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Maria Lucia Riccioli

~ La Bellezza salverà il mondo (F. Dostoevskij).

Maria Lucia Riccioli

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I miei ultimi pezzi per LA CIVETTA DI MINERVA

31 sabato Dic 2022

Posted by mlriccioli in Eventi culturali, Letteratura

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“Angelo di pietra” diventa un film: il promo
“Angelo di pietra” diventa un film: il promo
Maria Lucia Riccioli Dicembre 30, 2022 

Una delle penne de “La Civetta di Minerva”, ovvero Duccio Di Stefano, è un redattore che ha spesso affrontato tematiche relative al sociale e che scrive anche di sport.
Si è cimentato anche nella narrativa, pubblicando infatti, per i tipi di Carthago edizioni, un romanzo intitolato “Angelo di pietra” (“La Civetta di Minerva” si è occupata sia di questo che del secondo romanzo di Di Stefano, qui i link: https://www.lacivettapress.it/2018/06/02/presentato-l-angelo-di-pietra-di-duccio-di-stefano/, https://www.lacivettapress.it/2018/04/20/libri-da-non-perdere-angelo-di-pietra-di-duccio-di-stefano/, https://www.lacivettapress.it/2021/06/24/l-ombra-fausa-del-mandorlo-di-duccio-di-stefano-in-questo-romanzo-sui-generis-le-maschere-e-gli-specchi-si-moltiplicano/), che sorprendentemente diventerà un film.
Potrebbe essere un'immagine raffigurante 2 persone, persone in piedi, cielo e oceano
Ne parliamo con l’autore.
Come si è concretizzato il progetto di realizzazione del film?
Il progetto, in realtà, è partito immediatamente dopo la pubblicazione del romanzo, perché chiunque lo leggeva rimaneva piacevolmente colpito soprattutto dal finale della storia, trovandolo inaspettato e sorprendente. Quindi il sogno di poterci realizzare un film ha viaggiato insieme alle presentazioni del romanzo, fin quando – circa un anno fa – grazie al supporto e alla entusiastica spinta di Paolo Lombardo, un grande ex produttore cinematografico italiano, mi sono imbattuto in Ermelinda Maturo, la produttrice, conosciuta in un set formativo a Venezia al quale ho preso parte pure io in veste di sceneggiatore, la quale ha apprezzato e sposato questo progetto. Ci siamo subito messi al lavoro insieme allo staff di Massimo Tuccitto, attore, regista e autore siracusano doc, con un’esperienza internazionale decennale nel settore, sia teatrale che cinematografico.
Come avete lavorato nel corso del lavoro di trasposizione?
Intanto io ho subito gettato le basi della sceneggiatura, che poi insieme a Massimo ed Ermelinda abbiamo ritoccato e rifinito, cercato le location che a mio avviso sarebbero state più idonee al contesto letterario, compresa la struttura alberghiera (L’Aranceto di Siracusa) che poi è diventata il campo base operativo, collaborato col regista e la produttrice stessa al casting degli attori e delle comparse, e nel giro di sei mesi circa abbiamo cominciato a realizzare le prime riprese per il video promozionale che trovate qui allegato.
Che differenze riscontri tra la scrittura narrativa e quella cinematografica?
Le differenze sono tante e importanti. Diciamo che si tratta di due linguaggi diversi. Per farla breve, lo scrittore deve dipingere al meglio lo scenario per riuscire a farlo immaginare al lettore, mentre lo sceneggiatore lo deve proprio spiegare letteralmente al regista ed all’intera troupe, che non sempre conoscono il soggetto. Quindi ogni movimento e soprattutto ogni dialogo è letteralmente trascritto nella sceneggiatura che poi sarà passata al regista e ai tecnici affinché possano capire ed interpretare nel modo che ritengano più efficace l’intero evolversi dei fatti, tramite le immagini finali.
Come emergono la siracusanità e il legame con il territorio dal libro e dal film?
La siracusanità ed il legame col territorio non possono non emergere, perché la mia è un’idea ed una storia che nasce nel siracusano e anche nella sua trasposizione cinematografica è fortemente legata a questa identità. L’unica vera e importante condizione che ho chiesto al regista prima di affidargli il soggetto di Angelo di Pietra è stata proprio quella di mantenere il messaggio fortemente identitario e l’impronta visceralmente legata al territorio. La mia storia fa fatica infatti a discostarsi dalle mie radici, che poi sono anche quelle del personaggio protagonista, un pescatore siciliano dialettalmente “corrotto” nella sua essenza latina e mediterranea. E quindi ho preteso che tutte le scene dovessero girarsi nel nostro territorio, e che la matrice sicula dovesse ergersi a protagonista. E poi, tra l’altro, con mio grande piacere, il 99% degli attori e della troupe è nativo del siracusano e del ragusano, compresa la band dei QBeta, siracusani DOC, da cui abbiamo attinto per la colonna sonora del film.
Quali sono le tue aspettative e i sogni legati a questo progetto?
Bè, nutriamo tutti grandi aspettative da questo progetto, perché tutti ci abbiamo messo soprattutto il cuore e l’anima, oltre naturalmente alla grande competenza ed alla professionalità di Ermelinda Maturo in primis e alla squadra di collaboratori di Massimo Tuccitto in secundis. Tra l’altro entrambi, mi riferisco proprio a Massimo e Ermelinda, sono volati a New York per promuovere questo promo anche lì, visto che la produttrice ha studiato e lavorato con professionisti americani del settore cinematografico. Quindi auspico, credo e spero che di questo progetto presto si sentirà molto parlare.
Quando potremo vedere il tuo film? Che distribuzione avrà?
Per quanto riguarda i tempi, contiamo entro la prossima primavera di girare il film nella sua versione integrale, mentre per la distribuzione – come ti ho già detto alla precedente domanda – non posso ancora dirti nulla perché nulla è ancora ufficiale, ma ci sono ottimi presupposti che la distribuzione possa anche travalicare i confini nazionali.
Cast: Massimo Tuccitto, Azul Parente, Riccardo Scalia, Corrado Drago, Loretta Micheloni; apparizioni speciali: Andrea Bifolco, Ambra Lucia Cutrì, Clizia Paladino, Serena Carignola, Francesco Cutale, Greta La Mura, Paolo La Mesa, Duccio Di Stefano; comparse: Ivo Ippolito, Antonio e Peter Sciuto, Giuseppe Giombanco, Alessandro Di Mauro, Marta Guzzardi, Angelo Battaglia, Chiara Caia, Bianca Lucia Di Stefano, Susanna Di Stefano, Elisa Ragusa; musiche; QBeta; location manager: Duccio Di Stefano; fotografo di scena: Paolo La Mesa; capo costumista: Vincenzo Occhipinti; aiuto costumista: Maria Giovanna Schembari; stilista: Gisella Scibona; aiuto stilista: Cristina e Carla Parlato; truccatrice: Marilisa Amore; assistente truccatrice: Floriana Giuliano; dop e produttore esecutivo: Ermelinda Maturo; segretaria di produzione: Angela Bellia; riprese: Marco Calafiore; direttore del suono: Raphael Urbino; montaggio: Massimo Tuccitto e Raphael Urbino;  regia: Massimo Tuccitto.
Ecco il link al promo del film:
https://www.facebook.com/massimo.tuccitto.18/videos/1304609217001569
Il volume La Mia Storia – Turiddu Bella presentato al Cerchio
Il volume La Mia Storia – Turiddu Bella presentato al Cerchio


“La mia storia – Turiddu Bella”: è stato recentemente pubblicato dalla Fondazione Ignazio Buttitta, con il patrocinio del Ministero per i Beni e le attività culturali, della Regione Siciliana (dipartimento Beni Culturali e dell’Identità Siciliana) e dell’Università di Palermo, un volume dedicato a Turiddu Bella: l’autobiografia, la bibliografia e discografia a cura di Leoluca Cascio, introduzione di Sergio Bonanzinga. Pregevole anche il corredo fotografico dell’opera, una vera e propria testimonianza che trascende la microstoria.
Indispensabile il contributo di Maria Bella, fondatrice e presidentessa del Centro Studi di Tradizioni popolari “Turiddu Bella” intitolato al padre: il manoscritto inedito dell’autobiografia insieme a poesie mai pubblicate del poeta di Mascali, versificatore storico dei testi per celebri cantastorie (in primis il sodale Orazio Strano) sono protagonisti del volume.
E non solo.
Il Centro Studi, che ha valorizzato e continua a studiare e partecipare le proprie conoscenze sulle tradizioni popolari, la lingua siciliana e tutti gli elementi della cultura della nostra terra – pensiamo ai convegni, alle conferenze, alle mostre che il centro ha promosso, al Trofeo di poesia popolare che ha censito nel corso delle sue tante edizioni i poeti popolari di Sicilia, tastando il polso della situazione della poesia popolare della nostra regione: giustamente ha ricevuto il riconoscimento Unesco entrando a far parte del R.E.I., cioè il registro delle eredità immateriali; attendiamo che l’arte del cantastorie, cui Turiddu Bella ha donato tanto, collaborando come poeta con i più grandi cantastorie di Sicilia, come Ciccio Busacca e tanti altri nomi, venga riconosciuta patrimonio dell’umanità – ha dedicato il 27 ottobre scorso un pomeriggio culturale presso Il Cerchio (ospiti Enzo Monica e Carmela Fillioley). Grazie alla sapiente regia di Agata Politi, che ha riletto la storia di Turiddu Bella attraverso il poeta stesso offrendo un monologo recitato dall’ottimo Roberto Lombardo, quasi in dialogo con il pubblico, grazie alle appassionate letture della scrittrice e fine dicitrice Lucia Corsale (rivivono nella sua interpretazione le poesie che Bella dedica alla sua esperienza nelle guerre coloniali, alla madre e alla lontananza da casa, all’amore per la moglie e le figliolette, le due Marie, quella volata in Cielo anzitempo e la professoressa Maria Bella Raudino, che ha relazionato sul Turiddu Bella marito, padre, nonno e cultore dell’amicizia oltre che della poesia), grazie alle musiche tradizionali e appositamente composte ed eseguite da Giuseppe Marciante e Sandra Lorefice.
Presentatrice e moderatrice della serata Maria Lucia Riccioli, qui in veste di docente e critica letteraria, che ha tracciato un profilo biografico e letterario di Turiddu Bella, contestualizzandone l’attività nel momento storico-culturale dell’età giolittiana, delle due guerre mondiali, del fascismo e nell’ambito dei rapporti con i movimenti coevi e con intellettuali, poeti e artisti del calibro di Brancati, Quasimodo, Modugno, tra gli altri.
Un recital che ha riscosso un grande successo presso il folto pubblico di soci e simpatizzanti de Il Cerchio e del Centro Studi, in attesa delle nuove attività di quest’ultimo.
il video della serata: https://www.youtube.com/watch?v=f00s-EhXwSk

VOCAZIONE ALL’AMORE, La nuova pubblicazione di don Raffaele Aprile

VOCAZIONE ALL’AMORE, La nuova pubblicazione di don Raffaele Aprile

Maria Lucia Riccioli Ottobre 22, 2022

 

Rise up, follow me

Come away, is the call

With the love in yourheart

As the only song

There is no such beauty

As where you belong

Rise up, follow me

I will lead you home

(Alzati e seguimi/ Vieni via, è il richiamo/ Con l’amore in cuore/ Come solo canto/ E non c’è Bellezza/ Se non da dove vieni/ Alzati e seguimi/ Ti porterò a Casa)

Michael Dennis Browne, The Road Home, traduzione di Maria Lucia Riccioli

Salutiamo questa nuova pubblicazione di don Raffaele Aprile.

Dopo, infatti, “Innamorato del Cielo” e “Fratelli di Cielo”, sempre per i tipi di Bonfirraro editore, recensiti su varie pubblicazioni ecclesiastiche e non, ecco “Vocazione all’Amore”, raccolta di prose e versi come il primo volume del presbitero siracusano, ma anche di testimonianze, com’è avvenuto nel secondo.

Don Aprile alterna il fluire della prosa allo scorrere di versi caratterizzati da anafore (vedi il verbo “ha” ripetuto ad inizio verso nel paragrafo Evangelizzare la gioia come pure la poesia-preghiera O Gesù), ripetizioni, parallelismi, com’è consuetudine stilistica delle preghiere, familiari naturalmente insieme alle Scritture al nostro autore.

Similitudini e metafore attingono alla tradizione poetica e scritturale, oltre che alla scrittura religiosa di ogni tempo, senza complicazioni intellettualistiche ma con grande semplicità, forse anche perché il libro è rivolto ad un pubblico ampio che preferisce una teologia incarnata in uno stile accessibile e facilmente fruibile: ne è esempio La legna dell’amore, come pure Anima orante (con il suo paragone incenso-preghiera).

Già nelle raccolte precedenti si notava l’interesse peculiare della poetica di don Aprile verso la contemplazione della Natura, sia per tendenza personale che probabilmente anche sulla scia dell’enciclica di papa Francesco “Laudato si’”. Ad esempio, leggiamo Ti ho cercato o la Poesia al creato:

Primavera in core/ fa fiorire speranza/ ossigena l’aria/ e nell’azzurro cielo/ volan felici cinguettando/ stormi di uccelli. / Manca il candore/ delle stelle alpine/ a chi senza pudore/ sguazza nel lurido pantano/ di vizi osceni. / Prendi in mano la tua vita/ anima bella/ lasciati plasmare dalla grazia. / Hai ali per volare/ vola felice, / è primavera

È evidente l’associazione tra atteggiamenti positivi ed elementi naturali portatori di serenità e gioia, anima serena e primavera dello spirito e stagione del volo e del rinnovamento delle energie naturali, negatività e fango. È proprio il cuore il “fertile terreno” da dissodare, coltivare e curare perché fruttifichi nell’amore per Dio e il prossimo (vedi i versi che seguono la riflessione Cos’è la vita?).

Non mancano riferimenti all’attualità: “il virus avanza”, anche se poi “Dio si fa vicino/ il sole risplende/ l’ombra sparisce/ di un male scampato” (Scelgo l’amore); in un mondo/ aggredito dal virus/ nemico della vita/ veicolo di morte (Anima orante); “Serve l’amore/ vaccino necessario” (Libertà negata).

Spesso la poesia si alterna alla prosa, ma talora è dalla riflessione, dalla meditazione sulla Scrittura, sui fatti della vita o sulle verità di fede che poi sgorgano i versi, come se fossero l’effusione del cuore, l’effluvio dell’anima che si è colmata di pensiero, di adorazione, di contemplazione ed ha come il bisogno naturale di far scaturire da tutto ciò un frutto di parole, di espressività: l’alleluia/ diamanti preziosi/ della gioia (Bellezza).

Le riflessioni e i versi di Don Aprile indagano la solitudine (Solo ma non solo), la sequela (Segui la croce), il mettersi in ascolto per trovare il senso dell’esistenza e la propria vocazione all’amore (La voce del cuore), il soffio del vento dello Spirito (Fruscio, dove troviamo la consueta similitudine tra il soffio dell’amore divino e lo spirare dell’aria), l’abbandono gioioso alla volontà divina, il riposo e il senso di fiducia provati quando si incontra l’Oggetto della propria ricerca, che il realtà è stato il primo a cercare l’io poetico e ognuno di noi: in queste pagine troviamo insomma gran parte dei sentimenti e delle emozioni umane connesse al percorso di fede, allo scavo dentro se stessi, alla ricerca della felicità e alla gioia di averla trovata in braccio a Dio.

La seconda parte del libro è dedicata alle testimonianze vocazionali dello stesso don Raffaele Aprile, di don Giovanni Carnio, di don Andrea Geria, di Stefano Lafranconi, di Riccardo Gelsemio, di don Francesco Venuto, di Tommaso Mazza, di Ernesto Piraino, di suor Vincenzina Botindari, di don Giuseppe Calimera, di Onofrio Farinola e di Mauro Midolo.

Non dobbiamo aspettarci storie straordinarie colme di effetti speciali, ma di resoconti molto semplici di vite quotidiane, ordinarie, in cui l’apparente “banalità” viene riscattata dalla ricerca di senso, dal nostro immedesimarci in percorsi di vita che potrebbero benissimo essere i nostri: il dolore, la malattia, i problemi dell’infanzia, dell’adolescenza, i conflitti e le gioie familiari, l’affanno esistenziale per discernere quale sia il posto nel mondo, da cristiani, da atei, da agnostici, da giovani in ricerca, da adulti in crisi… ecco cosa troverete nelle testimonianze di questi fratelli e sorelle di fede, in cammino verso la verità che si incarna in Gesù Cristo Via Verità e Vita.

Auguriamo a questa pubblicazione di farsi strada nei cuori dei lettori perché faccia riflettere e sentire, e magari possa essere di aiuto per scoprire la propria originale, personalissima, unica vocazione all’Amore.

Ecco i miei ultimi articoli usciti su LA CIVETTA DI MINERVA…

“Rosetta” di Lucia Corsale premio letterario “Racconti nella Rete 2022”

“Rosetta” di Lucia Corsale premio letterario “Racconti nella Rete 2022”

 

Lucia Corsale, giornalista e scrittrice, rappresenta una delle voci letterarie dell’area aretusea: autrice di racconti (ricordiamo “Il Plasma di Ciccio”, illustrato da Francesco Nania e distribuito dall’Avis comunale nel 2007, “Il brillante di Turi”, che ha vinto nello stesso anno il III premio al concorso letterario “La Mongolfiera”, la raccolta “Le cravatte di Corpaci” per l’editore Emanuele Romeo, “Il canto del gallo”, “Il compleanno” e altri, presenti in diverse antologie tra cui quelle curate da Algra Editore), ha pubblicato il romanzo “Don Antonio” (per i tipi del compianto Arnaldo Lombardi, cui è intitolato il premio per l’editoria indipendente nell’ambito del Premio Vittorini); con il racconto dalla forte vena teatrale “Rosamunda” si è aggiudicata il Premio intitolato a Mario Re nell’ambito del Contest Sicilia Dime Novels 2021 ed è anche attenta e appassionata lettrice, specie in dialetto (pensiamo alle collaborazioni con il Centro Studi di tradizioni popolari intitolato a Turiddu Bella), oltre che intervistatrice e presentatrice (ricordiamo la coordinazione di diversi incontri letterari e la trasmissione condotta e ideata per TRIS ”Segnalibro”).

Con “Rosetta”, il cui contesto retrogrado costituisce un’allegorica trasposizione dell’ipocrisia coniugale, Lucia Corsale si è aggiudicata, assieme ad altri ventiquattro autori provenienti da tutta Italia, il “Premio letterario Racconti nella Rete 2022”, organizzato nell’ambito della ventottesima edizione del Festival LuccAutori, svoltosi dal 24 settembre al 2 ottobre a Villa Bottini.

Il racconto, pubblicato nell’omonima antologia curata da Demetrio Brandi, prefata da Michele Cecchini, edita da Castelvecchi ed il cui disegno di copertina è stato realizzato da Miko Dalla Battista, nella sua veste corale e polifonica si dipana con un registro linguistico a slalom tra l’italiano standard e il dialetto siciliano, duettando, a tratti, con l’italiano regionale e quello popolare.

In un luogo immaginario, che inconsapevolmente Lucia Corsale fa coincidere con la sua città natia, Rosetta, “le cui carni, prima rosa di pesca e levigate nella pietra, hanno il colore della carta pecora, avvizzite dall’alcol e dai troppo strapazzi”, percorre le desolate lande coniugali, dove la simulazione da concettuale si fa paradossale. Rosetta, additata quale profanatrice del talamo nuziale e sovvertitrice dell’ordine morale, soddisfa, invece, la voglia di tenerezza col beneplacito della Chiesa e la benedizione, forse, di Gesù Nostro Signore. Sotto la vestina del malaffare, l’amore non è venduto, dunque, ma donato, cancellando nel corpo l’ombra di ogni peccato. Patri, Figghiu e Spiritu Santu.

Ricordiamo che il Festival, organizzato dall’associazione culturale LuccAutori, con la direzione artistica di Demetrio Brandi, e patrocinato, tra gli altri, dalla Regione Toscana e da Rai5 (una troupe del programma “Save the date” ha documentato la manifestazione), ha contemplato una girandola di incontri con uomini dello spettacolo ed esponenti di spicco del panorama culturale nazionale. Grazie alla capacità interpretativa e all’estro degli studenti del “Liceo artistico Passaglia” di Lucca, infine, è stata allestita una mostra iconografica dei lavori che hanno illustrato i racconti di Alberto Bassetto, Lucia Corsale, Miriam De Marco, Gabriella Gera, Maria Luisa La Rosa, Alessio Manfredi Selvaggi – premio AIDR (premio Italian Digital Revolution per il più giovane autore), Marco Ruggiero, Stefania Salvi, Irene Schiesaro, Riccardo Scafati, Federica Codebò, Oscar Tison, Arianna Lumare.

