non si è attuato; un fatto non ha una sola causale ma tante causali; tutto è effetto e tutto è causa.Realtà e verità sono dunque punti di interrogazione… i puntini di sospensione rappresentano graficamente il non si sa, i chissà. Una frase che procedesse per virgole e punti e virgola passerebbe dalle tesi e antitesi ad una sintesi (secondo la logica classica), conferendo al discorso un ordine gerarchico che invece Gadda sovverte tramite l’uso quasi matematico dei due punti, che pongono tutte le situazioni sullo stesso piano di equivalenza e corresponsabilità. E qui il sovvertimento diventa anche politico: noto è il disprezzo di Gadda per il fascismo – sublime il grottesco di “Eros e Priapo” – e nel romanzo Polizia e Carabinieri, tra l’altro intralciandosi a vicenda, nonostante la dichiarata e muscolare intransigenza non riusciranno a dipanare l’imbroglio, impotenti come sono a dirimere il pasticciaccio, il gomitolo intrecciato del delitto.

Tradurre è trans-ducere, trasportare. Io la immagino come un barcaiolo intento a trasportare della merce preziosa da una riva all’altra – le lingue di partenza e arrivo –: qualcosa è andato perduto in acqua?

Il carico è arrivato tutto. Ho riprodotto assonanze, dissonanze, ritmi, la sinfonia di questo romanzo il cui stile mette il lettore sull’attenti: non permette distrazioni e per tradurlo, per cucire le parole punto per punto a maglia fina, per non perdere il filo, la musicalità della scrittura, ho impiegato dodici ore al giorno per un anno senza fare altro. Forse qualcosa si sciupa ma il carico è arrivato per intero. Non è il primo libro di Gadda che traduco e comunque questa traduzione arriva dopo anni di lavoro. L’amore per Gadda per me è viscerale, inspiegabile: prende qui – sorride – alle trippe. Rileggo “Quer pasticciaccio…” ogni due anni circa e ricordo la prima volta: non riuscivo a credere ai miei occhi. Tutta la storia della lingua italiana si ritrova in ogni pagina, in ogni riga del libro.

Oggi purtroppo la lingua – anche quella letteraria – sta subendo una sorta di normalizzazione che la fa somigliare non ad un organismo vivente e “multistrato” ma che la rende una lingua “Standa” più che standard, piatta e involuta, esattamente il contrario del lussureggiante e ben biodiversificato linguaggio gaddiano. Come ha reso la polifonia dialettale del romanzo, l’imbroglio linguistico oltre che quello della trama? Il napoletano, il romanesco, il molisano di Ingravallo e dei personaggi gaddiani… come sono stati “traghettati” in francese?

In Italia i dialetti sono ancora parlati, intesi, capiti: sono la vita quotidiana che entra nel discorso, anche del parlante colto. In Francia ci sono degli slang, l’argot, ma non dialetti: ho tradotto in un francese “strano” ma sempre comprensibile, come all’orecchio risulta strana ma comunque viene riconosciuta come italiana la lingua di Gadda (ricordiamo che all’epoca il cinema italiano, arte e industria insieme, supportava il napoletano ma soprattutto il romanesco come dialetto neorealistico per eccellenza); nel frasato diretto l’autore usa appunto i dialetti (che io rendo con un francese sviato o meglio traviato, con la sonorizzazione della dentale o una diversa tonalizzazione, scambiando per esempio T e D: le agglutinazioni sonore sono aggiunte di suono ma non di senso, le elisioni sono violente), mentre nel discorso indiretto utilizza dei ricami con il dialetto per non perdere la mescidanza tra le lingue. In questo mi ha facilitato l’aver lavorato a “Le baruffe chiozzotte” di Goldoni – anche in Gadda troviamo il legame con Venezia dato dalla contessa, ad esempio.

La traduzione è letterale oppure è più un lavoro di interpretazione? Che rapporto c’è tra un autore e chi lo traduce?

Interpretare vuol dire non essere stati capaci di tradurre, aggirare l’ostacolo senza trovare l’espressione, la parola precisa, esatta. La scrittura è il gancio, la materia e il terreno comune, il momento di confronto tra autore e traduttore che non può né deve essere traditore. Bisogna cogliere i soffi, i respiri, le pulsazioni di ciò che si traduce, sordi alle suggestioni, ingannevoli come sirene, dell’interpretazione.

E qui Manganaro senza dirlo credo che accenni anche ad una misura più alta del proprio mestiere, che è quella etica.

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Vaccaro: “Gli uomini dell’800 reagirono alla lotta delle donne”

MARIA LUCIA RICCIOLI 
Giovedì, 26 Aprile 2018 11:25
“Chiamandole maliarde grifagne o angeli tentatori”. Intervista all’autore di “Silfide, maga e sirena – L’ideale femminile nella letteratura italiana dell’Ottocento”

 

La Civetta di Minerva, 13 aprile 2018

Forse l’Ottocento è stato il secolo che ci ha donato le più fulgide rappresentazioni femminili – connotate sia positivamente che in una valenza negativa –: pensiamo a Madame Bovary, ad Anna Karenina, alle protagoniste dei romanzi delle sorelle Brönte e prima ancora alle smaglianti invenzioni del genio di Jane Austen, per citare solamente i primi nomi in punta di penna.

Possiamo dire che l’Ottocento porta alla ribalta e forse esaspera non solo la femminilità, ma anche e soprattutto il conflitto tra i sessi e l’irriducibilità della loro complementarietà / differenza, proprio in un’epoca in cui tante artiste oltre che tante donne comuni pretendevano un proprio posto in una società mutevole e attraversata da cambiamenti rivoluzionari in campo politico, economico e sociale.

Sirene, incantatrici, maliarde, dame eleganti, virago, civette narcise da una parte – il cliché della femme fatale declinato in ogni possibile sfaccettatura – contro Nedda e gli angeli del focolare dall’altra: questo il catalogo dei destini delle donne rappresentate nella letteratura del secondo Ottocento, che riflette da una parte e dall’altra precorre i mutamenti socio-culturali di un’epoca convulsa, che segue a quella risorgimentale e si proietta verso il ventesimo secolo.

Dell’argomento si è recentemente occupato il giovane studioso ragusano Stefano Vaccaro nel suo saggio, fresco di stampa per i tipi de Il Convivio Editore, intitolato appunto “Silfide, maga e sirena – L’ideale femminile nella letteratura italiana dell’Ottocento”, presentato il 6 aprile presso la sala del fondo antico della Biblioteca diocesana di Ragusa – intitolata a Monsignor Pennisi e diretta da don Giuseppe Di Corrado – nell’ambito della manifestazione LIBeRI A RAGUSA (di cui l’Ufficio Comunicazioni Sociali della Diocesi di Ragusa è media partner; la prefazione, di cui vi abbiamo offerto qualche stralcio all’inizio del pezzo, è della docente e scrittrice Maria Lucia Riccioli); con l’autore l’eminente prof.ssa Margherita Bonomo (Università degli Studi di Catania), che tra l’altro si è occupata a lungo di carteggi femminili ottocenteschi.

“La Civetta di Minerva” lo ha intervistato per voi.

Com’è nato in te l’interesse verso la letteratura dell’Ottocento?

Nell’immaginario fanciullesco che già dalla più tenera età mi si palesava innanzi, l’Ottocento prendeva sempre più la forma di una lunga galleria di immagini gotiche e spettrali, un pentagramma vivificato da figure grottesche, al limite del picaresco, all’interno del quale personaggi e trame considerate scriteriate o insolite avevano liceità non solo di essere pensate ma anche narrate. Il  fascino esercitato dal “diverso” ha fatto sì che sentissi la letteratura del XIX secolo molto vicina a me scegliendola difatti come oggetto della mia ricerca. Gli anni di studio mi hanno poi restituito un secolo molto complesso letterariamente e stratificato culturalmente, attraversato da numerose correnti e diversi “modi di sentire”; un viaggio affascinante che dura tutt’oggi e che dall’analisi del Verismo mi ha condotto allo studio del Simbolismo, senza tralasciare l’approfondimento per “movimenti” quali il Naturalismo, il Romanticismo e il Decadentismo. Ciò che mi preme coniugare è il rigore del metodo critico-scientifico alla curiosità che mi spinse ad indagare la letteratura italiana anni fa.

Silfide, maga e sirena… spiegaci come mai l’eterno femminino assume questi volti. E poi… ritieni queste “classificazioni” ancora attuali? Quali personificazioni o maschere potrebbero raffigurare le donne odierne?

Silfide, maga e sirena è un trinomio che ho preso in prestito da Verga (Una peccatrice, 1865) e che ben sintetizza la visione che si ebbe della donna per tutto il XIX secolo. L’Ottocento è di per sé il secolo delle rivoluzioni in tutti i campi dell’esperienza umana, pensiamo a quello politico con le rivoluzioni del ‘48 prima e le lotte risorgimentali poi, e ancora agli scompaginamenti sociali portati dalla meccanizzazione del lavoro e dell’avvento della borghesia, e non da ultimo ai risvolti culturali dovuti alla presenza, per la prima volta massiva e consapevole, della figura femminile anche in ambito culturale la quale, minando un sistema maschilista e patriarcale, cominciò a ritagliarsi, con fatica, spazi del sapere prima preclusi, facendo sentire la propria voce attraverso la pubblicazione di romanzi, feuillettons, articoli e pamphlets. La determinazione e la tenacia con le quali le intellettuali dell’Ottocento si batterono affinché i propri diritti d’espressione venissero riconosciuti dovette apparire del tutto nuova e allarmante per gli uomini del tempo che per questo, non appare sbagliato pensare, caricano la donna di aggettivi non sempre lusinghieri, descrivendola come una maliarda grifagna o un angelo tentatore.

Già a cominciare dal Novecento la figura muliebre non è più, o non è solo, silfide, maga e sirena ma acquista caratteri nuovi anche in vista di un impegno civile più vistoso che non rifugge connotati politici (pensiamo alle battaglie del ‘68). Oggi il polinomio verghiano con il quale il Siciliano descriveva la sua peccatrice appare svuotato di senso, rimane però, a mio avviso, una dicotomia “ottocentesca” di fondo per cui l’accostamento angelo-demone ha nuove possibili interpretazioni: se da un lato, in alcuni contesti e società, la donna può dirsi emancipata ricoprendo prestigiosi incarichi istituzionali e posizioni di rilievo nel campo della scienza, delle arti, dell’imprenditoria, della moda e delle telecomunicazioni, dall’altro lato la stessa donna, e il suo corpo, è tristemente vittima di attenzioni “superomistiche” fin troppo invasive, violente e incontrollate, finanche manesche, sanguinose e mortali.

Hai in cantiere altri lavori? Come vedi lo “stato dell’arte” della critica? Quali altri campi sarebbero da esplorare e quali vorresti affrontare tu?

Dopo aver reso nota, attraverso quest’ultima raccolta di saggi da poco edita, alle voci e ai pensieri degli intellettuali dell’Ottocento e al loro modo di pensare ed interpretare la donna, sto lavorando affinché abbia voce la controparte femminile. L’impegno muliebre difatti ha coinciso con volti e figure ben definite il cui studio spero riesca a sottrarle dall’oblio a cui per troppo tempo e ingiustamente sono state condannate. La mia ricerca si concentra innanzitutto sulle letterate siciliane che operarono nell’Isola nel medio e tardo Ottocento, dalle più note Giuseppina Turrisi Colonna (1822-1848) e Mariannina Coffa (1841-1878) alle misconosciute palermitane Concettina Ramondetta Fileti (1829-1900), Rosa Muzio Salvo (1815-1866), Lauretta Li Greci (1833-1849) e alla messinese Letteria Montoro (1825-1893): un’intera generazione di autrici che con forza e coraggio si batté affinché potesse esprimere le proprie idee contravvenendo spesso ai dettami imposti dalla società, rischiando cioè l’esclusione familiare, la sofferenza della solitudine e la stessa reputazione. Altro campo d’indagine è ancora la poesia novecentesca con particolare attenzione a quel segmento letterario al femminile che operò un nuovo linguaggio lirico italiano: Antonia Pozzi (1912-1938), Amelia Rosselli (1930-1996), Nadia Campana (1954-1985) e Catrina Saviane (1962 -1991).

   
http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3040:la-scrittura-e-felicita-ma-e-anche-sfida-all-indifferenza&catid=17:cultura&Itemid=143

“La scrittura è felicità ma è anche sfida all’indifferenza”

MARIA LUCIA RICCIOLI
Giovedì, 19 Aprile 2018 09:09
Intervista alla poetessa e scrittrice avolese Paola Liotta, docente: “Le parole aprono vie inesplorate, gettano ponti”

La Civetta di Minerva, 30 marzo 2018

Abbiamo incontrato per voi Paola Liotta, avolese, docente e scrittrice, organizzatrice culturale – insegna materie letterarie e latino nel Polo Liceale dell’Istituto Superiore Statale “E. Majorana”, scrive sia in versi che in prosa, cura nella sua città tè letterari, presenta libri ed eventi, cura il blog “Di scritture, di sogni e di chimere”.

L’occasione è l’uscita, per i tipi di Algra Editore, della raccolta poetica “La felicità è muta”, che verrà presentata nei locali della Biblioteca comunale “Giuseppe Bianca” di Avola l’11 aprile alle ore 18 – ancora una volta l’editore Alfio Grasso conferma la capacità di scouting dei talenti emergenti e l’accoglienza in “casa Algra” di penne già sperimentate (ricordiamo infatti i precedenti scritti della sensibile e raffinata autrice: “Del vento, e di dolci parole leggere”, del 2009; del 2011 è “Di Aretusa e altri versi”, menzione di merito al Premio Letterario Internazionale S. Quasimodo, e del 2013 è il suo primo romanzo “… ed era colma di felicità”; al Premio Pentèlite 2014 è giunto finalista il suo racconto “Miele, mandorle e cannella”; una sua raccolta di trenta “Madrigali e rime varie”  ha ricevuto una segnalazione di merito al Premio letterario Pietro Carrera, edizione del 2017, ed è  stata appena pubblicata con il titolo “La luce dell’inverno” dalla casa editrice “Il Convivio”).

Perché la felicità è muta?

Vorrei che lo scoprissero i lettori, leggendomi. Le liriche de “La felicità è muta” costituiscono un nuovo squarcio del mio percorso creativo dove, pur confermando la mia fiducia illimitata nel valore della parola, emerge una visione intimistica della Felicità, cioè legata al vissuto personale, seppure percepita quale tratto comune d’umanità, che agli altri ci riconduce. Felicità, parola abusata ai nostri giorni, che, però, qui incarna la scrittura stessa e le sue meravigliose energie.

Poesia è felicità o felicità è poesia?

Per me questi due termini si equivalgono e stanno alla Bellezza e al senso stesso del vivere. Ai miei versi corrisponde un amore per la vita che si traduce in testimonianza di gioia, oltre ogni fatica o difficoltà. Per dirla ungarettianamente “la poesia è Poesia quando porta in sé un segreto”, un segreto che sia intessuto di generosità e pura bellezza. Difficilmente il poeta pensa di essere tale, lo è nella misura in cui un’altra persona si riconoscerà nei suoi testi, cogliendone il dato universale.

Qual è il tuo rapporto con la scrittura?

Potrei condensarlo nella massima “Nulla dies sine linea”. È un rapporto vitale: ispirazione, passione, ricerca vi si intersecano e stimolano in reciprocità di intenti. Esso è vivo a partire dalla mia dimensione professionale, che si traduce nella prassi didattica, soprattutto sul versante laboratoriale e creativo. Versi e prosa rappresentano medaglie diverse di uno sguardo che ama spaziare dentro e fuori di sé, portando in superficie “il mondo l’umanità/ la propria vita/ fioriti dalla parola”.

Tè letterari, scuola, scrittura… come concili questi mondi?

Fanno parte di me e si alimentano a vicenda. La scrittura è davvero felicità se intesa come angolo privilegiato da cui meditare sul reale, a ritemprarsi da ogni discrasia, ma anche sfida vera e propria all’incomunicabilità e all’indifferenza, che sono grandi mali del nostro tempo. Le parole aprono vie inesplorate, gettano ponti verso l’altro, spalancano varchi nell’Infinito, ed io godo di precipitarmi in essi. Il mio amore profondo per i libri non può che riconoscersi ‘felice mente’ in tutto ciò.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=2993:nelle-biblioteche-siracusane-avviato-il-prestito-digitale&catid=17&Itemid=143

 

 

Nelle biblioteche siracusane avviato il prestito digitale

MARIA LUCIA RICCIOLI
Mercoledì, 28 Marzo 2018 19:28
Per diletto o per studio, volete consultare dei libri? Basta accreditarsi e accedere al sistema Mlol, avrete gli ebook sull’iPad, smartphone, PC…

 

La Civetta di Minerva, 16 marzo 2018

Non solo carta, verrebbe da dire. Le biblioteche siracusane offrono la possibilità – è novità di questi giorni – di accedere al prestito digitale. Basta accreditarsi in biblioteca e accedere al sistema MLOL (Media Library On Line) con le credenziali fornite e… con un click si potranno leggere degli ebook. I libri digitali (se ne potrà richiedere il prestito di due al mese) saranno disponibili sui dispositivi dell’utente per quattordici giorni: si potrà quindi leggere gli ebook scelti sull’iPad, sullo smartphone, sul PC…

E non solo: la piattaforma Media Library offre anche un’App dedicata per permettere ai lettori di esplorare le liste di ebook disponibili, informarsi sulle novità, gestire le proprie liste personali e molto altro.

La biblioteca si pone quindi sempre più non solo come “deposito” di libri, riviste, documenti, ma anche come fonte di sapere diffuso, per venire incontro alle esigenze di inclusione e per realizzare sempre più concretamente la democratizzazione del sapere tramite una sempre maggiore accessibilità dei testi e delle conoscenze. A questo proposito, molte sono le risorse per la scuola primaria e le scuole secondarie di primo e secondo grado.

Auspichiamo anche che si possa presto espandere il servizio includendo l’edicola on line, che permetterà di accedere a seimila giornali e riviste on line.

Ricordiamo che tutte le biblioteche siracusane fanno parte del Sistema Bibliotecario Siracusano (SBS) che già permetteva di controllare se fosse presente e dove il libro richiesto, ma MLOL permetterà di allargare il prestito e “dematerializzarlo” (non sempre è facile, specie in Ortigia, trovare parcheggio e andare a studiare, a fare ricerche o a partecipare ai corsi e alle presentazioni in biblioteca, nonostante il contatto umano e la professionalità del personale siano impagabili; le biblioteche di quartiere inoltre costituiscono a nostro avviso un importante fattore di aggregazione sociale. Vorremmo sollecitare poi i nostri amministratori a non trascurare l’enorme patrimonio archivistico e librario cartaceo presente nelle nostre biblioteche, specie in quella di via dei SS. Coronati: manoscritti e corrispondenze di letterati, Privilegi e Diplomi che rimandano all’antico passato di Siracusa, incunaboli, cinquecentine e pergamene che se non correttamente conservati rischiano il deterioramento).

“La Civetta di Minerva” ha sperimentato per voi il servizio: è bastato registrarsi in biblioteca e tramite e-mail, ricevute le credenziali, è stato semplicissimo accedere alla piattaforma.

Buona lettura!

 http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=2981:noto-ripresa-dai-droni-in-paesi-che-vai-su-rai-uno&catid=17&Itemid=143

Noto ripresa dai droni in “Paesi che vai” su Rai Uno

MARIA LUCIA RICCIOLI
Lunedì, 26 Marzo 2018 10:12
Guida d’eccezione della troupe televisiva Eleonora Nicolaci, discendente della famiglia più illustre della città. Livio Leonardi: “Abbiamo raggiunto ascolti straordinari”

 

La Civetta di Minerva, 16 marzo 2018

Riprese in una manciata di giorni tra le nuvole e il sole di un inverno siciliano, piacevoli conversari sullo splendore del Barocco, le nostre eccellenze valorizzate: “La Civetta di Minerva” è stata per voi sul set di “Paesi che vai…”, in onda su Rai1 alle 9.40 domenica 18 marzo.

Il nostro giornale si era già occupato del programma in occasione della ripresa e messa in onda della puntata su Siracusa. Stavolta tocca a Noto, perla del Vallo – lo ricordiamo: Val di Noto, Mazzara e Demone sono i tre grandi distretti amministrativi di età araba, poi ripresi nel periodo borbonico – che porta il suo nome.

Antonio Costa ha scritto i testi della puntata, mentre regista ne è stato Daniele Biggiero, che ha già diretto la puntata relativa ad Agrigento e che fa parte della squadra del programma da un anno: “Siamo entusiasti del ritorno della trasmissione in Sicilia, regione dai colori e dalle storie che amiamo raccontare e riprendere”. Sì, riprendere, anche grazie allo sguardo del drone che esplora il cielo di Noto e si insinua tra le colonne su, su fino alle volte e alle facciate di chiese e palazzi. Qualche curioso segue la troupe, c’è il tempo per le foto e i saluti o per gustare le specialità per cui Noto e la Sicilia in genere sono a ragione celebri.

Livio Leonardi, ideatore e conduttore del programma – anche se è doveroso ricordare “Ciao Italia”, “Bella Italia”, “Le strade del sole”, “Una troupe racconta”, alcuni dei titoli di fortunati programmi per cui è stato apprezzato e premiato, sempre basati sul concetto di valorizzazione dei territori – ci racconta di come la trasmissione si sia evoluta nel tentativo di raccontare le città e le loro comunità, anche tramite un cambio di prospettiva: “Gli spettatori della nuova stagione troveranno più “fiction”, più figuranti, più storia e storie locali che forse ci regalano una chiave di lettura della storia nazionale; siamo molto attenti a realtà che si occupano di rievocazione storica – nella puntata su Noto, risulta indovinata la presenza di alcuni figuranti dell’Associazione netina “Corteo Barocco”, che hanno interpretato personaggi come Sinatra e Gagliardi – con professionalità e passione. La spinta del territorio per noi è fondamentale per raccontare al meglio le città: la bellezza di un costume, i disegni, le testimonianze pittoriche e figurative, tutto contribuisce alla narrazione”.

Cosa vuol dire per lei e per la troupe tornare in Sicilia?

“Siracusa e Agrigento sono uno scrigno di testimonianze. Il racconto che vedrete è, diciamo così, diluito; per la puntata di Noto abbiamo girato in diverse location, sei o sette, con quaranta minuti di racconto storico-artistico: per capire meglio il punto di vista che abbiamo scelto di assumere, basta guardare la sigla, accompagnata dalla voce di Andrea Bocelli che canta “Con te partirò”; l’occhio del visitatore, che magari dallo spazio profondo si avvicina sempre di più alla terra e poco a poco focalizza quello che vede, è il modo non accademico e molto fruibile con cui narriamo i luoghi”.

Quali fonti avete utilizzato?

“Le nostre fonti sono i documenti, i libri, le testimonianze: cerchiamo di valorizzare anche in questo campo i beni archivistici e librari che l’Italia conserva, parte non indifferente del patrimonio per cui siamo giustamente famosi nel mondo”.

Qual è la risposta del pubblico?

“I dati parlano da soli. Abbiamo raggiunto ascolti straordinari: se penso alla puntata su Lucca, ha raggiunto lo share del 23%, il risultato più alto di RaiUno fino al TG1 delle 20; la copertura netta è di 4.400.000, con un ascolto medio di due milioni e un +1,8% ad ogni puntata. Il format è originale, la progettazione editoriale è curata, ecco perché siamo premiati dall’apprezzamento del pubblico”.

Quali saranno le prossime tappe? Verrà toccata di nuovo anche la Sicilia?

“Brescia, Palermo, Recanati e quindi le Marche, la Puglia… non ci fermiamo”.

Quali altre novità ci sono nel programma? Ha in mente nuovi spunti, magari per le prossime puntate o per la nuova stagione?

“Intanto mi piace ricordare la rubrica “Naturosa”, che presenta itinerari naturalistico-paesaggistici e curiosità relative alla natura che circonda le città che narriamo o che, nel caso dell’Etna, caratterizza la regione: i parchi nazionali, i segreti e le risorse delle terre visitate, ecco la particolarità di “Naturosa”. Nella puntata su Noto ci è piaciuto riproporre – ma secondo un nuovo punto di vista, con un taglio differente – la nostra visita al vulcano. Ricordo sempre che la nostra ottica è quella della valorizzazione del patrimonio Unesco, di cui l’Italia è ricchissima: Noto e l’Etna, Agrigento, Modica con il suo cioccolato o la zona di Marzamemi con i prodotti di tonnara.

…La nostra visione è grandangolare. Allo studio c’è comunque anche una nuova rubrica che per ora è top secret” (ma ci facciamo promettere che “La Civetta di Minerva” sarà presente quando “Paesi che vai” tornerà in Sicilia).

Guida d’eccezione, che ha accompagnato Livio Leonardi e che guiderà i telespettatori alla scoperta delle bellezze della perla del Barocco siciliano, è la netina Eleonora Nicolaci. Che non è soltanto una guida turistica preparata, ma appartiene alla famiglia che forse più di tutte ha caratterizzato la storia di Noto (“La Civetta di Minerva” ha recensito il libro uscito per i tipi della Libreria Editrice Urso e che ricostruisce la storia dei Nicolaci dalla fondazione della casata alla fine del XVIII secolo, approfondendo eventi fondamentali per la storia netina e non solo come il terremoto del 1693); Eleonora Nicolaci, che si occupa di ricettività turistica anche grazie alla struttura aperta un anno fa, incentrata sulla fotografia e i siti più significativi del Val di Noto (il B&B PhotoGuest, cui dobbiamo nella persona di Giovanni Tumminelli i crediti delle fotografie che accompagnano l’articolo), passeggiando e dialogando con Livio Leonardi per il “giardino di pietra”, la Noto barocca di Santa Chiara e della Cattedrale, di Palazzo Nicolaci e delle altre splendide location della puntata di “Paesi che vai”, ha descritto e narrato con grazia e competenza la storia dei siti visitati. Ecco le sue parole sull’esperienza vissuta.

“Essere chiamata dall’autore della trasmissione per la mia pubblicazione su Noto e la famiglia Nicolaci e quasi contemporaneamente dal Comune per essere la guida per la puntata è stata una grandissima soddisfazione, come pure poter fare un salto nel mondo di mamma Rai: vedere il dietro le quinte, collaborare alla creazione della puntata, conoscere Livio Leonardi e la sua troupe, incoraggiante e paziente, che ci ha messo il cuore e anche di più per confezionare un prodotto di divulgazione sulla splendida e maestosa Noto, che spero sia conosciuta e amata sempre di più, è stata un’esperienza unica”.

E per voi…

Avete perso la puntata su Noto? Ecco a voi 😉
http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=2993:nelle-biblioteche-siracusane-avviato-il-prestito-digitale&catid=17&Itemid=143

Nelle biblioteche siracusane avviato il prestito digitale

MARIA LUCIA RICCIOLI
Mercoledì, 28 Marzo 2018 19:28
Per diletto o per studio, volete consultare dei libri? Basta accreditarsi e accedere al sistema Mlol, avrete gli ebook sull’iPad, smartphone, PC…

 

La Civetta di Minerva, 16 marzo 2018

Non solo carta, verrebbe da dire. Le biblioteche siracusane offrono la possibilità – è novità di questi giorni – di accedere al prestito digitale. Basta accreditarsi in biblioteca e accedere al sistema MLOL (Media Library On Line) con le credenziali fornite e… con un click si potranno leggere degli ebook. I libri digitali (se ne potrà richiedere il prestito di due al mese) saranno disponibili sui dispositivi dell’utente per quattordici giorni: si potrà quindi leggere gli ebook scelti sull’iPad, sullo smartphone, sul PC…

E non solo: la piattaforma Media Library offre anche un’App dedicata per permettere ai lettori di esplorare le liste di ebook disponibili, informarsi sulle novità, gestire le proprie liste personali e molto altro.

La biblioteca si pone quindi sempre più non solo come “deposito” di libri, riviste, documenti, ma anche come fonte di sapere diffuso, per venire incontro alle esigenze di inclusione e per realizzare sempre più concretamente la democratizzazione del sapere tramite una sempre maggiore accessibilità dei testi e delle conoscenze. A questo proposito, molte sono le risorse per la scuola primaria e le scuole secondarie di primo e secondo grado.

Auspichiamo anche che si possa presto espandere il servizio includendo l’edicola on line, che permetterà di accedere a seimila giornali e riviste on line.

Ricordiamo che tutte le biblioteche siracusane fanno parte del Sistema Bibliotecario Siracusano (SBS) che già permetteva di controllare se fosse presente e dove il libro richiesto, ma MLOL permetterà di allargare il prestito e “dematerializzarlo” (non sempre è facile, specie in Ortigia, trovare parcheggio e andare a studiare, a fare ricerche o a partecipare ai corsi e alle presentazioni in biblioteca, nonostante il contatto umano e la professionalità del personale siano impagabili; le biblioteche di quartiere inoltre costituiscono a nostro avviso un importante fattore di aggregazione sociale. Vorremmo sollecitare poi i nostri amministratori a non trascurare l’enorme patrimonio archivistico e librario cartaceo presente nelle nostre biblioteche, specie in quella di via dei SS. Coronati: manoscritti e corrispondenze di letterati, Privilegi e Diplomi che rimandano all’antico passato di Siracusa, incunaboli, cinquecentine e pergamene che se non correttamente conservati rischiano il deterioramento).

“La Civetta di Minerva” ha sperimentato per voi il servizio: è bastato registrarsi in biblioteca e tramite e-mail, ricevute le credenziali, è stato semplicissimo accedere alla piattaforma.

Buona lettura!

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=2958:le-eroine-di-jane-austen-modelli-dell-eterno-femminino&catid=17:cultura&Itemid=143

Incontro letterario-musicale al cine teatro Italia di Sortino, organizzato dal Comune in collaborazione con la Biblioteca Comunale ”Andrea Gurciullo” e il Primo istituto comprensivo “G.M. Columba” di Sortino

La Civetta di Minerva, 2 marzo 2018

“Persuasione” e “Northanger Abbey”(1818) sono due romanzi postumi: mentre il secondo era già terminato nel 1803, il primo è in realtà l’ultima opera completa scritta poco prima dell’aggravarsi della malattia di Addison che ne porterà alla morte l’autrice il 18 luglio del 1817: quindi, quest’anno ricorrono duecento anni esatti dalla pubblicazione di due dei sei romanzi canonici – gli altri sono naturalmente “Orgoglio e pregiudizio”, “Ragione e sentimento”, “Emma” e “Mansfield Park” – di Jane Austen, il bicentenario della cui scomparsa è stato celebrato nel 2017.

L’autrice inglese, letta, parodiata, reinventata, frequentata dal teatro e dal cinema (ricordiamo per tutti “Il club di Jane Austen”), gode di un successo imperituro: Catherine, Anne, Elizabeth, Elinor e Marianne, Emma e Fanny, le sue eroine, sono modelli dell’eterno femminino in lotta per la propria affermazione nonostante l’epoca Regency e la nostra sembrino agli antipodi. La Austen, ironica e pungente, genio universale che è sbagliato imbrigliare nell’assurda categoria dei “romanzi per signorine” sebbene le apparenze mostrino il contrario – gli eventi storici non sembrano toccare i suoi romanzi, che ruotano intorno a balli, intrighi matrimoniali, pettegolezzi, concerti casalinghi, picnic –, ritrae con la sua penna acuta la piccola nobiltà di campagna e la borghesia che tenta la scalata sociale: nulla sfugge alla sua penna acuta che lavora su “tre o quattro famiglie in un villaggio di campagna” come un incisore, come un monaco alle prese con le miniature di una pergamena; la Austen paragonava infatti il proprio lavoro ad un “pezzettino di avorio, largo due pollici”, modellato “col più fine dei pennelli, in modo da produrre il minimo degli effetti col massimo dello sforzo”: nonostante una biografia apparentemente priva di avvenimenti rimarchevoli, la profondità della riflessione e la vastità dell’immaginazione – sense and sensibility, razionalismo illuminista e romanticismo ottocentesco, che la Austen comunque aborriva e parodiava nei suoi eccessi lacrimevoli e gotici – l’hanno resa universalmente nota e apprezzata sia dai lettori che da studiosi e critici.

Lo scorso anno, la pianista Donatella Motta e la docente e scrittrice Maria Lucia Riccioli, qui in veste di voce narrante, si erano rese protagoniste di un aperitivo letterario a tema Jane Austen organizzato dalla dottoressa Paola Cappè, impegnata nel diffondere l’amore per i libri e la lettura con varie iniziative che ruotano intorno alla biblioteca Agnello di Canicattini Bagni (SR); quest’anno, venerdì 2 marzo scorso il recital è stato riproposto all’interno dell’incontro letterario-musicale “Vi presento Jane Austen” che si è tenuto presso il CineTeatro Italia a Sortino. L’evento è organizzato dal Comune di Sortino in collaborazione con la Biblioteca Comunale ”Andrea Gurciullo” e il Primo istituto comprensivo “G.M. Columba” di Sortino: le classi seconde della scuola secondaria di primo grado – da rimarcare la sensibilità della docente Lisa Manca, oltre che l’impegno della dottoressa Maria Sequenzia, che ha fortemente voluto il progetto – hanno presentato un lavoro di ricerca sulla scrittrice che si è concluso con il recital del duo siracusano.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=2929:la-prof-gringeri-pantano-dona-un-prezioso-libro-ad-avola&catid=17&Itemid=143

La prof. Gringeri Pantano dona un prezioso libro ad Avola

MARIA LUCIA RICCIOLI
Giovedì, 08 Marzo 2018 13:55
Le “Osservazioni geognostiche e geologiche sopra i terreni” di quella città, scritto da Pompeo Interlandi nel 1837. Nel cinquantenario della Pro Loco ne è stata tratta una ristampa anastatica

La Civetta di Minerva, 2 febbraio 2018

Riflettere sul terremoto del 1693 e sugli studi che nell’Ottocento venivano denominati di “Geognosia” non è questione oziosa, anzi ma permette non solo agli storici – compresi gli storici della scienza – ma anche ai geologi e agli esperti di sismi di comprendere meglio la natura del nostro territorio, ovvero quello della Sicilia sudorientale che ebbe a soffrire maggiormente di una delle catastrofi più gravi della storia moderna se non della storia umana e della Terra in generale, oltre che a permettere insieme alle nuove scoperte di approntare soluzioni per affrontare eventuali nuovi eventi sismologici.

In occasione del cinquantesimo anniversario della fondazione della Pro Loco di Avola (2017) è uscita laristampa anastatica di uno studio del 1837, presente negli Atti della celebre Accademia Gioenia di Catania, scritto da Pompeo Interlandi e Sirugo principe di Bellaprima, calatino di origine ma vissuto fin dalla prima infanzia ad Avola, la cui biografia – che risente degli stilemi del tempo e della prassi elogiativa dei concittadini illustri –, lavoro del botanico Giuseppe Bianca, è posposta al saggio, intitolato “Osservazioni geognostiche e geologiche sopra i terreni di Avola” (uscito per i tipi della tipografia di Andrea Norcia a Noto).

L’esemplare, ritrovato presso l’Antica Libreria di San Gregorio di Catania, è stato donato dalla professoressa Francesca Gringeri Pantano alla Biblioteca comunale di Avola che porta il nome di Giuseppe Bianca (intellettuale che coltivò sia interessi scientifici che umanistici: ricordiamo che si occupò anche della poetessa e patriota netina Mariannina Coffa, incoraggiandone il cammino poetico).

Nel saggio l’Interlandi dà notizia della tipica pietra calcarea giurgiulena, delle conchiglie ivi contenute, della Grotta di Marotta, temperando le teorie illuministiche con la lezione del suo maestro Carlo Gemmellaro: la geologia si sta differenziando e specializzando nell’ambito delle Scienze naturali e ne è prova lo studio litologico, paleontologico e stratigrafico che Interlandi mostra di aver compiuto sul territorio in esame.

Lo studioso della scienza troverà motivi di interesse nei riscontri fra quanto si conosceva all’epoca di Interlandi e quanto di nuovo le indagini moderne abbiano acquisito, mentre il linguista apprezzerà le chicche rappresentate da parole desuete e impianto retorico tipici dello scrivere del tempo; l’elogio di Giuseppe Bianca consente invece, al di là del motivo encomiastico, di gettare una luce sulla nobiltà ottocentesca, sulla reazione del ceto nobiliare e borghese ai moti e alle rivoluzioni degli anni Trenta dell’Ottocento, al Quarantotto e al Risorgimento con tutte le problematiche relative alla rappresentanza parlamentare e ai nuovi equilibri tra i ceti, oltre che sulla formazione intellettuale di un rampollo della nobiltà siciliana quale l’Interlandi, visto anche nelle sue componenti umane e nei complicati rapporti familiari.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=2863:restauratori-vengono-a-specializzarsi-qui-da-tutto-il-mondo&catid=17&Itemid=143

Fila ininterrotta di visitatori alla mostra dei sarcofagi egizi. Il professor Teodoro Auricchio (Istituto Europeo del Restauro): “Il restauro è un lavoro di équipe”. L’effetto sui minori: dopo la visita, un bambino è ritratto come un Egizio dalla sorella

La Civetta di Minerva, 19 gennaio 2018

Prosegue ancora, fino al 15 aprile 2018, la mostra egizia “La porta dei sacerdoti – I sarcofagi egizi di Deir-el Bahari” presso l’ex monastero e Chiesa di Montevergini in Ortigia.

Grande il successo di pubblico per questa che è molto più di un’esposizione: secondo le nuove tendenze della valorizzazione dei reperti, la fruizione è unita al contatto con i restauratori grazie alla futuristica cabina che permette di vederli al lavoro su questi antichi manufatti di legno – spesso composti di diversi pezzi assemblati data la cronica mancanza di legno in Egitto –, limo, creta, poi dipinti con scene figurative e non solo geroglifici tratti dal Libro dei Morti come nella XXVI dinastia.

Si tratta di pezzi unici e rarissimi a dominante giallo ocra, provenienti dalla Collezione Egizia del Musées Royaux d’Art et d’Histoire di Bruxelles ed appartenenti ad un periodo poco conosciuto della civiltà egizia, il terzo periodo intermedio, corrispondente alla XXI Dinastia (1070-900 a.C.). Provengono dal Secondo Nascondiglio di Deir el Bahari, comunemente conosciuto col nome moderno di “Bab el Gasus” che significa “La Porta dei Sacerdoti”, da cui il titolo della mostra. La tomba collettiva, scoperta casualmente nel 1891, comprendeva non meno di 450 sarcofagi ed un numero incalcolabile di suppellettili funerarie (splendidi gli ushabti, le statuette che avrebbero fatto da servitori ai defunti).

Il lavoro affascinantissimo di datazione – per vari motivi la tomba venne svuotata senza che se ne disegnasse una mappa precisa, che avrebbe permesso di collocare meglio nel tempo mummie e sarcofagi – e restauro ci viene raccontato non solo con competenza ma anche con signorile gentilezza dal professor Teodoro Auricchio dell’Istituto Europeo del Restauro: “Nel momento in cui restauriamo, proponiamo gli interventi. A questo punto si riuniscono i conservatori e i restauratori e si discute per decidere una linea comune: ad esempio, togliere tutto quanto non era originale, le integrazioni alle lacune… La diagnostica (a raggi infrarossi, ultravioletti) continua anche durante l’intervento. È un lavoro di équipe (esperti di diagnostica, restauratori, egittologi) e la comunicazione tra i portatori di diverse competenze è continua. Oltre ai miei due collaboratori, i restauratori, che vengono a specializzarsi qui, provengono un po’ da tutto il mondo (Taiwan, India, Galles, Bulgaria…)”.

Il professore ci ha illustrato non solo i reperti in mostra ma anche le tecnologie utilizzate per restaurarli, come gli occhiali che permettono al restauratore sia la visione normale che quella modificata, che offre a chi guarda la visione ad infrarossi e ultravioletti e quindi le risultanze di Tac, radiografie, analisi fisiche e chimiche (sui pigmenti, la composizione dei legni, la struttura, le parti moderne di raccordo…), oltre che filmare quanto si sta operando.

Scoperta nella scoperta, questi sarcofagi sono delle vere e proprie capsule del tempo: un biglietto da visita dell’Ottocento, rimasto nascosto all’interno di uno dei reperti, porta il nome di Armand Bonn. Il tempo dischiude i suoi portali e ci catapulta fino all’8 febbraio del 1864, quando la mano dell’esperto in “riparazioni invisibili” pensò di immortalare il proprio lavoro e di lasciare un messaggio ai restauratori del futuro: chissà che il lavoro del professore e della sua squadra non rivelino altre sorprese…

Emozionante anche leggere i nomi delle cantatrici di Amon, ammirare una stele dell’epoca di Tutmosi III, le corone di fiori che erano posate sulle mummie di Ramses II e Seti I o il papiro che ci racconta la storia del processo a quello che chiameremmo un “tombarolo”: testimonianze uniche che ci riportano ad un passato remotissimo che si rende presente ai nostri occhi interessati e stupiti.

La mostra prevede sconti particolari e “offerte” pensate per i gruppi, le famiglie, le scuole e in particolare (com’è avvenuto per l’Epifania) per i bambini: la mascotte Mumy – raffigurata nelle didascalie durante il percorso dedicato ai più piccoli con attività e testi dedicati – il 6 e 7 gennaio scorsi ha donato ai bambini presenti alla visita guidata offerta dal museo dei dolci offerti dalla pasticceria Condorelli.

Ecco le impressioni di Paolo, dieci anni, che è stato ritratto in vesti di Egizio con tutta la famiglia dalla sorellina Miriam, otto.

Cosa ti è piaciuto di più della mostra?

“I sarcofagi della diciannovesima dinastia, perché erano più antichi e più poveri di quelli della ventesima e ventunesima”.

Ti ha fatto impressione la mummia del bambino? (Non appartiene ai sarcofagi ritrovati, ma è stata inserita per completezza espositiva).

“Sì, tanto”.

E cosa ne pensi del professore?

“Molto intelligente e molto informato su un sacco di cose, infatti ha dato una spiegazione molto dettagliata”.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=2867:la-produzione-dei-pellami-a-noto-prima-del-terremoto-del-1693&catid=17&Itemid=143

Convegno dell’Archeoclub di Noto dedicato alla memoria del tragico evento. Nelle giornate di studio si è parlato anche dei mulini

La Civetta di Minerva, 19 gennaio 2018

Presso la sala Gagliardi del palazzo Trigona a Noto, si è appena conclusa la quinta edizione del convegno “Nella ferita la cura – 11 gennaio 1693”, organizzato dall’Archeoclub sezione Noto e dedicato alla memoria e alle indagini sul terremoto che trecentoventicinque anni fa sconvolse la Sicilia, specie sud orientale.

Durante le giornate di studio, incentrate soprattutto sulle concerie di Noto antica, i relatori – Laura Falesi, Antonino Attardo, Luigi Lombardo, Giuseppe Libra, Susanna Falsaperla, Simona Caruso, Danilo Reitano, Riccardo Merenda – hanno esposto lo “stato dell’arte” sull’argomento, sia in un’ottica di studio che di valorizzazione, a partire ad esempio da Cava Carosello e quindi dal paesaggio che rientra nel demanio forestale del territorio in questione. Interessanti le notizie emerse sui mulini e sulla produzione e il commercio dei pellami nel Cinquecento e sulla mappatura dei luoghi studiati, oltre che sull’apporto delle nuove tecnologie in funzione della conoscenza del fenomeno terremoto.

L’approccio ha mirato a integrare l’aspetto umanistico e quello scientifico: pensiamo al lavoro dello studioso Dario Burgaretta sulla strage di ebrei nel 1474, fenomeno tutt’altro che isolato – la persecuzione contro gli ebrei ha vissuto momenti di stasi e di recrudescenza legati anche alla “concorrenza” economica nell’ambito del lavoro di conciatore e tintore – e alla collaborazione di giovani archeologi (Eleonora Listo, Paolo Amato, Pietro Tiralongo, Pasquale Sferlazza, Vanessa Leonardi, Sara Andolina) nel lavoro di rilievo e rappresentazione grafica dei siti analizzati.

Il convegno è stato arricchito dalla passeggiata alle concerie di Noto antica nella valle del Carosello e damomenti musicali come il concerto di Carlo Muratori, che ha eseguito “La Cantata di li Rujni”, eco delle memorie dei cantastorie, lavoro che questo giornale ha avuto modo di recensire; Maria Teresa Arturia voce, fisarmonica e piano, e Francesco Bazzano alle percussioni hanno accompagnato l’artista nella Chiesa di Sant’Antonio.

Altra “chicca” è stata l’esecuzione di alcuni brani tratti dalla Messa di Requiem composta da Mario Capuana, autore tra l’altro di mottetti e altre composizioni, maestro di cappella della Chiesa Madre di San Nicolò a Noto Antica tra il 1643 e il 1646 (soprano Corrada Fugà, Ermenegildo Mollica tenore, Raffaele Schiavo alto, Alfonso Lapira basso, si sono esibiti insieme a Joachim Klein al violoncello e ad Andrea Schiavo all’arciliuto; il violinista Gabriele Bosco insieme agli altri due strumentisti ha invece eseguito musiche di Arcangelo Corelli).

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=2834:fake-news-fattoidi-e-fiction-specie-i-minori-indifesi&catid=15:attualita&Itemid=139

Don Fortunato Di Noto ammonisce i genitori e la scuola a vigilare su ciò che i ragazzi fanno con smart phone e computer

La Civetta di Minerva, 15 dicembre 2017

Stimolata da un’indagine social del professor Massimo Arcangeli, docente di linguistica italiana ed ex-preside della facoltà di lingue e letterature straniere presso l’Università degli Studi di Cagliari, rifletto insieme a voi lettori sullo statuto di verità che chiediamo alle cose, all’informazione, all’entertainment, alla letteratura e all’arte in genere.

Una delle espressioni dell’anno che sta per concludersi è certamente “fake news”, che fa il paio con la nostrana “bufala” e il trio con “fattoide”, notizia priva di fondamento, ma diffusa e amplificata dai mezzi di comunicazione di massa al punto da essere percepita come vera: sarebbe imminente un pronunciamento del nostro Parlamento per arginare il fenomeno della diffusione in rete di informazioni e notizie false – postate più o meno artatamente –, ma è bene che scuola e famiglia, specie per proteggere i minori in rete, si attivino per insegnare a bambini e ragazzi a navigare su Internet in maniera consapevole (e comunque resta valido e semmai si rafforza l’invito di associazioni come Meter e di esperti come Don Di Noto a vigilare sui minori che utilizzano sempre più smartphone e computer e a non postare immagini e video dei propri figli, dato l’uso sconosciuto e spesso criminoso che di tali dati può essere fatto, specie in un’ottica di lotta contro la pedofilia).

Attenzione dunque sia alle notizie non verificate – spesso basta una rapida conferma da parte di un motore di ricerca, sia per i testi che per le immagini o i video –, ma in effetti ci sarebbe da fare un lungo discorso sugli statuti di verità. Passiamo, nell’arco della stessa giornata, dall’indignazione contro le fake news (che comunque spesso sono trappole per gonzi: la storia e la letteratura ci riportano innumerevoli casi di notizie non verificate, veri e propri specchietti per le allodole) alla fame di reality, un vero e proprio genere a sé stante in cui di reale c’è ben poco (ci si domanda se le gesta di starlette e giovanotti alla Ken, di freak e gente in cerca di quindici minuti di notorietà siano davvero reali: non è vero ma ci credo, verrebbe da dire, allora dov’è la reality?), alla mai troppo deprecata tv verità: c’è chi sulla televisione del dolore, delle lacrime in diretta, delle riunioni familiari, dei casi umani, ha costruito una carriera.

E non è finita: le cosiddette fiction – a parte l’invasione degli anglismi, non si comprende cosa distingua gli sceneggiati di un tempo da film in due-tre puntate con attori improbabili e sceneggiature copiaincollate da analoghi prodotti d’oltralpe e oltreoceano detti fiction – dal latino fictio, finzioni dunque, recite – in cui spesso “il riferimento a fatti, persone, luoghi e avvenimenti reali è puramente casuale” (formula che può evitare querele, ma dietro cui si nascondono cinquantine di sfumature di verità). A fictional (che nel mondo anglosassone riguarda poesia e narrativa, contrapposte alla saggistica, che è appunto non fictional) di recente si contrappone factual: tale è stata definita una trasmissione con Roberto Saviano per il prevalere di situazioni reali, romanzate solo per esigenze di copione. Insopportabili poi le classiche domande su libri e film: “Ma è una storia vera? È veramente successo?”, che annulla secoli di pratica e teoria artistica e letteraria su reale, naturale, vero e trasfigurazione artistica.

Dato che spesso la confusione linguistica è indice di confusione concettuale, abituiamoci a riflettere sul gradiente di realtà di quanto proponiamo e ci viene proposto per una comunicazione ed informazione, oltre che espressione, più consapevole; rafforziamo il lavoro della scuola, che come obiettivo non solo didattico si propone quello di formare giovani adulti dallo spirito critico; battiamoci per la valorizzazione della ricerca e, nel campo dell’intrattenimento, per contenuti più formativi e meno banalmente massificati, altrimenti, dato che nel 2018 dovrebbe essere inammissibile contraddire millenni di scienza con affermazioni sulla Terra piatta o gravidanze ai limiti dell’alieno, non dovremo più stupirci di gruppi di “mamme pancine et coetera” o di “Earth flatters”, concentrati di fake news, fattoidi, bufale, purtroppo non fictional ma factual.

Ancora una volta una giornalista uccisa per le sue indagini

MARIA LUCIA RICCIOLI
Venerdì, 17 Novembre 2017 11:32
Daphne Caruana Galizia, mezz’ora prima di morire, scrisse: “A Malta c’è corruzione ovunque”. Un quotidiano americano l’aveva definita “una delle 28 persone che stanno formando, scuotendo e agitando l’Europa”.

 

La Civetta di Minerva, 3 novembre 2017

Si allunga la lista dei martiri della parola. È di pochi giorni fa la terribile notizia della morte di Daphne Caruana Galizia, giornalista e blogger maltese la cui colpa è stata quella di usare l’arma della penna e della tastiera contro intimidazioni e bombe per indagare sulla corruzione che a Malta sembra dilagare come un cancro che metastatizza nell’affarista e forse complice Europa.

Laureata in archeologia, madre di tre figli, è stata una firma regolare per The Sunday Times e redattrice associata per The Malta Independent, oltre che direttrice della rivista Taste & Flair.

Curava un popolare e controverso blog dal titolo Running Commentary, contenente segnalazioni investigative; diverse le battaglie legali dovute proprio alla pubblicazione di post su magistrati e leader politici ed importanti le sue rivelazioni sulla corruzione e la mancanza di trasparenza a Malta. Il quotidiano americano “Politico” ebbe a definirla come una delle “28 persone che stanno formando, scuotendo e agitando l’Europa”.

Minacciata di morte – dopo aver sostenuto che una società panamense fosse di proprietà della moglie del primo ministro Muscat e aver criticato Delia, leader dell’opposizione nazionalista –, Daphne Caruana Galizia è rimasta uccisa lo scorso 16 ottobre nell’esplosione di un’autobomba.

Unanimi e di circostanza i cori di condanna dell’accaduto ma diversa è la posizione della famiglia: in un messaggio su Facebook uno dei figli della donna –  giornalista appartenente all’International Consortium of Investigative Journalists – ha mosso forti accuse contro le autorità di Malta, in cui Stato e crimine organizzato sarebbero indistinguibili, responsabili e complici a suo dire dell’assassinio della madre.

Sospeso dal servizio e indagato un sergente di polizia maltese per il commento all’omicidio della giornalista in cui ha affermato che «Tutti hanno quello che si meritano, merda di vacca. Sono felice».

Al di là di questo e del prosieguo delle indagini – coinvolta anche l’FBI –, colpiscono le ultime parole scritte da Daphne Caruana Galizia sul suo blog mezz’ora prima della morte: “There are crooks everywhere you look now. The situation is desperate” (“Ora ci sono corrotti ovunque guardi. La situazione è disperata).

Non meno toccanti – sia dal punto di vista personale che da quello deontologico: cosa possono le parole di una giornalista coraggiosa contro quella che è stata definita la “cleptocrazia” del Mondo di Mezzo, il potere occulto che viene a patti con la malavita organizzata per tenere in piedi un impero basato sulla corruzione? – le parole del figlio di Daphne Caruana Galizia: «Mia madre è stata uccisa perché si è messa tra la legge e quelli che cercavano di violarla, come molti bravi giornalisti. Ma è stata colpita perché era l’unica persona a farlo. È questo quello che succede quando le istituzioni sono incapaci: l’ultima persona rimasta in piedi è spesso una giornalista. Il che la rende la prima persona a essere uccisa».

Ricordiamo ai lettori che nei primi 273 giorni del 2017 l’Osservatorio Ossigeno ha documentato minacce a 256 giornalisti ed ha inoltre ha reso note minacce ad altri 65 giornalisti per episodi degli anni precedenti conosciuti dall’Osservatorio solo di recente; dietro ogni intimidazione documentata dall’Osservatorio almeno altre dieci resterebbero ignote perché le vittime non hanno la forza di renderle pubbliche.

Questo dovrebbe farci riflettere sul lavoro dei giornalisti, profeti disarmati del nostro tempo, sentinelle contro abusi e corruzione, spesso voce di chi non ha voce.

 

LA CIVETTA DI MINERVA del 22 giugno 2018

22 venerdì Giu 2018

Posted by mlriccioli in Eventi culturali, Letteratura, Musica, scuola

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Ecco il link ai miei ultimi articoli usciti sul cartaceo e poi confluiti nel sito…
http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3219:cetti-curfino-nacque-dalla-di-una-40enne-dietro-le-sbarre&catid=17&Itemid=143

Mauceri: “L’uso del dialetto non ha a che fare con lo stile di Camilleri. Cetti è bella ma ignorante…”

L’evento di domani 9 giugno (alle ore 19,30 presso il teatro dei pupi nella storica e splendida Giudecca di Siracusa) è l’occasione per vedere simultaneamente all’opera tanti talenti ed eccellenze siracusane: Simona Lo Iacono, magistrato e scrittrice, presenterà infatti il nuovo romanzo di Massimo Maugeri “Cetti Curfino”, uscito per i tipi de La Nave di Teseo; la storia della bella e sfortunata Cetti – woman is the nigger of the world, verrebbe da dire con le parole di John Lennon – sarà inscenata dai fratelli Vaccaro-Mauceri, eredi e continuatori della storica dinastia di pupari siracusani: la rappresentazione (inserita nella rassegna “Libri da bere, Vini da leggere” curata dalla Lo Iacono insieme ad Elena Flavia Castagnino, con la Fildis Siracusa) avrà come voci narranti Alfredo Mauceri e Arianna Vinci, mentre le coreografie e i movimenti di scena saranno a cura di Daniele Carrubba e Daniel Mauceri.

“La Civetta di Minerva” ha incontrato per voi Massimo Maugeri, che nel settembre 2017, nell’ambito di NaxosLegge, ha ricevuto il premio “Promotori della Lettura e del Libro”: il blogger catanese (suo è il fortunato “Letteratitudine”, che oltre ad avere un’appendice dedicata alle news culturali ha una propaggine radiofonica su Radio Polis; una nutrita selezione di autori, opere e discussioni ospitate è confluita in volume per Azimut, Historica e LiberAria), è autore, tra l’altro, di “Identità distorte” (Prova d’Autore, 2005 – Premio Martoglio – finalista al Premio Brancati), del racconto lungo “La coda di pesce che inseguiva l’amore” (Sampognaro & Pupi, 2010 – Premio “Più a Sud di Tunisi” 2011), scritto a quattro mani con Simona Lo Iacono; del saggio/reportage “L’e-book è (è?) il futuro del libro” (Historica, 2011); della raccolta di racconti “Viaggio all’alba del millennio” (Perdisa Pop, 2011 – Premio Internazionale Sebastiano Addamo – Selezione “Premio dei Lettori” di Lucca 2011-2012) e, per le edizioni E/O, del romanzo “Trinacria Park” (Premio Vittorini 2013 – finalista Premio Letterario Minerva “Letteratura di impegno civile” 2013 – Selezione “Premio dei Lettori” di Lucca 2013-2014), inserito da Panorama nell’elenco dei 10 migliori romanzi italiani pubblicati nel 2013.

Questo tuo romanzo ha una genesi “multimediale” potremmo dire: da racconto a testo teatrale a romanzo. Ti va di parlarcene?