(Per chi volesse seguire in differita l’evento: https://www.youtube.com/watch?v=RYR5Xp8YYRk)

I miei ultimi articoli per LA CIVETTA DI MINERVA…

06 giovedì Gen 2022

Posted by mlriccioli in Eventi culturali, Letteratura

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Si è chiuso il 2021… per me anno denso di avvenimenti esteriori e interiori (il nostro mondo spirituale e immaginativo ha le sue regole spaziotemporali).

Si apre il 2022 ma prima di pubblicare nuovi pezzi articoli versi racconti romanzi saggi mi piace riepilogare l’ultimo scorcio dell’anno attraverso le letture che mi hanno accompagnata in questo periodo e gli articoli scritti per LA CIVETTA DI MINERVA.

In attesa di nuove epifanie – non a caso pubblico il post oggi… giornata per me importante per tanti motivi, non ultimo l’anniversario di morte della poetessa e patriota netina Mariannina Coffa (1841-1878), protagonista del mio primo libro.

UNA CAGNOLINA MICA VOLA, ultimo libro di Mariano Sabatini. La nostra intervista all’autore
Trischitta e la sua multiforme Catania
“La stagione dell’angelo”: Rosalia Messina e la narrazione delle solitudini
IL CONTE DI RACALMUTO, di Vito Catalano. La nostra recensione
Carmelo Maiorca alla (ri)scoperta delle relazioni tra Elio Vittorini, Siracusa e i suoi estimatori. Un nuovo tassello nell’antologia “Parole del premio Vittorini – Scrittrici e scrittori – interviste e ricordi”
Il Centro Studi di Tradizioni popolari “Turiddu Bella” riprende le sue attività. Il 9 ottobre scorso il primo incontro
“La vita invisibile”

Parole dal Premio Vittorini… a Villa Reimann

09 giovedì Dic 2021

Posted by mlriccioli in Eventi culturali, Letteratura

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Esce il numero 266 de L’ISOLA DEI CANI (a. XXXVI, dicembre 2021) ed eccomi in prima pagina con la recensione che avevo scritto per PAROLE DAL PREMIO VITTORINI, l’ultima fatica scrittoria di Carmelo Maiorca.

L’ISOLA DEI CANI il giornale piú gustoso di qualsiasi panettone industriale. Otto paginazze qui ora e subito per tutti, e da domani in edizione cartacea solo a Siracusa e nella Repubblica dell’Isola dei Cani Capitale Mondiale della Cultura.

Con la consueta vena ironica, l’annuncio dell’uscita del giornale.

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Il mio articolo è in prima pagina e, a continuare, a pagina 7. Ma sfogliate tutto il numero…
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E qui invece quello che scrivevo dopo l’incontro a Villa Reimann…

Una bella conversazione, ieri.

Siracusa dovrebbe valorizzare maggiormente i suoi gioielli, come Villa Reimann.

I suoi talenti, le sue penne, i suoi figli migliori come Vittorini, senza i quali sarebbe uno scoglio sul mare.Grazie a Carmelo Maiorca per gli spunti di riflessione. Ovviamente senza La Civetta di Minerva tutto questo non sarebbe stato possibile: proprio otto anni fa scrivevo il mio primo pezzo e iniziavo a familiarizzare con la redazione… Marina De Michele, la nostra direttora, era in prima fila ieri sera. Grazie.Ad Enzo Papa collega di “conversazione in Sicilia”. A Dario Scarfì per l’accoglienza e a Sabina Zuccaro per la presenza sorridente, a Desireé – quanto tempo! – ora professoressa Coppola, a Lucia Corsale che passa sempre.

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Conversazioni a Siracusa – Grazie a Maria Lucia Riccioli e a Enzo Papa per gli spunti emersi nel corso della nostra chiacchierata ieri a Villa Reimann😎 (Carmelo Maiorca)
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Ecco una foto del’evento… e più giù quello che scrivevo qualche giorno fa…

Sarà per me un onore e un piacere poter parlare di Elio Vittorini insieme a Carmelo Maiorca, collega de LA CIVETTA DI MINERVA e autore di un libro che ripercorre la storia del premio letterario dedicato al nostro illustre concittadino…

Ripropongo l’articolo che ho scritto per recensire il volume:

Carmelo Maiorca alla (ri)scoperta delle relazioni tra Elio Vittorini, Siracusa e i suoi estimatori. Un nuovo tassello nell’antologia “Parole del premio Vittorini – Scrittrici e scrittori – interviste e ricordi”
Ed ecco altro materiale sul mio interesse per lo scrittore…
Elio Vittorini: il convegno del 9 aprile a Siracusa
Vittorini ignorato dalla città. Né un museo né percorsi didattici

L’ISOLA DEI CANI/LE EDICOLE DI SIRACUSA dove chi vuole può averla gratuitamente (e leggere fra l’altro la recensione di Maria Lucia Riccioli del libro “Parole dal Premio Vittorini”). Edicole in via Avola, via Necropoli Grotticelle (Giummo), viale Teracati (Mirabella/Eureka), viale Tisia vicino all’isituto Magistrale (Di Mauro), di fronte al cinema Planet, ed ancora in via Piave, via Po, piazza Adda, Corso Umberto, via Roma (Salvino Finocchiaro), piazza Duomo (Ambrogio). Ed inoltre nelle librerie Mondadori Store in viale Teocrito, Gabò in corso Matteotti, Casa del Libro in via Maestranza.

I miei ultimi articoli per LA CIVETTA DI MINERVA…

16 sabato Ott 2021

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Premio Vittorini, un meritato riconoscimento alla casa editrice Algra. “L’obiettivo? Realizzare i sogni degli altri” (Alfio Grasso)
Ecco i premiati del concorso intitolato a Nicholas Green. Nella sensibilità dei giovani le promesse del futuro

Francesco Barberini, quattordicenne, Alfiere della Repubblica italiana a dieci anni, aspirante ornitologo

Franca Centaro, fotografa di scena e ritrattista, che vuole “emozionare”

TEATRO GRECO, CALA IL SIPARIO ANCHE SU “LE NUVOLE”. LA NOSTRA RECENSIONE
“La vita invisibile”
“Scrivere è l’infinito”, l’ultimo saggio di Mariano Sabatini per scoprire i segreti della scrittura
“Trenta giorni ha novembre” di Luca Campi domani a Villa Reimann
“Plot Machine”, il programma radiofonico “di comunità” di Rai Radio1. Intervista a Vito Cioce, autore e conduttore
Un pezzo di cui sono particolarmente orgogliosa…
“L’ombra fausa del mandorlo” di Duccio Di Stefano. “In questo romanzo sui generis, le maschere e gli specchi si moltiplicano”

“Casa” Algra premiata ad Aci S. Antonio e Siracusa!

09 giovedì Set 2021

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Ho visto la pergamena con la motivazione del premio proprio lo stesso giorno in cui ho avuto in mano il mio nuovo libro in dialetto siciliano…

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Algra Editore è una casa editrice siciliana che, nata nel 2013, si è fatta strada passo passo grazie alla tenacia e all’umiltà di Alfio Grasso e dei suoi straordinari collaboratori, Rossella Grasso e Alessandra Motta e all’entusiasmo dei suoi autori.

Tutto questo alla lunga ripaga: ecco gli ultimi riconoscimenti tributati a questa “casa” dei libri siciliani:

Potrebbe essere un'immagine raffigurante il seguente testo "PROGRAMMA di sabato 10 luglio 2021 Corte di Palazzo Cantarella ore 21,00 Gli autori CORESTEARyE ETNACı FILM FESTIVAL Conferimento premio letterario "ETNACı" Vittorio Rocca Cinzia Maria Corsaro Fabia Mustica Luciano Mirone Premio Etnaci 2021 per l'editoria Alfio Grasso per Algra editore lettura brani a cura di Laura Gullotta Davide Gullotta con la partecipazione della scuola Nuova prospettiva danza diretta da Gabriella Leone ospite della serata la cantante Melita Cicala Ass. musicale "Nota voce" del Mº Giuseppe Puglisi presenterà la serata Davide Gullotta www.ambrosianacineamatori.net- ambrosiana-cineamatori@hotmail.it premioletteroetnaci@gmail.com"

Ed ecco qualche immagine relativa alla XX edizione del Premio Vittorini, nell’ambito del quale è stato tributato ad Algra editore il premio Arnaldo Lombardi per l’editoria indipendente: quest’ultimo mi inorgoglisce particolarmente come siracusana…

Potrebbe essere un'immagine raffigurante una o più persone, persone in piedi e spazio al chiuso
Ed ecco la mia intervista ad Alfio Grasso per LA CIVETTA DI MINERVA…
Potrebbe essere un'immagine raffigurante una o più persone

Premio Vittorini, un meritato riconoscimento alla casa editrice Algra. “L’obiettivo? Realizzare i sogni degli altri” (Alfio Grasso)

Ecco la mia scheda autore sul sito di Algra:

Maria L. Riccioli

Ed ecco i libri che ho pubblicato con Algra Editore:

https://www.algraeditore.it/?s=Riccioli&post_type=product
sicilia-dime-novels
Presente il mio racconto “Un caffè per il commissario”, giunto secondo al concorso letterario che ha dato il nome all’antologia e citato nella bibliografia camilleriana…
Il mio amatissimo libro di cunti in dialetto siciliano… tributo memoriale e culturale alla mia lingua mater.

Questa antologia contro il femminicidio comprende un racconto scritto a quattro mani da me e Mavie Parisi…

IL CONDUTTORE GENTILE

26 lunedì Mar 2018

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Fabrizio Frizzi, Maria Lucia Riccioli, Premio Vittorini, Sebastiano Lo Monaco, Siracusa, Teatro greco

Senza pretesa di essere esaustiva e – lungi da me – senza voler fare sciacallaggio, scrivo solo poche righe per ricordare un conduttore, Fabrizio Frizzi, che mi era familiare dai tempi dei pomeriggi scolastici, quando la TV per bambini e ragazzi era davvero “pane e marmellata”.

Poi i programmi in prima serata, i quiz – mai una sguaiataggine, sempre sorrisi e quella risata accogliente, aperta, che metteva tutti a proprio agio.

E il Premio Vittorini.

Ricordo il dietro le quinte, la gentilezza estrema, il garbo nel non sottrarsi mai al rito dell’autografo, della foto… che poi Frizzi i libri in gara li leggeva davvero.

Addio, conduttore gentile.

 

Qui c’è anche l’attore Sebastiano Lo Monaco…

LA CIVETTA DI MINERVA del 19 gennaio 2018

19 venerdì Gen 2018

Posted by mlriccioli in Eventi culturali, Letteratura, Musica, scuola

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A4, Acireale, Alessandro Quasimodo, Archimede di Siracusa, Aurelio Caliri, Bahà’u’llàh, Biagio Poidimani, Calipso, Carlo Di Silvestro, Comici randagi, coro polifonico “Giuseppe De Cicco”, Daphne Caruana Galizia, Diorama, Don Francesco Cristofaro, Don Raffaele Aprile, Ferita all'ala un'allodola, Finisterre, Franco Oddo, Giacomo Leopardi, Giovanni Paolo II, Giovanni Pascoli, Giudecca, Graziella, Husain Nuri, La Civetta di Minerva, La fuga, la sosta, L’ora delle vipere, Leonardo da Vinci, Lettera 22, Liceo “Regina Elena”, Madonna delle Lacrime, Malta, Maria Lucia Riccioli, Mariannina Coffa, Marina De Michele, Milan Kundera, Museo Leonardo da Vinci e Archimede Siracusa, Omero, Orazio Caruso, Ortigia, Ossigeno, Padre Pio TV, Penelope, Pioggia e settembre, Premio Brancati – Zafferana, Premio Più a Sud di Tunisi – Portopalo, Premio Vittorini, reliquiario, Running Commentary, Salvatore Quasimodo, Savitri Jamsran, Sergio Sozi, Sezione aurea, Splen edizioni, Stefano Amato, Teste Toste, Turba, Ulisse, Vicolo Spirduta, Vincenzo Consolo, Yvonne Guglielmino

Oltre al fatto che il nostro giornale è finito su Wikipedia… https://it.m.wikipedia.org/wiki/Roberto_Disma (sì,due miei articoli sono citati…) ecco il nuovo numero del giornale bisettimanale LA CIVETTA DI MINERVA!

 L'immagine può contenere: 3 persone, persone che sorridono
Sostieni il nostro impegno: chiedilo in edicola. Per te è solo un euro, per noi un grande aiuto, per la realtà sociale un mezzo di informazione libero, unico e originale. Non fermiamo le poche voci che sono svincolate da chi decide cosa e quando bisogna sapere. L’informazione è potere. Riappropriamoci della capacità di avere un nostro strumento d’informazione. Ti aspettiamo!
Non solo… LA CIVETTA DI MINERVA twitta pure!
Ecco il link ai miei ultimi articoli usciti sul cartaceo e poi confluiti nel sito…
http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=2834:fake-news-fattoidi-e-fiction-specie-i-minori-indifesi&catid=15:attualita&Itemid=139

Don Fortunato Di Noto ammonisce i genitori e la scuola a vigilare su ciò che i ragazzi fanno con smart phone e computer

La Civetta di Minerva, 15 dicembre 2017

Stimolata da un’indagine social del professor Massimo Arcangeli, docente di linguistica italiana ed ex-preside della facoltà di lingue e letterature straniere presso l’Università degli Studi di Cagliari, rifletto insieme a voi lettori sullo statuto di verità che chiediamo alle cose, all’informazione, all’entertainment, alla letteratura e all’arte in genere.

Una delle espressioni dell’anno che sta per concludersi è certamente “fake news”, che fa il paio con la nostrana “bufala” e il trio con “fattoide”, notizia priva di fondamento, ma diffusa e amplificata dai mezzi di comunicazione di massa al punto da essere percepita come vera: sarebbe imminente un pronunciamento del nostro Parlamento per arginare il fenomeno della diffusione in rete di informazioni e notizie false – postate più o meno artatamente –, ma è bene che scuola e famiglia, specie per proteggere i minori in rete, si attivino per insegnare a bambini e ragazzi a navigare su Internet in maniera consapevole (e comunque resta valido e semmai si rafforza l’invito di associazioni come Meter e di esperti come Don Di Noto a vigilare sui minori che utilizzano sempre più smartphone e computer e a non postare immagini e video dei propri figli, dato l’uso sconosciuto e spesso criminoso che di tali dati può essere fatto, specie in un’ottica di lotta contro la pedofilia).

Attenzione dunque sia alle notizie non verificate – spesso basta una rapida conferma da parte di un motore di ricerca, sia per i testi che per le immagini o i video –, ma in effetti ci sarebbe da fare un lungo discorso sugli statuti di verità. Passiamo, nell’arco della stessa giornata, dall’indignazione contro le fake news (che comunque spesso sono trappole per gonzi: la storia e la letteratura ci riportano innumerevoli casi di notizie non verificate, veri e propri specchietti per le allodole) alla fame di reality, un vero e proprio genere a sé stante in cui di reale c’è ben poco (ci si domanda se le gesta di starlette e giovanotti alla Ken, di freak e gente in cerca di quindici minuti di notorietà siano davvero reali: non è vero ma ci credo, verrebbe da dire, allora dov’è la reality?), alla mai troppo deprecata tv verità: c’è chi sulla televisione del dolore, delle lacrime in diretta, delle riunioni familiari, dei casi umani, ha costruito una carriera.

E non è finita: le cosiddette fiction – a parte l’invasione degli anglismi, non si comprende cosa distingua gli sceneggiati di un tempo da film in due-tre puntate con attori improbabili e sceneggiature copiaincollate da analoghi prodotti d’oltralpe e oltreoceano detti fiction – dal latino fictio, finzioni dunque, recite – in cui spesso “il riferimento a fatti, persone, luoghi e avvenimenti reali è puramente casuale” (formula che può evitare querele, ma dietro cui si nascondono cinquantine di sfumature di verità). A fictional (che nel mondo anglosassone riguarda poesia e narrativa, contrapposte alla saggistica, che è appunto non fictional) di recente si contrappone factual: tale è stata definita una trasmissione con Roberto Saviano per il prevalere di situazioni reali, romanzate solo per esigenze di copione. Insopportabili poi le classiche domande su libri e film: “Ma è una storia vera? È veramente successo?”, che annulla secoli di pratica e teoria artistica e letteraria su reale, naturale, vero e trasfigurazione artistica.

Dato che spesso la confusione linguistica è indice di confusione concettuale, abituiamoci a riflettere sul gradiente di realtà di quanto proponiamo e ci viene proposto per una comunicazione ed informazione, oltre che espressione, più consapevole; rafforziamo il lavoro della scuola, che come obiettivo non solo didattico si propone quello di formare giovani adulti dallo spirito critico; battiamoci per la valorizzazione della ricerca e, nel campo dell’intrattenimento, per contenuti più formativi e meno banalmente massificati, altrimenti, dato che nel 2018 dovrebbe essere inammissibile contraddire millenni di scienza con affermazioni sulla Terra piatta o gravidanze ai limiti dell’alieno, non dovremo più stupirci di gruppi di “mamme pancine et coetera” o di “Earth flatters”, concentrati di fake news, fattoidi, bufale, purtroppo non fictional ma factual.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=2818:ha-aperto-i-battenti-a-floridia-il-presepe-di-via-giuliano&catid=17&Itemid=143

Ha aperto i battenti a Floridia il Presepe di via Giuliano

Maria Lucia Riccioli
Mercoledì, 27 Dicembre 2017
Nella scena della Natività anche la Chiesa del Giardinello. Programmazione natalizia delle iniziative della neocostituita Pro Loco “Villa dei re”

La Civetta di Minerva, 15 dicembre 2017

Il 9 dicembre scorso è stata inaugurata la programmazione natalizia delle iniziative della neocostituita Pro Loco “Villa dei re” di Floridia con un evento sia culturale che religioso, nel solco della valorizzazione dei beni etnoantropologici sia materiali che immateriali, con tutto il loro portato sociologico e la loro importanza in termini di rilancio dell’immagine della cittadina e di inserimento in un circuito di valorizzazione e fruizione.

Visitabile tutti i giorni dalle ore 18, ha infatti aperto i battenti il Presepe di via Giuliano, realizzato da Giuseppe Amenta non solo nel rispetto delle secolari tradizioni presepistiche (pensiamo a San Francesco e al suo presepe di Greccio, all’arte napoletana dei presepi…) ma anche con perizia tecnica e con l’inserimento nella scena della Natività di scorci floridiani: ad esempio la Chiesa del Giardinello. Non solo: la nascita di Gesù è inserita in una tipica “carretteria” floridiana, l’antica rimessa per l’animale e il carretto. Davvero suggestiva è anche la visita dell’altro ambiente della casa, in cui, come in una capsula del tempo, è possibile visitare la tipica stanza da letto della società agropastorale iblea tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, con la “conca”, ovvero il braciere, la “naca”, la culla per i bambini e tutti gli arredi d’epoca.

Don Lorenzo Russo, parroco della Chiesa di San Francesco d’Assisi, ha benedetto il presepe; sono intervenuti, oltre al sindaco Giovanni Limoli, Cetty Bruno con la partecipazione della professoressa Giovanna Marino Portella e dell’etnoantropologo, che hanno illustrato la finalità della Pro Loco “Villa dei re” e le particolarità storiche del presepe con la loro simbologia. La serata, presentata da Patrizia Tidona, è stata impreziosita dalla musica dell’Ensemble “In Gratia Vox” diretta da Graziano Grancagnolo, con l’esecuzione di brani polifonici legati al Natale: il coro, che si propone fini sia culturali che di crescita umana e di aggregazione sociale, ha spaziato dalla polifonia classica a brani contemporanei come “Hallelujah” di Leonard Cohen riarrangiato per i Pentatonix.

Un paio di domande a Cetty Bruno, figlia dell’indimenticato Nunzio Bruno cui è intitolato il Museo etnoantropologico.

Come nasce questa seconda Pro Loco floridiana?

La Pro Loco “Villa dei re” nasce nel maggio 2016 grazie al nuovo decreto regionale del 2015 che in uno dei suoi articoli prevede che tali associazioni sorgano ogni quindicimila abitanti, quindi avendo Floridia superato i venticinquemila era opportuno che la città potesse avere una seconda Pro Loco, formata da artisti, intellettuali, storici, etnoantropologi impegnati da anni nell’organizzazione di eventi che hanno generato anche un discreto flusso turistico.

“Villa dei re”. Come mai questo nome?