È proprio così. Il personaggio Cetti Curfino appare per la prima volta in un racconto pubblicato all’interno della mia raccolta intitolata “Viaggio all’alba del millennio” (Perdisa Pop, 2011). Posso dire che, originariamente, la mia Cetti nacque nell’ambito di una specie di visione. Nella mia mente apparve l’immagine di questa bella quarantenne che, aggrappata alle sbarre della cella di una prigione, desiderava raccontare la sua storia: «Intanto per incominciare è meglio che chiariamo un punto», diceva. Chi era questa donna? Cosa voleva raccontare? E perché si trovava in prigione? Le diedi spazio, cominciai ad ascoltarla e a trascrivere la sua storia (che era frutto, ovviamente, della mia fantasia, ma che si dipanava sulla carta quasi come fossi sotto dettatura). Immaginai che Cetti volesse scrivere una lettera al commissario di polizia che l’aveva arrestata. Non tanto per giustificarsi, quanto piuttosto per mettere in risalto tutte le vicissitudini e le disgrazie che avevano preceduto il crimine che si era trovata a commettere.

Qualche anno dopo fui contattato dal regista Manuel Giliberti. Aveva letto il racconto e ne era rimasto molto colpito. Mi propose di adattarlo per una pièce teatrale. “Ho in mente l’attrice perfetta per questo ruolo”, mi disse. L’attrice in questione era Carmelinda Gentile. Aveva ragione. Carmelinda era (ed è) davvero perfetta per interpretare Cetti Curfino. Quando assistetti alla prima dello spettacolo ne rimasi così emotivamente travolto che decisi che la mia Cetti doveva avere altro spazio… perché aveva ancora molto altro da dire. Così mi buttai a capofitto nella scrittura di questo romanzo, coinvolgendo nuovi personaggi (in primis il giovane giornalista Andrea Coriano, che desidera raccontare la storia di Cetti in un libro) e proponendo nuove prospettive, nuove trame e nuove tematiche.

Il linguaggio utilizzato sia nel racconto che nella versione teatrale che adesso in quella “romanzesca” trova uno dei punti di forza nel linguaggio forte e dall’impronta dialettale cucito addosso a Cetti. Come hai strutturato il modo di parlare della tua protagonista? Molti critici storcono il naso di fronte a certo “camillerese”: come ti poni a tal proposito scrivendo?

Cetti è bella, ma profondamente ignorante. Quindi la sua lettera al commissario non poteva non risentire di questa sua condizione linguistica e subculturale. Non c’è alcun riferimento allo stile narrativo del buon Camilleri, per la verità. Qui c’è una donna che si sforza di riportare in un italiano pasticciato e sgrammaticato espressioni che conosce in siciliano, nonché modi di dire comuni che ha appreso a modo suo e che trascrive sulla carta spesse volte storpiandoli. C’è un evidente contrasto tra la forte drammaticità delle dolorose vicende raccontate da Cetti e alcuni strafalcioni che spesse volte fanno sorridere. È il suo linguaggio. Il linguaggio di Cetti. Lo definisco come “cetticurfinese” ed è paradossalmente dotato di sue regole interne.

Sembra proprio che la tua Cetti sia legata a Siracusa – il premio internazionale Sicilia “Il Paladino”, i nostri attori e pupari Vaccaro Mauceri, i nostri attori Arianna Vinci e Carmelinda Gentile, straordinaria interprete quest’ultima – oltre ad essere una dotata interprete del teatro classico e contemporaneo e ad incarnare la Beba de “Il commissario Montalbano” – della Cetti “teatrale”… Qual è il tuo rapporto con la nostra Siracusa?

Cetti Curfino è senz’altro molto legata a Siracusa, così come lo sono io. Ho tantissimi amici che abitano in questa città, che è una delle più belle città d’Europa (non è un caso che, soprattutto da qualche tempo a questa parte, “esplode” di turisti). A parte l’amicizia che mi lega a te, Maria Lucia, e alla cara Simona Lo Iacono (che ha allestito il bellissimo spettacolo dove i pupi siciliani dei Vaccaro-Mauceri interpretano la storia di Cetti Curfino), oltre a già nominati Carmelinda Gentile e Manuel Giliberti, potrei citare tantissimi altri amici. Evito di farlo, per evitare di dimenticare qualche nome… ma sono proprio tanti. Spero di rivederli in occasione della presentazione siracusana di “Cetti Curfino”. Sarà una bella festa.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3225:francesco-costa-dal-noir-all-horror-de-il-dottor-neanderthal&catid=17&Itemid=143

Francesco Costa, dal noir all’horror de “Il dottor Neanderthal”

MARIA LUCIA RICCIOLI

Sabato, 30 Giugno 2018 14:04

Sullo sfondo di una barocca Lecce dalle tinte gotiche, il protagonista invischiato in una trama suggestiva.“Anche i paesaggi roventi di sole sono ottimo sfondo per i mistery”

 

La Civetta di Minerva, 8 giugno 2018

Francesco Costa, scrittore e sceneggiatore napoletano (ricordiamo le esperienze cinematografiche e teatrali, anche attoriali, con nomi del calibro di Peter Dal Monte, Roberto Rossellini e Silvano Agosti, i lavori per la Lancio e le collaborazioni con importanti fumettisti, l’attività di recensore, la stesure di voci su attori cinematografici per la Treccani, i romanzi come “La volpe a tre zampe”, trasposto nel film di Sandro Dionisio interpretato da Miranda Otto, Nadja Uhl e Angela Luce, e “L’imbroglio nel lenzuolo” di Alfonso Arau con Maria Grazia Cucinotta, Anne Parillaud e Geraldine Chaplin), a Catania (presso la Libreria Catania) e Siracusa (Casa del Libro Rosario Mascali) ha presentato il suo ultimo lavoro, il primo di una trilogia, “Dottor Neanderthal – Il colore morto della mezzanotte”, edito da Cento Autori.

“È scivolato suo malgrado dentro una spirale perversa che, avvolgendosi attorno a un susseguirsi di sanguinosi eventi, si sviluppa verso soluzioni preoccupanti. Che cosa gli riserva il futuro?”.

“Il dottor Neanderthal” è incentrato, come tutti i personaggi dei romanzi di Costa, sulle vicende di un personaggio un po’ sprovveduto, in questo caso lo scrittore Leonardo Corona: sullo sfondo di una barocca Lecce dalle tinte gotiche il protagonista si trova invischiato in una trama che gli svelerà verità sconvolgenti.

Ne parliamo con l’autore.

Tu hai scritto un romanzo noir, “Orrore Vesuviano” (Bompiani, 2015), arrivato semifinalista al Premio Scerbanenco e adesso ti cimenti nel genere fantastico virando sull’horror, immaginando che i Neanderthal non si siano estinti e che addirittura siano stati le prime vittime di genocidio della storia umana: una storia originale e raccontata con ritmo ed eleganza, cogliendo le suggestioni della cronaca e dei reperti che ci narrano un passato remoto ma in fondo parte del nostro stesso codice genetico.

Calvino affermava che la Sicilia – ma potremmo estendere l’affermazione a tutto il Sud – non sarebbe adatta al giallo e potremmo dire meno che mai al noir e addirittura al gotico, che richiederebbero le atmosfere brumose del Nord. Con il tuo lavoro tu sembri smentire questa affermazione. Cosa puoi dirci in proposito?

Sicuramente si sbagliava. Il Sud è stato il fosco teatro dei primi romanzi gotici inglesi come il celeberrimo “Il castello di Otranto” (1764) di Horace Walpole, considerato il capostipite del genere, e seguito nel corso dei secoli da numerose altre opere di questo tono, scritte da romanzieri italiani, come “I misteri di Napoli” (1869) di Antonio Mastriani e “I Beati Paoli” (1909) di Luigi Natoli, fino ad arrivare ai nostri giorni con il successo di autori più sofisticati come Leonardo Sciascia e Andrea Camilleri. Attualmente le classifiche dei libri più venduti comprendono molti romanzi gialli ambientati nel Meridione come, per esempio, quelli di Maurizio de Giovanni. Per concludere, non sono soltanto le brumose contrade del Nord a costituire lo sfondo ideale del mystery, ma anche i paesaggi semidesertici e arroventati dal sole accecante delle regioni meridionali. Nel caso di “Dottor Neanderthal” ho trovato che la splendida Lecce, seguita poi da Napoli e da Pozzuoli, fosse lo scenario perfetto per una vicenda che sconfina nel fantastico.

Nello scrivere questo romanzo (dove tra l’altro ritroviamo la tua passione per le donne enigmatiche, direi chandleriane, di certo cinema e di tanta letteratura, il tema dell’inganno e del protagonista apparentemente “ingenuo” che deve decifrare una verità che lo sovrasta, i Leitmotiv della tua produzione artistica) che peso ha avuto la fantasia e quanto invece la ricerca?

Sono andate avanti di pari passo, tenendosi a braccetto come due buone amiche, e dopo la folgorazione che mi ha colpito nel museo preistorico di Lecce (dove ho visto una statua raffigurante

un uomo di Neanderthal che mi ha profondamente suggestionato), non ho fatto altro che tuffarmi in

ricerche scientifiche su cui innestavo invenzioni di pura fantasia. Diciamo che immaginazione e ricerca si sono illuminate a vicenda durante un lavoro di scrittura che è durato praticamente un decennio fra interruzioni e riprese.

Durante la tua presentazione catanese parlavi di scrittori e scriventi: puoi approfondire? E cos’è per te la scrittura?

La scrittura è per me fondamentale come il respiro. È possessione, ispirazione, pienezza. È una vera

e propria militanza. Per gli scriventi è un modo d’illudersi di avere un’identità, un modo di passare il tempo, forse di guadagnare denaro.

Quali consigli daresti a un esordiente, data la tua esperienza di scrittore e sceneggiatore (ricordiamo ai lettori anche i tuoi successi come autore per bambini e ragazzi come “L’orologio capriccioso” o la serie per Touring Junior e la soddisfazione di aver visto tradotti i tuoi libri in Germania, Spagna, Grecia e Giappone)?

Gli suggerirei di indagare quanto sia profondo il suo desiderio di scrivere e, successivamente, di leggere quanti più romanzi è possibile per farsi le ossa e imparare un mestiere che non può limitarsi

all’attesa dell’ispirazione, come generalmente si crede, ma deve essere sostanziato da un’incessante applicazione e da una perfetta conoscenza della lingua italiana. Scrivere per gli altri non può essere

un semplice passatempo.

Quali sono le tue impressioni dopo il tour siciliano? Catania, Milo (per lo stage di scrittura con Luigi La Rosa, che ti ha accompagnato e presentato), Siracusa… Le tue origini sono campane ma anche tedesche quindi ti immagino come uno degli scrittori del Grand Tour affascinati dal Sud e in particolare dalla Sicilia. È così?

Il sommo Goethe scrive in “Viaggio in Italia” che la Sicilia è la chiave di tutto. Per me è un accecante lampo di luce, un tuffo nel sogno, una barca su cui salire per tagliare gli ormeggi con le abitudini di ogni giorno e salpare in direzione di qualcosa d’immenso. In Sicilia conto ormai molti amici che mi accolgono con un affetto che mi sorprende e mi commuove. Pensando a loro, mi conforta l’idea di poter rientrare nel sogno ogni volta che mi sarà possibile. E per osar tanto basta un volo lungo poco più di un’ora.

 

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3199:mito-e-misteri-nelle-opere-di-liz-caffin&catid=17&Itemid=143

 

Mito e misteri nelle opere di Liz Caffin

MARIA LUCIA RICCIOLI
Mercoledì, 20 Giugno 2018 07:55

Mostra dell’artista australiana

Fino al 24 giugno (dalle 10 alle 13 e dalle 17,30 alle 20,30) sarà possibile visitare la mostra “Volare” dell’artista Liz Caffin, inaugurata il 2 giugno scorso e ospitata presso la sala Alexandria di via Cavour 57.

Un palazzo dalle stratificazioni incredibili – ebbene sì, sul portale c’è la famosa iscrizione del 1696 per il restauro della quale si stanno spendendo Antonio Randazzo, Ermanno Adorno e tanti siracusani di buona volontà -, l’accoglienza gentile di Enzo Pennone, instancabile organizzatore culturale (tra tutte le iniziative promosse ricordo ai lettori almeno i convegni dedicati a Sciascia e al nostro Vittorini, oltre a quello sui migranti) ed esperto appassionato di sport – il nostro giornale si è occupato di una sua recente e pregevole pubblicazione sugli sportivi siracusani, in primis gli antichi atleti che hanno reso grande la nostra città anche nel corso dei giochi olimpici.

E poi indoviniamo che la signora discreta e dallo sguardo dolce, che si scusa per il proprio Italiano e loda l’inglese che improvvisiamo per chiacchierare, sia proprio l’autrice delle opere delicate e misteriose che ammiriamo – incisioni, acquetinte, carboncino…  e poi il colore, delicato e mai chiassoso, morbido come le linee sfumate del disegno.

Si mescolano ricordo e sogno, realtà e mito – sì, i miti greci che occhieggiano dalle scene che ci riportano alla Zante di Foscolo, a Zeus e ai suoi mille amori metamorfici, ma anche a miti che vengono fuori dall’immaginazione dell’artista: ammiriamo un uomo-echidna, un ibrido affascinante tra uomo e una specie di ornitorinco tipica e specifica dell’Australia, terra novissima e lontana, primitiva e incontaminata da cui viene Liz Caffin e che l’artista sente come propria insieme all’Europa.

Vicoli, scorci, paesaggi – riconosciamo il nostro mare, quello che d’inverno frusta il lungomare, e poi Piazza Minerva, la Chiesa del Collegio… – si mescolano a visioni fantastiche: foreste e danze sacre, intrecci di rami, gatti e perturbanti silhouette umane su tetti ballatoi altane: ci tornano davanti agli occhi Escher e la sua geometria deformante, oppure i chiaroscuri del Rinascimento tanto amato dalla Caffin, ma qui c’è la mano di un’autrice che illustra anche libri per bambini e i suoi delfini sono creature gioiose che saltano fuori da un incantevole libriccino che si apre come una fisarmonica: qui e in altre piccole deliziose creazioni siamo di fronte ad oggetti artigianali oltre che ad illustrazioni o semplici disegni.

Per saperne di più e ammirare anche virtualmente le opere di Liz Caffin:https://volarelizcaffin.weebly.com/

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3144:teatro-greco-a-ficarra-e-picone-4-repliche-delle-rane&catid=17&Itemid=143

Teatro Greco, a Ficarra e Picone 4 repliche delle Rane

MARIA LUCIA RICCIOLI
Sabato, 19 Maggio 2018 08:20

Un caso unico nella storia dell’INDA. Quale fil rouge lega le rappresentazioni classiche in cartello? Cos’hanno in comune Edipo, Teseo, Eracle e Cleone?

La Civetta di Minerva, 11 maggio 2018

Al via il Festival del Teatro greco di Siracusa, le rappresentazioni classiche che fino al 18 luglio animeranno di poesia, di mito, di parola suoni e movimento l’antica cavea che era il cuore pulsante della polis fondata dai Greci di Corinto nel 734 a.C.

La 54esima edizione delle feste classiche vedrà in scena il Sofocle dell’Edipo a Colono, l’Euripide dell’Eracle el’Aristofane de “I cavalieri”, quest’ultima mai prevista nella programmazione dell’INDA. Qual è il fil rouge che lega le tre rappresentazioni? Cos’hanno in comune Edipo, Teseo, Eracle e il demagogo Cleone? Cos’hanno da dire agli spettatori di oggi grazie al teatro, che per gli antichi era esercizio di democrazia oltre che spettacolo e rito religioso?

“Risparmiai la terra patria, non ricorsi all’amara violenza e alla tirannide né macchiando né disonorando la mia reputazione, e non me ne vergogno: così, credo, maggiore autorità avrò su tutti gli uomini”: queste le parole del legislatore ateniese Solone. “Tiranno” è parola ambivalente, perché indica sia il pacificatore (quello che sarà il “dictator” romano, magistrato supremo nei momenti di crisi): quindi sta nelle diverse sfaccettature e storture del potere il nodo gordiano che avvinghia i protagonisti delle due tragedie e della commedia, monito e stimolo per la riflessione – di certo lo spettatore accorto saprà trovare gli intrecci fra le vicende teatrali e gli avvenimenti politici odierni.

La regia degli spettacoli sarà affidata rispettivamente a Yannis Kokkos – la Grecia della madrepatria nella Magna Grecia: come non pensare ad esempio all’inarrivabile Irene Papas, o alla Callas attrice per Pasolini? , a Emma Dante, coraggiosa e visionaria, e a Giampiero Solari, mentre le traduzioni sono di Federico Condello, Giorgio Ieranò e Olimpia Imperio.

Ficarra e Picone – un unicum nella storia dell’INDA – riproporranno per il secondo anno consecutivo la commedia di Aristofane “Le Rane” in 4 repliche a conclusione dell’intero ciclo firmato anche quest’anno dal regista Roberto Andò in qualità di direttore artistico (12-15 luglio).

Un momento particolare sarà quello da vivere l’11 giugno con Andrea Camilleri e la sua “Conversazione su Tiresia”, sempre per la regia di Roberto Andò: lo scrittore di Porto Empedocle rifletterà su un personaggio del quale può vestire perfettamente i panni sia per l’età che per la condizione di cecità, che per gli antichi – Omero docet – è uno stato di visione forse più profonda dell’essenza delle cose, non solo nemesi e castigo (pensiamo a Edipo e alla sua terribile vicenda).

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3130:peppino-impastato-l-eroe-che-combatte-la-mafia-anche-contro-i-familiari&catid=17&Itemid=143

Peppino Impastato, l’eroe che combatté la mafia anche contro i familiari

MARIA LUCIA RICCIOLI
Giovedì, 17 Maggio 2018

Lorella Rossitto (100 Passi):“Mai come oggi le sue parole e i suoi pensieri devono essere di monito alle nuove generazioni”

La Civetta di Minerva, 11 maggio 2018

Il 9 maggio 1978 non è solo legato alla tragedia dell’assassinio di Aldo Moro, punto di non ritorno della nostra democrazia, ma anche alla morte di Peppino Impastato per mano mafiosa.

Per ricordare l’importanza di questo testimone coraggioso dell’opposizione – giovane, beffarda, dirompente – alla criminalità mafiosa, si è tenuto il sit-in al casolare dove è stato ucciso Peppino Impastato, con la partecipazione delle scuole aderenti al progetto “Diritti negati”, dei vespisti aderenti all’iniziativa “In VESPA contro la mafia”, mentre nel pomeriggio si è svolto il corteo dalla sede di Radio Aut a Terrasini a Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato a Cinisi, con concerto conclusivo serale. Ecco il link con le iniziative progettate per ricordare questo quarantennale così significativo: http://www.ilcompagno.it/9-maggio-2018-9-giorni-di-iniziative-per-ricordare-peppino-nel-40-anniversario-del-suo-assassinio/

La Civetta di Minerva ha contattato per voi Lorella Rossitto, che presiede l’Associazione 100 Passi, per saperne di più.

Cosa rimane a quarant’anni dalla scomparsa della testimonianza di Peppino Impastato?

Peppino Impastato è una figura importante e ancora oggi viene ricordato come un eroe che ha avuto il coraggio di combattere contro lo strapotere Mafioso. Lo ha fatto andando contro persino quello che c’è di più caro, la propria famiglia, e ricordare ancora oggi il suo coraggio è un dovere. Quello che ci resta di Peppino oltre il ricordo, il coraggio e le storie di chi lo ha conosciuto, è l’ideale di libertà e di giustizia sociale in cui credeva, mai come oggi le sue parole e i suoi pensieri devono essere da monito alle nuove generazioni e negli ultimi anni la società sembra aver preso coscienza di cosa è la MAFIA.

Il quarantennale della morte di Peppino arriva proprio mentre viene comprovata l’esistenza della trattativa Stato-Mafia. Che pensate di questa coincidenza significativa?

La sentenza sulla trattativa stato mafia deve essere considerata un fatto storico nel nostro paese, ma non è una vittoria definitiva e non bisogna abbassare la guardia. Tra i condannati vogliamo ricordare in particolare il Generale Subranni, coinvolto nel depistaggio sull’assassinio di Peppino Impastato. In tutti questi anni c’è chi ha fatto e portato avanti un lavoro egregio; va ricordato comunque che le persone che vogliono ripulire questo paese dalla Mafia continuano a vivere sotto scorta e chi viene condannato, invece, continua a stare seduto tra le più alte cariche dello stato e decide, ancora oggi, le sorti del nostro paese. Quindi siamo davvero sicuri di poter cantar vittoria? Penso proprio di no. Purtroppo i fatti di cronaca recenti ci portano alla luce come stato e mafia siano legate a doppio filo, ed è davvero difficile spezzare questo legame.

Presentatevi ai nostri lettori. Chi siete e quali obiettivi intendete perseguire?

L’associazione 100 Passi nasce dalla voglia di un gruppo di giovani siracusani di creare un luogo dove si potesse discutere di temi riguardanti l’antimafia, dove si potessero creare degli spazi di inclusione sociale, attraverso progetti e attività socialmente utili; abbiamo per anni portato avanti diversi progetti soprattutto nelle periferie della città, dove la criminalità ancora oggi trova terreno fertile.

L’associazione ringrazia La Civetta di Minerva per lo spazio concessoci e approfitta di questo spazio per chiedere a coloro che il prossimo 10 Giugno si prepareranno a governare questa città di impegnarsi a creare spazi sociali e inclusivi nelle periferie, oltre che firmare dei protocolli sulla legalità, visto anche i recenti e preoccupanti atti intimidatori avvenuti nei confronti dei negozianti e delle attività commerciali.

Abbassare la guardia significherebbe arrendersi a volere di imbecilli che lavorano e guadagnano solo con la fatica di altri, capaci solo ad usare armi e intimidazioni. Forse pensano di essere invincibili ma di invincibile non hanno nulla, sta a noi prendere coscienza e fare del nostro meglio per migliorare la società in cui viviamo.

“La mafia uccide, il silenzio pure” (Peppino Impastato).

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3129:il-25-lauretta-rinauro-libera-su-cultura-e-legalita&catid=17&Itemid=143

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 Il Maggio dei Libri nella prima edizione di “Floridia in biblioteca” tantissimi eventi culturali. Sabato 19 iniziativa a ricordo della scrittrice Chiara Palazzolo, prematuramente scomparsa

La Civetta di Minerva, 11 maggio 2018

Insieme al Salone internazionale del Libro di Torino, il Maggio dei Libri è un altro degli appuntamenti culturali di primavera.

Tra le numerose iniziative che coinvolgono scuole, scrittori, lettori, operatori culturali, biblioteche, archivi di tutta Italia, segnaliamo la I edizione di “Floridia in biblioteca” (progetto dell’associazione Ninphea diretto dalla professoressa Stefania Germenia, realizzato con il patrocinio del Comune di Floridia con la collaborazione di Naxoslegge): la biblioteca del terzo millennio non è più o non è soltanto deposito di libri e luogo deputato alla ricerca e allo studio, ma si apre al territorio e coinvolge tutte le forze in campo per promuovere una cittadinanza attiva e consapevole e una fruizione creativa, perfino giocosa, della cultura.

Dopo l’appuntamento del 7 maggio scorso, che ha visto l’inaugurazione della mostra di cartoline d’epoca del professor Vincenzo La Rocca “Saluti da…”, con la collaborazione della Soprintendenza BB.CC.AA. di Siracusa, la tavola rotonda “Storie di biblioteche che resistono”, con gli interventi delle professoresse Girmenia e Gozzo, della professoressa Elena Savatta (direttrice del centro studio ibleo), del dottor Giuseppe Garro, antropologo, e della dottoressa Paola Cappè, che presiede l’Associazione italiana biblioteche e dirige la Biblioteca comunale di Canicattini Bagni (ricordiamo la recente iniziativa del 6 maggio scorso legata a “Nati per leggere” presso la Galleria regionale di Palazzo Bellomo), ecco le prossime date: il 19 maggio, sabato, sarà la volta delle iniziative a ricordo della scrittrice Chiara Palazzolo, prematuramente scomparsa (un convegno, che vedrà l’intervento di Fulvia Toscano, direttore artistico di Naxoslegge e Nostos e consulente culturale di Ninphea – rappresentata dalla dottoressa Giovanna Tidona e dalla professoressa Paola Gozzo – della professoressa Filomena Migneco Frasca e del professor Giuseppe Lupo, docente di letteratura moderna e contemporanea presso la Cattolica di Milano, sarà dedicato alla figura di Chiara Palazzolo, che verrà omaggiata anche con una lettura di brani tratti dalle sue opere accompagnata da brani eseguiti dal maestro Antonio Granata; la sala lettura della biblioteca sarà intitolata alla memoria dell’autrice).

Venerdì 25 maggio, nell’ambito dell’incontro “Cultura è legalità”, l’avvocatessa Lauretta Rinauro, coordinatrice provinciale di “Libera”, interverrà sul tema; verrà proiettato il corto “Il silenzio è mafia” a cura della Chain Production, mentre la compagnia teatrale “Il Sipario” di Canicattini Bagni si esibirà nel recital “Sacrificati nella vita… vivi nella storia”. La professoressa Daniela Campisi donerà un’opera fotografica alla biblioteca.

“Fondare biblioteche è un po’ come costruire ancora granai pubblici: ammassare riserve contro l’inverno dello spirito che da molti indizi, mio malgrado, vedo venire”: non c’è forse citazione migliore di quella tratta da Marguerite Yourcenar per invitare i nostri lettori a (ri)scoprire il valore del ruolo delle biblioteche per la nostra vita personale e comunitaria.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3116:nel-comprensivo-di-via-gela-leggimi-una-storia&catid=17&Itemid=143

Nel Comprensivo di via Gela “Leggimi una storia”

MARIA LUCIA RICCIOLI
Martedì, 15 Maggio 2018 10:42

Cappè, Politi e Astore presentano “Il mago tre P” di Moscon. Neil Gaiman: “Una città non è una città senza una biblioteca, anche se pretende di esserlo”

La Civetta di Minerva, 27 aprile 2018

I futuristi sognavano di dar fuoco alle biblioteche, viste come sepolcreti di libri morti. Magari, se oggi partecipassero alle iniziative che rendono la biblioteca cuore di un quartiere, punto di riferimento e d’incontro, luogo dove si sperimenta l’inclusione, istituzione che si muove per andare incontro ai lettori, forse cambierebbero idea.

Nello scorso numero abbiamo parlato di MediaLibraryOnLine, adesso disponibile in biblioteca: è possibile prendere in prestito, direttamente da casa, due e-book al mese tra 30.000 nuovi titoli e 800.000 testi classici, oltre che consultare gratuitamente l’archivio del Corriere della Sera, dal 1876 al 2016; in occasione della Giornata mondiale del libro e del diritto d’autore, presso la Biblioteca comunale di Canicattini Bagni (SR) intitolata a Giuseppe Agnello, si è svolto il Canicattini Bagni BookFest, che ha salutato l’inverno e festeggiato con la primavera il rifiorire delle più originali, diffuse e coinvolgenti occasioni di lettura, legate al Maggio dei Libri che torna con la sua sfida, leggere, e leggere ovunque: il 22 e 23 aprile scorsi, in collaborazione dell’Associazione La Tana dei Goblin Siracusa, Titò di Cettina Marziano e VerbaVolant edizioni, casa editrice siracusana specializzata nella letteratura per bambini e ragazzi, la biblioteca ha accolto attività di lettura e di gioco, coinvolgendo bambini e ragazzi di scuola elementare e media.

Altro appuntamento interessante sarà quello di “Leggimi una storia – Associazione Culturale”: il 2 maggio prossimo verrà approfondita la figura di Giuseppe Pitrè, oltre al tema dell’ “accessibilità” dei contenuti letterari a lettori con difficoltà di lettura insieme alla cooperativa Phronesis: presso il X Istituto comprensivo “Emanuele Giaracà” di via Gela a Siracusa, la dottoressa Paola Cappè (che non solo dirige la Biblioteca di Canicattini Bagni ma è anche responsabile per la regione Sicilia dell’AIB, l’associazione che riunisce e coordina le biblioteche italiane), la dottoressa Viviana Politi e la dottoressa Luana Astorepresenteranno “Il mago tre P” di Lilith Moscon, illustrato da Marta Pantaleo.

“La cultura è un bene primario come l’acqua; i teatri, le biblioteche e i cinema sono come tanti acquedotti”, diceva Claudio Abbado. Ci permettiamo di ricordarlo ai nostri amministratori, perché – e qui citiamo Neil Gaiman – “Una città non è una città senza una biblioteca. Magari pretende di chiamarsi città lo stesso, ma se non ha una biblioteca sa bene di non poter ingannare nessuno”.

 

 

 

 

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Del Pasticciaccio di Gadda ho riprodotto assonanze, dissonanze, ritmi”

MARIA LUCIA RICCIOLI
Venerdì, 27 Aprile 2018 16:25

“In ogni pagina del romanzo c’è la storia dell’italiano”. Intervista all’avolese Jean Paul Manganaro, uno dei più importanti traduttori dal e in francese

La Civetta di Minerva, 13 aprile 2018

A coronamento del laboratorio di lettura organizzato dalla Biblioteca comunale di Siracusa sul romanzo“Quer pasticciaccio brutto de via Merulana” di Carlo Emilio Gadda, il 10 aprile scorso si è tenuto l’incontro, moderato sapientemente da Salvo Gennuso, con uno dei più importanti traduttori dal e in lingua francese, Jean-Paul Manganaro, una vera e propria autorità nel proprio campo, che ha affrontato l’improba ma grata fatica – lunga e amorosa è la frequentazione di Gadda da parte del traduttore, che è nativo di Bordeaux, vive a Parigi ma è di origini avolesi – di trasporre il gliuòmmero, il pasticcio, lo strano oggetto che è quest’opera affascinante e impervia come una scalata.

Manganaro, nel corso di quella che è stata quasi una conversazione più che una conferenza, ha spaziato con ironia e competenza dall’infanzia difficile dell’autore, orfano di padre e lacerato da un irrisolto edipico rapporto con la madre, alla scrittura di Gadda, la cui biografia – apparentemente scarna e priva di fatti significativi – confluisce tutta nella scrittura: l’élan vitale di Gadda fluisce tutto nell’opera – basterebbe pensare a “La cognizione del dolore”.

Manganaro ha quindi narrato la parabola dell’ingegnere elettrotecnico “prestato” alla scrittura, che si nutrì di Leibniz e Spinoza, filosofi fondamentali per comprendere l’universo gaddiano, un universo policentrico, plurilinguistico e polifonico, dallo stile diremmo jazzato e cubista, se l’immaginifico barocco scrittore non sfuggisse a qualsiasi tentativo di sistematizzazione; dai saggi alle novelle, veri e propri frammenti di esistenza, alla pubblicazione di alcuni “tratti” ovvero capitoli, sezioni del romanzo su rivista – tra le più importanti dell’epoca ricordiamo per tutte “Solaria” e “Letteratura” –, Gadda ridefinisce il modello letterario ereditato dalla tradizione.

Per comprendere Gadda, Manganaro si serve delle spie linguistiche: le descrizioni, le digressioni che danno stoffa al ragionamento – pensiamo ai cieli e alle nuvole gaddiane –, l’utilizzo peculiare della punteggiatura, materializzano l’idea di Gadda – molto pirandelliana – secondo il quale la realtà della verità non esiste e anche se esistesse non potrebbe essere trovata: alla Deleuze, la soluzione potrebbe essere uno dei possibili che non si è attuato; un fatto non ha una sola causale ma tante causali; tutto è effetto e tutto è causa.Realtà e verità sono dunque punti di interrogazione… i puntini di sospensione rappresentano graficamente il non si sa, i chissà. Una frase che procedesse per virgole e punti e virgola passerebbe dalle tesi e antitesi ad una sintesi (secondo la logica classica), conferendo al discorso un ordine gerarchico che invece Gadda sovverte tramite l’uso quasi matematico dei due punti, che pongono tutte le situazioni sullo stesso piano di equivalenza e corresponsabilità. E qui il sovvertimento diventa anche politico: noto è il disprezzo di Gadda per il fascismo – sublime il grottesco di “Eros e Priapo” – e nel romanzo Polizia e Carabinieri, tra l’altro intralciandosi a vicenda, nonostante la dichiarata e muscolare intransigenza non riusciranno a dipanare l’imbroglio, impotenti come sono a dirimere il pasticciaccio, il gomitolo intrecciato del delitto.

Tradurre è trans-ducere, trasportare. Io la immagino come un barcaiolo intento a trasportare della merce preziosa da una riva all’altra – le lingue di partenza e arrivo –: qualcosa è andato perduto in acqua?

Il carico è arrivato tutto. Ho riprodotto assonanze, dissonanze, ritmi, la sinfonia di questo romanzo il cui stile mette il lettore sull’attenti: non permette distrazioni e per tradurlo, per cucire le parole punto per punto a maglia fina, per non perdere il filo, la musicalità della scrittura, ho impiegato dodici ore al giorno per un anno senza fare altro. Forse qualcosa si sciupa ma il carico è arrivato per intero. Non è il primo libro di Gadda che traduco e comunque questa traduzione arriva dopo anni di lavoro. L’amore per Gadda per me è viscerale, inspiegabile: prende qui – sorride – alle trippe. Rileggo “Quer pasticciaccio…” ogni due anni circa e ricordo la prima volta: non riuscivo a credere ai miei occhi. Tutta la storia della lingua italiana si ritrova in ogni pagina, in ogni riga del libro.

Oggi purtroppo la lingua – anche quella letteraria – sta subendo una sorta di normalizzazione che la fa somigliare non ad un organismo vivente e “multistrato” ma che la rende una lingua “Standa” più che standard, piatta e involuta, esattamente il contrario del lussureggiante e ben biodiversificato linguaggio gaddiano. Come ha reso la polifonia dialettale del romanzo, l’imbroglio linguistico oltre che quello della trama? Il napoletano, il romanesco, il molisano di Ingravallo e dei personaggi gaddiani… come sono stati “traghettati” in francese?

In Italia i dialetti sono ancora parlati, intesi, capiti: sono la vita quotidiana che entra nel discorso, anche del parlante colto. In Francia ci sono degli slang, l’argot, ma non dialetti: ho tradotto in un francese “strano” ma sempre comprensibile, come all’orecchio risulta strana ma comunque viene riconosciuta come italiana la lingua di Gadda (ricordiamo che all’epoca il cinema italiano, arte e industria insieme, supportava il napoletano ma soprattutto il romanesco come dialetto neorealistico per eccellenza); nel frasato diretto l’autore usa appunto i dialetti (che io rendo con un francese sviato o meglio traviato, con la sonorizzazione della dentale o una diversa tonalizzazione, scambiando per esempio T e D: le agglutinazioni sonore sono aggiunte di suono ma non di senso, le elisioni sono violente), mentre nel discorso indiretto utilizza dei ricami con il dialetto per non perdere la mescidanza tra le lingue. In questo mi ha facilitato l’aver lavorato a “Le baruffe chiozzotte” di Goldoni – anche in Gadda troviamo il legame con Venezia dato dalla contessa, ad esempio.

La traduzione è letterale oppure è più un lavoro di interpretazione? Che rapporto c’è tra un autore e chi lo traduce?

Interpretare vuol dire non essere stati capaci di tradurre, aggirare l’ostacolo senza trovare l’espressione, la parola precisa, esatta. La scrittura è il gancio, la materia e il terreno comune, il momento di confronto tra autore e traduttore che non può né deve essere traditore. Bisogna cogliere i soffi, i respiri, le pulsazioni di ciò che si traduce, sordi alle suggestioni, ingannevoli come sirene, dell’interpretazione.

E qui Manganaro senza dirlo credo che accenni anche ad una misura più alta del proprio mestiere, che è quella etica.

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Vaccaro: “Gli uomini dell’800 reagirono alla lotta delle donne”

MARIA LUCIA RICCIOLI 
Giovedì, 26 Aprile 2018 11:25
“Chiamandole maliarde grifagne o angeli tentatori”. Intervista all’autore di “Silfide, maga e sirena – L’ideale femminile nella letteratura italiana dell’Ottocento”

 

La Civetta di Minerva, 13 aprile 2018

Forse l’Ottocento è stato il secolo che ci ha donato le più fulgide rappresentazioni femminili – connotate sia positivamente che in una valenza negativa –: pensiamo a Madame Bovary, ad Anna Karenina, alle protagoniste dei romanzi delle sorelle Brönte e prima ancora alle smaglianti invenzioni del genio di Jane Austen, per citare solamente i primi nomi in punta di penna.

Possiamo dire che l’Ottocento porta alla ribalta e forse esaspera non solo la femminilità, ma anche e soprattutto il conflitto tra i sessi e l’irriducibilità della loro complementarietà / differenza, proprio in un’epoca in cui tante artiste oltre che tante donne comuni pretendevano un proprio posto in una società mutevole e attraversata da cambiamenti rivoluzionari in campo politico, economico e sociale.

Sirene, incantatrici, maliarde, dame eleganti, virago, civette narcise da una parte – il cliché della femme fatale declinato in ogni possibile sfaccettatura – contro Nedda e gli angeli del focolare dall’altra: questo il catalogo dei destini delle donne rappresentate nella letteratura del secondo Ottocento, che riflette da una parte e dall’altra precorre i mutamenti socio-culturali di un’epoca convulsa, che segue a quella risorgimentale e si proietta verso il ventesimo secolo.

Dell’argomento si è recentemente occupato il giovane studioso ragusano Stefano Vaccaro nel suo saggio, fresco di stampa per i tipi de Il Convivio Editore, intitolato appunto “Silfide, maga e sirena – L’ideale femminile nella letteratura italiana dell’Ottocento”, presentato il 6 aprile presso la sala del fondo antico della Biblioteca diocesana di Ragusa – intitolata a Monsignor Pennisi e diretta da don Giuseppe Di Corrado – nell’ambito della manifestazione LIBeRI A RAGUSA (di cui l’Ufficio Comunicazioni Sociali della Diocesi di Ragusa è media partner; la prefazione, di cui vi abbiamo offerto qualche stralcio all’inizio del pezzo, è della docente e scrittrice Maria Lucia Riccioli); con l’autore l’eminente prof.ssa Margherita Bonomo (Università degli Studi di Catania), che tra l’altro si è occupata a lungo di carteggi femminili ottocenteschi.

“La Civetta di Minerva” lo ha intervistato per voi.

Com’è nato in te l’interesse verso la letteratura dell’Ottocento?

Nell’immaginario fanciullesco che già dalla più tenera età mi si palesava innanzi, l’Ottocento prendeva sempre più la forma di una lunga galleria di immagini gotiche e spettrali, un pentagramma vivificato da figure grottesche, al limite del picaresco, all’interno del quale personaggi e trame considerate scriteriate o insolite avevano liceità non solo di essere pensate ma anche narrate. Il  fascino esercitato dal “diverso” ha fatto sì che sentissi la letteratura del XIX secolo molto vicina a me scegliendola difatti come oggetto della mia ricerca. Gli anni di studio mi hanno poi restituito un secolo molto complesso letterariamente e stratificato culturalmente, attraversato da numerose correnti e diversi “modi di sentire”; un viaggio affascinante che dura tutt’oggi e che dall’analisi del Verismo mi ha condotto allo studio del Simbolismo, senza tralasciare l’approfondimento per “movimenti” quali il Naturalismo, il Romanticismo e il Decadentismo. Ciò che mi preme coniugare è il rigore del metodo critico-scientifico alla curiosità che mi spinse ad indagare la letteratura italiana anni fa.

Silfide, maga e sirena… spiegaci come mai l’eterno femminino assume questi volti. E poi… ritieni queste “classificazioni” ancora attuali? Quali personificazioni o maschere potrebbero raffigurare le donne odierne?

Silfide, maga e sirena è un trinomio che ho preso in prestito da Verga (Una peccatrice, 1865) e che ben sintetizza la visione che si ebbe della donna per tutto il XIX secolo. L’Ottocento è di per sé il secolo delle rivoluzioni in tutti i campi dell’esperienza umana, pensiamo a quello politico con le rivoluzioni del ‘48 prima e le lotte risorgimentali poi, e ancora agli scompaginamenti sociali portati dalla meccanizzazione del lavoro e dell’avvento della borghesia, e non da ultimo ai risvolti culturali dovuti alla presenza, per la prima volta massiva e consapevole, della figura femminile anche in ambito culturale la quale, minando un sistema maschilista e patriarcale, cominciò a ritagliarsi, con fatica, spazi del sapere prima preclusi, facendo sentire la propria voce attraverso la pubblicazione di romanzi, feuillettons, articoli e pamphlets. La determinazione e la tenacia con le quali le intellettuali dell’Ottocento si batterono affinché i propri diritti d’espressione venissero riconosciuti dovette apparire del tutto nuova e allarmante per gli uomini del tempo che per questo, non appare sbagliato pensare, caricano la donna di aggettivi non sempre lusinghieri, descrivendola come una maliarda grifagna o un angelo tentatore.

Già a cominciare dal Novecento la figura muliebre non è più, o non è solo, silfide, maga e sirena ma acquista caratteri nuovi anche in vista di un impegno civile più vistoso che non rifugge connotati politici (pensiamo alle battaglie del ‘68). Oggi il polinomio verghiano con il quale il Siciliano descriveva la sua peccatrice appare svuotato di senso, rimane però, a mio avviso, una dicotomia “ottocentesca” di fondo per cui l’accostamento angelo-demone ha nuove possibili interpretazioni: se da un lato, in alcuni contesti e società, la donna può dirsi emancipata ricoprendo prestigiosi incarichi istituzionali e posizioni di rilievo nel campo della scienza, delle arti, dell’imprenditoria, della moda e delle telecomunicazioni, dall’altro lato la stessa donna, e il suo corpo, è tristemente vittima di attenzioni “superomistiche” fin troppo invasive, violente e incontrollate, finanche manesche, sanguinose e mortali.

Hai in cantiere altri lavori? Come vedi lo “stato dell’arte” della critica? Quali altri campi sarebbero da esplorare e quali vorresti affrontare tu?

Dopo aver reso nota, attraverso quest’ultima raccolta di saggi da poco edita, alle voci e ai pensieri degli intellettuali dell’Ottocento e al loro modo di pensare ed interpretare la donna, sto lavorando affinché abbia voce la controparte femminile. L’impegno muliebre difatti ha coinciso con volti e figure ben definite il cui studio spero riesca a sottrarle dall’oblio a cui per troppo tempo e ingiustamente sono state condannate. La mia ricerca si concentra innanzitutto sulle letterate siciliane che operarono nell’Isola nel medio e tardo Ottocento, dalle più note Giuseppina Turrisi Colonna (1822-1848) e Mariannina Coffa (1841-1878) alle misconosciute palermitane Concettina Ramondetta Fileti (1829-1900), Rosa Muzio Salvo (1815-1866), Lauretta Li Greci (1833-1849) e alla messinese Letteria Montoro (1825-1893): un’intera generazione di autrici che con forza e coraggio si batté affinché potesse esprimere le proprie idee contravvenendo spesso ai dettami imposti dalla società, rischiando cioè l’esclusione familiare, la sofferenza della solitudine e la stessa reputazione. Altro campo d’indagine è ancora la poesia novecentesca con particolare attenzione a quel segmento letterario al femminile che operò un nuovo linguaggio lirico italiano: Antonia Pozzi (1912-1938), Amelia Rosselli (1930-1996), Nadia Campana (1954-1985) e Catrina Saviane (1962 -1991).

   
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“La scrittura è felicità ma è anche sfida all’indifferenza”

MARIA LUCIA RICCIOLI
Giovedì, 19 Aprile 2018 09:09
Intervista alla poetessa e scrittrice avolese Paola Liotta, docente: “Le parole aprono vie inesplorate, gettano ponti”

La Civetta di Minerva, 30 marzo 2018

Abbiamo incontrato per voi Paola Liotta, avolese, docente e scrittrice, organizzatrice culturale – insegna materie letterarie e latino nel Polo Liceale dell’Istituto Superiore Statale “E. Majorana”, scrive sia in versi che in prosa, cura nella sua città tè letterari, presenta libri ed eventi, cura il blog “Di scritture, di sogni e di chimere”.

L’occasione è l’uscita, per i tipi di Algra Editore, della raccolta poetica “La felicità è muta”, che verrà presentata nei locali della Biblioteca comunale “Giuseppe Bianca” di Avola l’11 aprile alle ore 18 – ancora una volta l’editore Alfio Grasso conferma la capacità di scouting dei talenti emergenti e l’accoglienza in “casa Algra” di penne già sperimentate (ricordiamo infatti i precedenti scritti della sensibile e raffinata autrice: “Del vento, e di dolci parole leggere”, del 2009; del 2011 è “Di Aretusa e altri versi”, menzione di merito al Premio Letterario Internazionale S. Quasimodo, e del 2013 è il suo primo romanzo “… ed era colma di felicità”; al Premio Pentèlite 2014 è giunto finalista il suo racconto “Miele, mandorle e cannella”; una sua raccolta di trenta “Madrigali e rime varie”  ha ricevuto una segnalazione di merito al Premio letterario Pietro Carrera, edizione del 2017, ed è  stata appena pubblicata con il titolo “La luce dell’inverno” dalla casa editrice “Il Convivio”).

Perché la felicità è muta?

Vorrei che lo scoprissero i lettori, leggendomi. Le liriche de “La felicità è muta” costituiscono un nuovo squarcio del mio percorso creativo dove, pur confermando la mia fiducia illimitata nel valore della parola, emerge una visione intimistica della Felicità, cioè legata al vissuto personale, seppure percepita quale tratto comune d’umanità, che agli altri ci riconduce. Felicità, parola abusata ai nostri giorni, che, però, qui incarna la scrittura stessa e le sue meravigliose energie.

Poesia è felicità o felicità è poesia?

Per me questi due termini si equivalgono e stanno alla Bellezza e al senso stesso del vivere. Ai miei versi corrisponde un amore per la vita che si traduce in testimonianza di gioia, oltre ogni fatica o difficoltà. Per dirla ungarettianamente “la poesia è Poesia quando porta in sé un segreto”, un segreto che sia intessuto di generosità e pura bellezza. Difficilmente il poeta pensa di essere tale, lo è nella misura in cui un’altra persona si riconoscerà nei suoi testi, cogliendone il dato universale.

Qual è il tuo rapporto con la scrittura?

Potrei condensarlo nella massima “Nulla dies sine linea”. È un rapporto vitale: ispirazione, passione, ricerca vi si intersecano e stimolano in reciprocità di intenti. Esso è vivo a partire dalla mia dimensione professionale, che si traduce nella prassi didattica, soprattutto sul versante laboratoriale e creativo. Versi e prosa rappresentano medaglie diverse di uno sguardo che ama spaziare dentro e fuori di sé, portando in superficie “il mondo l’umanità/ la propria vita/ fioriti dalla parola”.

Tè letterari, scuola, scrittura… come concili questi mondi?

Fanno parte di me e si alimentano a vicenda. La scrittura è davvero felicità se intesa come angolo privilegiato da cui meditare sul reale, a ritemprarsi da ogni discrasia, ma anche sfida vera e propria all’incomunicabilità e all’indifferenza, che sono grandi mali del nostro tempo. Le parole aprono vie inesplorate, gettano ponti verso l’altro, spalancano varchi nell’Infinito, ed io godo di precipitarmi in essi. Il mio amore profondo per i libri non può che riconoscersi ‘felice mente’ in tutto ciò.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=2993:nelle-biblioteche-siracusane-avviato-il-prestito-digitale&catid=17&Itemid=143

 

 

Nelle biblioteche siracusane avviato il prestito digitale

MARIA LUCIA RICCIOLI
Mercoledì, 28 Marzo 2018 19:28
Per diletto o per studio, volete consultare dei libri? Basta accreditarsi e accedere al sistema Mlol, avrete gli ebook sull’iPad, smartphone, PC…

 

La Civetta di Minerva, 16 marzo 2018

Non solo carta, verrebbe da dire. Le biblioteche siracusane offrono la possibilità – è novità di questi giorni – di accedere al prestito digitale. Basta accreditarsi in biblioteca e accedere al sistema MLOL (Media Library On Line) con le credenziali fornite e… con un click si potranno leggere degli ebook. I libri digitali (se ne potrà richiedere il prestito di due al mese) saranno disponibili sui dispositivi dell’utente per quattordici giorni: si potrà quindi leggere gli ebook scelti sull’iPad, sullo smartphone, sul PC…

E non solo: la piattaforma Media Library offre anche un’App dedicata per permettere ai lettori di esplorare le liste di ebook disponibili, informarsi sulle novità, gestire le proprie liste personali e molto altro.

La biblioteca si pone quindi sempre più non solo come “deposito” di libri, riviste, documenti, ma anche come fonte di sapere diffuso, per venire incontro alle esigenze di inclusione e per realizzare sempre più concretamente la democratizzazione del sapere tramite una sempre maggiore accessibilità dei testi e delle conoscenze. A questo proposito, molte sono le risorse per la scuola primaria e le scuole secondarie di primo e secondo grado.

Auspichiamo anche che si possa presto espandere il servizio includendo l’edicola on line, che permetterà di accedere a seimila giornali e riviste on line.

Ricordiamo che tutte le biblioteche siracusane fanno parte del Sistema Bibliotecario Siracusano (SBS) che già permetteva di controllare se fosse presente e dove il libro richiesto, ma MLOL permetterà di allargare il prestito e “dematerializzarlo” (non sempre è facile, specie in Ortigia, trovare parcheggio e andare a studiare, a fare ricerche o a partecipare ai corsi e alle presentazioni in biblioteca, nonostante il contatto umano e la professionalità del personale siano impagabili; le biblioteche di quartiere inoltre costituiscono a nostro avviso un importante fattore di aggregazione sociale. Vorremmo sollecitare poi i nostri amministratori a non trascurare l’enorme patrimonio archivistico e librario cartaceo presente nelle nostre biblioteche, specie in quella di via dei SS. Coronati: manoscritti e corrispondenze di letterati, Privilegi e Diplomi che rimandano all’antico passato di Siracusa, incunaboli, cinquecentine e pergamene che se non correttamente conservati rischiano il deterioramento).

“La Civetta di Minerva” ha sperimentato per voi il servizio: è bastato registrarsi in biblioteca e tramite e-mail, ricevute le credenziali, è stato semplicissimo accedere alla piattaforma.

Buona lettura!

 http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=2981:noto-ripresa-dai-droni-in-paesi-che-vai-su-rai-uno&catid=17&Itemid=143

Noto ripresa dai droni in “Paesi che vai” su Rai Uno

MARIA LUCIA RICCIOLI
Lunedì, 26 Marzo 2018 10:12
Guida d’eccezione della troupe televisiva Eleonora Nicolaci, discendente della famiglia più illustre della città. Livio Leonardi: “Abbiamo raggiunto ascolti straordinari”

 

La Civetta di Minerva, 16 marzo 2018

Riprese in una manciata di giorni tra le nuvole e il sole di un inverno siciliano, piacevoli conversari sullo splendore del Barocco, le nostre eccellenze valorizzate: “La Civetta di Minerva” è stata per voi sul set di “Paesi che vai…”, in onda su Rai1 alle 9.40 domenica 18 marzo.

Il nostro giornale si era già occupato del programma in occasione della ripresa e messa in onda della puntata su Siracusa. Stavolta tocca a Noto, perla del Vallo – lo ricordiamo: Val di Noto, Mazzara e Demone sono i tre grandi distretti amministrativi di età araba, poi ripresi nel periodo borbonico – che porta il suo nome.

Antonio Costa ha scritto i testi della puntata, mentre regista ne è stato Daniele Biggiero, che ha già diretto la puntata relativa ad Agrigento e che fa parte della squadra del programma da un anno: “Siamo entusiasti del ritorno della trasmissione in Sicilia, regione dai colori e dalle storie che amiamo raccontare e riprendere”. Sì, riprendere, anche grazie allo sguardo del drone che esplora il cielo di Noto e si insinua tra le colonne su, su fino alle volte e alle facciate di chiese e palazzi. Qualche curioso segue la troupe, c’è il tempo per le foto e i saluti o per gustare le specialità per cui Noto e la Sicilia in genere sono a ragione celebri.

Livio Leonardi, ideatore e conduttore del programma – anche se è doveroso ricordare “Ciao Italia”, “Bella Italia”, “Le strade del sole”, “Una troupe racconta”, alcuni dei titoli di fortunati programmi per cui è stato apprezzato e premiato, sempre basati sul concetto di valorizzazione dei territori – ci racconta di come la trasmissione si sia evoluta nel tentativo di raccontare le città e le loro comunità, anche tramite un cambio di prospettiva: “Gli spettatori della nuova stagione troveranno più “fiction”, più figuranti, più storia e storie locali che forse ci regalano una chiave di lettura della storia nazionale; siamo molto attenti a realtà che si occupano di rievocazione storica – nella puntata su Noto, risulta indovinata la presenza di alcuni figuranti dell’Associazione netina “Corteo Barocco”, che hanno interpretato personaggi come Sinatra e Gagliardi – con professionalità e passione. La spinta del territorio per noi è fondamentale per raccontare al meglio le città: la bellezza di un costume, i disegni, le testimonianze pittoriche e figurative, tutto contribuisce alla narrazione”.

Cosa vuol dire per lei e per la troupe tornare in Sicilia?

“Siracusa e Agrigento sono uno scrigno di testimonianze. Il racconto che vedrete è, diciamo così, diluito; per la puntata di Noto abbiamo girato in diverse location, sei o sette, con quaranta minuti di racconto storico-artistico: per capire meglio il punto di vista che abbiamo scelto di assumere, basta guardare la sigla, accompagnata dalla voce di Andrea Bocelli che canta “Con te partirò”; l’occhio del visitatore, che magari dallo spazio profondo si avvicina sempre di più alla terra e poco a poco focalizza quello che vede, è il modo non accademico e molto fruibile con cui narriamo i luoghi”.

Quali fonti avete utilizzato?

“Le nostre fonti sono i documenti, i libri, le testimonianze: cerchiamo di valorizzare anche in questo campo i beni archivistici e librari che l’Italia conserva, parte non indifferente del patrimonio per cui siamo giustamente famosi nel mondo”.

Qual è la risposta del pubblico?

“I dati parlano da soli. Abbiamo raggiunto ascolti straordinari: se penso alla puntata su Lucca, ha raggiunto lo share del 23%, il risultato più alto di RaiUno fino al TG1 delle 20; la copertura netta è di 4.400.000, con un ascolto medio di due milioni e un +1,8% ad ogni puntata. Il format è originale, la progettazione editoriale è curata, ecco perché siamo premiati dall’apprezzamento del pubblico”.

Quali saranno le prossime tappe? Verrà toccata di nuovo anche la Sicilia?

“Brescia, Palermo, Recanati e quindi le Marche, la Puglia… non ci fermiamo”.

Quali altre novità ci sono nel programma? Ha in mente nuovi spunti, magari per le prossime puntate o per la nuova stagione?

“Intanto mi piace ricordare la rubrica “Naturosa”, che presenta itinerari naturalistico-paesaggistici e curiosità relative alla natura che circonda le città che narriamo o che, nel caso dell’Etna, caratterizza la regione: i parchi nazionali, i segreti e le risorse delle terre visitate, ecco la particolarità di “Naturosa”. Nella puntata su Noto ci è piaciuto riproporre – ma secondo un nuovo punto di vista, con un taglio differente – la nostra visita al vulcano. Ricordo sempre che la nostra ottica è quella della valorizzazione del patrimonio Unesco, di cui l’Italia è ricchissima: Noto e l’Etna, Agrigento, Modica con il suo cioccolato o la zona di Marzamemi con i prodotti di tonnara.

…La nostra visione è grandangolare. Allo studio c’è comunque anche una nuova rubrica che per ora è top secret” (ma ci facciamo promettere che “La Civetta di Minerva” sarà presente quando “Paesi che vai” tornerà in Sicilia).