Per via delle ville romane che esistevano nel territorio, poi residenze nobiliari legate a fattorie e casali, poi borghi. Il primo feudatario di Floridia fu Lucio Bonanno Colonna, che richiese al re la licentia populandi, concessa nel 1627. Nel marzo 2017 la Pro Loco ha organizzato un evento per i 390 anni di fondazione del borgo, evento che potrebbe diventare annuale.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=2807:ho-raccontato-la-siracusa-delle-tradizioni-nelle-feste&catid=17&Itemid=143

“Ho raccontato la Siracusa delle tradizioni nelle feste”

MARIA LUCIA RICCIOLI
Sabato, 16 Dicembre 2017 18:11
Luciano Aloschi ha presentato alla Dante Alighieri di Buenos Aires “Ortigia, fede e costume”, volume di ricordi gastronomici, usanze, fatti e personaggi che oggi stanno scivolando nell’oblio

 

La Civetta di Minerva, 16 dicembre 2017

“Voglio parlare di un’altra Siracusa, e cioè di quella di cui pochi parlano e tanti amerebbero ricordare: di una Siracusa recente ma che, ormai scordata, pare ricaduta nel suo sonnolento torpore di sempre. Alcuni direbbero: – Scirocco siracusano”.

Si è tenuta il 23 novembre scorso, presso la sede della Società Dante Alighieri di Buenos Aires la presentazione del libro “Ortigia fede e costume”, presente l’autore, il siracusano Luciano Aloschi, che ha raccontato il centro storico di Siracusa e le sue tradizioni legate alla religiosità popolare. L’incontro, concluso in musica con il soprano Nerina Gargero, ha rinsaldato i già potenti legami tra la nazione argentina, terra di migranti, e la nostra Siracusa.

La Civetta ha incontrato per voi Luciano Aloschi, entusiasta dell’esperienza in un paese che ha ammirato per la sua grandiosità, per la tenacia laboriosa dei nostri connazionali all’estero, per l’accoglienza che riserva agli italiani che lo visitano, specie quando illustrano fatti, tradizioni, usanze legate ad un passato comune, a radici coltivate perché non siano dimenticate.

Leggendolo “Ortigia fede e costume”, scritto in un linguaggio semplice – l’autore confessa umilmente di non avere l’ambizione di imitare autori blasonati ma semplicemente di raccontare –, sfilano e sembrano riprendere vita fatti e personaggi come Vittoriu u babbu, Don Ginu u zuccàru…

Cosa l’ha spinta a scrivere questo libro?

Mio nonno materno, Mariano Quadarella, alla fine dell’800 emigrò in Argentina e lì visse per quarant’anni con il piccolo grande sogno di assicurare un futuro ai propri sette figli: ne ho raccontato la storia in un volumetto molto intimo, “Ritratto di famiglia”, scritto per tramandarne la vicenda tra i miei familiari. Da qui i legami con l’Argentina che poi hanno portato al mio invito a presentare il libro presso la Dante Alighieri (che, lo ricordiamo, ha come fine quello di diffondere la cultura italiana nel mondo sia tramite i corsi di Italiano che per mezzo di presentazioni, concerti, conferenze, proiezioni cinematografiche, rappresentazioni teatrali).

“Ortigia fede e costume”: ci descriva la struttura del libro.

Ho voluto legare il racconto delle tradizioni popolari con lo scorrere dell’anno liturgico e il susseguirsi delle sue feste: l’Avvento come tempo forte che porta una ventata di festa con l’Immacolata (che abbiamo appena vissuto l’8 dicembre scorso) e la sua svelata – Maria che si mostra ai suoi fedeli, la musicale “atturna” che sveglia i devoti e li invita ad andare verso la Madre dietro la banda… con il profumo dello “zuccàro” a fare da sfondo alle preghiere. Immancabile il riferimento a Santa Lucia (13 dicembre e poi il 20, l’ottava), alla “cuccìa” come ricordo degli eventi prodigiosi del 1646 e del terremoto del 1693, periodi in cui Siracusa visse tremende carestie, alle candelore come espressione della devozione della nobiltà siracusana (con il profumo dei fiori offerti il 13) e dei pastori e contadini di Akradina, che allora era una contrada non urbanizzata (caratteristiche le decorazioni con gli agrumi). Si passa poi al Natale, ai Magi; dopo l’Epifania, quindi “dopu li Tri Re, olè olè olè”, secondo il detto popolare: passa anche la festa di Sant’Antonio Abate il 17 gennaio e arriva il Carnevale, con le “abbuffuniate”, il “festivallu”, “u sutta nuvanta”, le maschere come quella del dottore con le sue diagnosi esilaranti. Non mancano San Giuseppe (19 marzo), con il famoso “maccu”, preparato con cereali poveri, coi legumi e le verdure, testimoni della società agropastorale e marinara e l’inizio della preparazione dei “lavureddi”, che con il morire del seme prefigurano la Quaresima e la Pasqua, con la Passione e morte di Gesù. Poi la Pasqua con le sue cassatelle, i “panareddri cu l’ovu” per le bambine e gli agnellini per i maschietti… e via discorrendo.

Nello scorrere i tempi forti della liturgia, di un anno che si perpetua nei secoli, mi è stato grato riproporre nei miei ricordi, tutti quei fatti discreti che ho ritenuto riportare affiancandoli ai tempi religiosi, senza cedere nel volgare, ma rispettare la coincidenza tra fede e costume, vivendo la stupenda realtà della regalità di Cristo, che apre e chiude simbolicamente l’anno.

Quando ha iniziato a scrivere?

Ho sempre scritto poesie che spesso sono state premiate – classicheggianti le prime, come ad imitare lo stile dei nostri grandi poeti, quindi non piane come le poesie moderne – ma per una sorta di pudore non ho mai voluto pubblicarle e anzi le distruggevo. Solo da qualche anno ho iniziato a conservarle per i miei nipoti.

Cosa ha apprezzato maggiormente dell’Argentina?

Ho visitato sia Buenos Aires che Mar del Plata, realtà molto diverse, una caratterizzata da una cultura molto urbanizzata – splendidi i grattacieli, i monumenti –, l’altra dalla gente di mare. Un paese comunque bellissimo nonostante la crisi del 2001, una realtà differente dalla nostra.

Calipso, la dea che volle essere umana per amore di Ulisse

MARIA LUCIA RICCIOLI
Mercoledì, 13 Dicembre 2017 22:24
Con il suo testo teatrale, Orazio Caruso non attualizza banalmente il mito ma ne svela il valore perenne. Siracusa, palcoscenico ideale per quest’opera, sarà tappa del tour di presentazione del volumetto

La Civetta di Minerva, 1 dicembre 2017

Milan Kundera si domandava perché il dolore di Penelope per l’assenza di Ulisse venga esaltato mentre tutti “irridono le lacrime di Calipso”. Lo stesso Omero le dedica pochissimi versi. Perché?

Se lo chiede anche Orazio Caruso nel suo ultimo lavoro, il testo teatrale “Calipso”, uscito per i tipi di Algra Editore e portato in scena da Yvonne Guglielmino e dalle “Teste Toste”, gruppo teatrale del Liceo “Regina Elena” di Acireale.

I “giorni più lontani” maturano “lenti nel grembo immobile dell’eternità”: pur paventato, giunge infine il giorno in cui Ulisse deve abbandonare Calipso, la Nasconditrice, simbolo del divino, dell’eterno, che fluisce in maniera diversa rispetto alla dimensione del finito e del tempo cui il Laerziade deve fare ritorno, nutrito e come rigenerato dal lavacro nelle acque senza tempo della divinità. L’isola di Calipso è sottratta – per sortilegio, per volontà imperscrutabile degli dei – allo scorrere dei giorni, ai mutamenti, alla vecchiaia, alla morte. Eden e prigione, hortus conclusus e labirinto, Ulisse (“astuto, esperto, paziente, flessibile, mutevole, esploratore, distruttore, poliedrico”) sa che deve lasciarla insieme alla donna che ha amato per sette anni umani. Sa che deve lasciarla nonostante lei attenda un figlio, Nausitoo, che fa da contraltare a Telemaco, il figlio che gli ha donato Penelope. La donna dell’attesa contro la dea la cui unica colpa è stata voler essere umana, troppo umana.

Con un linguaggio poetico, evocativo, modulato sui classici eppure attento anche alla modernità– le figure femminili risentono del teatro novecentesco, delle riprese contemporanee dei testi antichi – Orazio Caruso non attualizza banalmente il mito ma ne svela il valore perenne.

Orazio Caruso insegna Lettere nelle scuole medie superiori, oltre a curare gli allestimenti teatrali del suo liceo. Si occupa inoltre di critica letteraria, editoria e poesia. I suoi romanzi “Sezione aurea”, “Comici randagi” (selezionato al Premio Brancati – Zafferana), Finisterre (Premio Più a Sud di Tunisi – Portopalo di Capo Passero) e “Pioggia e settembre”, sono stati presentati anche nelle librerie e biblioteche siracusane e Siracusa sarà una delle tappe del tour di presentazione del volumetto; suggeriamo che la patria dell’INDA sarebbe il palcoscenico ideale per questo testo.

 http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=2732:i-bambini-di-ortigia-angeli-d-un-cielo-privato-di-bellezza&catid=14&Itemid=138

I bambini di Ortigia angeli d’un cielo privato di bellezza

MARIA LUCIA RICCIOLI
Venerdì, 24 Novembre 2017 20:23
I ritratti del fotografo Carlo Di Silvestro nel “Vicolo Spirduta”, ragnatela di vichi e rue dai nomi poetici, evocativi: ronchi come anse di un fiume

La Civetta di Minerva, 17 novembre 2017

Il catalogo di una mostra del 1996, che mi catapulta una vita fa. Le fotografie di Carlo Di Silvestro (il padre, Pino, è raffinato e solitario scrittore e artista, capace di creare come per poliedrico genio giocattoli per i nipoti, incisioni tele e romanzi  – ricordiamo “La fuga, la sosta”, “L’ora delle vipere” e il gioiello dedicato ad August von Platen: se questa città fosse meno smemorata saprebbe di dovergli molto) sono frammenti di vita, giovanissima disperata vitale, diremmo pasolinianamente, che ci raccontano il “Vicolo Sperduta”, quella ragnatela di vichi e rue dai nomi poetici, evocativi: tra la Turba la Giudecca e la Graziella, via Alagona Dione Salomone Resalibera Esculapio, ronchi come anse di un fiume fatto di case balconi panni stesi ad asciugare e soprattutto bambini, ragazzini che giocano.

Qui non c’è l’Ortigia da cartolina, quella dei 2750 dalla fondazione, quella dei locali à la page, no: ci sono i muri scrostati, l’umido che trasuda dalle pareti, saracinesche, scritte, ringhiere arrugginite. Certo sono passati vent’anni e molto è stato fatto per rendere Siracusa più degna della sua storia e della sua importanza culturale, ma certo nei vicoli meno frequentati di Ortigia non è raro imbattersi in qualcuna delle scene fissate da Carlo Di Silvestro sulle sue foto che sanno insieme d’antico e contemporaneità.

Pietre, ferro, il mare che non c’è eppure lo si vede erodere le facciate e penetrare le ossa: nei volti, nei sorrisi, nei gesti, nelle smorfie sapientemente fissate dall’occhio del fotografo c’è la vita pulsante di questo lembo di terra abitato fin dalla preistoria, sedimento millenario di vite, come leggiamo nella splendida prefazione di un innamorato di Siracusa, il mai troppo ricordato Vincenzo Consolo (per anni presiedette la giuria del Premio Vittorini, ahimè naufragato alla sua diciottesima edizione: ne ricordo il garbo raro, la parola precisa, netta e gentile insieme):

“Il sito è sempre quello, un lembo di terra che il lavorio del mare separò dall’altra terra e rese isola di stupefazione e desiderio, porto d’ogni approdo, crogiolo d’ogni storia, cima di civiltà, fonte di poesia. Sempre quella è la luce, l’incandescenza di ogni alba, la scaglia abbacinante sopra il mare e la sontuosa porpora, la fiammata fenicia del tramonto. In Ortigia è il libro più denso e più profondo della nostra storia, la conchiglia d’ogni eco, la cetra su cui si modula ogni mito, ogni evento.

“Il tempo è un fanciullo che si diverte a giocare. Suo è il dominio”, scrisse qualcuno. E quel fanciullo eterno giocò in Ortigia il gioco più spensierato e più crudele, sforzò lo scrigno, disperse ogni memoria, ridusse in polvere ogni segno. Il tempo e la sua complice consapevole e beffarda, la storia, precipitata da “più superba altezza” alle piane desolate, ai dirupi, alle latomie più buie e più corrotte.

Rovinò la storia fino la più vicina Ortigia, quel teatro ulteriore di geometria domestica, paravento, quinta e fondale di conforto contro lo smarrimento d’un passato enorme, reticolo borghese e popolare, gioco di prominenze e rientranze, vele al vento d’un esplicito barocco, fantasiose fughe moderniste, incise nella tenera pietra color miele, incroci di rue d’affabilità, pause, piazze di scambi, di racconti.

In questo teatro decaduto, fra queste scene sfatte, tra erosioni e scrostature, lebbre di salsedine e fiori di salnitro, schermi di crolli e muri che accecano aulici portali, fra sconnessure e crepe, cespi di rovi e ortiche, in questo spazio d’oblio e offesa, dove l’eterna “luce d’orïental zaffiro” crudamente risalta ogni piaga, ogni sozzura, s’è mosso il giovane fotografo Carlo Di Silvestro. S’è mosso in questo “suo” teatro d’amore e di memoria per ritrarre una grazia, la Grazia che in quel marasma d’abbandono, in quello squarcio d’ogni tessuto di rispetto, prepotentemente rinasce e afferma il suo diritto d’esistenza, il suo potere contro ogni bruttura, ogni malizia, ogni consapevolezza.

I bambini d’Ortigia ritratti da Di Silvestro sono angeli d’un cielo privato di bellezza, sono, in quello iato, in quel vuoto allarmante, nelle loro corse, nei loro salti, nei loro giochi, nei loro sguardi, immagini di una gioia, di un’innocenza che nessuna distorta storia riesce a cancellare. Ma denunziano insieme, le immagini, la minaccia che incombe su quella grazia fragile, su quella luce breve, su quelle fuggevoli figure d’ineffabile bellezza (Milano, 14 maggio 1996).

 

 

 

 

 

 

 

Ancora una volta una giornalista uccisa per le sue indagini

MARIA LUCIA RICCIOLI
Venerdì, 17 Novembre 2017 11:32
Daphne Caruana Galizia, mezz’ora prima di morire, scrisse: “A Malta c’è corruzione ovunque”. Un quotidiano americano l’aveva definita “una delle 28 persone che stanno formando, scuotendo e agitando l’Europa”.

 

La Civetta di Minerva, 3 novembre 2017

Si allunga la lista dei martiri della parola. È di pochi giorni fa la terribile notizia della morte di Daphne Caruana Galizia, giornalista e blogger maltese la cui colpa è stata quella di usare l’arma della penna e della tastiera contro intimidazioni e bombe per indagare sulla corruzione che a Malta sembra dilagare come un cancro che metastatizza nell’affarista e forse complice Europa.

Laureata in archeologia, madre di tre figli, è stata una firma regolare per The Sunday Times e redattrice associata per The Malta Independent, oltre che direttrice della rivista Taste & Flair.

Curava un popolare e controverso blog dal titolo Running Commentary, contenente segnalazioni investigative; diverse le battaglie legali dovute proprio alla pubblicazione di post su magistrati e leader politici ed importanti le sue rivelazioni sulla corruzione e la mancanza di trasparenza a Malta. Il quotidiano americano “Politico” ebbe a definirla come una delle “28 persone che stanno formando, scuotendo e agitando l’Europa”.

Minacciata di morte – dopo aver sostenuto che una società panamense fosse di proprietà della moglie del primo ministro Muscat e aver criticato Delia, leader dell’opposizione nazionalista –, Daphne Caruana Galizia è rimasta uccisa lo scorso 16 ottobre nell’esplosione di un’autobomba.

Unanimi e di circostanza i cori di condanna dell’accaduto ma diversa è la posizione della famiglia: in un messaggio su Facebook uno dei figli della donna –  giornalista appartenente all’International Consortium of Investigative Journalists – ha mosso forti accuse contro le autorità di Malta, in cui Stato e crimine organizzato sarebbero indistinguibili, responsabili e complici a suo dire dell’assassinio della madre.

Sospeso dal servizio e indagato un sergente di polizia maltese per il commento all’omicidio della giornalista in cui ha affermato che «Tutti hanno quello che si meritano, merda di vacca. Sono felice».

Al di là di questo e del prosieguo delle indagini – coinvolta anche l’FBI –, colpiscono le ultime parole scritte da Daphne Caruana Galizia sul suo blog mezz’ora prima della morte: “There are crooks everywhere you look now. The situation is desperate” (“Ora ci sono corrotti ovunque guardi. La situazione è disperata).

Non meno toccanti – sia dal punto di vista personale che da quello deontologico: cosa possono le parole di una giornalista coraggiosa contro quella che è stata definita la “cleptocrazia” del Mondo di Mezzo, il potere occulto che viene a patti con la malavita organizzata per tenere in piedi un impero basato sulla corruzione? – le parole del figlio di Daphne Caruana Galizia: «Mia madre è stata uccisa perché si è messa tra la legge e quelli che cercavano di violarla, come molti bravi giornalisti. Ma è stata colpita perché era l’unica persona a farlo. È questo quello che succede quando le istituzioni sono incapaci: l’ultima persona rimasta in piedi è spesso una giornalista. Il che la rende la prima persona a essere uccisa».

Ricordiamo ai lettori che nei primi 273 giorni del 2017 l’Osservatorio Ossigeno ha documentato minacce a 256 giornalisti ed ha inoltre ha reso note minacce ad altri 65 giornalisti per episodi degli anni precedenti conosciuti dall’Osservatorio solo di recente; dietro ogni intimidazione documentata dall’Osservatorio almeno altre dieci resterebbero ignote perché le vittime non hanno la forza di renderle pubbliche.

Questo dovrebbe farci riflettere sul lavoro dei giornalisti, profeti disarmati del nostro tempo, sentinelle contro abusi e corruzione, spesso voce di chi non ha voce.

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Nella tv di Padre Pio tv puntata sul reliquiario del SantuarioEmail

MARIA LUCIA RICCIOLI
Categoria: Chiesa e dintorni
Martedì, 21 Novembre 2017 13:12
Per la prima volta la teca che contiene le lacrime della Madonna, prodigio avvenuto a Siracusa nel 1953, viene accolta in uno studio televisivo. Testimoni e studiosi narrano l’evento

La Civetta di Minerva, 3 novembre 2017

«Quello che vi dico nelle tenebre ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio predicatelo sui tetti» (Mt 10, 27). Non c’è forse citazione biblica migliore per parlare dell’annuncio della parola di Dio attraverso i media: i “tetti” del Vangelo di Matteo ci richiamano quelli contemporanei, fitti di parabole e ripetitori che trasmettono in ogni parte del globo parole, immagini, suoni. E che possono diventare strumento sempre nuovo di diffusione di contenuti culturali e spirituali, di riflessione sui valori non solo confessionali ma latu sensu umani.

Per la prima volta il reliquiario della Madonna delle Lacrime di Siracusa viene accolto in uno studio televisivo: presso gli studi di Padre Pio tv è stata registrata una puntata speciale della trasmissione “Nella Fede della Chiesa” con la presenza del prezioso reliquiario. La puntata è andata in onda Martedì 31 Ottobre alle 16 ed in replica Mercoledì 1 alle 8:45, Giovedì 3 alle 13:45 e Venerdì 4 alle 22:45 al canale 145 del digitale terrestre, 852 di Sky e 445 di TvSat. Appuntamento speciale, quindi, per i santi e i defunti con la presenza del prezioso reliquiario della Madonna delle Lacrime di Siracusa – ricordiamone l’autore, Biagio Poidimani, che lo realizzò nel 1954 in oro, argento e pietre preziose, rappresentando Santa Lucia e San Marciano, il primo vescovo di Siracusa, San Pietro e San Paolo, oltre a quattro angeli che custodiscono l’urna di vetro con la fialetta contenente le lacrime.

In studio, Don Francesco Cristofaro, mentre ad accompagnare la reliquia e a spiegare l’evento prodigioso della lacrimazione del 1953 Don Raffaele Aprile– che ha anche recitato una sua poesia in onore della Madonna delle Lacrime, “quella metà di cielo che parla di salvezza”, oltre che a spiegare teologicamente il significato del prodigio – e la dottoressa Concita Catalano, che ha spiegato al pubblico quali analisi vennero compiute all’epoca dalla commissione medica appositamente istituita per accertare la veridicità del fenomeno, con l’ausilio di immagini e filmati – toccante anche dal punto di vista umano la vicenda del dottor Cassola, il cui contatto con le lacrime da esaminare trasformò profondamente la sua vita di uomo e di medico.