Guida d’eccezione, che ha accompagnato Livio Leonardi e che guiderà i telespettatori alla scoperta delle bellezze della perla del Barocco siciliano, è la netina Eleonora Nicolaci. Che non è soltanto una guida turistica preparata, ma appartiene alla famiglia che forse più di tutte ha caratterizzato la storia di Noto (“La Civetta di Minerva” ha recensito il libro uscito per i tipi della Libreria Editrice Urso e che ricostruisce la storia dei Nicolaci dalla fondazione della casata alla fine del XVIII secolo, approfondendo eventi fondamentali per la storia netina e non solo come il terremoto del 1693); Eleonora Nicolaci, che si occupa di ricettività turistica anche grazie alla struttura aperta un anno fa, incentrata sulla fotografia e i siti più significativi del Val di Noto (il B&B PhotoGuest, cui dobbiamo nella persona di Giovanni Tumminelli i crediti delle fotografie che accompagnano l’articolo), passeggiando e dialogando con Livio Leonardi per il “giardino di pietra”, la Noto barocca di Santa Chiara e della Cattedrale, di Palazzo Nicolaci e delle altre splendide location della puntata di “Paesi che vai”, ha descritto e narrato con grazia e competenza la storia dei siti visitati. Ecco le sue parole sull’esperienza vissuta.

“Essere chiamata dall’autore della trasmissione per la mia pubblicazione su Noto e la famiglia Nicolaci e quasi contemporaneamente dal Comune per essere la guida per la puntata è stata una grandissima soddisfazione, come pure poter fare un salto nel mondo di mamma Rai: vedere il dietro le quinte, collaborare alla creazione della puntata, conoscere Livio Leonardi e la sua troupe, incoraggiante e paziente, che ci ha messo il cuore e anche di più per confezionare un prodotto di divulgazione sulla splendida e maestosa Noto, che spero sia conosciuta e amata sempre di più, è stata un’esperienza unica”.

E per voi…

Avete perso la puntata su Noto? Ecco a voi 😉
http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=2993:nelle-biblioteche-siracusane-avviato-il-prestito-digitale&catid=17&Itemid=143

Nelle biblioteche siracusane avviato il prestito digitale

MARIA LUCIA RICCIOLI
Mercoledì, 28 Marzo 2018 19:28
Per diletto o per studio, volete consultare dei libri? Basta accreditarsi e accedere al sistema Mlol, avrete gli ebook sull’iPad, smartphone, PC…

 

La Civetta di Minerva, 16 marzo 2018

Non solo carta, verrebbe da dire. Le biblioteche siracusane offrono la possibilità – è novità di questi giorni – di accedere al prestito digitale. Basta accreditarsi in biblioteca e accedere al sistema MLOL (Media Library On Line) con le credenziali fornite e… con un click si potranno leggere degli ebook. I libri digitali (se ne potrà richiedere il prestito di due al mese) saranno disponibili sui dispositivi dell’utente per quattordici giorni: si potrà quindi leggere gli ebook scelti sull’iPad, sullo smartphone, sul PC…

E non solo: la piattaforma Media Library offre anche un’App dedicata per permettere ai lettori di esplorare le liste di ebook disponibili, informarsi sulle novità, gestire le proprie liste personali e molto altro.

La biblioteca si pone quindi sempre più non solo come “deposito” di libri, riviste, documenti, ma anche come fonte di sapere diffuso, per venire incontro alle esigenze di inclusione e per realizzare sempre più concretamente la democratizzazione del sapere tramite una sempre maggiore accessibilità dei testi e delle conoscenze. A questo proposito, molte sono le risorse per la scuola primaria e le scuole secondarie di primo e secondo grado.

Auspichiamo anche che si possa presto espandere il servizio includendo l’edicola on line, che permetterà di accedere a seimila giornali e riviste on line.

Ricordiamo che tutte le biblioteche siracusane fanno parte del Sistema Bibliotecario Siracusano (SBS) che già permetteva di controllare se fosse presente e dove il libro richiesto, ma MLOL permetterà di allargare il prestito e “dematerializzarlo” (non sempre è facile, specie in Ortigia, trovare parcheggio e andare a studiare, a fare ricerche o a partecipare ai corsi e alle presentazioni in biblioteca, nonostante il contatto umano e la professionalità del personale siano impagabili; le biblioteche di quartiere inoltre costituiscono a nostro avviso un importante fattore di aggregazione sociale. Vorremmo sollecitare poi i nostri amministratori a non trascurare l’enorme patrimonio archivistico e librario cartaceo presente nelle nostre biblioteche, specie in quella di via dei SS. Coronati: manoscritti e corrispondenze di letterati, Privilegi e Diplomi che rimandano all’antico passato di Siracusa, incunaboli, cinquecentine e pergamene che se non correttamente conservati rischiano il deterioramento).

“La Civetta di Minerva” ha sperimentato per voi il servizio: è bastato registrarsi in biblioteca e tramite e-mail, ricevute le credenziali, è stato semplicissimo accedere alla piattaforma.

Buona lettura!

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=2958:le-eroine-di-jane-austen-modelli-dell-eterno-femminino&catid=17:cultura&Itemid=143

Incontro letterario-musicale al cine teatro Italia di Sortino, organizzato dal Comune in collaborazione con la Biblioteca Comunale ”Andrea Gurciullo” e il Primo istituto comprensivo “G.M. Columba” di Sortino

La Civetta di Minerva, 2 marzo 2018

“Persuasione” e “Northanger Abbey”(1818) sono due romanzi postumi: mentre il secondo era già terminato nel 1803, il primo è in realtà l’ultima opera completa scritta poco prima dell’aggravarsi della malattia di Addison che ne porterà alla morte l’autrice il 18 luglio del 1817: quindi, quest’anno ricorrono duecento anni esatti dalla pubblicazione di due dei sei romanzi canonici – gli altri sono naturalmente “Orgoglio e pregiudizio”, “Ragione e sentimento”, “Emma” e “Mansfield Park” – di Jane Austen, il bicentenario della cui scomparsa è stato celebrato nel 2017.

L’autrice inglese, letta, parodiata, reinventata, frequentata dal teatro e dal cinema (ricordiamo per tutti “Il club di Jane Austen”), gode di un successo imperituro: Catherine, Anne, Elizabeth, Elinor e Marianne, Emma e Fanny, le sue eroine, sono modelli dell’eterno femminino in lotta per la propria affermazione nonostante l’epoca Regency e la nostra sembrino agli antipodi. La Austen, ironica e pungente, genio universale che è sbagliato imbrigliare nell’assurda categoria dei “romanzi per signorine” sebbene le apparenze mostrino il contrario – gli eventi storici non sembrano toccare i suoi romanzi, che ruotano intorno a balli, intrighi matrimoniali, pettegolezzi, concerti casalinghi, picnic –, ritrae con la sua penna acuta la piccola nobiltà di campagna e la borghesia che tenta la scalata sociale: nulla sfugge alla sua penna acuta che lavora su “tre o quattro famiglie in un villaggio di campagna” come un incisore, come un monaco alle prese con le miniature di una pergamena; la Austen paragonava infatti il proprio lavoro ad un “pezzettino di avorio, largo due pollici”, modellato “col più fine dei pennelli, in modo da produrre il minimo degli effetti col massimo dello sforzo”: nonostante una biografia apparentemente priva di avvenimenti rimarchevoli, la profondità della riflessione e la vastità dell’immaginazione – sense and sensibility, razionalismo illuminista e romanticismo ottocentesco, che la Austen comunque aborriva e parodiava nei suoi eccessi lacrimevoli e gotici – l’hanno resa universalmente nota e apprezzata sia dai lettori che da studiosi e critici.

Lo scorso anno, la pianista Donatella Motta e la docente e scrittrice Maria Lucia Riccioli, qui in veste di voce narrante, si erano rese protagoniste di un aperitivo letterario a tema Jane Austen organizzato dalla dottoressa Paola Cappè, impegnata nel diffondere l’amore per i libri e la lettura con varie iniziative che ruotano intorno alla biblioteca Agnello di Canicattini Bagni (SR); quest’anno, venerdì 2 marzo scorso il recital è stato riproposto all’interno dell’incontro letterario-musicale “Vi presento Jane Austen” che si è tenuto presso il CineTeatro Italia a Sortino. L’evento è organizzato dal Comune di Sortino in collaborazione con la Biblioteca Comunale ”Andrea Gurciullo” e il Primo istituto comprensivo “G.M. Columba” di Sortino: le classi seconde della scuola secondaria di primo grado – da rimarcare la sensibilità della docente Lisa Manca, oltre che l’impegno della dottoressa Maria Sequenzia, che ha fortemente voluto il progetto – hanno presentato un lavoro di ricerca sulla scrittrice che si è concluso con il recital del duo siracusano.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=2929:la-prof-gringeri-pantano-dona-un-prezioso-libro-ad-avola&catid=17&Itemid=143

La prof. Gringeri Pantano dona un prezioso libro ad Avola

MARIA LUCIA RICCIOLI
Giovedì, 08 Marzo 2018 13:55
Le “Osservazioni geognostiche e geologiche sopra i terreni” di quella città, scritto da Pompeo Interlandi nel 1837. Nel cinquantenario della Pro Loco ne è stata tratta una ristampa anastatica

La Civetta di Minerva, 2 febbraio 2018

Riflettere sul terremoto del 1693 e sugli studi che nell’Ottocento venivano denominati di “Geognosia” non è questione oziosa, anzi ma permette non solo agli storici – compresi gli storici della scienza – ma anche ai geologi e agli esperti di sismi di comprendere meglio la natura del nostro territorio, ovvero quello della Sicilia sudorientale che ebbe a soffrire maggiormente di una delle catastrofi più gravi della storia moderna se non della storia umana e della Terra in generale, oltre che a permettere insieme alle nuove scoperte di approntare soluzioni per affrontare eventuali nuovi eventi sismologici.

In occasione del cinquantesimo anniversario della fondazione della Pro Loco di Avola (2017) è uscita laristampa anastatica di uno studio del 1837, presente negli Atti della celebre Accademia Gioenia di Catania, scritto da Pompeo Interlandi e Sirugo principe di Bellaprima, calatino di origine ma vissuto fin dalla prima infanzia ad Avola, la cui biografia – che risente degli stilemi del tempo e della prassi elogiativa dei concittadini illustri –, lavoro del botanico Giuseppe Bianca, è posposta al saggio, intitolato “Osservazioni geognostiche e geologiche sopra i terreni di Avola” (uscito per i tipi della tipografia di Andrea Norcia a Noto).

L’esemplare, ritrovato presso l’Antica Libreria di San Gregorio di Catania, è stato donato dalla professoressa Francesca Gringeri Pantano alla Biblioteca comunale di Avola che porta il nome di Giuseppe Bianca (intellettuale che coltivò sia interessi scientifici che umanistici: ricordiamo che si occupò anche della poetessa e patriota netina Mariannina Coffa, incoraggiandone il cammino poetico).

Nel saggio l’Interlandi dà notizia della tipica pietra calcarea giurgiulena, delle conchiglie ivi contenute, della Grotta di Marotta, temperando le teorie illuministiche con la lezione del suo maestro Carlo Gemmellaro: la geologia si sta differenziando e specializzando nell’ambito delle Scienze naturali e ne è prova lo studio litologico, paleontologico e stratigrafico che Interlandi mostra di aver compiuto sul territorio in esame.

Lo studioso della scienza troverà motivi di interesse nei riscontri fra quanto si conosceva all’epoca di Interlandi e quanto di nuovo le indagini moderne abbiano acquisito, mentre il linguista apprezzerà le chicche rappresentate da parole desuete e impianto retorico tipici dello scrivere del tempo; l’elogio di Giuseppe Bianca consente invece, al di là del motivo encomiastico, di gettare una luce sulla nobiltà ottocentesca, sulla reazione del ceto nobiliare e borghese ai moti e alle rivoluzioni degli anni Trenta dell’Ottocento, al Quarantotto e al Risorgimento con tutte le problematiche relative alla rappresentanza parlamentare e ai nuovi equilibri tra i ceti, oltre che sulla formazione intellettuale di un rampollo della nobiltà siciliana quale l’Interlandi, visto anche nelle sue componenti umane e nei complicati rapporti familiari.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=2863:restauratori-vengono-a-specializzarsi-qui-da-tutto-il-mondo&catid=17&Itemid=143

Fila ininterrotta di visitatori alla mostra dei sarcofagi egizi. Il professor Teodoro Auricchio (Istituto Europeo del Restauro): “Il restauro è un lavoro di équipe”. L’effetto sui minori: dopo la visita, un bambino è ritratto come un Egizio dalla sorella

La Civetta di Minerva, 19 gennaio 2018

Prosegue ancora, fino al 15 aprile 2018, la mostra egizia “La porta dei sacerdoti – I sarcofagi egizi di Deir-el Bahari” presso l’ex monastero e Chiesa di Montevergini in Ortigia.

Grande il successo di pubblico per questa che è molto più di un’esposizione: secondo le nuove tendenze della valorizzazione dei reperti, la fruizione è unita al contatto con i restauratori grazie alla futuristica cabina che permette di vederli al lavoro su questi antichi manufatti di legno – spesso composti di diversi pezzi assemblati data la cronica mancanza di legno in Egitto –, limo, creta, poi dipinti con scene figurative e non solo geroglifici tratti dal Libro dei Morti come nella XXVI dinastia.

Si tratta di pezzi unici e rarissimi a dominante giallo ocra, provenienti dalla Collezione Egizia del Musées Royaux d’Art et d’Histoire di Bruxelles ed appartenenti ad un periodo poco conosciuto della civiltà egizia, il terzo periodo intermedio, corrispondente alla XXI Dinastia (1070-900 a.C.). Provengono dal Secondo Nascondiglio di Deir el Bahari, comunemente conosciuto col nome moderno di “Bab el Gasus” che significa “La Porta dei Sacerdoti”, da cui il titolo della mostra. La tomba collettiva, scoperta casualmente nel 1891, comprendeva non meno di 450 sarcofagi ed un numero incalcolabile di suppellettili funerarie (splendidi gli ushabti, le statuette che avrebbero fatto da servitori ai defunti).

Il lavoro affascinantissimo di datazione – per vari motivi la tomba venne svuotata senza che se ne disegnasse una mappa precisa, che avrebbe permesso di collocare meglio nel tempo mummie e sarcofagi – e restauro ci viene raccontato non solo con competenza ma anche con signorile gentilezza dal professor Teodoro Auricchio dell’Istituto Europeo del Restauro: “Nel momento in cui restauriamo, proponiamo gli interventi. A questo punto si riuniscono i conservatori e i restauratori e si discute per decidere una linea comune: ad esempio, togliere tutto quanto non era originale, le integrazioni alle lacune… La diagnostica (a raggi infrarossi, ultravioletti) continua anche durante l’intervento. È un lavoro di équipe (esperti di diagnostica, restauratori, egittologi) e la comunicazione tra i portatori di diverse competenze è continua. Oltre ai miei due collaboratori, i restauratori, che vengono a specializzarsi qui, provengono un po’ da tutto il mondo (Taiwan, India, Galles, Bulgaria…)”.

Il professore ci ha illustrato non solo i reperti in mostra ma anche le tecnologie utilizzate per restaurarli, come gli occhiali che permettono al restauratore sia la visione normale che quella modificata, che offre a chi guarda la visione ad infrarossi e ultravioletti e quindi le risultanze di Tac, radiografie, analisi fisiche e chimiche (sui pigmenti, la composizione dei legni, la struttura, le parti moderne di raccordo…), oltre che filmare quanto si sta operando.

Scoperta nella scoperta, questi sarcofagi sono delle vere e proprie capsule del tempo: un biglietto da visita dell’Ottocento, rimasto nascosto all’interno di uno dei reperti, porta il nome di Armand Bonn. Il tempo dischiude i suoi portali e ci catapulta fino all’8 febbraio del 1864, quando la mano dell’esperto in “riparazioni invisibili” pensò di immortalare il proprio lavoro e di lasciare un messaggio ai restauratori del futuro: chissà che il lavoro del professore e della sua squadra non rivelino altre sorprese…

Emozionante anche leggere i nomi delle cantatrici di Amon, ammirare una stele dell’epoca di Tutmosi III, le corone di fiori che erano posate sulle mummie di Ramses II e Seti I o il papiro che ci racconta la storia del processo a quello che chiameremmo un “tombarolo”: testimonianze uniche che ci riportano ad un passato remotissimo che si rende presente ai nostri occhi interessati e stupiti.

La mostra prevede sconti particolari e “offerte” pensate per i gruppi, le famiglie, le scuole e in particolare (com’è avvenuto per l’Epifania) per i bambini: la mascotte Mumy – raffigurata nelle didascalie durante il percorso dedicato ai più piccoli con attività e testi dedicati – il 6 e 7 gennaio scorsi ha donato ai bambini presenti alla visita guidata offerta dal museo dei dolci offerti dalla pasticceria Condorelli.

Ecco le impressioni di Paolo, dieci anni, che è stato ritratto in vesti di Egizio con tutta la famiglia dalla sorellina Miriam, otto.

Cosa ti è piaciuto di più della mostra?

“I sarcofagi della diciannovesima dinastia, perché erano più antichi e più poveri di quelli della ventesima e ventunesima”.

Ti ha fatto impressione la mummia del bambino? (Non appartiene ai sarcofagi ritrovati, ma è stata inserita per completezza espositiva).

“Sì, tanto”.

E cosa ne pensi del professore?

“Molto intelligente e molto informato su un sacco di cose, infatti ha dato una spiegazione molto dettagliata”.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=2867:la-produzione-dei-pellami-a-noto-prima-del-terremoto-del-1693&catid=17&Itemid=143

Convegno dell’Archeoclub di Noto dedicato alla memoria del tragico evento. Nelle giornate di studio si è parlato anche dei mulini

La Civetta di Minerva, 19 gennaio 2018

Presso la sala Gagliardi del palazzo Trigona a Noto, si è appena conclusa la quinta edizione del convegno “Nella ferita la cura – 11 gennaio 1693”, organizzato dall’Archeoclub sezione Noto e dedicato alla memoria e alle indagini sul terremoto che trecentoventicinque anni fa sconvolse la Sicilia, specie sud orientale.

Durante le giornate di studio, incentrate soprattutto sulle concerie di Noto antica, i relatori – Laura Falesi, Antonino Attardo, Luigi Lombardo, Giuseppe Libra, Susanna Falsaperla, Simona Caruso, Danilo Reitano, Riccardo Merenda – hanno esposto lo “stato dell’arte” sull’argomento, sia in un’ottica di studio che di valorizzazione, a partire ad esempio da Cava Carosello e quindi dal paesaggio che rientra nel demanio forestale del territorio in questione. Interessanti le notizie emerse sui mulini e sulla produzione e il commercio dei pellami nel Cinquecento e sulla mappatura dei luoghi studiati, oltre che sull’apporto delle nuove tecnologie in funzione della conoscenza del fenomeno terremoto.

L’approccio ha mirato a integrare l’aspetto umanistico e quello scientifico: pensiamo al lavoro dello studioso Dario Burgaretta sulla strage di ebrei nel 1474, fenomeno tutt’altro che isolato – la persecuzione contro gli ebrei ha vissuto momenti di stasi e di recrudescenza legati anche alla “concorrenza” economica nell’ambito del lavoro di conciatore e tintore – e alla collaborazione di giovani archeologi (Eleonora Listo, Paolo Amato, Pietro Tiralongo, Pasquale Sferlazza, Vanessa Leonardi, Sara Andolina) nel lavoro di rilievo e rappresentazione grafica dei siti analizzati.

Il convegno è stato arricchito dalla passeggiata alle concerie di Noto antica nella valle del Carosello e damomenti musicali come il concerto di Carlo Muratori, che ha eseguito “La Cantata di li Rujni”, eco delle memorie dei cantastorie, lavoro che questo giornale ha avuto modo di recensire; Maria Teresa Arturia voce, fisarmonica e piano, e Francesco Bazzano alle percussioni hanno accompagnato l’artista nella Chiesa di Sant’Antonio.

Altra “chicca” è stata l’esecuzione di alcuni brani tratti dalla Messa di Requiem composta da Mario Capuana, autore tra l’altro di mottetti e altre composizioni, maestro di cappella della Chiesa Madre di San Nicolò a Noto Antica tra il 1643 e il 1646 (soprano Corrada Fugà, Ermenegildo Mollica tenore, Raffaele Schiavo alto, Alfonso Lapira basso, si sono esibiti insieme a Joachim Klein al violoncello e ad Andrea Schiavo all’arciliuto; il violinista Gabriele Bosco insieme agli altri due strumentisti ha invece eseguito musiche di Arcangelo Corelli).

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=2834:fake-news-fattoidi-e-fiction-specie-i-minori-indifesi&catid=15:attualita&Itemid=139

Don Fortunato Di Noto ammonisce i genitori e la scuola a vigilare su ciò che i ragazzi fanno con smart phone e computer

La Civetta di Minerva, 15 dicembre 2017

Stimolata da un’indagine social del professor Massimo Arcangeli, docente di linguistica italiana ed ex-preside della facoltà di lingue e letterature straniere presso l’Università degli Studi di Cagliari, rifletto insieme a voi lettori sullo statuto di verità che chiediamo alle cose, all’informazione, all’entertainment, alla letteratura e all’arte in genere.

Una delle espressioni dell’anno che sta per concludersi è certamente “fake news”, che fa il paio con la nostrana “bufala” e il trio con “fattoide”, notizia priva di fondamento, ma diffusa e amplificata dai mezzi di comunicazione di massa al punto da essere percepita come vera: sarebbe imminente un pronunciamento del nostro Parlamento per arginare il fenomeno della diffusione in rete di informazioni e notizie false – postate più o meno artatamente –, ma è bene che scuola e famiglia, specie per proteggere i minori in rete, si attivino per insegnare a bambini e ragazzi a navigare su Internet in maniera consapevole (e comunque resta valido e semmai si rafforza l’invito di associazioni come Meter e di esperti come Don Di Noto a vigilare sui minori che utilizzano sempre più smartphone e computer e a non postare immagini e video dei propri figli, dato l’uso sconosciuto e spesso criminoso che di tali dati può essere fatto, specie in un’ottica di lotta contro la pedofilia).

Attenzione dunque sia alle notizie non verificate – spesso basta una rapida conferma da parte di un motore di ricerca, sia per i testi che per le immagini o i video –, ma in effetti ci sarebbe da fare un lungo discorso sugli statuti di verità. Passiamo, nell’arco della stessa giornata, dall’indignazione contro le fake news (che comunque spesso sono trappole per gonzi: la storia e la letteratura ci riportano innumerevoli casi di notizie non verificate, veri e propri specchietti per le allodole) alla fame di reality, un vero e proprio genere a sé stante in cui di reale c’è ben poco (ci si domanda se le gesta di starlette e giovanotti alla Ken, di freak e gente in cerca di quindici minuti di notorietà siano davvero reali: non è vero ma ci credo, verrebbe da dire, allora dov’è la reality?), alla mai troppo deprecata tv verità: c’è chi sulla televisione del dolore, delle lacrime in diretta, delle riunioni familiari, dei casi umani, ha costruito una carriera.

E non è finita: le cosiddette fiction – a parte l’invasione degli anglismi, non si comprende cosa distingua gli sceneggiati di un tempo da film in due-tre puntate con attori improbabili e sceneggiature copiaincollate da analoghi prodotti d’oltralpe e oltreoceano detti fiction – dal latino fictio, finzioni dunque, recite – in cui spesso “il riferimento a fatti, persone, luoghi e avvenimenti reali è puramente casuale” (formula che può evitare querele, ma dietro cui si nascondono cinquantine di sfumature di verità). A fictional (che nel mondo anglosassone riguarda poesia e narrativa, contrapposte alla saggistica, che è appunto non fictional) di recente si contrappone factual: tale è stata definita una trasmissione con Roberto Saviano per il prevalere di situazioni reali, romanzate solo per esigenze di copione. Insopportabili poi le classiche domande su libri e film: “Ma è una storia vera? È veramente successo?”, che annulla secoli di pratica e teoria artistica e letteraria su reale, naturale, vero e trasfigurazione artistica.

Dato che spesso la confusione linguistica è indice di confusione concettuale, abituiamoci a riflettere sul gradiente di realtà di quanto proponiamo e ci viene proposto per una comunicazione ed informazione, oltre che espressione, più consapevole; rafforziamo il lavoro della scuola, che come obiettivo non solo didattico si propone quello di formare giovani adulti dallo spirito critico; battiamoci per la valorizzazione della ricerca e, nel campo dell’intrattenimento, per contenuti più formativi e meno banalmente massificati, altrimenti, dato che nel 2018 dovrebbe essere inammissibile contraddire millenni di scienza con affermazioni sulla Terra piatta o gravidanze ai limiti dell’alieno, non dovremo più stupirci di gruppi di “mamme pancine et coetera” o di “Earth flatters”, concentrati di fake news, fattoidi, bufale, purtroppo non fictional ma factual.

Ancora una volta una giornalista uccisa per le sue indagini

MARIA LUCIA RICCIOLI
Venerdì, 17 Novembre 2017 11:32
Daphne Caruana Galizia, mezz’ora prima di morire, scrisse: “A Malta c’è corruzione ovunque”. Un quotidiano americano l’aveva definita “una delle 28 persone che stanno formando, scuotendo e agitando l’Europa”.

 

La Civetta di Minerva, 3 novembre 2017

Si allunga la lista dei martiri della parola. È di pochi giorni fa la terribile notizia della morte di Daphne Caruana Galizia, giornalista e blogger maltese la cui colpa è stata quella di usare l’arma della penna e della tastiera contro intimidazioni e bombe per indagare sulla corruzione che a Malta sembra dilagare come un cancro che metastatizza nell’affarista e forse complice Europa.

Laureata in archeologia, madre di tre figli, è stata una firma regolare per The Sunday Times e redattrice associata per The Malta Independent, oltre che direttrice della rivista Taste & Flair.

Curava un popolare e controverso blog dal titolo Running Commentary, contenente segnalazioni investigative; diverse le battaglie legali dovute proprio alla pubblicazione di post su magistrati e leader politici ed importanti le sue rivelazioni sulla corruzione e la mancanza di trasparenza a Malta. Il quotidiano americano “Politico” ebbe a definirla come una delle “28 persone che stanno formando, scuotendo e agitando l’Europa”.

Minacciata di morte – dopo aver sostenuto che una società panamense fosse di proprietà della moglie del primo ministro Muscat e aver criticato Delia, leader dell’opposizione nazionalista –, Daphne Caruana Galizia è rimasta uccisa lo scorso 16 ottobre nell’esplosione di un’autobomba.

Unanimi e di circostanza i cori di condanna dell’accaduto ma diversa è la posizione della famiglia: in un messaggio su Facebook uno dei figli della donna –  giornalista appartenente all’International Consortium of Investigative Journalists – ha mosso forti accuse contro le autorità di Malta, in cui Stato e crimine organizzato sarebbero indistinguibili, responsabili e complici a suo dire dell’assassinio della madre.

Sospeso dal servizio e indagato un sergente di polizia maltese per il commento all’omicidio della giornalista in cui ha affermato che «Tutti hanno quello che si meritano, merda di vacca. Sono felice».

Al di là di questo e del prosieguo delle indagini – coinvolta anche l’FBI –, colpiscono le ultime parole scritte da Daphne Caruana Galizia sul suo blog mezz’ora prima della morte: “There are crooks everywhere you look now. The situation is desperate” (“Ora ci sono corrotti ovunque guardi. La situazione è disperata).

Non meno toccanti – sia dal punto di vista personale che da quello deontologico: cosa possono le parole di una giornalista coraggiosa contro quella che è stata definita la “cleptocrazia” del Mondo di Mezzo, il potere occulto che viene a patti con la malavita organizzata per tenere in piedi un impero basato sulla corruzione? – le parole del figlio di Daphne Caruana Galizia: «Mia madre è stata uccisa perché si è messa tra la legge e quelli che cercavano di violarla, come molti bravi giornalisti. Ma è stata colpita perché era l’unica persona a farlo. È questo quello che succede quando le istituzioni sono incapaci: l’ultima persona rimasta in piedi è spesso una giornalista. Il che la rende la prima persona a essere uccisa».

Ricordiamo ai lettori che nei primi 273 giorni del 2017 l’Osservatorio Ossigeno ha documentato minacce a 256 giornalisti ed ha inoltre ha reso note minacce ad altri 65 giornalisti per episodi degli anni precedenti conosciuti dall’Osservatorio solo di recente; dietro ogni intimidazione documentata dall’Osservatorio almeno altre dieci resterebbero ignote perché le vittime non hanno la forza di renderle pubbliche.

Questo dovrebbe farci riflettere sul lavoro dei giornalisti, profeti disarmati del nostro tempo, sentinelle contro abusi e corruzione, spesso voce di chi non ha voce.

 

LA CIVETTA DI MINERVA dell’8 giugno 2018

09 sabato Giu 2018

Posted by mlriccioli in Eventi culturali, Letteratura, Musica, scuola

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Teatro Greco, a Ficarra e Picone 4 repliche delle Rane

MARIA LUCIA RICCIOLI
Sabato, 19 Maggio 2018 08:20

Un caso unico nella storia dell’INDA. Quale fil rouge lega le rappresentazioni classiche in cartello? Cos’hanno in comune Edipo, Teseo, Eracle e Cleone?

La Civetta di Minerva, 11 maggio 2018

Al via il Festival del Teatro greco di Siracusa, le rappresentazioni classiche che fino al 18 luglio animeranno di poesia, di mito, di parola suoni e movimento l’antica cavea che era il cuore pulsante della polis fondata dai Greci di Corinto nel 734 a.C.

La 54esima edizione delle feste classiche vedrà in scena il Sofocle dell’Edipo a Colono, l’Euripide dell’Eracle el’Aristofane de “I cavalieri”, quest’ultima mai prevista nella programmazione dell’INDA. Qual è il fil rouge che lega le tre rappresentazioni? Cos’hanno in comune Edipo, Teseo, Eracle e il demagogo Cleone? Cos’hanno da dire agli spettatori di oggi grazie al teatro, che per gli antichi era esercizio di democrazia oltre che spettacolo e rito religioso?

“Risparmiai la terra patria, non ricorsi all’amara violenza e alla tirannide né macchiando né disonorando la mia reputazione, e non me ne vergogno: così, credo, maggiore autorità avrò su tutti gli uomini”: queste le parole del legislatore ateniese Solone. “Tiranno” è parola ambivalente, perché indica sia il pacificatore (quello che sarà il “dictator” romano, magistrato supremo nei momenti di crisi): quindi sta nelle diverse sfaccettature e storture del potere il nodo gordiano che avvinghia i protagonisti delle due tragedie e della commedia, monito e stimolo per la riflessione – di certo lo spettatore accorto saprà trovare gli intrecci fra le vicende teatrali e gli avvenimenti politici odierni.

La regia degli spettacoli sarà affidata rispettivamente a Yannis Kokkos – la Grecia della madrepatria nella Magna Grecia: come non pensare ad esempio all’inarrivabile Irene Papas, o alla Callas attrice per Pasolini? , a Emma Dante, coraggiosa e visionaria, e a Giampiero Solari, mentre le traduzioni sono di Federico Condello, Giorgio Ieranò e Olimpia Imperio.

Ficarra e Picone – un unicum nella storia dell’INDA – riproporranno per il secondo anno consecutivo la commedia di Aristofane “Le Rane” in 4 repliche a conclusione dell’intero ciclo firmato anche quest’anno dal regista Roberto Andò in qualità di direttore artistico (12-15 luglio).

Un momento particolare sarà quello da vivere l’11 giugno con Andrea Camilleri e la sua “Conversazione su Tiresia”, sempre per la regia di Roberto Andò: lo scrittore di Porto Empedocle rifletterà su un personaggio del quale può vestire perfettamente i panni sia per l’età che per la condizione di cecità, che per gli antichi – Omero docet – è uno stato di visione forse più profonda dell’essenza delle cose, non solo nemesi e castigo (pensiamo a Edipo e alla sua terribile vicenda).

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3130:peppino-impastato-l-eroe-che-combatte-la-mafia-anche-contro-i-familiari&catid=17&Itemid=143

Peppino Impastato, l’eroe che combatté la mafia anche contro i familiari

MARIA LUCIA RICCIOLI
Giovedì, 17 Maggio 2018

Lorella Rossitto (100 Passi):“Mai come oggi le sue parole e i suoi pensieri devono essere di monito alle nuove generazioni”

La Civetta di Minerva, 11 maggio 2018

Il 9 maggio 1978 non è solo legato alla tragedia dell’assassinio di Aldo Moro, punto di non ritorno della nostra democrazia, ma anche alla morte di Peppino Impastato per mano mafiosa.

Per ricordare l’importanza di questo testimone coraggioso dell’opposizione – giovane, beffarda, dirompente – alla criminalità mafiosa, si è tenuto il sit-in al casolare dove è stato ucciso Peppino Impastato, con la partecipazione delle scuole aderenti al progetto “Diritti negati”, dei vespisti aderenti all’iniziativa “In VESPA contro la mafia”, mentre nel pomeriggio si è svolto il corteo dalla sede di Radio Aut a Terrasini a Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato a Cinisi, con concerto conclusivo serale. Ecco il link con le iniziative progettate per ricordare questo quarantennale così significativo: http://www.ilcompagno.it/9-maggio-2018-9-giorni-di-iniziative-per-ricordare-peppino-nel-40-anniversario-del-suo-assassinio/

La Civetta di Minerva ha contattato per voi Lorella Rossitto, che presiede l’Associazione 100 Passi, per saperne di più.

Cosa rimane a quarant’anni dalla scomparsa della testimonianza di Peppino Impastato?

Peppino Impastato è una figura importante e ancora oggi viene ricordato come un eroe che ha avuto il coraggio di combattere contro lo strapotere Mafioso. Lo ha fatto andando contro persino quello che c’è di più caro, la propria famiglia, e ricordare ancora oggi il suo coraggio è un dovere. Quello che ci resta di Peppino oltre il ricordo, il coraggio e le storie di chi lo ha conosciuto, è l’ideale di libertà e di giustizia sociale in cui credeva, mai come oggi le sue parole e i suoi pensieri devono essere da monito alle nuove generazioni e negli ultimi anni la società sembra aver preso coscienza di cosa è la MAFIA.

Il quarantennale della morte di Peppino arriva proprio mentre viene comprovata l’esistenza della trattativa Stato-Mafia. Che pensate di questa coincidenza significativa?

La sentenza sulla trattativa stato mafia deve essere considerata un fatto storico nel nostro paese, ma non è una vittoria definitiva e non bisogna abbassare la guardia. Tra i condannati vogliamo ricordare in particolare il Generale Subranni, coinvolto nel depistaggio sull’assassinio di Peppino Impastato. In tutti questi anni c’è chi ha fatto e portato avanti un lavoro egregio; va ricordato comunque che le persone che vogliono ripulire questo paese dalla Mafia continuano a vivere sotto scorta e chi viene condannato, invece, continua a stare seduto tra le più alte cariche dello stato e decide, ancora oggi, le sorti del nostro paese. Quindi siamo davvero sicuri di poter cantar vittoria? Penso proprio di no. Purtroppo i fatti di cronaca recenti ci portano alla luce come stato e mafia siano legate a doppio filo, ed è davvero difficile spezzare questo legame.

Presentatevi ai nostri lettori. Chi siete e quali obiettivi intendete perseguire?

L’associazione 100 Passi nasce dalla voglia di un gruppo di giovani siracusani di creare un luogo dove si potesse discutere di temi riguardanti l’antimafia, dove si potessero creare degli spazi di inclusione sociale, attraverso progetti e attività socialmente utili; abbiamo per anni portato avanti diversi progetti soprattutto nelle periferie della città, dove la criminalità ancora oggi trova terreno fertile.

L’associazione ringrazia La Civetta di Minerva per lo spazio concessoci e approfitta di questo spazio per chiedere a coloro che il prossimo 10 Giugno si prepareranno a governare questa città di impegnarsi a creare spazi sociali e inclusivi nelle periferie, oltre che firmare dei protocolli sulla legalità, visto anche i recenti e preoccupanti atti intimidatori avvenuti nei confronti dei negozianti e delle attività commerciali.

Abbassare la guardia significherebbe arrendersi a volere di imbecilli che lavorano e guadagnano solo con la fatica di altri, capaci solo ad usare armi e intimidazioni. Forse pensano di essere invincibili ma di invincibile non hanno nulla, sta a noi prendere coscienza e fare del nostro meglio per migliorare la società in cui viviamo.

“La mafia uccide, il silenzio pure” (Peppino Impastato).

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3129:il-25-lauretta-rinauro-libera-su-cultura-e-legalita&catid=17&Itemid=143

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 Il Maggio dei Libri nella prima edizione di “Floridia in biblioteca” tantissimi eventi culturali. Sabato 19 iniziativa a ricordo della scrittrice Chiara Palazzolo, prematuramente scomparsa

La Civetta di Minerva, 11 maggio 2018

Insieme al Salone internazionale del Libro di Torino, il Maggio dei Libri è un altro degli appuntamenti culturali di primavera.

Tra le numerose iniziative che coinvolgono scuole, scrittori, lettori, operatori culturali, biblioteche, archivi di tutta Italia, segnaliamo la I edizione di “Floridia in biblioteca” (progetto dell’associazione Ninphea diretto dalla professoressa Stefania Germenia, realizzato con il patrocinio del Comune di Floridia con la collaborazione di Naxoslegge): la biblioteca del terzo millennio non è più o non è soltanto deposito di libri e luogo deputato alla ricerca e allo studio, ma si apre al territorio e coinvolge tutte le forze in campo per promuovere una cittadinanza attiva e consapevole e una fruizione creativa, perfino giocosa, della cultura.

Dopo l’appuntamento del 7 maggio scorso, che ha visto l’inaugurazione della mostra di cartoline d’epoca del professor Vincenzo La Rocca “Saluti da…”, con la collaborazione della Soprintendenza BB.CC.AA. di Siracusa, la tavola rotonda “Storie di biblioteche che resistono”, con gli interventi delle professoresse Girmenia e Gozzo, della professoressa Elena Savatta (direttrice del centro studio ibleo), del dottor Giuseppe Garro, antropologo, e della dottoressa Paola Cappè, che presiede l’Associazione italiana biblioteche e dirige la Biblioteca comunale di Canicattini Bagni (ricordiamo la recente iniziativa del 6 maggio scorso legata a “Nati per leggere” presso la Galleria regionale di Palazzo Bellomo), ecco le prossime date: il 19 maggio, sabato, sarà la volta delle iniziative a ricordo della scrittrice Chiara Palazzolo, prematuramente scomparsa (un convegno, che vedrà l’intervento di Fulvia Toscano, direttore artistico di Naxoslegge e Nostos e consulente culturale di Ninphea – rappresentata dalla dottoressa Giovanna Tidona e dalla professoressa Paola Gozzo – della professoressa Filomena Migneco Frasca e del professor Giuseppe Lupo, docente di letteratura moderna e contemporanea presso la Cattolica di Milano, sarà dedicato alla figura di Chiara Palazzolo, che verrà omaggiata anche con una lettura di brani tratti dalle sue opere accompagnata da brani eseguiti dal maestro Antonio Granata; la sala lettura della biblioteca sarà intitolata alla memoria dell’autrice).

Venerdì 25 maggio, nell’ambito dell’incontro “Cultura è legalità”, l’avvocatessa Lauretta Rinauro, coordinatrice provinciale di “Libera”, interverrà sul tema; verrà proiettato il corto “Il silenzio è mafia” a cura della Chain Production, mentre la compagnia teatrale “Il Sipario” di Canicattini Bagni si esibirà nel recital “Sacrificati nella vita… vivi nella storia”. La professoressa Daniela Campisi donerà un’opera fotografica alla biblioteca.

“Fondare biblioteche è un po’ come costruire ancora granai pubblici: ammassare riserve contro l’inverno dello spirito che da molti indizi, mio malgrado, vedo venire”: non c’è forse citazione migliore di quella tratta da Marguerite Yourcenar per invitare i nostri lettori a (ri)scoprire il valore del ruolo delle biblioteche per la nostra vita personale e comunitaria.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3116:nel-comprensivo-di-via-gela-leggimi-una-storia&catid=17&Itemid=143

Nel Comprensivo di via Gela “Leggimi una storia”

MARIA LUCIA RICCIOLI
Martedì, 15 Maggio 2018 10:42

Cappè, Politi e Astore presentano “Il mago tre P” di Moscon. Neil Gaiman: “Una città non è una città senza una biblioteca, anche se pretende di esserlo”

La Civetta di Minerva, 27 aprile 2018

I futuristi sognavano di dar fuoco alle biblioteche, viste come sepolcreti di libri morti. Magari, se oggi partecipassero alle iniziative che rendono la biblioteca cuore di un quartiere, punto di riferimento e d’incontro, luogo dove si sperimenta l’inclusione, istituzione che si muove per andare incontro ai lettori, forse cambierebbero idea.

Nello scorso numero abbiamo parlato di MediaLibraryOnLine, adesso disponibile in biblioteca: è possibile prendere in prestito, direttamente da casa, due e-book al mese tra 30.000 nuovi titoli e 800.000 testi classici, oltre che consultare gratuitamente l’archivio del Corriere della Sera, dal 1876 al 2016; in occasione della Giornata mondiale del libro e del diritto d’autore, presso la Biblioteca comunale di Canicattini Bagni (SR) intitolata a Giuseppe Agnello, si è svolto il Canicattini Bagni BookFest, che ha salutato l’inverno e festeggiato con la primavera il rifiorire delle più originali, diffuse e coinvolgenti occasioni di lettura, legate al Maggio dei Libri che torna con la sua sfida, leggere, e leggere ovunque: il 22 e 23 aprile scorsi, in collaborazione dell’Associazione La Tana dei Goblin Siracusa, Titò di Cettina Marziano e VerbaVolant edizioni, casa editrice siracusana specializzata nella letteratura per bambini e ragazzi, la biblioteca ha accolto attività di lettura e di gioco, coinvolgendo bambini e ragazzi di scuola elementare e media.

Altro appuntamento interessante sarà quello di “Leggimi una storia – Associazione Culturale”: il 2 maggio prossimo verrà approfondita la figura di Giuseppe Pitrè, oltre al tema dell’ “accessibilità” dei contenuti letterari a lettori con difficoltà di lettura insieme alla cooperativa Phronesis: presso il X Istituto comprensivo “Emanuele Giaracà” di via Gela a Siracusa, la dottoressa Paola Cappè (che non solo dirige la Biblioteca di Canicattini Bagni ma è anche responsabile per la regione Sicilia dell’AIB, l’associazione che riunisce e coordina le biblioteche italiane), la dottoressa Viviana Politi e la dottoressa Luana Astorepresenteranno “Il mago tre P” di Lilith Moscon, illustrato da Marta Pantaleo.

“La cultura è un bene primario come l’acqua; i teatri, le biblioteche e i cinema sono come tanti acquedotti”, diceva Claudio Abbado. Ci permettiamo di ricordarlo ai nostri amministratori, perché – e qui citiamo Neil Gaiman – “Una città non è una città senza una biblioteca. Magari pretende di chiamarsi città lo stesso, ma se non ha una biblioteca sa bene di non poter ingannare nessuno”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3082:del-pasticciaccio-di-gadda-ho-riprodotto-assonanze-dissonanze-ritmi&catid=17:cultura&Itemid=143

Del Pasticciaccio di Gadda ho riprodotto assonanze, dissonanze, ritmi”

MARIA LUCIA RICCIOLI
Venerdì, 27 Aprile 2018 16:25

“In ogni pagina del romanzo c’è la storia dell’italiano”. Intervista all’avolese Jean Paul Manganaro, uno dei più importanti traduttori dal e in francese

La Civetta di Minerva, 13 aprile 2018

A coronamento del laboratorio di lettura organizzato dalla Biblioteca comunale di Siracusa sul romanzo“Quer pasticciaccio brutto de via Merulana” di Carlo Emilio Gadda, il 10 aprile scorso si è tenuto l’incontro, moderato sapientemente da Salvo Gennuso, con uno dei più importanti traduttori dal e in lingua francese, Jean-Paul Manganaro, una vera e propria autorità nel proprio campo, che ha affrontato l’improba ma grata fatica – lunga e amorosa è la frequentazione di Gadda da parte del traduttore, che è nativo di Bordeaux, vive a Parigi ma è di origini avolesi – di trasporre il gliuòmmero, il pasticcio, lo strano oggetto che è quest’opera affascinante e impervia come una scalata.

Manganaro, nel corso di quella che è stata quasi una conversazione più che una conferenza, ha spaziato con ironia e competenza dall’infanzia difficile dell’autore, orfano di padre e lacerato da un irrisolto edipico rapporto con la madre, alla scrittura di Gadda, la cui biografia – apparentemente scarna e priva di fatti significativi – confluisce tutta nella scrittura: l’élan vitale di Gadda fluisce tutto nell’opera – basterebbe pensare a “La cognizione del dolore”.

Manganaro ha quindi narrato la parabola dell’ingegnere elettrotecnico “prestato” alla scrittura, che si nutrì di Leibniz e Spinoza, filosofi fondamentali per comprendere l’universo gaddiano, un universo policentrico, plurilinguistico e polifonico, dallo stile diremmo jazzato e cubista, se l’immaginifico barocco scrittore non sfuggisse a qualsiasi tentativo di sistematizzazione; dai saggi alle novelle, veri e propri frammenti di esistenza, alla pubblicazione di alcuni “tratti” ovvero capitoli, sezioni del romanzo su rivista – tra le più importanti dell’epoca ricordiamo per tutte “Solaria” e “Letteratura” –, Gadda ridefinisce il modello letterario ereditato dalla tradizione.

Per comprendere Gadda, Manganaro si serve delle spie linguistiche: le descrizioni, le digressioni che danno stoffa al ragionamento – pensiamo ai cieli e alle nuvole gaddiane –, l’utilizzo peculiare della punteggiatura, materializzano l’idea di Gadda – molto pirandelliana – secondo il quale la realtà della verità non esiste e anche se esistesse non potrebbe essere trovata: alla Deleuze, la soluzione potrebbe essere uno dei possibili che non si è attuato; un fatto non ha una sola causale ma tante causali; tutto è effetto e tutto è causa.Realtà e verità sono dunque punti di interrogazione… i puntini di sospensione rappresentano graficamente il non si sa, i chissà. Una frase che procedesse per virgole e punti e virgola passerebbe dalle tesi e antitesi ad una sintesi (secondo la logica classica), conferendo al discorso un ordine gerarchico che invece Gadda sovverte tramite l’uso quasi matematico dei due punti, che pongono tutte le situazioni sullo stesso piano di equivalenza e corresponsabilità. E qui il sovvertimento diventa anche politico: noto è il disprezzo di Gadda per il fascismo – sublime il grottesco di “Eros e Priapo” – e nel romanzo Polizia e Carabinieri, tra l’altro intralciandosi a vicenda, nonostante la dichiarata e muscolare intransigenza non riusciranno a dipanare l’imbroglio, impotenti come sono a dirimere il pasticciaccio, il gomitolo intrecciato del delitto.

Tradurre è trans-ducere, trasportare. Io la immagino come un barcaiolo intento a trasportare della merce preziosa da una riva all’altra – le lingue di partenza e arrivo –: qualcosa è andato perduto in acqua?

Il carico è arrivato tutto. Ho riprodotto assonanze, dissonanze, ritmi, la sinfonia di questo romanzo il cui stile mette il lettore sull’attenti: non permette distrazioni e per tradurlo, per cucire le parole punto per punto a maglia fina, per non perdere il filo, la musicalità della scrittura, ho impiegato dodici ore al giorno per un anno senza fare altro. Forse qualcosa si sciupa ma il carico è arrivato per intero. Non è il primo libro di Gadda che traduco e comunque questa traduzione arriva dopo anni di lavoro. L’amore per Gadda per me è viscerale, inspiegabile: prende qui – sorride – alle trippe. Rileggo “Quer pasticciaccio…” ogni due anni circa e ricordo la prima volta: non riuscivo a credere ai miei occhi. Tutta la storia della lingua italiana si ritrova in ogni pagina, in ogni riga del libro.

Oggi purtroppo la lingua – anche quella letteraria – sta subendo una sorta di normalizzazione che la fa somigliare non ad un organismo vivente e “multistrato” ma che la rende una lingua “Standa” più che standard, piatta e involuta, esattamente il contrario del lussureggiante e ben biodiversificato linguaggio gaddiano. Come ha reso la polifonia dialettale del romanzo, l’imbroglio linguistico oltre che quello della trama? Il napoletano, il romanesco, il molisano di Ingravallo e dei personaggi gaddiani… come sono stati “traghettati” in francese?

In Italia i dialetti sono ancora parlati, intesi, capiti: sono la vita quotidiana che entra nel discorso, anche del parlante colto. In Francia ci sono degli slang, l’argot, ma non dialetti: ho tradotto in un francese “strano” ma sempre comprensibile, come all’orecchio risulta strana ma comunque viene riconosciuta come italiana la lingua di Gadda (ricordiamo che all’epoca il cinema italiano, arte e industria insieme, supportava il napoletano ma soprattutto il romanesco come dialetto neorealistico per eccellenza); nel frasato diretto l’autore usa appunto i dialetti (che io rendo con un francese sviato o meglio traviato, con la sonorizzazione della dentale o una diversa tonalizzazione, scambiando per esempio T e D: le agglutinazioni sonore sono aggiunte di suono ma non di senso, le elisioni sono violente), mentre nel discorso indiretto utilizza dei ricami con il dialetto per non perdere la mescidanza tra le lingue. In questo mi ha facilitato l’aver lavorato a “Le baruffe chiozzotte” di Goldoni – anche in Gadda troviamo il legame con Venezia dato dalla contessa, ad esempio.

La traduzione è letterale oppure è più un lavoro di interpretazione? Che rapporto c’è tra un autore e chi lo traduce?

Interpretare vuol dire non essere stati capaci di tradurre, aggirare l’ostacolo senza trovare l’espressione, la parola precisa, esatta. La scrittura è il gancio, la materia e il terreno comune, il momento di confronto tra autore e traduttore che non può né deve essere traditore. Bisogna cogliere i soffi, i respiri, le pulsazioni di ciò che si traduce, sordi alle suggestioni, ingannevoli come sirene, dell’interpretazione.

E qui Manganaro senza dirlo credo che accenni anche ad una misura più alta del proprio mestiere, che è quella etica.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=3076:vaccaro-gli-uomini-dell-800-reagirono-alla-lotta-delle-donne&catid=17&Itemid=143

Vaccaro: “Gli uomini dell’800 reagirono alla lotta delle donne”

MARIA LUCIA RICCIOLI 
Giovedì, 26 Aprile 2018 11:25
“Chiamandole maliarde grifagne o angeli tentatori”. Intervista all’autore di “Silfide, maga e sirena – L’ideale femminile nella letteratura italiana dell’Ottocento”

 

La Civetta di Minerva, 13 aprile 2018

Forse l’Ottocento è stato il secolo che ci ha donato le più fulgide rappresentazioni femminili – connotate sia positivamente che in una valenza negativa –: pensiamo a Madame Bovary, ad Anna Karenina, alle protagoniste dei romanzi delle sorelle Brönte e prima ancora alle smaglianti invenzioni del genio di Jane Austen, per citare solamente i primi nomi in punta di penna.

Possiamo dire che l’Ottocento porta alla ribalta e forse esaspera non solo la femminilità, ma anche e soprattutto il conflitto tra i sessi e l’irriducibilità della loro complementarietà / differenza, proprio in un’epoca in cui tante artiste oltre che tante donne comuni pretendevano un proprio posto in una società mutevole e attraversata da cambiamenti rivoluzionari in campo politico, economico e sociale.

Sirene, incantatrici, maliarde, dame eleganti, virago, civette narcise da una parte – il cliché della femme fatale declinato in ogni possibile sfaccettatura – contro Nedda e gli angeli del focolare dall’altra: questo il catalogo dei destini delle donne rappresentate nella letteratura del secondo Ottocento, che riflette da una parte e dall’altra precorre i mutamenti socio-culturali di un’epoca convulsa, che segue a quella risorgimentale e si proietta verso il ventesimo secolo.

Dell’argomento si è recentemente occupato il giovane studioso ragusano Stefano Vaccaro nel suo saggio, fresco di stampa per i tipi de Il Convivio Editore, intitolato appunto “Silfide, maga e sirena – L’ideale femminile nella letteratura italiana dell’Ottocento”, presentato il 6 aprile presso la sala del fondo antico della Biblioteca diocesana di Ragusa – intitolata a Monsignor Pennisi e diretta da don Giuseppe Di Corrado – nell’ambito della manifestazione LIBeRI A RAGUSA (di cui l’Ufficio Comunicazioni Sociali della Diocesi di Ragusa è media partner; la prefazione, di cui vi abbiamo offerto qualche stralcio all’inizio del pezzo, è della docente e scrittrice Maria Lucia Riccioli); con l’autore l’eminente prof.ssa Margherita Bonomo (Università degli Studi di Catania), che tra l’altro si è occupata a lungo di carteggi femminili ottocenteschi.

“La Civetta di Minerva” lo ha intervistato per voi.

Com’è nato in te l’interesse verso la letteratura dell’Ottocento?

Nell’immaginario fanciullesco che già dalla più tenera età mi si palesava innanzi, l’Ottocento prendeva sempre più la forma di una lunga galleria di immagini gotiche e spettrali, un pentagramma vivificato da figure grottesche, al limite del picaresco, all’interno del quale personaggi e trame considerate scriteriate o insolite avevano liceità non solo di essere pensate ma anche narrate. Il  fascino esercitato dal “diverso” ha fatto sì che sentissi la letteratura del XIX secolo molto vicina a me scegliendola difatti come oggetto della mia ricerca. Gli anni di studio mi hanno poi restituito un secolo molto complesso letterariamente e stratificato culturalmente, attraversato da numerose correnti e diversi “modi di sentire”; un viaggio affascinante che dura tutt’oggi e che dall’analisi del Verismo mi ha condotto allo studio del Simbolismo, senza tralasciare l’approfondimento per “movimenti” quali il Naturalismo, il Romanticismo e il Decadentismo. Ciò che mi preme coniugare è il rigore del metodo critico-scientifico alla curiosità che mi spinse ad indagare la letteratura italiana anni fa.

Silfide, maga e sirena… spiegaci come mai l’eterno femminino assume questi volti. E poi… ritieni queste “classificazioni” ancora attuali? Quali personificazioni o maschere potrebbero raffigurare le donne odierne?

Silfide, maga e sirena è un trinomio che ho preso in prestito da Verga (Una peccatrice, 1865) e che ben sintetizza la visione che si ebbe della donna per tutto il XIX secolo. L’Ottocento è di per sé il secolo delle rivoluzioni in tutti i campi dell’esperienza umana, pensiamo a quello politico con le rivoluzioni del ‘48 prima e le lotte risorgimentali poi, e ancora agli scompaginamenti sociali portati dalla meccanizzazione del lavoro e dell’avvento della borghesia, e non da ultimo ai risvolti culturali dovuti alla presenza, per la prima volta massiva e consapevole, della figura femminile anche in ambito culturale la quale, minando un sistema maschilista e patriarcale, cominciò a ritagliarsi, con fatica, spazi del sapere prima preclusi, facendo sentire la propria voce attraverso la pubblicazione di romanzi, feuillettons, articoli e pamphlets. La determinazione e la tenacia con le quali le intellettuali dell’Ottocento si batterono affinché i propri diritti d’espressione venissero riconosciuti dovette apparire del tutto nuova e allarmante per gli uomini del tempo che per questo, non appare sbagliato pensare, caricano la donna di aggettivi non sempre lusinghieri, descrivendola come una maliarda grifagna o un angelo tentatore.

Già a cominciare dal Novecento la figura muliebre non è più, o non è solo, silfide, maga e sirena ma acquista caratteri nuovi anche in vista di un impegno civile più vistoso che non rifugge connotati politici (pensiamo alle battaglie del ‘68). Oggi il polinomio verghiano con il quale il Siciliano descriveva la sua peccatrice appare svuotato di senso, rimane però, a mio avviso, una dicotomia “ottocentesca” di fondo per cui l’accostamento angelo-demone ha nuove possibili interpretazioni: se da un lato, in alcuni contesti e società, la donna può dirsi emancipata ricoprendo prestigiosi incarichi istituzionali e posizioni di rilievo nel campo della scienza, delle arti, dell’imprenditoria, della moda e delle telecomunicazioni, dall’altro lato la stessa donna, e il suo corpo, è tristemente vittima di attenzioni “superomistiche” fin troppo invasive, violente e incontrollate, finanche manesche, sanguinose e mortali.

Hai in cantiere altri lavori? Come vedi lo “stato dell’arte” della critica? Quali altri campi sarebbero da esplorare e quali vorresti affrontare tu?