Significativa anche la coincidenza della presenza delle reliquie di Giovanni Paolo II in Santuario: papa Wojtyla, devoto della Madonna delle Lacrime, nel novembre del 1994 ne consacrò il santuario durante la storica visita a Siracusa; il pontefice polacco, maestro di comunicazione, ha dedicato scritti, riflessioni e interventi sul ruolo dei media nell’apostolato e nell’ottica dell’unità della famiglia umana.

Incastonate in un artistico reliquiario opera del maestro Gulino – in Basilica è possibile anche ammirarne anche altri pregevoli manufatti – le reliquie di Wojtyla hanno richiamato un buon numero di fedeli devoti di questo Santo della nostra contemporaneità.

 

Interessante mostra documentaria su 400 anni di vicende femminili. Non solo aborti, stupri e delitti ma anche testamenti e figure storiche. Donne dalle condizioni socioeconomiche diverse, donne dalle storie variegate, donne da conoscere e ricordare

La Civetta di Minerva, 19 maggio 2017

Sarà visitabile fino al 31 maggio 2017 – quindi anche durante l’Infiorata – nei saloni espositivi di Palazzo Impellizzeri, sede della Sezione di Noto dell’Archivio di Stato di Siracusa, la mostra documentaria ”Storie di donne nei documenti d’archivio”.

L’esposizione, inaugurata a marzo con un evento teatrale suggestivo, l’emozionante performance delle artiste Chiara Spicuglia, Rina Rossitto e Miriam Scala, che hanno dato respiro e anima con “Voci di donne” a Gaetana Midolo, Marianna Ciccone e Franca Viola, accompagnate dal gruppo dei ragazzi del S.Cuore –,  è stata realizzata utilizzando la documentazione proveniente da vari fondi archivistici: fascicoli processuali della Gran Corte Criminale, atti notarili, atti dell’Università di Noto e Prefettura, tutti documenti riferiti a vicende e figure femminili del nostro territorio vissute nell’arco di quattrocento anni.

Regestazione ed allestimento della mostra sono stati curati dalle archiviste della Sezione di Noto, Giuseppina Calvo e Anna Lorenzano, con la collaborazione di Maria Teresa Azzarelli. Coordinatore della mostra è Concetta Corridore, direttore dell’Archivio di Stato di Siracusa. Importante anche il contributo di Salvatore Zuppardo, che ha realizzato la brochure esplicativa dell’esposizione.

Il visitatore sarà suggestionato da tante voci provenienti dal passato: quella del charaullo – meraviglia lessicale per una tradizione tipicamente siciliana – che motus amore divino perdona la moglie adultera nel 1551, quella di Eleonora Nicolaci che parla attraverso il proprio testamento, quella del letterato e scienziato avolese Giuseppe Bianca che ringrazia la poetessa e patriota netina Mariannina Coffa per il dono della sua pubblicazione “Nuovi Canti” (1859)…

Interessante notare anche il progresso della condizione femminile (vedi il documento sull’Unione donne italiane ad esempio) nell’ambito dell’istruzione e dell’introduzione alle professioni.

Toccante leggere l’atto di nascita di Gaetana Midolo, che morì appena quindicenne nel rogo della fabbrica newyorkese “Triangle Waist Company”: insieme a tante altre operaie, sfruttate e sottoposte a condizioni di lavoro disumane, è una delle “camicette bianche” la cui vicenda ha dato origine alla tradizione dell’8 marzo e che è stata studiata da Ester Rizzo (il volume sulle ricerche della studiosa è edito da Navarra editore e ha permesso di dare un nome e far intitolare vie ed altri spazi pubblici alle operaie, 24 delle quali siciliane, morte nell’incendio della fabbrica di camicie).

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Riempite strade, piazze, cortili e chiese con note di armonia, canti, musica. Questa edizione dedicata a Salvatore Di Pietro, l’anno prossimo a Corrado Carbè

La Civetta di Minerva, 24 marzo 2017

Domenica 19 marzo, in occasione della Festa mondiale della poesia ad Avola, declinata in due giorni speciali tra Avola e Noto, si sono concluse la quindicesima edizione di “Dalle otto alle otto” e la sesta edizione di “Libri di-versi in diversi libri” dedicata a Salvatore Di Pietro: Carlo Sorgia, Alessandra Nateri Sangiovanni e Maria Pia Vido si sono classificati rispettivamente al primo, secondo e terzo posto in quella che non è tanto una tenzone letteraria ma un’occasione di incontro, scambio e crescita nel nome della poesia: in un tempo arido e materialista, in cui scrivere versi sembrerebbe anacronistico e del tutto inutile, poesia è anche riempire strade, piazze, cortili e chiese di Avola e Noto di armonia, canti, musica e, soprattutto, poesie, “celebrando” secondo l’anima di questo concorso, il libraio-editore Ciccio Urso, sostenuto come sempre da Liliana Calabrese, dai giurati e dal manipolo di artisti del Val di Noto che seguono le loro iniziative, “la magia della creatività, spontaneamente e senza programmazione, nonostante l’indifferenza di intellettuali egocentrici e della massa insignificante che ci circonda, e, soprattutto, senza sindaci e assessori e a personaggi di potere, perché l’unico potere abbracciato da ciascuno è quello della fantasia e della bellezza di un verso, dell’incontro con un accadimento inaspettato, ma collegato a ciascuno, e l’adesione entusiastica di persone graditissime”.

Tra i giurati, docenti e poeti: Maria Barone, Corrado Bono, Liliana Calabrese, Antonino Causi, Francesca Corsico, Luigi Ficara, Benito Marziano, Orazio Parisi, Vera Parisi, Fausto Politino, Maria Restuccia, Lilia Urso, Marco Urso e i poeti vincitori Giovanni Catalano, Manuela Magi, Maria Chiara Quartu, Pietro Vizzini, Nina Esposito.

Sono state consegnate le targhe della memoria dedicate a poeti sparsi in diverse città italiane e grazie all’intervento di poeti di diverse regioni italiane, compresa la Sardegna, è stato raggiunto l’obiettivo di creare ponte con gli altri, ascoltando e uscendo da sé, diventando ideali punti di riferimento e modelli di vivere creativo positivo, da moltiplicare nel mondo.

La nuova edizione del concorso letterario verrà come ormai consuetudine dedicata a un poeta amico della Libreria Editrice Urso, scomparso anzitempo, e cioè al poeta-scrittore Corrado Carbè scomparso il 20 febbraio 2017 nel mentre stava partecipando alla precedente edizione di questo Concorso, dove, tra l’altro, si classificava al sesto posto della classifica finale, insieme a Cettina Lascia Cirinnà, Mimma Raspanti, Federico Guastella, Rita Stanzione, Simona Forte, Marianinfa Terranova, Antonella Santoro, Gianluca Macelloni, Grazia La Gatta.

Meritano una menzione particolare e vanno incoraggiati i giovani artisti: in un’edizione di qualche anno fa Davide Giannelli scriveva che quando saprai che stai per morire, / dalle tue ceneri di nuovo un sorriso. / E la tua melodia canterai (da Vivere d’amore).

Miriam Vinci, selezionata nell’edizione 2016/2017, ben rappresenta l’anelito giovanile alla Bellezza nonostante il grigiore del quotidiano e le difficoltà dell’esistenza e ci piace chiudere proprio con i suoi versi, che con voce fresca in ritmi franti ricantano i temi eterni della poesia, tra illusioni ingenue dell’età ed echi leopardiani:

Ed è in questa nudità / che vorrei / vestiti di poesia.

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La Riccioli su Mariannina Coffa, Saffo netina dell’800

Salvo Amato
Sabato, 08 Aprile 2017 08:45
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La conferenza nei locali della biblioteca di Noto. Durante l’incontro, organizzato dal Rotaract, musiche eseguite dal maestro Gabriele Bosco al violino, mentre Giuseppe Puzzo, verseggiatore egli stesso, recita alcune liriche della poetessa e propri componimenti inediti

La Civetta di Minerva, 24 marzo 2017

“Mariannina Coffa, Una donna tante donne – La poetessa dell’Ottocento che parla alle donne di oggi”: questo il titolo dell’incontro che si terrà domani, venerdì 25 marzo, alle ore 17,30 presso la Biblioteca comunale “Principe di Villadorata” di Noto in via Nicolaci, biblioteca che custodisce amorosamente gli scritti della poetessa e patriota netina. L’incontro si inserisce nella programmazione del Rotaract volta alla valorizzazione del territorio e delle sue risorse culturali in senso lato.

Mariannina Coffa (Noto, 1841-1878), enfant prodige della borghesia netina nel passaggio difficile ed esaltante insieme dalla monarchia borbonica al Regno d’Italia, è stata dunque figlia, sorella, amica – corrispose con gli intellettuali dell’epoca pur senza muoversi dalla Sicilia –, innamorata (fu protagonista di un amore tipicamente romantico con Ascenso Mauceri, musicista e autore di tragedie), sposa malmaritata di un possidente terriero di Ragusa, madre (perse tra l’altro due dei cinque figli), patriota e poetessa (accompagnò con la sua poesia e le sue riflessioni i moti risorgimentali e la sua complessa personalità e spiritualità la portò ad un tentativo di emancipazione dagli stilemi dell’epoca verso soluzioni originali): interpretò ognuno di questi ruoli nonostante i limiti della propria condizione di donna, di siciliana, nonostante la malattia e le incomprensioni del contesto familiare e socio-culturale.

La conferenza, tenuta da Maria Lucia Riccioli, docente e scrittrice, autrice tra l’altro di un romanzo storico, “Ferita all’ala un’allodola”, incentrato proprio su Mariannina Coffa, giurata per due anni consecutivi del concorso di “Inchiostro e anima” intitolato alla Capinera di Noto, alla Saffo netina, tanto per ricordare alcune delle immagini cui la Coffa è stata associata, autrice di un saggio sulla prima tesi di laurea dedicata alla poetessa e inserito nel volume “Sguardi plurali” (Armando Siciliano Editore) curato da Marinella Fiume e uscito per raccogliere i lavori dell’omonimo convegno, oltre che di una lettera immaginaria alla Coffa pubblicata per i tipi di LiberAria in “Letteratitudine 3: letture, scritture, metanarrazioni” (a cura di Massimo Maugeri), sarà moderata da Federica Piluccio, presidente del Rotaract club Noto Terra di Eloro; le musiche che accompagneranno l’evento saranno eseguite dal maestro Gabriele Bosco al violino, mentre Giuseppe Puzzo, estimatore della Coffa e verseggiatore egli stesso, reciterà alcune liriche della poetessa e propri componimenti inediti.

A quasi centoquarant’anni dalla scomparsa della poetessa, la sua biografia e le sue opere presentano ancora fertili campi di indagine (pensiamo alla recente scoperta ad opera di Stefano Vaccaro di un inedito rinvenuto nella biblioteca del Castello di Donnafugata).

L’incontro del 25 marzo sarà occasione di riflessione sul modello femminile incarnato dalla Coffa e offrirà lo spunto per ricordare l’incendio del 25 marzo 1911, nel quale persero la vita le “camicette bianche” (pensiamo allo straordinario lavoro di Ester Rizzo per ridare nome dignità e memoria a queste donne), le operaie della Triangle Waist Company: tra di esse c’era una ragazza netina, Gaetana Midolo, cui è stata dedicata la rotatoria di Piazza Nino Bixio. Nel mese dedicato alle donne, ricordare un’emigrata e una figura del nostro Risorgimento non sembrerà un’operazione azzardata.

 

LA CIVETTA DI MINERVA del 15 dicembre 2017

16 sabato Dic 2017

Posted by mlriccioli in Eventi culturali, Letteratura, Musica, scuola

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Don Fortunato Di Noto ammonisce i genitori e la scuola a vigilare su ciò che i ragazzi fanno con smart phone e computer

La Civetta di Minerva, 15 dicembre 2017

Stimolata da un’indagine social del professor Massimo Arcangeli, docente di linguistica italiana ed ex-preside della facoltà di lingue e letterature straniere presso l’Università degli Studi di Cagliari, rifletto insieme a voi lettori sullo statuto di verità che chiediamo alle cose, all’informazione, all’entertainment, alla letteratura e all’arte in genere.

Una delle espressioni dell’anno che sta per concludersi è certamente “fake news”, che fa il paio con la nostrana “bufala” e il trio con “fattoide”, notizia priva di fondamento, ma diffusa e amplificata dai mezzi di comunicazione di massa al punto da essere percepita come vera: sarebbe imminente un pronunciamento del nostro Parlamento per arginare il fenomeno della diffusione in rete di informazioni e notizie false – postate più o meno artatamente –, ma è bene che scuola e famiglia, specie per proteggere i minori in rete, si attivino per insegnare a bambini e ragazzi a navigare su Internet in maniera consapevole (e comunque resta valido e semmai si rafforza l’invito di associazioni come Meter e di esperti come Don Di Noto a vigilare sui minori che utilizzano sempre più smartphone e computer e a non postare immagini e video dei propri figli, dato l’uso sconosciuto e spesso criminoso che di tali dati può essere fatto, specie in un’ottica di lotta contro la pedofilia).

Attenzione dunque sia alle notizie non verificate – spesso basta una rapida conferma da parte di un motore di ricerca, sia per i testi che per le immagini o i video –, ma in effetti ci sarebbe da fare un lungo discorso sugli statuti di verità. Passiamo, nell’arco della stessa giornata, dall’indignazione contro le fake news (che comunque spesso sono trappole per gonzi: la storia e la letteratura ci riportano innumerevoli casi di notizie non verificate, veri e propri specchietti per le allodole) alla fame di reality, un vero e proprio genere a sé stante in cui di reale c’è ben poco (ci si domanda se le gesta di starlette e giovanotti alla Ken, di freak e gente in cerca di quindici minuti di notorietà siano davvero reali: non è vero ma ci credo, verrebbe da dire, allora dov’è la reality?), alla mai troppo deprecata tv verità: c’è chi sulla televisione del dolore, delle lacrime in diretta, delle riunioni familiari, dei casi umani, ha costruito una carriera.

E non è finita: le cosiddette fiction – a parte l’invasione degli anglismi, non si comprende cosa distingua gli sceneggiati di un tempo da film in due-tre puntate con attori improbabili e sceneggiature copiaincollate da analoghi prodotti d’oltralpe e oltreoceano detti fiction – dal latino fictio, finzioni dunque, recite – in cui spesso “il riferimento a fatti, persone, luoghi e avvenimenti reali è puramente casuale” (formula che può evitare querele, ma dietro cui si nascondono cinquantine di sfumature di verità). A fictional (che nel mondo anglosassone riguarda poesia e narrativa, contrapposte alla saggistica, che è appunto non fictional) di recente si contrappone factual: tale è stata definita una trasmissione con Roberto Saviano per il prevalere di situazioni reali, romanzate solo per esigenze di copione. Insopportabili poi le classiche domande su libri e film: “Ma è una storia vera? È veramente successo?”, che annulla secoli di pratica e teoria artistica e letteraria su reale, naturale, vero e trasfigurazione artistica.

Dato che spesso la confusione linguistica è indice di confusione concettuale, abituiamoci a riflettere sul gradiente di realtà di quanto proponiamo e ci viene proposto per una comunicazione ed informazione, oltre che espressione, più consapevole; rafforziamo il lavoro della scuola, che come obiettivo non solo didattico si propone quello di formare giovani adulti dallo spirito critico; battiamoci per la valorizzazione della ricerca e, nel campo dell’intrattenimento, per contenuti più formativi e meno banalmente massificati, altrimenti, dato che nel 2018 dovrebbe essere inammissibile contraddire millenni di scienza con affermazioni sulla Terra piatta o gravidanze ai limiti dell’alieno, non dovremo più stupirci di gruppi di “mamme pancine et coetera” o di “Earth flatters”, concentrati di fake news, fattoidi, bufale, purtroppo non fictional ma factual.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=2818:ha-aperto-i-battenti-a-floridia-il-presepe-di-via-giuliano&catid=17&Itemid=143

Ha aperto i battenti a Floridia il Presepe di via Giuliano

Maria Lucia Riccioli
Mercoledì, 27 Dicembre 2017
Nella scena della Natività anche la Chiesa del Giardinello. Programmazione natalizia delle iniziative della neocostituita Pro Loco “Villa dei re”

La Civetta di Minerva, 15 dicembre 2017

Il 9 dicembre scorso è stata inaugurata la programmazione natalizia delle iniziative della neocostituita Pro Loco “Villa dei re” di Floridia con un evento sia culturale che religioso, nel solco della valorizzazione dei beni etnoantropologici sia materiali che immateriali, con tutto il loro portato sociologico e la loro importanza in termini di rilancio dell’immagine della cittadina e di inserimento in un circuito di valorizzazione e fruizione.

Visitabile tutti i giorni dalle ore 18, ha infatti aperto i battenti il Presepe di via Giuliano, realizzato da Giuseppe Amenta non solo nel rispetto delle secolari tradizioni presepistiche (pensiamo a San Francesco e al suo presepe di Greccio, all’arte napoletana dei presepi…) ma anche con perizia tecnica e con l’inserimento nella scena della Natività di scorci floridiani: ad esempio la Chiesa del Giardinello. Non solo: la nascita di Gesù è inserita in una tipica “carretteria” floridiana, l’antica rimessa per l’animale e il carretto. Davvero suggestiva è anche la visita dell’altro ambiente della casa, in cui, come in una capsula del tempo, è possibile visitare la tipica stanza da letto della società agropastorale iblea tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, con la “conca”, ovvero il braciere, la “naca”, la culla per i bambini e tutti gli arredi d’epoca.

Don Lorenzo Russo, parroco della Chiesa di San Francesco d’Assisi, ha benedetto il presepe; sono intervenuti, oltre al sindaco Giovanni Limoli, Cetty Bruno con la partecipazione della professoressa Giovanna Marino Portella e dell’etnoantropologo, che hanno illustrato la finalità della Pro Loco “Villa dei re” e le particolarità storiche del presepe con la loro simbologia. La serata, presentata da Patrizia Tidona, è stata impreziosita dalla musica dell’Ensemble “In Gratia Vox” diretta da Graziano Grancagnolo, con l’esecuzione di brani polifonici legati al Natale: il coro, che si propone fini sia culturali che di crescita umana e di aggregazione sociale, ha spaziato dalla polifonia classica a brani contemporanei come “Hallelujah” di Leonard Cohen riarrangiato per i Pentatonix.

Un paio di domande a Cetty Bruno, figlia dell’indimenticato Nunzio Bruno cui è intitolato il Museo etnoantropologico.

Come nasce questa seconda Pro Loco floridiana?

La Pro Loco “Villa dei re” nasce nel maggio 2016 grazie al nuovo decreto regionale del 2015 che in uno dei suoi articoli prevede che tali associazioni sorgano ogni quindicimila abitanti, quindi avendo Floridia superato i venticinquemila era opportuno che la città potesse avere una seconda Pro Loco, formata da artisti, intellettuali, storici, etnoantropologi impegnati da anni nell’organizzazione di eventi che hanno generato anche un discreto flusso turistico.

“Villa dei re”. Come mai questo nome?

Per via delle ville romane che esistevano nel territorio, poi residenze nobiliari legate a fattorie e casali, poi borghi. Il primo feudatario di Floridia fu Lucio Bonanno Colonna, che richiese al re la licentia populandi, concessa nel 1627. Nel marzo 2017 la Pro Loco ha organizzato un evento per i 390 anni di fondazione del borgo, evento che potrebbe diventare annuale.

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“Ho raccontato la Siracusa delle tradizioni nelle feste”

MARIA LUCIA RICCIOLI
Sabato, 16 Dicembre 2017 18:11
Luciano Aloschi ha presentato alla Dante Alighieri di Buenos Aires “Ortigia, fede e costume”, volume di ricordi gastronomici, usanze, fatti e personaggi che oggi stanno scivolando nell’oblio

 

La Civetta di Minerva, 16 dicembre 2017

“Voglio parlare di un’altra Siracusa, e cioè di quella di cui pochi parlano e tanti amerebbero ricordare: di una Siracusa recente ma che, ormai scordata, pare ricaduta nel suo sonnolento torpore di sempre. Alcuni direbbero: – Scirocco siracusano”.

Si è tenuta il 23 novembre scorso, presso la sede della Società Dante Alighieri di Buenos Aires la presentazione del libro “Ortigia fede e costume”, presente l’autore, il siracusano Luciano Aloschi, che ha raccontato il centro storico di Siracusa e le sue tradizioni legate alla religiosità popolare. L’incontro, concluso in musica con il soprano Nerina Gargero, ha rinsaldato i già potenti legami tra la nazione argentina, terra di migranti, e la nostra Siracusa.