Dopo aver reso nota, attraverso quest’ultima raccolta di saggi da poco edita, alle voci e ai pensieri degli intellettuali dell’Ottocento e al loro modo di pensare ed interpretare la donna, sto lavorando affinché abbia voce la controparte femminile. L’impegno muliebre difatti ha coinciso con volti e figure ben definite il cui studio spero riesca a sottrarle dall’oblio a cui per troppo tempo e ingiustamente sono state condannate. La mia ricerca si concentra innanzitutto sulle letterate siciliane che operarono nell’Isola nel medio e tardo Ottocento, dalle più note Giuseppina Turrisi Colonna (1822-1848) e Mariannina Coffa (1841-1878) alle misconosciute palermitane Concettina Ramondetta Fileti (1829-1900), Rosa Muzio Salvo (1815-1866), Lauretta Li Greci (1833-1849) e alla messinese Letteria Montoro (1825-1893): un’intera generazione di autrici che con forza e coraggio si batté affinché potesse esprimere le proprie idee contravvenendo spesso ai dettami imposti dalla società, rischiando cioè l’esclusione familiare, la sofferenza della solitudine e la stessa reputazione. Altro campo d’indagine è ancora la poesia novecentesca con particolare attenzione a quel segmento letterario al femminile che operò un nuovo linguaggio lirico italiano: Antonia Pozzi (1912-1938), Amelia Rosselli (1930-1996), Nadia Campana (1954-1985) e Catrina Saviane (1962 -1991).

   

 

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“La scrittura è felicità ma è anche sfida all’indifferenza”

MARIA LUCIA RICCIOLI
Giovedì, 19 Aprile 2018 09:09
Intervista alla poetessa e scrittrice avolese Paola Liotta, docente: “Le parole aprono vie inesplorate, gettano ponti”

La Civetta di Minerva, 30 marzo 2018

Abbiamo incontrato per voi Paola Liotta, avolese, docente e scrittrice, organizzatrice culturale – insegna materie letterarie e latino nel Polo Liceale dell’Istituto Superiore Statale “E. Majorana”, scrive sia in versi che in prosa, cura nella sua città tè letterari, presenta libri ed eventi, cura il blog “Di scritture, di sogni e di chimere”.

L’occasione è l’uscita, per i tipi di Algra Editore, della raccolta poetica “La felicità è muta”, che verrà presentata nei locali della Biblioteca comunale “Giuseppe Bianca” di Avola l’11 aprile alle ore 18 – ancora una volta l’editore Alfio Grasso conferma la capacità di scouting dei talenti emergenti e l’accoglienza in “casa Algra” di penne già sperimentate (ricordiamo infatti i precedenti scritti della sensibile e raffinata autrice: “Del vento, e di dolci parole leggere”, del 2009; del 2011 è “Di Aretusa e altri versi”, menzione di merito al Premio Letterario Internazionale S. Quasimodo, e del 2013 è il suo primo romanzo “… ed era colma di felicità”; al Premio Pentèlite 2014 è giunto finalista il suo racconto “Miele, mandorle e cannella”; una sua raccolta di trenta “Madrigali e rime varie”  ha ricevuto una segnalazione di merito al Premio letterario Pietro Carrera, edizione del 2017, ed è  stata appena pubblicata con il titolo “La luce dell’inverno” dalla casa editrice “Il Convivio”).

Perché la felicità è muta?

Vorrei che lo scoprissero i lettori, leggendomi. Le liriche de “La felicità è muta” costituiscono un nuovo squarcio del mio percorso creativo dove, pur confermando la mia fiducia illimitata nel valore della parola, emerge una visione intimistica della Felicità, cioè legata al vissuto personale, seppure percepita quale tratto comune d’umanità, che agli altri ci riconduce. Felicità, parola abusata ai nostri giorni, che, però, qui incarna la scrittura stessa e le sue meravigliose energie.

Poesia è felicità o felicità è poesia?

Per me questi due termini si equivalgono e stanno alla Bellezza e al senso stesso del vivere. Ai miei versi corrisponde un amore per la vita che si traduce in testimonianza di gioia, oltre ogni fatica o difficoltà. Per dirla ungarettianamente “la poesia è Poesia quando porta in sé un segreto”, un segreto che sia intessuto di generosità e pura bellezza. Difficilmente il poeta pensa di essere tale, lo è nella misura in cui un’altra persona si riconoscerà nei suoi testi, cogliendone il dato universale.

Qual è il tuo rapporto con la scrittura?

Potrei condensarlo nella massima “Nulla dies sine linea”. È un rapporto vitale: ispirazione, passione, ricerca vi si intersecano e stimolano in reciprocità di intenti. Esso è vivo a partire dalla mia dimensione professionale, che si traduce nella prassi didattica, soprattutto sul versante laboratoriale e creativo. Versi e prosa rappresentano medaglie diverse di uno sguardo che ama spaziare dentro e fuori di sé, portando in superficie “il mondo l’umanità/ la propria vita/ fioriti dalla parola”.

Tè letterari, scuola, scrittura… come concili questi mondi?

Fanno parte di me e si alimentano a vicenda. La scrittura è davvero felicità se intesa come angolo privilegiato da cui meditare sul reale, a ritemprarsi da ogni discrasia, ma anche sfida vera e propria all’incomunicabilità e all’indifferenza, che sono grandi mali del nostro tempo. Le parole aprono vie inesplorate, gettano ponti verso l’altro, spalancano varchi nell’Infinito, ed io godo di precipitarmi in essi. Il mio amore profondo per i libri non può che riconoscersi ‘felice mente’ in tutto ciò.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=2993:nelle-biblioteche-siracusane-avviato-il-prestito-digitale&catid=17&Itemid=143

 

 

Nelle biblioteche siracusane avviato il prestito digitale

MARIA LUCIA RICCIOLI
Mercoledì, 28 Marzo 2018 19:28
Per diletto o per studio, volete consultare dei libri? Basta accreditarsi e accedere al sistema Mlol, avrete gli ebook sull’iPad, smartphone, PC…

 

La Civetta di Minerva, 16 marzo 2018

Non solo carta, verrebbe da dire. Le biblioteche siracusane offrono la possibilità – è novità di questi giorni – di accedere al prestito digitale. Basta accreditarsi in biblioteca e accedere al sistema MLOL (Media Library On Line) con le credenziali fornite e… con un click si potranno leggere degli ebook. I libri digitali (se ne potrà richiedere il prestito di due al mese) saranno disponibili sui dispositivi dell’utente per quattordici giorni: si potrà quindi leggere gli ebook scelti sull’iPad, sullo smartphone, sul PC…

E non solo: la piattaforma Media Library offre anche un’App dedicata per permettere ai lettori di esplorare le liste di ebook disponibili, informarsi sulle novità, gestire le proprie liste personali e molto altro.

La biblioteca si pone quindi sempre più non solo come “deposito” di libri, riviste, documenti, ma anche come fonte di sapere diffuso, per venire incontro alle esigenze di inclusione e per realizzare sempre più concretamente la democratizzazione del sapere tramite una sempre maggiore accessibilità dei testi e delle conoscenze. A questo proposito, molte sono le risorse per la scuola primaria e le scuole secondarie di primo e secondo grado.

Auspichiamo anche che si possa presto espandere il servizio includendo l’edicola on line, che permetterà di accedere a seimila giornali e riviste on line.

Ricordiamo che tutte le biblioteche siracusane fanno parte del Sistema Bibliotecario Siracusano (SBS) che già permetteva di controllare se fosse presente e dove il libro richiesto, ma MLOL permetterà di allargare il prestito e “dematerializzarlo” (non sempre è facile, specie in Ortigia, trovare parcheggio e andare a studiare, a fare ricerche o a partecipare ai corsi e alle presentazioni in biblioteca, nonostante il contatto umano e la professionalità del personale siano impagabili; le biblioteche di quartiere inoltre costituiscono a nostro avviso un importante fattore di aggregazione sociale. Vorremmo sollecitare poi i nostri amministratori a non trascurare l’enorme patrimonio archivistico e librario cartaceo presente nelle nostre biblioteche, specie in quella di via dei SS. Coronati: manoscritti e corrispondenze di letterati, Privilegi e Diplomi che rimandano all’antico passato di Siracusa, incunaboli, cinquecentine e pergamene che se non correttamente conservati rischiano il deterioramento).

“La Civetta di Minerva” ha sperimentato per voi il servizio: è bastato registrarsi in biblioteca e tramite e-mail, ricevute le credenziali, è stato semplicissimo accedere alla piattaforma.

Buona lettura!

 

 

 

 http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=2981:noto-ripresa-dai-droni-in-paesi-che-vai-su-rai-uno&catid=17&Itemid=143

Noto ripresa dai droni in “Paesi che vai” su Rai Uno

MARIA LUCIA RICCIOLI
Lunedì, 26 Marzo 2018 10:12
Guida d’eccezione della troupe televisiva Eleonora Nicolaci, discendente della famiglia più illustre della città. Livio Leonardi: “Abbiamo raggiunto ascolti straordinari”

 

La Civetta di Minerva, 16 marzo 2018

Riprese in una manciata di giorni tra le nuvole e il sole di un inverno siciliano, piacevoli conversari sullo splendore del Barocco, le nostre eccellenze valorizzate: “La Civetta di Minerva” è stata per voi sul set di “Paesi che vai…”, in onda su Rai1 alle 9.40 domenica 18 marzo.

Il nostro giornale si era già occupato del programma in occasione della ripresa e messa in onda della puntata su Siracusa. Stavolta tocca a Noto, perla del Vallo – lo ricordiamo: Val di Noto, Mazzara e Demone sono i tre grandi distretti amministrativi di età araba, poi ripresi nel periodo borbonico – che porta il suo nome.

Antonio Costa ha scritto i testi della puntata, mentre regista ne è stato Daniele Biggiero, che ha già diretto la puntata relativa ad Agrigento e che fa parte della squadra del programma da un anno: “Siamo entusiasti del ritorno della trasmissione in Sicilia, regione dai colori e dalle storie che amiamo raccontare e riprendere”. Sì, riprendere, anche grazie allo sguardo del drone che esplora il cielo di Noto e si insinua tra le colonne su, su fino alle volte e alle facciate di chiese e palazzi. Qualche curioso segue la troupe, c’è il tempo per le foto e i saluti o per gustare le specialità per cui Noto e la Sicilia in genere sono a ragione celebri.

Livio Leonardi, ideatore e conduttore del programma – anche se è doveroso ricordare “Ciao Italia”, “Bella Italia”, “Le strade del sole”, “Una troupe racconta”, alcuni dei titoli di fortunati programmi per cui è stato apprezzato e premiato, sempre basati sul concetto di valorizzazione dei territori – ci racconta di come la trasmissione si sia evoluta nel tentativo di raccontare le città e le loro comunità, anche tramite un cambio di prospettiva: “Gli spettatori della nuova stagione troveranno più “fiction”, più figuranti, più storia e storie locali che forse ci regalano una chiave di lettura della storia nazionale; siamo molto attenti a realtà che si occupano di rievocazione storica – nella puntata su Noto, risulta indovinata la presenza di alcuni figuranti dell’Associazione netina “Corteo Barocco”, che hanno interpretato personaggi come Sinatra e Gagliardi – con professionalità e passione. La spinta del territorio per noi è fondamentale per raccontare al meglio le città: la bellezza di un costume, i disegni, le testimonianze pittoriche e figurative, tutto contribuisce alla narrazione”.

Cosa vuol dire per lei e per la troupe tornare in Sicilia?

“Siracusa e Agrigento sono uno scrigno di testimonianze. Il racconto che vedrete è, diciamo così, diluito; per la puntata di Noto abbiamo girato in diverse location, sei o sette, con quaranta minuti di racconto storico-artistico: per capire meglio il punto di vista che abbiamo scelto di assumere, basta guardare la sigla, accompagnata dalla voce di Andrea Bocelli che canta “Con te partirò”; l’occhio del visitatore, che magari dallo spazio profondo si avvicina sempre di più alla terra e poco a poco focalizza quello che vede, è il modo non accademico e molto fruibile con cui narriamo i luoghi”.

Quali fonti avete utilizzato?

“Le nostre fonti sono i documenti, i libri, le testimonianze: cerchiamo di valorizzare anche in questo campo i beni archivistici e librari che l’Italia conserva, parte non indifferente del patrimonio per cui siamo giustamente famosi nel mondo”.

Qual è la risposta del pubblico?

“I dati parlano da soli. Abbiamo raggiunto ascolti straordinari: se penso alla puntata su Lucca, ha raggiunto lo share del 23%, il risultato più alto di RaiUno fino al TG1 delle 20; la copertura netta è di 4.400.000, con un ascolto medio di due milioni e un +1,8% ad ogni puntata. Il format è originale, la progettazione editoriale è curata, ecco perché siamo premiati dall’apprezzamento del pubblico”.

Quali saranno le prossime tappe? Verrà toccata di nuovo anche la Sicilia?

“Brescia, Palermo, Recanati e quindi le Marche, la Puglia… non ci fermiamo”.

Quali altre novità ci sono nel programma? Ha in mente nuovi spunti, magari per le prossime puntate o per la nuova stagione?

“Intanto mi piace ricordare la rubrica “Naturosa”, che presenta itinerari naturalistico-paesaggistici e curiosità relative alla natura che circonda le città che narriamo o che, nel caso dell’Etna, caratterizza la regione: i parchi nazionali, i segreti e le risorse delle terre visitate, ecco la particolarità di “Naturosa”. Nella puntata su Noto ci è piaciuto riproporre – ma secondo un nuovo punto di vista, con un taglio differente – la nostra visita al vulcano. Ricordo sempre che la nostra ottica è quella della valorizzazione del patrimonio Unesco, di cui l’Italia è ricchissima: Noto e l’Etna, Agrigento, Modica con il suo cioccolato o la zona di Marzamemi con i prodotti di tonnara.

…La nostra visione è grandangolare. Allo studio c’è comunque anche una nuova rubrica che per ora è top secret” (ma ci facciamo promettere che “La Civetta di Minerva” sarà presente quando “Paesi che vai” tornerà in Sicilia).

Guida d’eccezione, che ha accompagnato Livio Leonardi e che guiderà i telespettatori alla scoperta delle bellezze della perla del Barocco siciliano, è la netina Eleonora Nicolaci. Che non è soltanto una guida turistica preparata, ma appartiene alla famiglia che forse più di tutte ha caratterizzato la storia di Noto (“La Civetta di Minerva” ha recensito il libro uscito per i tipi della Libreria Editrice Urso e che ricostruisce la storia dei Nicolaci dalla fondazione della casata alla fine del XVIII secolo, approfondendo eventi fondamentali per la storia netina e non solo come il terremoto del 1693); Eleonora Nicolaci, che si occupa di ricettività turistica anche grazie alla struttura aperta un anno fa, incentrata sulla fotografia e i siti più significativi del Val di Noto (il B&B PhotoGuest, cui dobbiamo nella persona di Giovanni Tumminelli i crediti delle fotografie che accompagnano l’articolo), passeggiando e dialogando con Livio Leonardi per il “giardino di pietra”, la Noto barocca di Santa Chiara e della Cattedrale, di Palazzo Nicolaci e delle altre splendide location della puntata di “Paesi che vai”, ha descritto e narrato con grazia e competenza la storia dei siti visitati. Ecco le sue parole sull’esperienza vissuta.

“Essere chiamata dall’autore della trasmissione per la mia pubblicazione su Noto e la famiglia Nicolaci e quasi contemporaneamente dal Comune per essere la guida per la puntata è stata una grandissima soddisfazione, come pure poter fare un salto nel mondo di mamma Rai: vedere il dietro le quinte, collaborare alla creazione della puntata, conoscere Livio Leonardi e la sua troupe, incoraggiante e paziente, che ci ha messo il cuore e anche di più per confezionare un prodotto di divulgazione sulla splendida e maestosa Noto, che spero sia conosciuta e amata sempre di più, è stata un’esperienza unica”.

E per voi…

Avete perso la puntata su Noto? Ecco a voi 😉
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Nelle biblioteche siracusane avviato il prestito digitale

MARIA LUCIA RICCIOLI
Mercoledì, 28 Marzo 2018 19:28
Per diletto o per studio, volete consultare dei libri? Basta accreditarsi e accedere al sistema Mlol, avrete gli ebook sull’iPad, smartphone, PC…

 

La Civetta di Minerva, 16 marzo 2018

Non solo carta, verrebbe da dire. Le biblioteche siracusane offrono la possibilità – è novità di questi giorni – di accedere al prestito digitale. Basta accreditarsi in biblioteca e accedere al sistema MLOL (Media Library On Line) con le credenziali fornite e… con un click si potranno leggere degli ebook. I libri digitali (se ne potrà richiedere il prestito di due al mese) saranno disponibili sui dispositivi dell’utente per quattordici giorni: si potrà quindi leggere gli ebook scelti sull’iPad, sullo smartphone, sul PC…

E non solo: la piattaforma Media Library offre anche un’App dedicata per permettere ai lettori di esplorare le liste di ebook disponibili, informarsi sulle novità, gestire le proprie liste personali e molto altro.

La biblioteca si pone quindi sempre più non solo come “deposito” di libri, riviste, documenti, ma anche come fonte di sapere diffuso, per venire incontro alle esigenze di inclusione e per realizzare sempre più concretamente la democratizzazione del sapere tramite una sempre maggiore accessibilità dei testi e delle conoscenze. A questo proposito, molte sono le risorse per la scuola primaria e le scuole secondarie di primo e secondo grado.

Auspichiamo anche che si possa presto espandere il servizio includendo l’edicola on line, che permetterà di accedere a seimila giornali e riviste on line.

Ricordiamo che tutte le biblioteche siracusane fanno parte del Sistema Bibliotecario Siracusano (SBS) che già permetteva di controllare se fosse presente e dove il libro richiesto, ma MLOL permetterà di allargare il prestito e “dematerializzarlo” (non sempre è facile, specie in Ortigia, trovare parcheggio e andare a studiare, a fare ricerche o a partecipare ai corsi e alle presentazioni in biblioteca, nonostante il contatto umano e la professionalità del personale siano impagabili; le biblioteche di quartiere inoltre costituiscono a nostro avviso un importante fattore di aggregazione sociale. Vorremmo sollecitare poi i nostri amministratori a non trascurare l’enorme patrimonio archivistico e librario cartaceo presente nelle nostre biblioteche, specie in quella di via dei SS. Coronati: manoscritti e corrispondenze di letterati, Privilegi e Diplomi che rimandano all’antico passato di Siracusa, incunaboli, cinquecentine e pergamene che se non correttamente conservati rischiano il deterioramento).

“La Civetta di Minerva” ha sperimentato per voi il servizio: è bastato registrarsi in biblioteca e tramite e-mail, ricevute le credenziali, è stato semplicissimo accedere alla piattaforma.

Buona lettura!

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Incontro letterario-musicale al cine teatro Italia di Sortino, organizzato dal Comune in collaborazione con la Biblioteca Comunale ”Andrea Gurciullo” e il Primo istituto comprensivo “G.M. Columba” di Sortino

La Civetta di Minerva, 2 marzo 2018

“Persuasione” e “Northanger Abbey”(1818) sono due romanzi postumi: mentre il secondo era già terminato nel 1803, il primo è in realtà l’ultima opera completa scritta poco prima dell’aggravarsi della malattia di Addison che ne porterà alla morte l’autrice il 18 luglio del 1817: quindi, quest’anno ricorrono duecento anni esatti dalla pubblicazione di due dei sei romanzi canonici – gli altri sono naturalmente “Orgoglio e pregiudizio”, “Ragione e sentimento”, “Emma” e “Mansfield Park” – di Jane Austen, il bicentenario della cui scomparsa è stato celebrato nel 2017.

L’autrice inglese, letta, parodiata, reinventata, frequentata dal teatro e dal cinema (ricordiamo per tutti “Il club di Jane Austen”), gode di un successo imperituro: Catherine, Anne, Elizabeth, Elinor e Marianne, Emma e Fanny, le sue eroine, sono modelli dell’eterno femminino in lotta per la propria affermazione nonostante l’epoca Regency e la nostra sembrino agli antipodi. La Austen, ironica e pungente, genio universale che è sbagliato imbrigliare nell’assurda categoria dei “romanzi per signorine” sebbene le apparenze mostrino il contrario – gli eventi storici non sembrano toccare i suoi romanzi, che ruotano intorno a balli, intrighi matrimoniali, pettegolezzi, concerti casalinghi, picnic –, ritrae con la sua penna acuta la piccola nobiltà di campagna e la borghesia che tenta la scalata sociale: nulla sfugge alla sua penna acuta che lavora su “tre o quattro famiglie in un villaggio di campagna” come un incisore, come un monaco alle prese con le miniature di una pergamena; la Austen paragonava infatti il proprio lavoro ad un “pezzettino di avorio, largo due pollici”, modellato “col più fine dei pennelli, in modo da produrre il minimo degli effetti col massimo dello sforzo”: nonostante una biografia apparentemente priva di avvenimenti rimarchevoli, la profondità della riflessione e la vastità dell’immaginazione – sense and sensibility, razionalismo illuminista e romanticismo ottocentesco, che la Austen comunque aborriva e parodiava nei suoi eccessi lacrimevoli e gotici – l’hanno resa universalmente nota e apprezzata sia dai lettori che da studiosi e critici.

Lo scorso anno, la pianista Donatella Motta e la docente e scrittrice Maria Lucia Riccioli, qui in veste di voce narrante, si erano rese protagoniste di un aperitivo letterario a tema Jane Austen organizzato dalla dottoressa Paola Cappè, impegnata nel diffondere l’amore per i libri e la lettura con varie iniziative che ruotano intorno alla biblioteca Agnello di Canicattini Bagni (SR); quest’anno, venerdì 2 marzo scorso il recital è stato riproposto all’interno dell’incontro letterario-musicale “Vi presento Jane Austen” che si è tenuto presso il CineTeatro Italia a Sortino. L’evento è organizzato dal Comune di Sortino in collaborazione con la Biblioteca Comunale ”Andrea Gurciullo” e il Primo istituto comprensivo “G.M. Columba” di Sortino: le classi seconde della scuola secondaria di primo grado – da rimarcare la sensibilità della docente Lisa Manca, oltre che l’impegno della dottoressa Maria Sequenzia, che ha fortemente voluto il progetto – hanno presentato un lavoro di ricerca sulla scrittrice che si è concluso con il recital del duo siracusano.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=2929:la-prof-gringeri-pantano-dona-un-prezioso-libro-ad-avola&catid=17&Itemid=143

La prof. Gringeri Pantano dona un prezioso libro ad Avola

MARIA LUCIA RICCIOLI
Giovedì, 08 Marzo 2018 13:55
Le “Osservazioni geognostiche e geologiche sopra i terreni” di quella città, scritto da Pompeo Interlandi nel 1837. Nel cinquantenario della Pro Loco ne è stata tratta una ristampa anastatica

La Civetta di Minerva, 2 febbraio 2018

Riflettere sul terremoto del 1693 e sugli studi che nell’Ottocento venivano denominati di “Geognosia” non è questione oziosa, anzi ma permette non solo agli storici – compresi gli storici della scienza – ma anche ai geologi e agli esperti di sismi di comprendere meglio la natura del nostro territorio, ovvero quello della Sicilia sudorientale che ebbe a soffrire maggiormente di una delle catastrofi più gravi della storia moderna se non della storia umana e della Terra in generale, oltre che a permettere insieme alle nuove scoperte di approntare soluzioni per affrontare eventuali nuovi eventi sismologici.

In occasione del cinquantesimo anniversario della fondazione della Pro Loco di Avola (2017) è uscita laristampa anastatica di uno studio del 1837, presente negli Atti della celebre Accademia Gioenia di Catania, scritto da Pompeo Interlandi e Sirugo principe di Bellaprima, calatino di origine ma vissuto fin dalla prima infanzia ad Avola, la cui biografia – che risente degli stilemi del tempo e della prassi elogiativa dei concittadini illustri –, lavoro del botanico Giuseppe Bianca, è posposta al saggio, intitolato “Osservazioni geognostiche e geologiche sopra i terreni di Avola” (uscito per i tipi della tipografia di Andrea Norcia a Noto).

L’esemplare, ritrovato presso l’Antica Libreria di San Gregorio di Catania, è stato donato dalla professoressa Francesca Gringeri Pantano alla Biblioteca comunale di Avola che porta il nome di Giuseppe Bianca (intellettuale che coltivò sia interessi scientifici che umanistici: ricordiamo che si occupò anche della poetessa e patriota netina Mariannina Coffa, incoraggiandone il cammino poetico).

Nel saggio l’Interlandi dà notizia della tipica pietra calcarea giurgiulena, delle conchiglie ivi contenute, della Grotta di Marotta, temperando le teorie illuministiche con la lezione del suo maestro Carlo Gemmellaro: la geologia si sta differenziando e specializzando nell’ambito delle Scienze naturali e ne è prova lo studio litologico, paleontologico e stratigrafico che Interlandi mostra di aver compiuto sul territorio in esame.

Lo studioso della scienza troverà motivi di interesse nei riscontri fra quanto si conosceva all’epoca di Interlandi e quanto di nuovo le indagini moderne abbiano acquisito, mentre il linguista apprezzerà le chicche rappresentate da parole desuete e impianto retorico tipici dello scrivere del tempo; l’elogio di Giuseppe Bianca consente invece, al di là del motivo encomiastico, di gettare una luce sulla nobiltà ottocentesca, sulla reazione del ceto nobiliare e borghese ai moti e alle rivoluzioni degli anni Trenta dell’Ottocento, al Quarantotto e al Risorgimento con tutte le problematiche relative alla rappresentanza parlamentare e ai nuovi equilibri tra i ceti, oltre che sulla formazione intellettuale di un rampollo della nobiltà siciliana quale l’Interlandi, visto anche nelle sue componenti umane e nei complicati rapporti familiari.

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Teresa Laterza: “L’ispirazione poetica è un dono divino”

MARIA LUCIA RICCIOLI
Domenica, 18 Marzo 2018 17:37
Intervista all’autrice di Armonia d’essenza: “Il mio impegno come editor e book counselor, o consulente editoriale, nasce dall’amore per la parola”

 

La Civetta di Minerva, 2 marzo 2018

“La Civetta di Minerva” ha incontrato per voi Teresa Laterza, docente, scrittrice, book counselor e editor; nativa di Putignano, vive a Caltagirone. Ha recentemente pubblicato un volume di versi per i tipi di CTL Editore, “Armonia d’essenza”, che raccoglie poesie dense di ricerca del significato più profondo della parola, appunto della sua essenza che forse coincide con l’essenza stessa della vita, del senso più vero dello stare al mondo. Stati d’animo, pensieri, riflessioni, emozioni si esprimono in liriche anelanti all’armonia di cose e lingua.

Come si è approcciata al mondo della scrittura?

Amo la “parola” fin da piccola, da quando ho iniziato a prendere coscienza del fatto che l’uso efficace delle parole possa aprire infiniti orizzonti. Il modo in cui comunichiamo e ci rapportiamo agli altri attraverso la parola può determinare incredibili e provvidenziali cambiamenti. La forza della parola è qualcosa di inimmaginabile. Le parole toccano l’anima, spingono a riflettere e veicolano sentimenti. Ho mosso i primi passi nel mondo della scrittura con le poesie. Ricordo che, quando ero alle scuole elementari, per la festa della mamma, la maestra ci chiese di scrivere una poesia, fu allora che accadde qualcosa di inspiegabile. Sembrava così naturale per me comporre versi! Era come se una voce, proveniente da chissà dove, mi guidasse nel rendere alla carta le mie sensazioni, i miei sentimenti più riposti. Pareva che una forza invisibile guidasse la mia mano nel dare forma a ciò che intimamente era confuso e disordinato. Questo mistero continua ad accompagnarmi tuttora nella stesura dei miei scritti poetici e di altro genere. Credo che l’ispirazione poetica, o scrittoria in generale, sia un dono divino e di questo sono riconoscente, perché non vi è nulla di più bello che riuscire a donare con la parola.

Può descriverci il suo lavoro di editor e book counselor? Potremmo utilizzare le parole italiane corrispondenti, cioè consulente editoriale?