La Civetta ha incontrato per voi Luciano Aloschi, entusiasta dell’esperienza in un paese che ha ammirato per la sua grandiosità, per la tenacia laboriosa dei nostri connazionali all’estero, per l’accoglienza che riserva agli italiani che lo visitano, specie quando illustrano fatti, tradizioni, usanze legate ad un passato comune, a radici coltivate perché non siano dimenticate.

Leggendolo “Ortigia fede e costume”, scritto in un linguaggio semplice – l’autore confessa umilmente di non avere l’ambizione di imitare autori blasonati ma semplicemente di raccontare –, sfilano e sembrano riprendere vita fatti e personaggi come Vittoriu u babbu, Don Ginu u zuccàru…

Cosa l’ha spinta a scrivere questo libro?

Mio nonno materno, Mariano Quadarella, alla fine dell’800 emigrò in Argentina e lì visse per quarant’anni con il piccolo grande sogno di assicurare un futuro ai propri sette figli: ne ho raccontato la storia in un volumetto molto intimo, “Ritratto di famiglia”, scritto per tramandarne la vicenda tra i miei familiari. Da qui i legami con l’Argentina che poi hanno portato al mio invito a presentare il libro presso la Dante Alighieri (che, lo ricordiamo, ha come fine quello di diffondere la cultura italiana nel mondo sia tramite i corsi di Italiano che per mezzo di presentazioni, concerti, conferenze, proiezioni cinematografiche, rappresentazioni teatrali).

“Ortigia fede e costume”: ci descriva la struttura del libro.

Ho voluto legare il racconto delle tradizioni popolari con lo scorrere dell’anno liturgico e il susseguirsi delle sue feste: l’Avvento come tempo forte che porta una ventata di festa con l’Immacolata (che abbiamo appena vissuto l’8 dicembre scorso) e la sua svelata – Maria che si mostra ai suoi fedeli, la musicale “atturna” che sveglia i devoti e li invita ad andare verso la Madre dietro la banda… con il profumo dello “zuccàro” a fare da sfondo alle preghiere. Immancabile il riferimento a Santa Lucia (13 dicembre e poi il 20, l’ottava), alla “cuccìa” come ricordo degli eventi prodigiosi del 1646 e del terremoto del 1693, periodi in cui Siracusa visse tremende carestie, alle candelore come espressione della devozione della nobiltà siracusana (con il profumo dei fiori offerti il 13) e dei pastori e contadini di Akradina, che allora era una contrada non urbanizzata (caratteristiche le decorazioni con gli agrumi). Si passa poi al Natale, ai Magi; dopo l’Epifania, quindi “dopu li Tri Re, olè olè olè”, secondo il detto popolare: passa anche la festa di Sant’Antonio Abate il 17 gennaio e arriva il Carnevale, con le “abbuffuniate”, il “festivallu”, “u sutta nuvanta”, le maschere come quella del dottore con le sue diagnosi esilaranti. Non mancano San Giuseppe (19 marzo), con il famoso “maccu”, preparato con cereali poveri, coi legumi e le verdure, testimoni della società agropastorale e marinara e l’inizio della preparazione dei “lavureddi”, che con il morire del seme prefigurano la Quaresima e la Pasqua, con la Passione e morte di Gesù. Poi la Pasqua con le sue cassatelle, i “panareddri cu l’ovu” per le bambine e gli agnellini per i maschietti… e via discorrendo.

Nello scorrere i tempi forti della liturgia, di un anno che si perpetua nei secoli, mi è stato grato riproporre nei miei ricordi, tutti quei fatti discreti che ho ritenuto riportare affiancandoli ai tempi religiosi, senza cedere nel volgare, ma rispettare la coincidenza tra fede e costume, vivendo la stupenda realtà della regalità di Cristo, che apre e chiude simbolicamente l’anno.

Quando ha iniziato a scrivere?

Ho sempre scritto poesie che spesso sono state premiate – classicheggianti le prime, come ad imitare lo stile dei nostri grandi poeti, quindi non piane come le poesie moderne – ma per una sorta di pudore non ho mai voluto pubblicarle e anzi le distruggevo. Solo da qualche anno ho iniziato a conservarle per i miei nipoti.

Cosa ha apprezzato maggiormente dell’Argentina?

Ho visitato sia Buenos Aires che Mar del Plata, realtà molto diverse, una caratterizzata da una cultura molto urbanizzata – splendidi i grattacieli, i monumenti –, l’altra dalla gente di mare. Un paese comunque bellissimo nonostante la crisi del 2001, una realtà differente dalla nostra.

Calipso, la dea che volle essere umana per amore di Ulisse

MARIA LUCIA RICCIOLI
Mercoledì, 13 Dicembre 2017 22:24
Con il suo testo teatrale, Orazio Caruso non attualizza banalmente il mito ma ne svela il valore perenne. Siracusa, palcoscenico ideale per quest’opera, sarà tappa del tour di presentazione del volumetto

La Civetta di Minerva, 1 dicembre 2017

Milan Kundera si domandava perché il dolore di Penelope per l’assenza di Ulisse venga esaltato mentre tutti “irridono le lacrime di Calipso”. Lo stesso Omero le dedica pochissimi versi. Perché?

Se lo chiede anche Orazio Caruso nel suo ultimo lavoro, il testo teatrale “Calipso”, uscito per i tipi di Algra Editore e portato in scena da Yvonne Guglielmino e dalle “Teste Toste”, gruppo teatrale del Liceo “Regina Elena” di Acireale.

I “giorni più lontani” maturano “lenti nel grembo immobile dell’eternità”: pur paventato, giunge infine il giorno in cui Ulisse deve abbandonare Calipso, la Nasconditrice, simbolo del divino, dell’eterno, che fluisce in maniera diversa rispetto alla dimensione del finito e del tempo cui il Laerziade deve fare ritorno, nutrito e come rigenerato dal lavacro nelle acque senza tempo della divinità. L’isola di Calipso è sottratta – per sortilegio, per volontà imperscrutabile degli dei – allo scorrere dei giorni, ai mutamenti, alla vecchiaia, alla morte. Eden e prigione, hortus conclusus e labirinto, Ulisse (“astuto, esperto, paziente, flessibile, mutevole, esploratore, distruttore, poliedrico”) sa che deve lasciarla insieme alla donna che ha amato per sette anni umani. Sa che deve lasciarla nonostante lei attenda un figlio, Nausitoo, che fa da contraltare a Telemaco, il figlio che gli ha donato Penelope. La donna dell’attesa contro la dea la cui unica colpa è stata voler essere umana, troppo umana.

Con un linguaggio poetico, evocativo, modulato sui classici eppure attento anche alla modernità– le figure femminili risentono del teatro novecentesco, delle riprese contemporanee dei testi antichi – Orazio Caruso non attualizza banalmente il mito ma ne svela il valore perenne.

Orazio Caruso insegna Lettere nelle scuole medie superiori, oltre a curare gli allestimenti teatrali del suo liceo. Si occupa inoltre di critica letteraria, editoria e poesia. I suoi romanzi “Sezione aurea”, “Comici randagi” (selezionato al Premio Brancati – Zafferana), Finisterre (Premio Più a Sud di Tunisi – Portopalo di Capo Passero) e “Pioggia e settembre”, sono stati presentati anche nelle librerie e biblioteche siracusane e Siracusa sarà una delle tappe del tour di presentazione del volumetto; suggeriamo che la patria dell’INDA sarebbe il palcoscenico ideale per questo testo.

 http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=2732:i-bambini-di-ortigia-angeli-d-un-cielo-privato-di-bellezza&catid=14&Itemid=138

I bambini di Ortigia angeli d’un cielo privato di bellezza

MARIA LUCIA RICCIOLI
Venerdì, 24 Novembre 2017 20:23
I ritratti del fotografo Carlo Di Silvestro nel “Vicolo Spirduta”, ragnatela di vichi e rue dai nomi poetici, evocativi: ronchi come anse di un fiume

La Civetta di Minerva, 17 novembre 2017

Il catalogo di una mostra del 1996, che mi catapulta una vita fa. Le fotografie di Carlo Di Silvestro (il padre, Pino, è raffinato e solitario scrittore e artista, capace di creare come per poliedrico genio giocattoli per i nipoti, incisioni tele e romanzi  – ricordiamo “La fuga, la sosta”, “L’ora delle vipere” e il gioiello dedicato ad August von Platen: se questa città fosse meno smemorata saprebbe di dovergli molto) sono frammenti di vita, giovanissima disperata vitale, diremmo pasolinianamente, che ci raccontano il “Vicolo Sperduta”, quella ragnatela di vichi e rue dai nomi poetici, evocativi: tra la Turba la Giudecca e la Graziella, via Alagona Dione Salomone Resalibera Esculapio, ronchi come anse di un fiume fatto di case balconi panni stesi ad asciugare e soprattutto bambini, ragazzini che giocano.

Qui non c’è l’Ortigia da cartolina, quella dei 2750 dalla fondazione, quella dei locali à la page, no: ci sono i muri scrostati, l’umido che trasuda dalle pareti, saracinesche, scritte, ringhiere arrugginite. Certo sono passati vent’anni e molto è stato fatto per rendere Siracusa più degna della sua storia e della sua importanza culturale, ma certo nei vicoli meno frequentati di Ortigia non è raro imbattersi in qualcuna delle scene fissate da Carlo Di Silvestro sulle sue foto che sanno insieme d’antico e contemporaneità.

Pietre, ferro, il mare che non c’è eppure lo si vede erodere le facciate e penetrare le ossa: nei volti, nei sorrisi, nei gesti, nelle smorfie sapientemente fissate dall’occhio del fotografo c’è la vita pulsante di questo lembo di terra abitato fin dalla preistoria, sedimento millenario di vite, come leggiamo nella splendida prefazione di un innamorato di Siracusa, il mai troppo ricordato Vincenzo Consolo (per anni presiedette la giuria del Premio Vittorini, ahimè naufragato alla sua diciottesima edizione: ne ricordo il garbo raro, la parola precisa, netta e gentile insieme):

“Il sito è sempre quello, un lembo di terra che il lavorio del mare separò dall’altra terra e rese isola di stupefazione e desiderio, porto d’ogni approdo, crogiolo d’ogni storia, cima di civiltà, fonte di poesia. Sempre quella è la luce, l’incandescenza di ogni alba, la scaglia abbacinante sopra il mare e la sontuosa porpora, la fiammata fenicia del tramonto. In Ortigia è il libro più denso e più profondo della nostra storia, la conchiglia d’ogni eco, la cetra su cui si modula ogni mito, ogni evento.

“Il tempo è un fanciullo che si diverte a giocare. Suo è il dominio”, scrisse qualcuno. E quel fanciullo eterno giocò in Ortigia il gioco più spensierato e più crudele, sforzò lo scrigno, disperse ogni memoria, ridusse in polvere ogni segno. Il tempo e la sua complice consapevole e beffarda, la storia, precipitata da “più superba altezza” alle piane desolate, ai dirupi, alle latomie più buie e più corrotte.

Rovinò la storia fino la più vicina Ortigia, quel teatro ulteriore di geometria domestica, paravento, quinta e fondale di conforto contro lo smarrimento d’un passato enorme, reticolo borghese e popolare, gioco di prominenze e rientranze, vele al vento d’un esplicito barocco, fantasiose fughe moderniste, incise nella tenera pietra color miele, incroci di rue d’affabilità, pause, piazze di scambi, di racconti.

In questo teatro decaduto, fra queste scene sfatte, tra erosioni e scrostature, lebbre di salsedine e fiori di salnitro, schermi di crolli e muri che accecano aulici portali, fra sconnessure e crepe, cespi di rovi e ortiche, in questo spazio d’oblio e offesa, dove l’eterna “luce d’orïental zaffiro” crudamente risalta ogni piaga, ogni sozzura, s’è mosso il giovane fotografo Carlo Di Silvestro. S’è mosso in questo “suo” teatro d’amore e di memoria per ritrarre una grazia, la Grazia che in quel marasma d’abbandono, in quello squarcio d’ogni tessuto di rispetto, prepotentemente rinasce e afferma il suo diritto d’esistenza, il suo potere contro ogni bruttura, ogni malizia, ogni consapevolezza.

I bambini d’Ortigia ritratti da Di Silvestro sono angeli d’un cielo privato di bellezza, sono, in quello iato, in quel vuoto allarmante, nelle loro corse, nei loro salti, nei loro giochi, nei loro sguardi, immagini di una gioia, di un’innocenza che nessuna distorta storia riesce a cancellare. Ma denunziano insieme, le immagini, la minaccia che incombe su quella grazia fragile, su quella luce breve, su quelle fuggevoli figure d’ineffabile bellezza (Milano, 14 maggio 1996).

 

 

 

 

 

 

 

Ancora una volta una giornalista uccisa per le sue indagini

MARIA LUCIA RICCIOLI
Venerdì, 17 Novembre 2017 11:32
Daphne Caruana Galizia, mezz’ora prima di morire, scrisse: “A Malta c’è corruzione ovunque”. Un quotidiano americano l’aveva definita “una delle 28 persone che stanno formando, scuotendo e agitando l’Europa”.

 

La Civetta di Minerva, 3 novembre 2017

Si allunga la lista dei martiri della parola. È di pochi giorni fa la terribile notizia della morte di Daphne Caruana Galizia, giornalista e blogger maltese la cui colpa è stata quella di usare l’arma della penna e della tastiera contro intimidazioni e bombe per indagare sulla corruzione che a Malta sembra dilagare come un cancro che metastatizza nell’affarista e forse complice Europa.

Laureata in archeologia, madre di tre figli, è stata una firma regolare per The Sunday Times e redattrice associata per The Malta Independent, oltre che direttrice della rivista Taste & Flair.

Curava un popolare e controverso blog dal titolo Running Commentary, contenente segnalazioni investigative; diverse le battaglie legali dovute proprio alla pubblicazione di post su magistrati e leader politici ed importanti le sue rivelazioni sulla corruzione e la mancanza di trasparenza a Malta. Il quotidiano americano “Politico” ebbe a definirla come una delle “28 persone che stanno formando, scuotendo e agitando l’Europa”.

Minacciata di morte – dopo aver sostenuto che una società panamense fosse di proprietà della moglie del primo ministro Muscat e aver criticato Delia, leader dell’opposizione nazionalista –, Daphne Caruana Galizia è rimasta uccisa lo scorso 16 ottobre nell’esplosione di un’autobomba.

Unanimi e di circostanza i cori di condanna dell’accaduto ma diversa è la posizione della famiglia: in un messaggio su Facebook uno dei figli della donna –  giornalista appartenente all’International Consortium of Investigative Journalists – ha mosso forti accuse contro le autorità di Malta, in cui Stato e crimine organizzato sarebbero indistinguibili, responsabili e complici a suo dire dell’assassinio della madre.

Sospeso dal servizio e indagato un sergente di polizia maltese per il commento all’omicidio della giornalista in cui ha affermato che «Tutti hanno quello che si meritano, merda di vacca. Sono felice».

Al di là di questo e del prosieguo delle indagini – coinvolta anche l’FBI –, colpiscono le ultime parole scritte da Daphne Caruana Galizia sul suo blog mezz’ora prima della morte: “There are crooks everywhere you look now. The situation is desperate” (“Ora ci sono corrotti ovunque guardi. La situazione è disperata).

Non meno toccanti – sia dal punto di vista personale che da quello deontologico: cosa possono le parole di una giornalista coraggiosa contro quella che è stata definita la “cleptocrazia” del Mondo di Mezzo, il potere occulto che viene a patti con la malavita organizzata per tenere in piedi un impero basato sulla corruzione? – le parole del figlio di Daphne Caruana Galizia: «Mia madre è stata uccisa perché si è messa tra la legge e quelli che cercavano di violarla, come molti bravi giornalisti. Ma è stata colpita perché era l’unica persona a farlo. È questo quello che succede quando le istituzioni sono incapaci: l’ultima persona rimasta in piedi è spesso una giornalista. Il che la rende la prima persona a essere uccisa».

Ricordiamo ai lettori che nei primi 273 giorni del 2017 l’Osservatorio Ossigeno ha documentato minacce a 256 giornalisti ed ha inoltre ha reso note minacce ad altri 65 giornalisti per episodi degli anni precedenti conosciuti dall’Osservatorio solo di recente; dietro ogni intimidazione documentata dall’Osservatorio almeno altre dieci resterebbero ignote perché le vittime non hanno la forza di renderle pubbliche.

Questo dovrebbe farci riflettere sul lavoro dei giornalisti, profeti disarmati del nostro tempo, sentinelle contro abusi e corruzione, spesso voce di chi non ha voce.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=2718:nella-tv-di-padre-pio-tv-puntata-sul-reliquiario-del-santuario&catid=69&Itemid=200

Nella tv di Padre Pio tv puntata sul reliquiario del SantuarioEmail

MARIA LUCIA RICCIOLI
Categoria: Chiesa e dintorni
Martedì, 21 Novembre 2017 13:12
Per la prima volta la teca che contiene le lacrime della Madonna, prodigio avvenuto a Siracusa nel 1953, viene accolta in uno studio televisivo. Testimoni e studiosi narrano l’evento

La Civetta di Minerva, 3 novembre 2017

«Quello che vi dico nelle tenebre ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio predicatelo sui tetti» (Mt 10, 27). Non c’è forse citazione biblica migliore per parlare dell’annuncio della parola di Dio attraverso i media: i “tetti” del Vangelo di Matteo ci richiamano quelli contemporanei, fitti di parabole e ripetitori che trasmettono in ogni parte del globo parole, immagini, suoni. E che possono diventare strumento sempre nuovo di diffusione di contenuti culturali e spirituali, di riflessione sui valori non solo confessionali ma latu sensu umani.

Per la prima volta il reliquiario della Madonna delle Lacrime di Siracusa viene accolto in uno studio televisivo: presso gli studi di Padre Pio tv è stata registrata una puntata speciale della trasmissione “Nella Fede della Chiesa” con la presenza del prezioso reliquiario. La puntata è andata in onda Martedì 31 Ottobre alle 16 ed in replica Mercoledì 1 alle 8:45, Giovedì 3 alle 13:45 e Venerdì 4 alle 22:45 al canale 145 del digitale terrestre, 852 di Sky e 445 di TvSat. Appuntamento speciale, quindi, per i santi e i defunti con la presenza del prezioso reliquiario della Madonna delle Lacrime di Siracusa – ricordiamone l’autore, Biagio Poidimani, che lo realizzò nel 1954 in oro, argento e pietre preziose, rappresentando Santa Lucia e San Marciano, il primo vescovo di Siracusa, San Pietro e San Paolo, oltre a quattro angeli che custodiscono l’urna di vetro con la fialetta contenente le lacrime.

In studio, Don Francesco Cristofaro, mentre ad accompagnare la reliquia e a spiegare l’evento prodigioso della lacrimazione del 1953 Don Raffaele Aprile– che ha anche recitato una sua poesia in onore della Madonna delle Lacrime, “quella metà di cielo che parla di salvezza”, oltre che a spiegare teologicamente il significato del prodigio – e la dottoressa Concita Catalano, che ha spiegato al pubblico quali analisi vennero compiute all’epoca dalla commissione medica appositamente istituita per accertare la veridicità del fenomeno, con l’ausilio di immagini e filmati – toccante anche dal punto di vista umano la vicenda del dottor Cassola, il cui contatto con le lacrime da esaminare trasformò profondamente la sua vita di uomo e di medico.

Significativa anche la coincidenza della presenza delle reliquie di Giovanni Paolo II in Santuario: papa Wojtyla, devoto della Madonna delle Lacrime, nel novembre del 1994 ne consacrò il santuario durante la storica visita a Siracusa; il pontefice polacco, maestro di comunicazione, ha dedicato scritti, riflessioni e interventi sul ruolo dei media nell’apostolato e nell’ottica dell’unità della famiglia umana.

Incastonate in un artistico reliquiario opera del maestro Gulino – in Basilica è possibile anche ammirarne anche altri pregevoli manufatti – le reliquie di Wojtyla hanno richiamato un buon numero di fedeli devoti di questo Santo della nostra contemporaneità.

 

 

 

 

 

 

 

 

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Le nugae di Sergio Sozi in “Diorama”, raccolta di racconti

MARIA LUCIA RICCIOLI
Domenica, 12 Novembre 2017 23:03
Pur farciti di latinismi, grecismi, termini sloveni, anglismi, scoppiettanti onomatopee, bisticci e neologismi, emerge un amore incondizionato per la lingua e la letteratura italiana

“…cos’è parola e cosa immagine, pennellata, in me? Oppure divina impronta? Non saprei distinguere” (“Sevdalinka”).

“Diorama” (Splen edizioni) è una raccolta di racconti uscita dalla penna ironica e colta insieme di Sergio Sozi, che dalla Slovenia, osservatorio privilegiato, legge, recensisce e scrive, soprattutto quelle che definiremmo nugae, sciocchezzuole letterarie, ma che sono in realtà esercizi di stile e non solo.

Siamo d’un tratto catapultati fra le nostre reminiscenze letterarie della Mitteleuropa e la storia recente dei Balcani – di quali lacrime grondi e di che sangue neanche riusciamo ad immaginarlo –, nei meandri delle psicologie di personaggi grotteschi, stravaganti, sempre sui generis, in storie dall’apparenza bislacca ma portatrici di una personale visione che potremmo definire morale.

Unendo alla lezione dei classici – latinismi, grecismi, la struttura della frase sempre sorvegliatissima -, l’uso del parlato, di termini sloveni, di anglismi – interessanti anche le escursioni nella musica e nelle altre arti, con il loro portato di parole e di ritmi –, di scoppiettanti onomatopee, bisticci e neologismi, la lingua di Sozi fluisce inarrestabile, ritrae, commenta argutamente o sarcasticamente, filosofeggia e moraleggia, fustiga alla Baretti come se scrivesse su una moderna internazionale “Frusta letteraria”: “a metà strada fra un sogno, un delirio e un racconto di fantascienza” (“Suppergiù oggi”), i racconti di Sergio Sozi mostrano, al di là degli intenti, un amore incondizionato per la lingua e la letteratura italiana e per la loro storia, quasi fossero protagoniste anch’esse delle storie di “Diorama”.

Ecco le acque di Sevdalinka che ci ricordano – fra il patetico e il tragicomico – i quattro fiumi di Ungaretti, ecco i toni alla Buzzati o quelli leopardiani di certi dialoghi, ed ecco anche certe stoccate tra il serio e il faceto sull’editoria contemporanea: “Credo che se tutte le energie impiegate dagli autori per farsi credere negletti operai delle parole venissero utilizzate ai fini della ricerca della fantasia, avremmo un Manzoni ad ogni angolo, tre Leopardi in ogni paese e qualche centinaio di Calvino fra mari e monti” (“Don Chisciotte è diverso”).

Sergio Sozi, nato a Roma, critico letterario e giornalista culturale, attualmente collabora con le riviste “Inchiostro” e “Fermomag” e con il blog letterario “La Casa di Carta”. Nel 2005 ha curato e postfato in Slovenia l’antologia di nuovi racconti italiani “Papir in meso” (Carta e carne) e la versione slovena del romanzo di Diego Marani “Nuova grammatica finlandese” (in Italia: Bompiani). A Lubiana tiene anche corsi di Storia della Letteratura Italiana presso istituti privati (Pionirski dom). La sua attività recensoria e culturale, iniziata nel 1989 sul periodico umbro “La Notizia”, è proseguita su “Sintesi”  e su altre testate cartacee e on line come “Il Giornale dell’Umbria” (2003-2013), “L’Unità”, “Avvenimenti”, “Letteratitudine”, “Critica Letteraria”, “Trieste Arte e Cultura”; ha fondato e diretto a Perugia il trimestrale culturale “I Polissènidi”.

Autore di racconti, romanzi, saggi brevi ed interviste (a Magris, Cilento, Marani, Pazzi, Maraini, Piumini, Magrelli…), ha pubblicato su varie testate (“LiberaMente”, “La Casa di Carta”, “Via delle Belle Donne”…) e per diversi editori, fra i quali Castelvecchi, Valter Casini, Historica, Splen, Carocci, Azimut e FuocoFUOCHINO.

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Siracusa celebra il bicentenario della comunità Baha’i

Maria Lucia Riccioli
Categoria: Chiesa e dintorni
Lunedì, 06 Novembre 2017 09:22
Secondo il fondatore della fede, Dio è unico pur nella molteplicità dei profeti che lo hanno annunciato; gli uomini dovrebbero impegnarsi in un cammino di unità tra tutte le religioni

 

La Civetta di Minerva, 20 ottobre 2017

“Tanto potente è la luce dell’unità che può illuminare il mondo intero”: non c’è modo migliore di ricordare il bicentenario della nascita di Bahà’u’llàh, ovvero Husain Nuri, persiano (1817-2017), che citare questa sua affermazione sulla necessità che gli esseri umani trovino quello che li unisce al di là e oltre ciò che li divide.

Fondatore della fede baha’í, Bahà’u’llàh sarebbe l’ultima – per questa epoca – manifestazione di Dio, quindi in ordine di tempo l’ultimo essere speciale ad aver rivelato all’umanità la parola e la volontà divina. Se pensiamo alle grandi religioni e alle varie tradizioni di fede, possiamo nominare come figure “profetiche” Krishna, Budda, Abramo, Mosè, Gesù Cristo, Muhammad (ovvero Maometto), il Bab; se per l’ebraismo, ad esempio, la Rivelazione divina risulta compiuta con l’alleanza tra Jahvè e il popolo eletto, cioè Israele (di cui ci rendono testimonianza i libri della prima parte della Bibbia, quelli dell’Antico Testamento, appunto l’alleanza antica, testamentum), per i cristiani essa trova pieno compimento e compiuta manifestazione nella seconda persona della Trinità, cioè il Verbo di Dio, Gesù Cristo (“l’unto” del Signore), dopo e oltre il quale non c’è da attendere ulteriori rivelazioni, cioè disvelamenti della potenza e volontà di Dio (i profeti antichi non avrebbero fatto altro che prefigurarne la venuta, gli apostoli ne avrebbero tramandato detti e atti insieme alla storia delle primitive comunità cristiane e l’Apocalisse, scritta dall’apostolo Giovanni, ribadirebbe i novissimi, le realtà ultime preconizzate dalla Rivelazione), Maometto sarebbe stato il profeta dell’unico Dio, ovvero Allah (ricordiamo che la figura di Abramo, patriarca dei tre grandi monoteismi, è il trait d’union fra ebraismo, cristianesimo ed islamismo, essendo il padre della fede per tutte e tre le grandi religioni). Molto diverso sarebbe il discorso sulla rivelazione divina relativo alle religioni e filosofie orientali.

Secondo la fede baha’ì, invece, religione mondiale il cui scopo è quello di unire tutti i popoli in una fede comune, dato anche che le tradizioni di tutti popoli conterrebbero la promessa di un futuro nel quale la pace e l’armonia saranno instaurate sulla terra, il profeta Bahà’u’llàh (che significa “gloria di Dio”) rappresenterebbe il modo in cui la parola e la volontà di Dio si manifestano nella nostra contemporaneità: Dio è unico pur nella molteplicità dei profeti che lo hanno annunciato; gli uomini dovrebbero impegnarsi in un cammino di unità tra tutte le religioni, realizzando una vera parità fra uomini e donne, la giustizia economica e sociale, attuando l’educazione universale e l’armonia fra scienza e religione, adottando anche una lingua ausiliaria internazionale che favorisca la comunicazione e creando un’organizzazione mondiale fra le nazioni che mantenga la pace tramite la sicurezza collettiva. Per la fede baha’ì l’umanità può essere paragonata a un grande giardino nel quale crescono uno accanto all’altro fiori di tutte le forme, colori e profumi; il fascino e la bellezza del giardino nascono dalla diversità, quindi ogni membro della famiglia umana è da considerarsi come un bel fiore che cresce nel giardino dell’umanità, felice di appartenervi.

I baha’i di ogni parte del mondo, dall’Alaska allo Zimbawe, organizzano incontri per celebrare il bicentenario del 2017: in Italia, presso la sala stampa della Camera dei Deputati, il 10 ottobre scorso si è svolta una conferenza stampa, presenti illustri esponenti del Parlamento italiano e rappresentanti di istituzioni baha’i.

A Siracusa la comunità baha’i – da rimarcare l’impegno di Savitri Jamsran, insegnante mongola presso la Scuola internazionale di Ulan Bator e guida turistica, perfettamente integrata nella nostra città, ponte fra la propria cultura, lingua e religione e le nostre tradizioni culturali, artistiche e religiose – celebrerà il bicentenario della nascita di Husain Nuri il 21 ottobre 2017 alle ore 17, presso l’aula magna dell’Istituto Rizza di viale Armando Diaz. Il dottor Giuseppe Lissandrello, scrittore e psicologo, introdurrà la figura di Bahà’u’llàh, seguirà la proiezione di un breve documentario. Il chitarrista Gianluca Astuti accompagnerà la recitazione di preghiere in mongolo, italiano, inglese e russo, mentre il pianista Graziano Grancagnolo – tra l’altro direttore dell’Ensemble In Gratia Vox e cantore egli stesso – accompagnerà il soprano Donatella Aloschi nell’esecuzione di brani che riprendono il clima multiculturale della manifestazione; a concludere il pomeriggio all’insegna della spiritualità e dell’arte, il maestro Maria Carmela De Cicco e il coro polifonico “Giuseppe De Cicco”, che ha di recente festeggiato il ventennale della fondazione e si è spesso esibito a Siracusa (ricordiamo tra gli altri i concerti presso la Cattedrale, nella Chiesa del Ss.mo Salvatore, presso le Suore di Gesù Redentore e all’ex convento del Ritiro, oltre all’esecuzione della Petite Messe Solennelle di Rossini a Santa Lucia alla Badia e agli interventi durante eventi culturali come presentazioni e mostre, fra cui quello al Museo dedicato a Leonardo da Vinci e Archimede), eseguiranno dei brani della polifonia tradizionale e contemporanea.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=2677:ho-scritto-su-archimede-il-libro-che-io-stesso-avrei-voluto-leggere&catid=17&Itemid=143

“Ho scritto su Archimede il libro che io stesso avrei voluto leggere”

Maria Lucia Riccioli
Stefano Amato, fondatore della rivista letteraria A4: “Per conoscerne meglio i vari aspetti della personalità”. “Ho in cantiere il mio primo romanzo per ragazzi”

 

La Civetta di Minerva, 20 ottobre 2017

Abbiamo incontrato per voi Stefano Amato, scrittore siracusano schivo e originale, autore di racconti e altri contributi pubblicati su riviste letterarie prestigiose come “Linus”, “Maltese narrazioni”, “Prospektiva”, “Doppio zero”, “Colla”, “FaM” e “pagina99”, di reportage musical-letterari, frutto anche della sua collaborazione come performer in un trio punk-rock, di romanzi (dopo il suo esordio, “Le sirene di Rotterdam”, ricordiamo “Domani gli uccellini canteranno” e soprattutto “Bastaddi” , ri-creazione in forma di romanzo del film “Inglorious Bastards” di Quentin Tarantino a partire dalla sceneggiatura, e “Il 49esimo Stato” (tra i suoi editori, Marcos y Marcos e Feltrinelli / Transeuropa ed.).

Traduttore – pensiamo a “The Inverted Forest”, un romanzo inedito di J. D. Salinger –, “apprendista libraio” che ha voluto raccogliere topiche e sfondoni linguistici ambientati in libreria in “Avete il gabbiano Jonathan Listerine?”, Stefano Amato ha fondato e cura “A4”, una rivista letteraria contenuta in un foglio solo: aquattro.org, giunta al decimo numero, contenente un racconto di Matteo B. Bianchi più il raccoglitore per conservare le prime dieci uscite di questa singolare avventura editoriale.

Com’è nata l’idea di A4? Chi ospiterai nel prossimo numero?

L’idea di “A4” è partita dal nome. Anni fa ho pensato che “A4” era un bel nome per una rivista letteraria (da tempo volevo fondarne una). Poi ho pensato che, visto il nome, la rivista non avrebbe potuto avere altro formato che, appunto, l’A4. Infine ho pensato: perché non una rivista che sia lunga quanto UN UNICO foglio A4? Ho fatto un po’ di prove con le colonne, i margini, il senso di stampa, la ripiegatura, la testata, diversi font eccetera. E quando sono stato soddisfatto di tutto, e concluso che un foglio può ospitare racconti di lunghezza più che dignitosa, ho lanciato la rivista. Nel dicembre del 2015 è uscito il primo numero, che ospitava un racconto del concittadino Angelo Orlando Meloni. “A4” è appena arrivata al numero 10 e per la prima volta, nel numero 9, ha ospitato un fumetto. L’autore è un illustratore che lavora per “Linus” e altre riviste, Emanuele Simonelli, mentre non ringrazierò mai abbastanza per averci prestato la sua voce Matteo B. Bianchi per il racconto del numero 10.

La tua confidenza con la letteratura e la lingua americana è notevole: prova ne sono le tue splendide traduzioni nel numero di A4 “Speciale McSweeney’s . Puoi parlarcene?

Sì, in effetti sono un appassionato di traduzioni, se così si può dire, soprattutto da lettore. Prima di cominciare a leggere un romanzo di un anglosassone controllo chi l’ha tradotto, cos’altro ho letto tradotto da lui o lei, e faccio quella cosa antipatica di cercare di scoprire se e dove ha sbagliato, e come avrei tradotto invece io un certo passaggio. Da traduttore il mio è solo un passatempo. Ho tradotto cose in passato, e non escludo di farlo in futuro, ma a tempo pieno non riuscirei mai a farlo. Passo già troppo tempo davanti allo schermo di un computer… Tradurre i pezzi tratti da McSweeney’s, una rivista letteraria nata negli Stati Uniti una ventina d’anni fa, è stato uno spasso. E mi è servito anche a indicare ai futuri autori di “A4” la direzione in cui vorrei andasse la rivista: con pezzi umoristici, satirici, sperimentali.

In libreria ci hai anticipato l’uscita di un tuo lavoro su Archimede… di cosa si tratta? Archimede poi è un personaggio così immenso e già trattato innumerevoli volte – pensiamo, solo tra gli autori siracusani, ad Annalisa Stancanelli, al materiale raccolto da Antonio Randazzo nel suo documentatissimo sito, ai volumi di Cettina Voza o di Suor Teresa Fichera, ad Antonino Vittorio, Enza Giuffrida e il loro Tecnoparco dedicato allo scienziato e inventore siracusano, al lavoro meritorio di Maria Gabriella Capizzi con il Museo dedicato a Leonardo da Vinci e Archimede – che sembrerebbe impossibile trovare una nuova chiave per narrarlo: qual è la tua?

L’idea di un libro su Archimede è nata ai tempi in cui lavoravo in libreria. Allora mi sono accorto che, come dici tu, esistono diversi libri su Archimede, alcuni scritti anche da autori locali e pubblicati da editori siracusani. Ho pensato quindi di scriverne io uno che unisse il contenuto ad una particolare cura grafica ed ho contattato i ragazzi di Lettera22, un editore locale che avevo notato, appunto, per la qualità sia estetica che intrinseca dei libri che pubblicano, e loro hanno accettato di pubblicare il mio testo. In effetti il libro è venuto molto bene, secondo me, almeno dal punto di vista dell’“oggetto”. Per quanto riguarda il contenuto io non posso giudicare. Dirò solo che ho provato a scrivere con un linguaggio diretto, colloquiale, il libro breve e maneggevole che io per primo vorrei leggere se volessi conoscere meglio Archimede da tutti i punti di vista: storico, matematico, fisico eccetera.

Cos’hai in cantiere?

In cantiere c’è l’uscita fra qualche mese del mio primo romanzo per ragazzi o “young adults” che dir si voglia. La storia di un adolescente di Siracusa (ma la città del libro si chiama Cirasa) che subito dopo il diploma va a stare a Milano dalla zia, che ha un ristorante.

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E Aurelio Caliri riveste di note i versi dei poeti

Maria Lucia Riccioli
Venerdì, 20 Ottobre 2017 00:30
Nel suo nuovo libro, ha musicato i versi immortali di Leopardi, Pascoli e Quasimodo. Il personaggio non è nuovo a queste contaminazioni: ha già collaborato con Salvatore Fiume, col tenore Di Stefano, con i registi Garay e Grimaldi, con Camilleri e Ada Merini

 

La Civetta di Minerva, 6 ottobre 2017

“L’essenza della musica è di svegliare in noi quel fondo misterioso della nostra anima, che comincia là dove il finito e tutte le arti che hanno per oggetto il finito si fermano, là dove la scienza si ferma, e che si può perciò chiamare religioso”: così Marcel Proust nella “Lettera alla figlia di Madeleine Lemaire” citata da Alessandro Quasimodo nella prefazione al nuovo lavoro di Aurelio Caliri, che ha unito musica e poesia nel volume “Canti – Poesie di Giacomo Leopardi, Giovanni Pascoli, Salvatore Quasimodo”, rivestendo di note i versi immortali di tre fra i nostri più importanti poeti.

Il volume, nel quale è possibile trovare gli spartiti delle composizioni di Caliri dedicate a Salvatore Quasimodo, Giacomo Leopardi e Giovanni Pascoli, è impreziosito da chine rappresentanti i luoghi del cuore di ogni poeta: la torre del borgo antico e Casa Leopardi, i luoghi di San Mauro cari a Pascoli, la casa natale e San Giorgio a Modica.

Tra malinconia e struggimento, nostalgia e contemplazione, le note di Caliri si intrecciano alle parole – vaghe, indefinite e musicali esse stesse, oppure nette e coloristiche, ritmo e melodia di sillabe – di tre poeti che ben conoscevano il rapporto tra musica e poesia (citiamo a memoria “la grave / conchiglia soffiata dai pastori siciliani”, “amore di suoni”, la “cantilena di remi e di cordami”, “le voci dei fiumi e delle rocce” e l’oboe “sommerso” di Quasimodo, il “chiù” e le altre onomatopee di Pascoli, attentissimo e sensibile alle armonie più profonde di ogni singolo suono della natura e della propria interiorità oltre che dei fonemi, per non parlare di Leopardi, che non a caso diede il nome di “Canti” alla raccolta di liriche che ha traghettato la poesia italiana nella modernità).

Non a caso crediamo che Caliri abbia scelto, nella sterminata produzione poetica di Leopardi, Pascoli e Quasimodo, testi che alla musica o comunque a voci, suoni, rumori e silenzi fanno riferiment oscoperto o velato e che sembrano essere contrappunto l’uno dell’altro: un esempio tra tutti, il “telaio” che “batteva nel cortile” di Quasimodo, così leopardiano nel suo ricordarci Silvia, la sua tela e il “perpetuo canto” che riecheggiava nelle stanze da poco restaurate e restituite alla fruizione del pubblico.

Caliri non è nuovo alle contaminazioni artistiche fra musica, poesia e arte. Ricordiamo le prestigiose collaborazioni con il pittore e poeta Salvatore Fiume, coll’indimenticato tenore Giuseppe Di Stefano, con i registi Roberto Garay e Aurelio Grimaldi, col pianista Bruno Canino nel cd “La voce del vento” e, sempre per restare in ambito poetico, con il poeta Salvatore Camilleri e Alda Merini, la poetessa dei Navigli della quale Caliri ha musicato tredici composizioni interpretate da Gabriella Rolandi in “Canto alla luna”.

 

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=2600:invito-al-papa-venga-a-siracusa-nel-65-della-lacrimazione&catid=69&Itemid=200

Invito al Papa: venga a Siracusa nel 65° della Lacrimazione

Maria Lucia Riccioli
Lunedì ottobre 2017 22:30
Il Rettore del Santuario, don Aurelio Russo, ha già scritto al Pontefice. Bergoglio divenne sacerdote nel giorno di santa Lucia ed è devotissimo alla Madonna. Due buoni motivi per essere qui l’anno prossimo

 

La Civetta di Minerva, 22 settembre 2017

Si sono da poco concluse le celebrazioni per il sessantaquattresimo anniversario della Lacrimazione del quadretto di gesso (29 agosto – 1 settembre 1953) raffigurante il Cuore immacolato e addolorato di Maria: il miracolo di via degli Orti di San Giorgio a Siracusa, commentato da Pio XII che si domandava quale fosse “l’arcano significato” di quelle lacrime e se gli uomini fossero capaci di comprenderlo, in sei decenni e rotti ha dato vita ad un flusso costante di pellegrini, alle missioni del Reliquiario (ultima ma non ultima quella a Castellammare di Stabia, che ha visto la partecipazione di più di tremila persone), al progetto – travagliato e poi finalmente realizzato – del Santuario, poi elevato alla dignità di Basilica mariana, ad una corrente di devozione incessante.

Secondo le parole di Anna Gioia, responsabile del gruppo mariano Apostoli del Cuore addolorato e immacolato di Maria, che ha ringraziato in particolare don Raffaele Aprile per l’accoglienza e la guida storico-culturale e spirituale dei pellegrini (non sempre in passato è stato così e non comunque con queste modalità: per usare ancora le parole dei pellegrini: “disponibilità”, “simpatia”, “entusiasmo”, “fede e devozione” traspaiono da chi, facendo da “cicerone”, attrae tanti smarriti di cuore), qualcuno ha visto la costruzione “come un’enorme lacrima discesa dal Cielo… mi piace pensare che sia proprio così: Il Cielo piange per questa umanità sofferente e sull’orlo del precipizio”.