Il mio impegno come editor e book counselor, o consulente editoriale, nasce proprio dall’amore per la parola. Consapevole del fatto che ognuno di noi abbia dentro di sé un mondo di emozioni, ma che non sempre riesca a renderle alla carta, ho seguito il mio istinto nel cercare di aiutare chi scrive a comunicare quanto più efficacemente possibile. Il book counselor o consulente editoriale è sostanzialmente quella figura importante che si mette al servizio dell’autore e che ha il compito di seguirlo subito dopo la scrittura del libro. Si occupa di correggere qualsiasi tipo di errore presente nello scritto, di dare un senso compiuto alle frasi e di rendere la lettura quanto più fluida possibile. Il compito del consulente editoriale, tuttavia, non si limita a questo. Altra funzione fondamentale è quella di seguire e aiutare l’autore durante le presentazioni della sua opera. Dovrà saper svolgere, quindi, anche il ruolo di mediatore. Una comunicazione efficace è alla base dell’interesse e della curiosità. Perché ciò avvenga non è sufficiente che il book counselor sia solo una persona preparata e che, quindi, abbia dimestichezza con la parola e con la conoscenza della lingua italiana e delle regole grammaticali, ma è necessario che sviluppi una comunicazione empatica con lo scrittore, comunicazione che è possibile solo attraverso una lettura attenta dell’opera dello stesso, quasi a farne suoi i contenuti; solo quando si sarà calato nei significati che l’autore ha voluto esprimere e sarà riuscito a catturare l’attenzione e l’interesse del pubblico, allora il suo compito potrà dirsi concluso. Proprio ultimamente sono impegnata nella stesura di un saggio in cui tratto della scrittura e dell’importanza della figura del book counselor.

Non crede nel filtro e nella mediazione culturale degli editori? Perché l’autopubblicazione?

Certamente. Esistono ottimi editori in grado di fornire agli autori il giusto aiuto e la necessaria considerazione. Il mio impegno collaborativo come book counselor o consulente editoriale è qualcosa che si affianca, sovente, alle competenze di una buona Casa Editrice, ma può anche essere richiesto al di fuori dei servizi messi a disposizione dall’editore, al quale l’autore fondamentalmente si rivolge per la pubblicazione del proprio manoscritto. Resta il fatto che, sia che si scelga la via della pubblicazione attraverso una Casa Editrice, sia che si opti per l’autopubblicazione, il successo di un libro dipenderà dalla qualità del libro stesso e tale qualità, ribadisco, è legata all’uso corretto della lingua e ad una promozione adeguata affidata a chi sa esprimersi efficacemente conoscendo il potere della parola di veicolare sentimenti ed emozioni.

L’esperienza poetica: qual è il senso della poesia oggi?

Difficile dire cosa sia per gli altri la poesia. Posso sicuramente affermare che, personalmente, esperisco la poesia come un impellente bisogno di esternare pensieri e di essere autenticamente me stessa. Attraverso la parola ci si spoglia di tutte le maschere e le “prigioni” che ingabbiano l’uomo in questa società basata molto più sull’apparenza che sulla sostanza. La poesia è volo libero, autenticità, essenza, armonia, (Armonia d’essenza è proprio il titolo che ho dato alla mia ultima silloge pubblicata dalla CTL Edizioni) verità e, come tutte le altre forme d’arte, è dono di sé agli altri, fremito, passione, condivisione. Credo che, ultimamente, si stia riscoprendo l’importantissimo valore sociale e morale della poesia, forse proprio in seguito alle brutture che caratterizzano, ahimè, la nostra società. Tutto quello che di positivo può derivare dalla parola in versi o narrativa, nel suo divenire esperienza, dimostrazione, riflessione, non può che rappresentare quel tassello in più indispensabile per dar vita ad una società basata su sani principi, sull’etica, sulla gratitudine, sulla ragionevolezza, sul rispetto dell’altro e dell’ambiente.

Lei fa parte del direttivo della rivista internazionale “Le Muse”, giunta ai vent’anni di attività e che ha accolto tra gli altri i contributi di Peter Russell e Giorgio Barberi Squarotti. Qual è il ruolo oggi delle riviste letterarie rispetto al passato?

Le riviste letterarie in passato furono di importanza sostanziale perché, proprio attraverso la loro opera, molti poeti esordienti si fecero conoscere ed apprezzare. Grandi furono le attività di traduzione di poeti contemporanei stranieri che permisero il superamento di angusti limiti provinciali attraverso il contatto con le più importanti correnti di pensiero. L’impegno politico fu un’altra caratteristica delle riviste letterarie del passato. Le riviste letterarie ancora oggi hanno un’importantissima funzione da assolvere, quella della diffusione della cultura e dell’arte in genere. Diffondere cultura attraverso articoli, interviste, note critiche e recensioni significa promuovere autori meritevoli, dare loro il giusto spazio e riconoscimento, ascoltarli attraverso i loro scritti, mettendo a disposizione dei lettori le loro personali esperienze che possono essere d’aiuto e d’insegnamento. È questa, in particolare, la missione della rivista internazionale Le Muse, da quasi vent’anni sul panorama culturale, diretta dalla dottoressa, nonché giornalista, critico e poetessa, Maria Teresa Liuzzo, con la quale ho il piacere di collaborare. Sostenere la cultura è un dovere e un segno di civiltà. La cultura si costruisce insieme con impegno, determinazione, competenze, notti insonni e tanto sacrificio.

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“Abbiamo fatto passeggiare i vampiri sotto i portici di Bologna”

MARIA LUCIA RICCIOLI
Domenica, 04 Marzo 2018 13:33
Di grande qualità i racconti horror presentati alla Casa del Libro. Un’antologia con i migliori autori del genere che hanno ambientato le storie in Italia

La Civetta di Minerva, 16 febbraio 2018

Domani, 17 febbraio, a partire dalle 18.30, presso la Casa del Libro Rosario Mascali, ci sarà la presentazione dell’antologia di racconti horror “I signori della notte, storie di vampiri italiani”, a cura di Luca Raimondi, pubblicata da Morellini editore. Oltre al curatore Luca Raimondi – ricordiamo il suo ultimo romanzo, “Il grande chihuahua” (Augh! Edizioni), scritto insieme a Joe Schittino; si è riformato il duo di “Cerniera lampo”, recentemente rieditato – saranno presenti anche due autori, Stefano Amato e Angelo Orlando Meloni, che il nostro giornale ha avuto modo di intervistare e recensire più volte (ricordiamo il libro su Archimede di Amato e “La fiera verrà distrutta all’alba” tra gli ultimi lavori di Angelo Meloni; la trasmissione “Segnalibro” di Tris, condotta da Maria Lucia Riccioli e dalla giornalista e scrittrice Lucia Corsale, le interviste sia a Raimondi che a Meloni).

Chi sono i vampiri? La figura del non morto, tipica di molte tradizioni europee, divenuta icona grazie a Bram Stoker e ai suoi epigoni, non ultima l’autrice di “Twilight” o i cineasti che si sono cimentati con paletti di frassino, incarnati pallidi, castelli transilvani e tutto l’armamentario dei vari Van Helsing e ammazzavampiri collegati, non smette di incarnare sempre nuove istanze. In questo libro la vediamo scorrazzare da Bologna alla Maremma, da Roma alle Dolomiti, soggetto di marketing in Piemonte e manager di cooperative sociali in Sicilia, oggetto di studio per uno psichiatra di Milano…

La prefazione è di Andrea G. Pinketts e l’antologia contiene racconti di Gianluca Morozzi, Stefano Pastor, Sacha Naspini, Fabio Mundadori, Giuseppe Maresca, Nicola Lombardi, Fabio Lastrucci, Silvana La Spina, Maurizio Cometto, Fabio Celoni, Danilo Arona, Angelo Orlando Meloni, Stefano Amato, Luca Raimondi, Lea Valti.

Com’è nata l’idea di questa antologia? Come avete lavorato per realizzarla?

L’idea è nata un paio d’anni fa, durante una delle tante conversazioni con l’amico, studioso e appassionato di cinema e letteratura horror, Giuseppe Maresca. Per una pura coincidenza avevamo scritto entrambi due racconti che si ispiravano a due classici del genere vampirico: il mio conteneva una palese citazione del “Vampiro” di Polidori, quello di Maresca conteneva più di un richiamo alla “Carmilla” di Le Fanu. In buona sostanza entrambi avevamo citato due illustri precursori del più celebre “Dracula” di Bram Stoker ed entrambi avevamo deciso di collocare l’azione in Italia, nei contesti a noi più familiari. Pensare di impostare un’intera antologia su questa base è stato un passo quasi consequenziale. Non sono certo molti gli esempi di racconti e romanzi italiani che collocano nei nostri territori gli archetipi dell’horror, il più delle volte materiale abbastanza scadente.

A quel punto ho invitato molti degli scrittori che conoscevo o con cui avevo collaborato e che stimavo, a partire da Gianluca Morozzi: aveva già firmato la prefazione a un mio libro e ha subito capito lo spirito dell’operazione, facendo passeggiare Dracula per i portici di Bologna. A lui si sono aggiunti via via tanti altri, non solo i migliori specialisti del “genere” quali per esempio Danilo Arona e Nicola Lombardi, che comunque consideravo e considero autori a tutto tondo, popolari sì ma di grandissima levatura intellettuale e artistica, ma anche altri scrittori che magari avevano soltanto sfiorato l’horror senza mai affrontarlo di petto. Un esempio per tutti, Silvana La Spina, pluripremiata autrice di gialli e romanzi storici per case editrici come Mondadori, Bompiani, Giunti, ma potrei citare anche due autori molto conosciuti dal pubblico siracusano come Angelo Orlando Meloni e Stefano Amato. Quando si lavora con autori bravi, realizzare progetti del genere è semplice: ogni racconto che mi è giunto, infatti, era di grandissima qualità e di conseguenza anche trovare un editore è stato sì difficile (le antologie di racconti horror generalmente non raggiungono infatti grandi quote di mercato) ma non impossibile. Mauro Morellini, un editore di Milano con distribuzione nazionale, attento alla qualità prima ancora che al mercato, ha infatti sposato il progetto a prescindere dalle valutazioni di natura commerciale.

Com’è stato declinato il tema del vampiro dagli scrittori dell’antologia? Quale valore assume la figura del vampiro oggi – dato che film e libri ce ne hanno consegnato tante diverse sfumature?

Avevo in squadra autori molto diversi tra di loro e ognuno provvisto di una “voce” peculiare, una chiara identità letteraria, per cui il tema è stato affrontato in modo molto differenti, fornendo ovviamente quella varietà polifonica che è il valore aggiunto delle migliori antologie rispetto ai più monolitici romanzi. Ci sono racconti tenebrosi e dolorosi, ambientati tanto nel passato quanto nell’attualità, altri satirici, politici, ironici e persino divertenti, nei limiti in cui può definirsi divertente il genere horror. C’è persino un racconto, quello di Lea Valti, che osa persino il dialetto romanesco, con effetti sorprendenti. Il vampiro è un grande archetipo letterario, dire qualcosa di nuovo su una creatura tanto affascinante quanto decisamente inflazionata non era facile, ma se mi trovo qui a rispondere di quest’antologia è perché sono convinto che tutti i racconti che ho scelto contengano una prospettiva eccentrica rispetto a qualunque stereotipo legato ai “signori della notte” dai canini aguzzi, a partire naturalmente dal fatto che circolano per Milano, Roma, Bologna, Catania o Siracusa, montagne dolomitiche e paesini maremmani, e hanno a che fare con capitalisti, operai, psicologi, basi militari, mafiosi. Il mito del vampiro è millenario perché incarna tante pulsioni, paure e persino speranze dell’uomo (l’immortalità in primis) e non passerà mai di moda, contiene sempre qualche aspetto che si può applicare a un lato dell’animo umano  o a una qualche contingente situazione contemporanea. Del resto di vampiri che succhiano il sangue è oggi più che mai pieno il mondo, creature maligne capaci tanto di sedurre quanto di ripugnare, ne trovate a decine a capo di governi, eserciti, organizzazioni criminali, multinazionali.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=2863:restauratori-vengono-a-specializzarsi-qui-da-tutto-il-mondo&catid=17&Itemid=143

Fila ininterrotta di visitatori alla mostra dei sarcofagi egizi. Il professor Teodoro Auricchio (Istituto Europeo del Restauro): “Il restauro è un lavoro di équipe”. L’effetto sui minori: dopo la visita, un bambino è ritratto come un Egizio dalla sorella

La Civetta di Minerva, 19 gennaio 2018

Prosegue ancora, fino al 15 aprile 2018, la mostra egizia “La porta dei sacerdoti – I sarcofagi egizi di Deir-el Bahari” presso l’ex monastero e Chiesa di Montevergini in Ortigia.

Grande il successo di pubblico per questa che è molto più di un’esposizione: secondo le nuove tendenze della valorizzazione dei reperti, la fruizione è unita al contatto con i restauratori grazie alla futuristica cabina che permette di vederli al lavoro su questi antichi manufatti di legno – spesso composti di diversi pezzi assemblati data la cronica mancanza di legno in Egitto –, limo, creta, poi dipinti con scene figurative e non solo geroglifici tratti dal Libro dei Morti come nella XXVI dinastia.

Si tratta di pezzi unici e rarissimi a dominante giallo ocra, provenienti dalla Collezione Egizia del Musées Royaux d’Art et d’Histoire di Bruxelles ed appartenenti ad un periodo poco conosciuto della civiltà egizia, il terzo periodo intermedio, corrispondente alla XXI Dinastia (1070-900 a.C.). Provengono dal Secondo Nascondiglio di Deir el Bahari, comunemente conosciuto col nome moderno di “Bab el Gasus” che significa “La Porta dei Sacerdoti”, da cui il titolo della mostra. La tomba collettiva, scoperta casualmente nel 1891, comprendeva non meno di 450 sarcofagi ed un numero incalcolabile di suppellettili funerarie (splendidi gli ushabti, le statuette che avrebbero fatto da servitori ai defunti).

Il lavoro affascinantissimo di datazione – per vari motivi la tomba venne svuotata senza che se ne disegnasse una mappa precisa, che avrebbe permesso di collocare meglio nel tempo mummie e sarcofagi – e restauro ci viene raccontato non solo con competenza ma anche con signorile gentilezza dal professor Teodoro Auricchio dell’Istituto Europeo del Restauro: “Nel momento in cui restauriamo, proponiamo gli interventi. A questo punto si riuniscono i conservatori e i restauratori e si discute per decidere una linea comune: ad esempio, togliere tutto quanto non era originale, le integrazioni alle lacune… La diagnostica (a raggi infrarossi, ultravioletti) continua anche durante l’intervento. È un lavoro di équipe (esperti di diagnostica, restauratori, egittologi) e la comunicazione tra i portatori di diverse competenze è continua. Oltre ai miei due collaboratori, i restauratori, che vengono a specializzarsi qui, provengono un po’ da tutto il mondo (Taiwan, India, Galles, Bulgaria…)”.

Il professore ci ha illustrato non solo i reperti in mostra ma anche le tecnologie utilizzate per restaurarli, come gli occhiali che permettono al restauratore sia la visione normale che quella modificata, che offre a chi guarda la visione ad infrarossi e ultravioletti e quindi le risultanze di Tac, radiografie, analisi fisiche e chimiche (sui pigmenti, la composizione dei legni, la struttura, le parti moderne di raccordo…), oltre che filmare quanto si sta operando.

Scoperta nella scoperta, questi sarcofagi sono delle vere e proprie capsule del tempo: un biglietto da visita dell’Ottocento, rimasto nascosto all’interno di uno dei reperti, porta il nome di Armand Bonn. Il tempo dischiude i suoi portali e ci catapulta fino all’8 febbraio del 1864, quando la mano dell’esperto in “riparazioni invisibili” pensò di immortalare il proprio lavoro e di lasciare un messaggio ai restauratori del futuro: chissà che il lavoro del professore e della sua squadra non rivelino altre sorprese…

Emozionante anche leggere i nomi delle cantatrici di Amon, ammirare una stele dell’epoca di Tutmosi III, le corone di fiori che erano posate sulle mummie di Ramses II e Seti I o il papiro che ci racconta la storia del processo a quello che chiameremmo un “tombarolo”: testimonianze uniche che ci riportano ad un passato remotissimo che si rende presente ai nostri occhi interessati e stupiti.

La mostra prevede sconti particolari e “offerte” pensate per i gruppi, le famiglie, le scuole e in particolare (com’è avvenuto per l’Epifania) per i bambini: la mascotte Mumy – raffigurata nelle didascalie durante il percorso dedicato ai più piccoli con attività e testi dedicati – il 6 e 7 gennaio scorsi ha donato ai bambini presenti alla visita guidata offerta dal museo dei dolci offerti dalla pasticceria Condorelli.

Ecco le impressioni di Paolo, dieci anni, che è stato ritratto in vesti di Egizio con tutta la famiglia dalla sorellina Miriam, otto.

Cosa ti è piaciuto di più della mostra?

“I sarcofagi della diciannovesima dinastia, perché erano più antichi e più poveri di quelli della ventesima e ventunesima”.

Ti ha fatto impressione la mummia del bambino? (Non appartiene ai sarcofagi ritrovati, ma è stata inserita per completezza espositiva).

“Sì, tanto”.

E cosa ne pensi del professore?

“Molto intelligente e molto informato su un sacco di cose, infatti ha dato una spiegazione molto dettagliata”.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=2867:la-produzione-dei-pellami-a-noto-prima-del-terremoto-del-1693&catid=17&Itemid=143

Convegno dell’Archeoclub di Noto dedicato alla memoria del tragico evento. Nelle giornate di studio si è parlato anche dei mulini

La Civetta di Minerva, 19 gennaio 2018

Presso la sala Gagliardi del palazzo Trigona a Noto, si è appena conclusa la quinta edizione del convegno “Nella ferita la cura – 11 gennaio 1693”, organizzato dall’Archeoclub sezione Noto e dedicato alla memoria e alle indagini sul terremoto che trecentoventicinque anni fa sconvolse la Sicilia, specie sud orientale.

Durante le giornate di studio, incentrate soprattutto sulle concerie di Noto antica, i relatori – Laura Falesi, Antonino Attardo, Luigi Lombardo, Giuseppe Libra, Susanna Falsaperla, Simona Caruso, Danilo Reitano, Riccardo Merenda – hanno esposto lo “stato dell’arte” sull’argomento, sia in un’ottica di studio che di valorizzazione, a partire ad esempio da Cava Carosello e quindi dal paesaggio che rientra nel demanio forestale del territorio in questione. Interessanti le notizie emerse sui mulini e sulla produzione e il commercio dei pellami nel Cinquecento e sulla mappatura dei luoghi studiati, oltre che sull’apporto delle nuove tecnologie in funzione della conoscenza del fenomeno terremoto.

L’approccio ha mirato a integrare l’aspetto umanistico e quello scientifico: pensiamo al lavoro dello studioso Dario Burgaretta sulla strage di ebrei nel 1474, fenomeno tutt’altro che isolato – la persecuzione contro gli ebrei ha vissuto momenti di stasi e di recrudescenza legati anche alla “concorrenza” economica nell’ambito del lavoro di conciatore e tintore – e alla collaborazione di giovani archeologi (Eleonora Listo, Paolo Amato, Pietro Tiralongo, Pasquale Sferlazza, Vanessa Leonardi, Sara Andolina) nel lavoro di rilievo e rappresentazione grafica dei siti analizzati.

Il convegno è stato arricchito dalla passeggiata alle concerie di Noto antica nella valle del Carosello e damomenti musicali come il concerto di Carlo Muratori, che ha eseguito “La Cantata di li Rujni”, eco delle memorie dei cantastorie, lavoro che questo giornale ha avuto modo di recensire; Maria Teresa Arturia voce, fisarmonica e piano, e Francesco Bazzano alle percussioni hanno accompagnato l’artista nella Chiesa di Sant’Antonio.

Altra “chicca” è stata l’esecuzione di alcuni brani tratti dalla Messa di Requiem composta da Mario Capuana, autore tra l’altro di mottetti e altre composizioni, maestro di cappella della Chiesa Madre di San Nicolò a Noto Antica tra il 1643 e il 1646 (soprano Corrada Fugà, Ermenegildo Mollica tenore, Raffaele Schiavo alto, Alfonso Lapira basso, si sono esibiti insieme a Joachim Klein al violoncello e ad Andrea Schiavo all’arciliuto; il violinista Gabriele Bosco insieme agli altri due strumentisti ha invece eseguito musiche di Arcangelo Corelli).

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=2834:fake-news-fattoidi-e-fiction-specie-i-minori-indifesi&catid=15:attualita&Itemid=139

Don Fortunato Di Noto ammonisce i genitori e la scuola a vigilare su ciò che i ragazzi fanno con smart phone e computer

La Civetta di Minerva, 15 dicembre 2017

Stimolata da un’indagine social del professor Massimo Arcangeli, docente di linguistica italiana ed ex-preside della facoltà di lingue e letterature straniere presso l’Università degli Studi di Cagliari, rifletto insieme a voi lettori sullo statuto di verità che chiediamo alle cose, all’informazione, all’entertainment, alla letteratura e all’arte in genere.

Una delle espressioni dell’anno che sta per concludersi è certamente “fake news”, che fa il paio con la nostrana “bufala” e il trio con “fattoide”, notizia priva di fondamento, ma diffusa e amplificata dai mezzi di comunicazione di massa al punto da essere percepita come vera: sarebbe imminente un pronunciamento del nostro Parlamento per arginare il fenomeno della diffusione in rete di informazioni e notizie false – postate più o meno artatamente –, ma è bene che scuola e famiglia, specie per proteggere i minori in rete, si attivino per insegnare a bambini e ragazzi a navigare su Internet in maniera consapevole (e comunque resta valido e semmai si rafforza l’invito di associazioni come Meter e di esperti come Don Di Noto a vigilare sui minori che utilizzano sempre più smartphone e computer e a non postare immagini e video dei propri figli, dato l’uso sconosciuto e spesso criminoso che di tali dati può essere fatto, specie in un’ottica di lotta contro la pedofilia).

Attenzione dunque sia alle notizie non verificate – spesso basta una rapida conferma da parte di un motore di ricerca, sia per i testi che per le immagini o i video –, ma in effetti ci sarebbe da fare un lungo discorso sugli statuti di verità. Passiamo, nell’arco della stessa giornata, dall’indignazione contro le fake news (che comunque spesso sono trappole per gonzi: la storia e la letteratura ci riportano innumerevoli casi di notizie non verificate, veri e propri specchietti per le allodole) alla fame di reality, un vero e proprio genere a sé stante in cui di reale c’è ben poco (ci si domanda se le gesta di starlette e giovanotti alla Ken, di freak e gente in cerca di quindici minuti di notorietà siano davvero reali: non è vero ma ci credo, verrebbe da dire, allora dov’è la reality?), alla mai troppo deprecata tv verità: c’è chi sulla televisione del dolore, delle lacrime in diretta, delle riunioni familiari, dei casi umani, ha costruito una carriera.

E non è finita: le cosiddette fiction – a parte l’invasione degli anglismi, non si comprende cosa distingua gli sceneggiati di un tempo da film in due-tre puntate con attori improbabili e sceneggiature copiaincollate da analoghi prodotti d’oltralpe e oltreoceano detti fiction – dal latino fictio, finzioni dunque, recite – in cui spesso “il riferimento a fatti, persone, luoghi e avvenimenti reali è puramente casuale” (formula che può evitare querele, ma dietro cui si nascondono cinquantine di sfumature di verità). A fictional (che nel mondo anglosassone riguarda poesia e narrativa, contrapposte alla saggistica, che è appunto non fictional) di recente si contrappone factual: tale è stata definita una trasmissione con Roberto Saviano per il prevalere di situazioni reali, romanzate solo per esigenze di copione. Insopportabili poi le classiche domande su libri e film: “Ma è una storia vera? È veramente successo?”, che annulla secoli di pratica e teoria artistica e letteraria su reale, naturale, vero e trasfigurazione artistica.

Dato che spesso la confusione linguistica è indice di confusione concettuale, abituiamoci a riflettere sul gradiente di realtà di quanto proponiamo e ci viene proposto per una comunicazione ed informazione, oltre che espressione, più consapevole; rafforziamo il lavoro della scuola, che come obiettivo non solo didattico si propone quello di formare giovani adulti dallo spirito critico; battiamoci per la valorizzazione della ricerca e, nel campo dell’intrattenimento, per contenuti più formativi e meno banalmente massificati, altrimenti, dato che nel 2018 dovrebbe essere inammissibile contraddire millenni di scienza con affermazioni sulla Terra piatta o gravidanze ai limiti dell’alieno, non dovremo più stupirci di gruppi di “mamme pancine et coetera” o di “Earth flatters”, concentrati di fake news, fattoidi, bufale, purtroppo non fictional ma factual.

 

 

 

 

 

 

 

Ancora una volta una giornalista uccisa per le sue indagini

MARIA LUCIA RICCIOLI
Venerdì, 17 Novembre 2017 11:32
Daphne Caruana Galizia, mezz’ora prima di morire, scrisse: “A Malta c’è corruzione ovunque”. Un quotidiano americano l’aveva definita “una delle 28 persone che stanno formando, scuotendo e agitando l’Europa”.

 

La Civetta di Minerva, 3 novembre 2017

Si allunga la lista dei martiri della parola. È di pochi giorni fa la terribile notizia della morte di Daphne Caruana Galizia, giornalista e blogger maltese la cui colpa è stata quella di usare l’arma della penna e della tastiera contro intimidazioni e bombe per indagare sulla corruzione che a Malta sembra dilagare come un cancro che metastatizza nell’affarista e forse complice Europa.

Laureata in archeologia, madre di tre figli, è stata una firma regolare per The Sunday Times e redattrice associata per The Malta Independent, oltre che direttrice della rivista Taste & Flair.

Curava un popolare e controverso blog dal titolo Running Commentary, contenente segnalazioni investigative; diverse le battaglie legali dovute proprio alla pubblicazione di post su magistrati e leader politici ed importanti le sue rivelazioni sulla corruzione e la mancanza di trasparenza a Malta. Il quotidiano americano “Politico” ebbe a definirla come una delle “28 persone che stanno formando, scuotendo e agitando l’Europa”.

Minacciata di morte – dopo aver sostenuto che una società panamense fosse di proprietà della moglie del primo ministro Muscat e aver criticato Delia, leader dell’opposizione nazionalista –, Daphne Caruana Galizia è rimasta uccisa lo scorso 16 ottobre nell’esplosione di un’autobomba.

Unanimi e di circostanza i cori di condanna dell’accaduto ma diversa è la posizione della famiglia: in un messaggio su Facebook uno dei figli della donna –  giornalista appartenente all’International Consortium of Investigative Journalists – ha mosso forti accuse contro le autorità di Malta, in cui Stato e crimine organizzato sarebbero indistinguibili, responsabili e complici a suo dire dell’assassinio della madre.

Sospeso dal servizio e indagato un sergente di polizia maltese per il commento all’omicidio della giornalista in cui ha affermato che «Tutti hanno quello che si meritano, merda di vacca. Sono felice».

Al di là di questo e del prosieguo delle indagini – coinvolta anche l’FBI –, colpiscono le ultime parole scritte da Daphne Caruana Galizia sul suo blog mezz’ora prima della morte: “There are crooks everywhere you look now. The situation is desperate” (“Ora ci sono corrotti ovunque guardi. La situazione è disperata).

Non meno toccanti – sia dal punto di vista personale che da quello deontologico: cosa possono le parole di una giornalista coraggiosa contro quella che è stata definita la “cleptocrazia” del Mondo di Mezzo, il potere occulto che viene a patti con la malavita organizzata per tenere in piedi un impero basato sulla corruzione? – le parole del figlio di Daphne Caruana Galizia: «Mia madre è stata uccisa perché si è messa tra la legge e quelli che cercavano di violarla, come molti bravi giornalisti. Ma è stata colpita perché era l’unica persona a farlo. È questo quello che succede quando le istituzioni sono incapaci: l’ultima persona rimasta in piedi è spesso una giornalista. Il che la rende la prima persona a essere uccisa».

Ricordiamo ai lettori che nei primi 273 giorni del 2017 l’Osservatorio Ossigeno ha documentato minacce a 256 giornalisti ed ha inoltre ha reso note minacce ad altri 65 giornalisti per episodi degli anni precedenti conosciuti dall’Osservatorio solo di recente; dietro ogni intimidazione documentata dall’Osservatorio almeno altre dieci resterebbero ignote perché le vittime non hanno la forza di renderle pubbliche.

Questo dovrebbe farci riflettere sul lavoro dei giornalisti, profeti disarmati del nostro tempo, sentinelle contro abusi e corruzione, spesso voce di chi non ha voce.

 

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