Le celebrazioni dell’anniversario del 2017 sono state arricchite di una novità significativa nel senso dell’inclusione e della solidarietà: una rampa lignea ha permesso sia ai diversamente abili con difficoltà di deambulazione che agli altri fedeli e pellegrini di fissare lo sguardo in quello della Madonnina delle Lacrime contemplandola a una distanza e un’altezza ravvicinate, esperienza toccante – come testimoniato dal numeroso e composto cordone di folla che tra la fine di agosto e l’inizio di settembre ha visitato la Basilica.

Il cardinale Beniamino Stella, prefetto della Congregazione per il clero, oltre ad aver composto un’orazione per la Madonna delle Lacrime, ha chiuso i festeggiamenti il primo settembre ricordando il “genio tutto al femminile» delle donne sotto la croce, quella di Cristo e dei sofferenti di ogni tempo, bagnata da lacrime di dolore, di gioia e di attesa”.

Il rettore della Basilica-Santuario della Madonna delle Lacrime, don Aurelio Russo, con devozione e semplicità ha rinnovato il proprio invito al Santo Padre Francesco perché venga a Siracusa in occasione del sessantacinquesimo anniversario della Lacrimazione: scherzando, si è autodefinito uno “stalker” del Santo Pontefice, sia nel corso degli incontri personali che anche grazie alla cordiale intermediazione del cardinale Stella: ricordiamo anche che Jorge Mario Bergoglio è diventato sacerdote il 13 dicembre del 1969, quindi in occasione della festa di Santa Lucia. Un doppio legame spirituale con Siracusa, dunque, quello di Francesco: Maria – la devozione del papa, grazie anche a Nostra Signora di Bonaria o Madonna di Bonaria, cui è legata la fondazione di Buenos Aires, è ben nota – e Lucia, le “due donne che parlano con gli occhi”, aspettano il Santo Padre.

Ed eccone un altro (categoria Cultura, mentre il primo che ho postato appartiene alla rubrica Chiesa e dintorni).
http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=2510:antiche-pagine-lette-con-le-persistenze-nella-cultura-popolare&catid=17&Itemid=143

Emanuele Lelli, docente de “La Sapienza” di Roma, è l’alfiere di una nuova disciplina, la demofilologia, che tenta di lumeggiare la letteratura greca e latina alla luce di ciò che resta dell’immenso patrimonio immateriale nella zona euromediterranea

La Civetta di Minerva, 30 giugno 2017

I confini tra le discipline sono fortunatamente labili, perché è proprio dalla contaminazione dei saperi e delle competenze che nascono nuove ipotesi di ricerca e si spalancano nuovi campi aperti alla sperimentazione. Spesso la specializzazione settoriale – seppur fondamentale – fa perdere di vista i fil rouge che ci sono tra i diversi ambiti della conoscenza; non solo: spesso il mondo accademico ha guardato con sospetto allo “sporcarsi le mani” con la cultura popolare, l’etnologia, la demopsicologia, quando invece tante pagine della letteratura latina e greca – a torto quasi “imbalsamate”, fossilizzate, come se non fossero nate da sudore sangue lacrime, da una cultura che non conosceva barriere rigide tra “alto” e “basso” ma che anzi nasceva da un sostrato agropastorale con tutto il suo corollario di modi di dire, superstizioni, riti… – si spiegano aprendo gli occhi sulle persistenze, su quanto della cultura “bassa”, contadina, pastorale, popolare rimane oggi, a dispetto delle seduzioni del presente, dei nuovi media, dei nuovi riti della socialità, di una lingua imbastardita con l’inglese, della digitalizzazione a volte spersonalizzante.

Emanuele Lelli, docente de “La Sapienza” di Roma, è l’alfiere di una nuova disciplina, la demofilologia, che tenta di leggere le pagine del mondo antico alla luce di quanto rimane dell’immenso patrimonio di cultura popolare nella zona euromediterranea, particolarmente conservativa da questo punto di vista: Calabria, Basilicata, Molise, Abruzzo, Lazio, Campania, Puglia, Sicilia, Sardegna sono state e sono il campo etnografico del professor Lelli: tramite interviste e domande mirate (un questionario etnografico in cui nulla è lasciato al caso) il docente ha indagato sulle analogie e identità tra quanto letto nei classici greci e latini (alcuni molto studiati e noti, altri meno, specie i testi non  letterari), spaziando dalle superstizioni alla farmacopea, convinto che tutto quanto è liquidato come “folklore” sia utile non solo per leggere gli antichi.

Facciamo qualche esempio: il fatto che il tonno sia considerato il maiale del mare è cosa perfettamente nota da millenni nel nostro Sud, eppure generazioni di studiosi si sono scervellati nel cercare di capire a quale misterioso animale si riferissero le fonti antiche. O ancora: pensiamo alla persistenza di pratiche desacralizzate ma ripetute, come l’abitudine di porre nelle tasche dei defunti del denaro: come non pensare all’obolo per Caronte del mondo pagano, alla pratica del refrigerium, ‘u rifriscu siciliano, all’attraversamento del fiume Giordano e all’offerta a San Pietro dello stesso mondo, cristianizzato ma in cui la nuova religione rappresenta un innesto, un nuovo strato che si aggiunge a millenni di pratiche religiose?

La cultura e la scuola hanno spesso fornito una lettura classicistica degli antichi, all’interno della quale un testo è già connotato come classico, quindi canonico, quasi immobile e marmorizzato.

Il professor Lelli è stato recentemente ospitato dal Liceo Classico “Tommaso Gargallo” di Siracusa, insieme alla nota studiosa Eva Cantarella. La conferenza, introdotta dalla dirigente scolastica Maria Grazia Ficara, ha dato modo al docente di parlare delle tematiche confluite nei suoi testi come “Sud antico – Diario di una ricerca tra filologia ed etnologia” (Bompiani) e “Folklore antico e moderno. Una proposta di ricerca sulla cultura popolare greca e romana” (Fabrizio Serra editore): da Filita di Kos a Plinio il Vecchio, da Varrone a Petronio, da Omero ad Eschilo, Sofocle, Euripide, Catullo, Aristofane, Marziale, passando per i grandi pionieri dell’etnoantropologia come il medico siciliano Giuseppe Pitrè, Raffaele Lombardi Satriano, Gennaro Finamone (che studiarono le tradizioni popolari siciliane, calabresi, abruzzesi), Lelli ha letto e commentato testi, anche tramite l’aiuto di slide e video della sua esperienza sul campo. L’incontro è stato fortemente voluto dal Centrum Latinitatis Europaenella persona della professoressa Lidia Pizzo, presidentessa della sezione siracusana dell’associazione.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=2480:nel-libro-di-lorenzo-perrona-il-sud-come-alterita-italiana&catid=17&Itemid=143

Nel libro di Lorenzo Perrona il Sud come alterità italiana

Maria Lucia Riccioli
Martedì, 04 Luglio 2017 11:16
Luogo e metafora della diversità a condizioni politiche ingiuste. “L’altro sé – Opposizioni letterarie dal Sud (Silone, Levi, Brancati, Pasolini, Sciascia)”

La Civetta di Minerva, 16 giugno 2017

Crisi come destabilizzazione e crisi come cambiamento. Identità e alterità. Sistema e opposizione ad esso. Visione ideologica del mondo e relativismo. Queste e molte altre le coppie oppositive di concetti che costituiscono l’ossatura del dibattito culturale attuale, nell’ambito del quale ci si domanda quale posto abbiano la letteratura e la critica letteraria in un mondo dominato da letture economicistiche del reale: che impatto ha sul reale un libro?

I lettori de “La Civetta di Minerva” potranno trovare spunti di riflessione in questo senso nel libro di Lorenzo Perrona edito da Algra editore “L’altro sé – Opposizioni letterarie dal Sud (Silone, Levi, Brancati, Pasolini, Sciascia)”. L’autore, che nel volume fa confluire il progetto di ricerca nato tra l’Italia e l’Università di Losanna (fondamentale il contributo di Jean-Jacques Marchand e Raffaella Castagnola e il confronto con Marc Praloran, Nicolò Scaffai e Paolo Orvieto), pone come idea centrale del libro quella del Sud come alterità italiana per eccellenza, luogo fisico e metafora insieme della differenza, della diversità, dell’opposizione a condizioni socioculturali e politiche ingiuste.

Chi era l’altro nella letteratura ottocentesca? E in quella del Novecento? E chi è l’altro oggi? La psicologia ci dice che la costruzione del Sé avviene per differenziazione dall’Altro-da-Sé e questo avviene sia a livello individuale che collettivo (pensiamo alla costruzione dell’idea di nazione, alla formazione degli stati nazionali, dei partiti politici, ai populismi, ai totalitarismi, alla negazione e all’esaltazione delle differenze sessuali, sociali, politiche, economiche, linguistico-culturali…): di questo si occupa una disciplina chiamata imagologia, che quindi ha a che fare con la rappresentazione (imagerie) e l’autorappresentazione (autoimage).

Il libro di Lorenzo Perrona ci mostra dunque come il pensiero divergente della letteratura, con il suo sguardo “altro”, spesso non omologato al sistema ma ad esso oppositivo, possa dar voce ai “villani”, ai “cafoni”, ai diversi in ogni senso di ieri e di oggi, scardinando gli stereotipi e le false rappresentazioni (pensiamo a come sia malposta la secolare questione meridionale, ad esempio) in un’ottica di letteratura “civile” che incida concretamente sul reale.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=2397:al-palazzo-impellizzeri-di-noto-storie-di-donne-in-atti-d-archivio&catid=17:cultura&Itemid=143
Ecco uno dei miei ultimi articoli confluiti sul sito…

Interessante mostra documentaria su 400 anni di vicende femminili. Non solo aborti, stupri e delitti ma anche testamenti e figure storiche. Donne dalle condizioni socioeconomiche diverse, donne dalle storie variegate, donne da conoscere e ricordare

La Civetta di Minerva, 19 maggio 2017

Sarà visitabile fino al 31 maggio 2017 – quindi anche durante l’Infiorata – nei saloni espositivi di Palazzo Impellizzeri, sede della Sezione di Noto dell’Archivio di Stato di Siracusa, la mostra documentaria ”Storie di donne nei documenti d’archivio”.

L’esposizione, inaugurata a marzo con un evento teatrale suggestivo, l’emozionante performance delle artiste Chiara Spicuglia, Rina Rossitto e Miriam Scala, che hanno dato respiro e anima con “Voci di donne” a Gaetana Midolo, Marianna Ciccone e Franca Viola, accompagnate dal gruppo dei ragazzi del S.Cuore –,  è stata realizzata utilizzando la documentazione proveniente da vari fondi archivistici: fascicoli processuali della Gran Corte Criminale, atti notarili, atti dell’Università di Noto e Prefettura, tutti documenti riferiti a vicende e figure femminili del nostro territorio vissute nell’arco di quattrocento anni.

Regestazione ed allestimento della mostra sono stati curati dalle archiviste della Sezione di Noto, Giuseppina Calvo e Anna Lorenzano, con la collaborazione di Maria Teresa Azzarelli. Coordinatore della mostra è Concetta Corridore, direttore dell’Archivio di Stato di Siracusa. Importante anche il contributo di Salvatore Zuppardo, che ha realizzato la brochure esplicativa dell’esposizione.

Il visitatore sarà suggestionato da tante voci provenienti dal passato: quella del charaullo – meraviglia lessicale per una tradizione tipicamente siciliana – che motus amore divino perdona la moglie adultera nel 1551, quella di Eleonora Nicolaci che parla attraverso il proprio testamento, quella del letterato e scienziato avolese Giuseppe Bianca che ringrazia la poetessa e patriota netina Mariannina Coffa per il dono della sua pubblicazione “Nuovi Canti” (1859)…

Interessante notare anche il progresso della condizione femminile (vedi il documento sull’Unione donne italiane ad esempio) nell’ambito dell’istruzione e dell’introduzione alle professioni.

Toccante leggere l’atto di nascita di Gaetana Midolo, che morì appena quindicenne nel rogo della fabbrica newyorkese “Triangle Waist Company”: insieme a tante altre operaie, sfruttate e sottoposte a condizioni di lavoro disumane, è una delle “camicette bianche” la cui vicenda ha dato origine alla tradizione dell’8 marzo e che è stata studiata da Ester Rizzo (il volume sulle ricerche della studiosa è edito da Navarra editore e ha permesso di dare un nome e far intitolare vie ed altri spazi pubblici alle operaie, 24 delle quali siciliane, morte nell’incendio della fabbrica di camicie).

Agghiaccianti le notizie relative ad aborti stupri e quelli che oggi chiameremmo con parola moderna “femminicidi”: Barbara e tante, troppe ragazze e perfino bambine (intollerabile la bestiale violenza su una bimba di quattro anni) gridano ancora il proprio dolore per le torture e la morte inflitte loro da conoscenti, parenti, tutori oltre che sconosciuti.

Donne dalle condizioni socioeconomiche diverse, donne dalle storie variegate, donne da conoscere e ricordare.

La mostra permette quindi di ripercorrere secoli di storia non solo locale sulla condizione femminile: fare memoria può servire non solo a riascoltare le voci delle donne del passato ma a farsene ispirare per migliorare le condizioni di vita e lavoro di chi ancora, sfruttato, umiliato e vittima di violenza, non trova voce né giustizia.

 E ancora…
http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=2262:un-film-sulla-storia-vera-del-tracomatosario-di-bivona&catid=17:cultura&Itemid=143

Tratto da un libro del giornalista Carmelo Miduri, si girerà a Noto. Tra i  ricoverati nell’ospedale il figlio di un mafioso di Portella della Ginestra. Carabiniere scopre una verità inattesa

La Civetta di Minerva, 7 aprile 2017

Monti Sicani, anno scolastico 1960-1961. Tempo di emigrazione, di fame, di malattie che oggi associamo ai paesi del Terzo e Quarto mondo. Una parola che fa paura: tracoma. Un misterioso sanatorio bianco, teatro di cure contro la cecità, di severità, di punizioni come in un campo di prigionia. Tra gli ospiti dell’ospedale, il figlio di uno dei mafiosi di Portella della Ginestra. Un carabiniere indaga e scoprirà una verità inattesa.

Questa la trama del racconto del giornalista Carmelo Miduri “I bambini della Croce bianca”, edito da Arnaldo Lombardi, che in autunno diverrà un film per la produzione di Paolo Ghezzi grazie ad un protocollo d’intesa con il Comune di Noto, location delle riprese; verranno utilizzate risorse professionali del luogo e si tenterà di valorizzare architetture e paesaggi di quella che è certo una perla del Barocco siciliano.

La storia, realmente avvenuta nel comune di Bivona in provincia di Agrigento, diverrà dunque un film per la regia di Andrea Zaniol; tra gli interpreti, Francesco Di Lorenzo, Gennaro Piccirillo e Lorenzo Falletti. Tra gli artisti siciliani cui è stato proposto di collaborare c’è inoltre il musicista – o come ama definirsi il “chiantautore” – Carlo Muratori.

Il libro “I bambini della Croce Bianca” nelle primitive intenzioni di Miduri, autore sia di saggi che di opere di narrativa, sarebbe dovuto diventare un’opera teatrale, ma l’incontro con l’attore Di Lorenzo ha fatto virare l’operazione verso tutt’altri lidi. Significativa e toccante è stata l’esperienza del ritorno nei luoghi dove la storia ha avuto origine: Bivona e il tracomatosario. La documentazione fotografica, l’incontro con i protagonisti superstiti di una vicenda triste, fatta di povertà, abbandono, sofferenza hanno reso più intensa la scrittura della sceneggiatura.

L’iniziativa non solo contribuirà a gettare nuova luce su una vicenda del nostro recente passato spesso sepolto nell’oblio, ma potrà essere l’occasione di convogliare nuove energie per legare le produzioni cinematografiche alla valorizzazione del nostro territorio – pensiamo al Collettivo Frame Off composto da giovani professionisti che hanno investito nel campo documentaristico e che si sono lanciati in questa nuova sfida.

CHI E’ CARMELO MIDURI

Carmelo Miduri (Augusta 1951), giornalista professionista. Ha lavorato per vari

quotidiani ed altri mezzi di informazione. Esperto di comunicazione di impresa, ha

ricoperto ruoli di responsabilità nei servizi di comunicazione di varie organizzazioni, docente in corsi di Comunicazione, direttore di pubblicazioni tecniche, autore di

documentari televisivi.

Ha pubblicato saggi e testi di narrativa: Dal vostro corrispondente (Studioemme Edizioni, 1988), Siracusa anni ottanta (Romeo Edizioni, 1990), La boa e il terremoto

(Ediprint, 1991), Il tempo che non ricorderai (Lombardi Editore, 2002), Lezioni di comunicazione (Lombardi Editore, 2003), Un anno in quaranta e-mail (Lombardi

Editore 2005), L’Ufficio Stampa nella Comunicazione Pubblica (Lombardi Editore, 2012, Raffineria di Augusta, Storia di uomini e di progresso (ExxonMobil, 2015), Psico-Intervista alla Crisi ( Lombardi Editori, 2016).

E ancora…

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=2284:decennale-di-letteratitudine-con-maugeri-ideatore-del-blog&catid=17&Itemid=143

Dieci anni sono un’eternità nel vorticoso fluire di post consumati in pochi secondi, eppure non sembra inutile volgersi indietro per rimirare il cammino compiuto per poi solcare nuovi spazi su carta e pixel

La Civetta di Minerva, 7 aprile 2017

Un tempo artisti, poeti e intellettuali si ritrovavano nelle accademie, poi venne il tempo dei caffè letterari,luoghi di elaborazione artistica e spesso laboratori politici, di certo volano per le nuove idee, centri di propaganda per le correnti innovatrici in ogni ambito del sapere.

Oggi è tempo di social, di piazze virtuali: Twitter, Facebook e tutte le piattaforme che consentono di condividere testi, immagini, video. I blog – diari di bordo telematici, mi piace definirli – sono stati e sono ancora per certi versi una via di mezzo tra l’incontro de visu e quello mordi e fuggi dei like e dei tweet: botteghe, laboratori, officine in cui il blogger scrive e condivide post a tema oppure OT, off topic. Alcuni di questi sono dei punti di riferimento per gli intellettuali o gli appassionati di letteratura e non solo, anche se il loro ruolo di filtro e catalizzatore di energie e materiali ora sembra polverizzato tra le bacheche di Facebook sulle quali tendono ormai a spostarsi le discussioni on line.

Oggi, venerdì 7 aprile alle ore 18, presso la Casa del Libro Rosario Mascali in via Maestranza a Siracusa,Simona Lo Iacono (scrittrice e magistrato, autrice de “Le streghe di Lenzavacche” per i tipi di E/O, romanzo finalista al Premio Strega 2016) presenterà insieme a Daniela Sessa, docente di Lettere del Liceo Quintiliano di Siracusa, il volume “Letteratitudine 3 – Letture, scritture e metanarrazioni (LiberAria editore), curato dallo scrittore e blogger Massimo Maugeri, ideatore del blog “Letteratitudine”, che festeggia il decennale. Interpreteranno alcuni dei “fantasmi” letterari del libro Arianna Vinci, Beatrice Margagliotti e Sofiya Vlasova.

Il 10 marzo scorso Massimo Maugeri era stato ospite dell’Istituto Tecnico Commerciale P. Branchina di Adrano (CT) nell’ambito della manifestazione “Viaggio tra le parole”, mentre la prima assoluta di “Letteratitudine 3” si è tenuta presso La Feltrinelli di Catania il 17 gennaio in occasione della serata inaugurale del nuovo anno di incontri della libreria.

“Letteratitudine 3” viene dopo altri due volumi (editi da Azimut e Historica Edizioni) in cui Maugeri ha fatto il punto del suo decennale lavoro, trasformando in cartaceo il meglio delle discussioni di quello che è uno dei blog d’autore del gruppo Kataweb/L’Espresso. Il taglio di questo libro, che chiude quasi un’ideale trilogia, è differente: possiamo leggerlo sia come un manuale di lettura che come un prontuario di scrittura – possiamo infatti sbirciare nell’antro di quelli che sono gli alchimisti della letteratura italiana (e non solo) contemporanea –, possiamo “navigarlo” quasi come un blog o un sito Internet per saltare da uno scrittore a un personaggio a un libro. Particolarmente interessante è la sezione dedicata alle autofiction, ai racconti ideati dagli scrittori per presentare i loro libri, quasi una sorta di selftailer, mentre è un vero e proprio tuffo nella passione per la lettura il poter leggere le lettere a personaggi letterari e autori scomparsi. Particolarmente opportuno per ricordare un faro della nostra letteratura è il l’omaggio a Vincenzo Consolo, raccolta di saggi che chiude il volume.

Massimo Maugeri, che all’attività di blogger unisce quella di collaboratore di testate come “Il Venerdì” di Repubblica, su Radio Hinterland cura e conduce Letteratitudine in Fm, trasmissione culturale di libri e letteratura, scrive romanzi, racconti e saggi; Trinacria Park (Edizioni E/O, 2013), inserito da Panorama nell’elenco dei dieci migliori romanzi italiani pubblicati nel 2013, è stato insignito del Premio Vittorini, del quale purtroppo segnaliamo la scomparsa, perché ha rappresentato un emblema di siracusanità. Maugeri ha anche ricevuto premi come l’Addamo, il Martoglio, il Portopalo – Più a Sud di Tunisi e il Premio Internazionale Sicilia “Il Paladino”, per ricordare soltanto quelli siciliani.

L’evento di oggi servirà a ricordare il decennale del blog e i fili da questo creati fra autori, librai, bibliotecari, traduttori, editori, accademici, esperti e semplici lettori, istituti italiani di cultura all’estero e università: tutto quanto gravita intorno al libro è gravitato tra le pagine virtuali di “Letteratitudine” con la sua costola dedicata alle news letterarie.

Dieci anni sono un’eternità nel vorticoso fluire di post consumati in pochi secondi, eppure non sembra inutile volgersi indietro per rimirare il cammino compiuto per poi solcare nuovi spazi su carta e pixel e magari trovare nuovi sentieri in un mondo come quello editoriale che ha visto la rivoluzione di Internet, la nascita dell’e-book e l’esplodere dei social con l’orizzontalizzazione della conoscenza. Non sembra nostalgico rileggere nomi e nickname che si rincorrevano sulle autostrade telematiche, ritrovandosi in autogrill virtuali per condividere frasi, versi, citazioni, recensioni, riflessioni, auguri, scherzi letterari… Come dimenticare Sergio Sozi (il ponte con la Slovenia insieme alla moglie Veronika Simoniti, traduttrice), Carloesse Sirotti Speranza, Eventounico, Enrico Gregori, Laura Costantini e Loredana Falcone, Gea, Cristina Bove, Maria Di Lorenzo, Stefano Mina, Francesco Didò Didomenico, Salvo Zappulla, Teresa Santalucia Scibona, Fausta Maria Rigo, solo per ricordare qualche nome? Rubriche dedicate al diritto, alla scuola, alle alternative ai classici, cene letterarie, collaborazioni… per dieci anni è stato possibile accalorarsi dietro un monitor ticchettando di libri su una tastiera, magari a tu per tu con l’autore del libro che ci aveva tanto emozionato, insieme a tanti altri come noi che compartiscono l’amore per la lettura e la scrittura.

“Letteratitudine” forse ha addirittura travalicato le primitive intenzioni del suo ideatore, che voleva unire Letteratura e “sicilitudine” contro la solitudine, superando i limiti di lati- e longitudine. Un blog multidimensionale, poliedrico come le geometrie evocative della copertina del volume.

 http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=2214:tra-avola-e-noto-echeggiar-di-versi-per-la-festa-della-poesia&catid=18&Itemid=145

Tra Avola e Noto echeggiar di versi per la festa della poesia

Marialucia Riccioli
Giovedì, 06 Aprile 2017 00:19
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Riempite strade, piazze, cortili e chiese con note di armonia, canti, musica. Questa edizione dedicata a Salvatore Di Pietro, l’anno prossimo a Corrado Carbè

La Civetta di Minerva, 24 marzo 2017

Domenica 19 marzo, in occasione della Festa mondiale della poesia ad Avola, declinata in due giorni speciali tra Avola e Noto, si sono concluse la quindicesima edizione di “Dalle otto alle otto” e la sesta edizione di “Libri di-versi in diversi libri” dedicata a Salvatore Di Pietro: Carlo Sorgia, Alessandra Nateri Sangiovanni e Maria Pia Vido si sono classificati rispettivamente al primo, secondo e terzo posto in quella che non è tanto una tenzone letteraria ma un’occasione di incontro, scambio e crescita nel nome della poesia: in un tempo arido e materialista, in cui scrivere versi sembrerebbe anacronistico e del tutto inutile, poesia è anche riempire strade, piazze, cortili e chiese di Avola e Noto di armonia, canti, musica e, soprattutto, poesie, “celebrando” secondo l’anima di questo concorso, il libraio-editore Ciccio Urso, sostenuto come sempre da Liliana Calabrese, dai giurati e dal manipolo di artisti del Val di Noto che seguono le loro iniziative, “la magia della creatività, spontaneamente e senza programmazione, nonostante l’indifferenza di intellettuali egocentrici e della massa insignificante che ci circonda, e, soprattutto, senza sindaci e assessori e a personaggi di potere, perché l’unico potere abbracciato da ciascuno è quello della fantasia e della bellezza di un verso, dell’incontro con un accadimento inaspettato, ma collegato a ciascuno, e l’adesione entusiastica di persone graditissime”.

Tra i giurati, docenti e poeti: Maria Barone, Corrado Bono, Liliana Calabrese, Antonino Causi, Francesca Corsico, Luigi Ficara, Benito Marziano, Orazio Parisi, Vera Parisi, Fausto Politino, Maria Restuccia, Lilia Urso, Marco Urso e i poeti vincitori Giovanni Catalano, Manuela Magi, Maria Chiara Quartu, Pietro Vizzini, Nina Esposito.

Sono state consegnate le targhe della memoria dedicate a poeti sparsi in diverse città italiane e grazie all’intervento di poeti di diverse regioni italiane, compresa la Sardegna, è stato raggiunto l’obiettivo di creare ponte con gli altri, ascoltando e uscendo da sé, diventando ideali punti di riferimento e modelli di vivere creativo positivo, da moltiplicare nel mondo.

La nuova edizione del concorso letterario verrà come ormai consuetudine dedicata a un poeta amico della Libreria Editrice Urso, scomparso anzitempo, e cioè al poeta-scrittore Corrado Carbè scomparso il 20 febbraio 2017 nel mentre stava partecipando alla precedente edizione di questo Concorso, dove, tra l’altro, si classificava al sesto posto della classifica finale, insieme a Cettina Lascia Cirinnà, Mimma Raspanti, Federico Guastella, Rita Stanzione, Simona Forte, Marianinfa Terranova, Antonella Santoro, Gianluca Macelloni, Grazia La Gatta.

Meritano una menzione particolare e vanno incoraggiati i giovani artisti: in un’edizione di qualche anno fa Davide Giannelli scriveva che quando saprai che stai per morire, / dalle tue ceneri di nuovo un sorriso. / E la tua melodia canterai (da Vivere d’amore).

Miriam Vinci, selezionata nell’edizione 2016/2017, ben rappresenta l’anelito giovanile alla Bellezza nonostante il grigiore del quotidiano e le difficoltà dell’esistenza e ci piace chiudere proprio con i suoi versi, che con voce fresca in ritmi franti ricantano i temi eterni della poesia, tra illusioni ingenue dell’età ed echi leopardiani:

Ed è in questa nudità / che vorrei / vestiti di poesia.

http://www.lacivettapress.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=2219:la-riccioli-su-mariannina-coffa-saffo-netina-dell-800&catid=17&Itemid=143

La Riccioli su Mariannina Coffa, Saffo netina dell’800

Salvo Amato
Sabato, 08 Aprile 2017 08:45
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La conferenza nei locali della biblioteca di Noto. Durante l’incontro, organizzato dal Rotaract, musiche eseguite dal maestro Gabriele Bosco al violino, mentre Giuseppe Puzzo, verseggiatore egli stesso, recita alcune liriche della poetessa e propri componimenti inediti

La Civetta di Minerva, 24 marzo 2017

“Mariannina Coffa, Una donna tante donne – La poetessa dell’Ottocento che parla alle donne di oggi”: questo il titolo dell’incontro che si terrà domani, venerdì 25 marzo, alle ore 17,30 presso la Biblioteca comunale “Principe di Villadorata” di Noto in via Nicolaci, biblioteca che custodisce amorosamente gli scritti della poetessa e patriota netina. L’incontro si inserisce nella programmazione del Rotaract volta alla valorizzazione del territorio e delle sue risorse culturali in senso lato.

Mariannina Coffa (Noto, 1841-1878), enfant prodige della borghesia netina nel passaggio difficile ed esaltante insieme dalla monarchia borbonica al Regno d’Italia, è stata dunque figlia, sorella, amica – corrispose con gli intellettuali dell’epoca pur senza muoversi dalla Sicilia –, innamorata (fu protagonista di un amore tipicamente romantico con Ascenso Mauceri, musicista e autore di tragedie), sposa malmaritata di un possidente terriero di Ragusa, madre (perse tra l’altro due dei cinque figli), patriota e poetessa (accompagnò con la sua poesia e le sue riflessioni i moti risorgimentali e la sua complessa personalità e spiritualità la portò ad un tentativo di emancipazione dagli stilemi dell’epoca verso soluzioni originali): interpretò ognuno di questi ruoli nonostante i limiti della propria condizione di donna, di siciliana, nonostante la malattia e le incomprensioni del contesto familiare e socio-culturale.

La conferenza, tenuta da Maria Lucia Riccioli, docente e scrittrice, autrice tra l’altro di un romanzo storico, “Ferita all’ala un’allodola”, incentrato proprio su Mariannina Coffa, giurata per due anni consecutivi del concorso di “Inchiostro e anima” intitolato alla Capinera di Noto, alla Saffo netina, tanto per ricordare alcune delle immagini cui la Coffa è stata associata, autrice di un saggio sulla prima tesi di laurea dedicata alla poetessa e inserito nel volume “Sguardi plurali” (Armando Siciliano Editore) curato da Marinella Fiume e uscito per raccogliere i lavori dell’omonimo convegno, oltre che di una lettera immaginaria alla Coffa pubblicata per i tipi di LiberAria in “Letteratitudine 3: letture, scritture, metanarrazioni” (a cura di Massimo Maugeri), sarà moderata da Federica Piluccio, presidente del Rotaract club Noto Terra di Eloro; le musiche che accompagneranno l’evento saranno eseguite dal maestro Gabriele Bosco al violino, mentre Giuseppe Puzzo, estimatore della Coffa e verseggiatore egli stesso, reciterà alcune liriche della poetessa e propri componimenti inediti.

A quasi centoquarant’anni dalla scomparsa della poetessa, la sua biografia e le sue opere presentano ancora fertili campi di indagine (pensiamo alla recente scoperta ad opera di Stefano Vaccaro di un inedito rinvenuto nella biblioteca del Castello di Donnafugata).

L’incontro del 25 marzo sarà occasione di riflessione sul modello femminile incarnato dalla Coffa e offrirà lo spunto per ricordare l’incendio del 25 marzo 1911, nel quale persero la vita le “camicette bianche” (pensiamo allo straordinario lavoro di Ester Rizzo per ridare nome dignità e memoria a queste donne), le operaie della Triangle Waist Company: tra di esse c’era una ragazza netina, Gaetana Midolo, cui è stata dedicata la rotatoria di Piazza Nino Bixio. Nel mese dedicato alle donne, ricordare un’emigrata e una figura del nostro Risorgimento non sembrerà un’operazione azzardata.

Per finanziare LA CIVETTA DI MINERVA, che è sostenuta solo da sponsor privati ed è un esempio di stampa libera da vincoli, l’idea è quella del crowdfunding, cioè la ricerca di fondi.

La civetta, animale sacro a Minerva: il simbolo del giornalismo che raccoglie informazioni e poi le analizza e le argomenta offrendole alla società perché diventino l’humus di un pensiero critico.

Da questa interpretazione del giornalismo  nel settembre del 2009 nasce il progetto dell’edizione cartacea del La civetta di Minerva, giornale antimafia, no profit.

http://www.lacivettapress.it/ it/

Difesa dell’ambiente e del territorio,  multiculturalismo, welfare, etica politica, economia sostenibile, lotta contro ogni forma di sfruttamento, prevaricazione e corruzione sono i nostri temi.

In soli sette anni di attività abbiamo sostenuto – nonostante la scarsità di risorse e quasi solo grazie ai nostri stessi contributi – importanti battaglie nel settore delle energie rinnovabili, della gestione privata del servizio idrico, contro la  costruzione del rigassificatore di Priolo-Melilli, a favore del blocco delle trivellazioni petrolifere in Val di Noto. Poi, tra le nostre numerose inchieste, quella “storica” sulla Procura della Repubblica di Siracusa ci è valsa il premio giornalistico nazionale Mario Francese 2012.

Tuttavia la nostra battaglia per la legalità ci ha portato più nemici che introiti e adesso la Civetta rischia la chiusura definitiva. Abbiamo bisogno di voi per salvarla!
Le donazioni verranno usate per finanziare il giornale e le attività che possano contribuire a tenerlo in vita e a promuoverne la diffusione.

Il nome di ogni donatore verrà stampato in uno spazio dedicato del giornale che potrà accogliere anche proposte e considerazioni (previa valutazione della loro liceità). Ciascuno riceverà il PDF del numero in uscita che presto potrete leggere anche grazie ad un’app.

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The owl, sacred to the roman goddess Minerva: the symbol of aan active journalism, which collects, analyzes and discuss information in order to provide society with a booster for critical thought .

This interpretation of journalism led to the birth, in september 2009, of  the anti-mafia, non-profit, print newspaper, La Civetta di Minerva.

http://www.lacivettapress.it/it/

Our mission is to oppose environmental threats, corruption, exploitement, and abuse of power; and to promote multiculturalism, welfare, ethical politics, and sustainable economy.

Even though we had little money – motly provided by the journalists ourselves – in seven years we fought important battles: against water privatization; against the building of the regasification unit in the high risk area of Priolo-Melilli; against oil drilling in the historical area of Val di Noto. Among our many investigative reports, the “famous”one on the judges of the Procura della Repubblica di Siracusa was rewarded with the national Mario Francese prize for anti-mafia journalism.

However, our battle for legality brought us more ennemies than funds and now La Civetta risks to close for ever. We need you to save it!
Your donations will be used to support the newspaper and every activity which can contribute to its survival and outreach.

The name of every donor will be printed in a specific section of the newspaper, where your ideas and proposals can also be hosted (after previous evaluation of their legitimacy). Moreover, every donor will receive a PDF version of next issue and will be able to read it through an app.

http://www.lacivettapress.it/it/

LA CIVETTA esce ogni due venerdì e poi molti articoli confluiscono nel sito, dove troverete anche aggiornamenti e novità.

Internazionale, Nicola Lagioia e la Sicilia felix

12 domenica Apr 2015

Posted by mlriccioli in Eventi culturali, Letteratura

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Tag

Angelo Orlando Meloni, Biblios cafè, Cettina Raudino, Daniele Zito, Del Vecchio, Dove eravate tutti, Enzo Papa, Fabrizio Piazza, Internazionale, LiberLiber, Libreria Gabò, librerie, Luisa Fiandaca, Mario Fillioley, Modusvivendi, Nicola Lagioia, Noto, Premio Vittorini, Siracusa

Ho avuto modo di conoscere Nicola Lagioia grazie a Luigi La Rosa… e per un premio Vittorini ci siamo reincrociati a Siracusa…

http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/GdM_traduci_notizia.php?IDNotizia=335911&IDCategotia=

 

Adesso leggo un suo articolo sulle librerie d’Italia qui:

http://www.internazionale.it/weekend/2015/04/11/nicola-lagioia-giro-italia-in-ottanta-librerie

Riporto la parte relativa alla

Sicilia Felix (– e ritrovo librerie che ho frequentato e frequento, persone che conosco, legate alle mie esperienze di lettrice e scrittrice…)

Come ha detto di recente Daniel Pennac, l’Europa possiede due grandi isole letterarie. L’altra è l’Irlanda. A Palermo ci arrivo a metà ottobre, sollevato da un caldo che altrove farebbe pensare all’inizio dell’estate. Luce su piazza Politeama. Luce sul teatro dei pupi di Mimmo Cuticchio in via Bara. In un punto della Kalsa c’è invece vicolo della Neve all’alloro. Parlare di nome evocativo è poco. La strada si chiama così perché in epoca prefrigoriferi ci si vendeva la neve.

In questo stesso spazio fisico, Burt Lancaster pronuncia le ultime battute nel Gattopardo di Visconti. Vicolo della Neve all’alloro è anche la sede di Booq. Si tratta di una bibliofficina occupata (biblioteca + ciclofficina), nonché di un attivissimo luogo di incontro e aggregazione. Tra i suoi animatori Matteo Di Gesù, classe 1971, ricercatore di letteratura italiana all’Università degli studi di Palermo, critico letterario, uno dei cuori pulsanti della cultura cittadina.

La sera in cui ci vado io, sono attesi uno dopo l’altro per i giorni successivi Wu Ming e Francesco Maino. Quest’ultimo parlerà del suo Cartongesso, in cui descrive il paesaggio (anche spirituale, perfino lessicale) del nordest come una terra devastata: e sarà interessante mettere a confronto quel tradimento con i tradimenti delle diverse Primavere che qui a Palermo hanno lasciato segni su tutti i cittadini di buona volontà.

A ogni modo Booq è uno spazio in cui trovo persone di tutti i tipi. Studenti universitari, gente del quartiere, attivisti di comitati civici, donne e uomini formati nelle dure e magnifiche stagioni di Danilo Dolci (incredibile, ogni volta che ne incontro uno, quasi sempre gli riconosco addosso lo stesso tipo di vento, come se in una conchiglia raccolta per strada ritrovassimo l’eco indimostrabile di un qualche mar Egeo).

Per esempio da Booq mi imbatto in Carola Susani, che al Belice e all’esperienza di Dolci ha dedicato qualche anno fa un libro per Laterza, L’infanzia è un terremoto. A un certo punto una chioma rosso fuoco su un corpo alto e pallido da principe: è arrivato anche Antonio Sellerio e ha le braccia cariche. Porta in dono alla bibliofficina i libri della sua casa editrice, una delle poche ad aver ingannato la crisi di questi anni.

Antonio Sellerio lo andrò a trovare qualche giorno dopo nella loro bellissima sede di via Siracusa. Chiacchieriamo ovviamente di libri. E anche di copertine (”Mi spieghi come e quando vi siete inventati quella grafica pazzesca che non invecchia mai?”).

Poi arriva Elena Stancanelli. È attesa alla Sellerio non in veste di scrittrice (i suoi libri li pubblica Einaudi), ma di animatrice culturale. Stancanelli si è inventata qualche anno fa Piccoli Maestri.

Mutuando l’idea dalla scuola di Dave Eggers 826Valencia a San Francisco (ma aggiustando il tiro secondo le esigenze – cioè le risorse – del nostro paese), Piccoli maestri mette gli scrittori a disposizione degli studenti delle medie superiori. Una scuola di lettura. Edoardo Albinati spiega Il principe di Machiavelli al liceo Nomentano. Tommaso Giartosio racconta Il barone rampante ai ragazzi del Fermi. Fabio Geda legge Fenoglio al liceo scientifico Carlo Cattaneo….

Non un doposcuola, ma un’integrazione di cui è facile cogliere la preziosità. La prima notizia, è che nessuno scrittore chiede un centesimo per fare quello che fa. Insegnano gratis. Chiamatela militanza, se volete. Io lo chiamo avere a cuore il bene comune (o educarsi ed educare a farlo, attraverso l’esempio) nel paese del particulare.

La seconda notizia è legata a un aneddoto raccontato da Edoardo Sanguineti in un incontro pubblico che facemmo insieme qualche anno fa, prima che lui morisse. Un giorno invitano Sanguineti a leggere le sue poesie in una scuola media. La professoressa di italiano dice agli alunni: “E ora leggeremo delle poesie. Anzi, sarà l’autore a farlo. Eccolo, ve lo presento”. A quel punto una bambina con le treccine rosse salta su dalla sedia, sgrana gli occhi, punta incredula il dito verso la complessione giacomettiana di Sanguineti, esclama: “Un poeta? Ma è vivo!”.

Questo dovrebbe bastare a far capire (nel paese dove la vista dei primi banchi coincide con la fine della lettura) che senso può avere portare scrittori vivi nelle scuole.

Ecco perché Elena Stancanelli (che vive a Roma, è nata a Firenze, ma ha ascendenze palermitane) oggi è in Sicilia. Antonio Sellerio vuole capire se il modello è importabile nell’isola che da una parte ha dato alla nostra letteratura più autori di ogni altra regione italiana, mentre dall’altra porta la maglia nera quanto a indici di lettura: nel 2014, il 71,8 per cento dei siciliani non ha letto un libro.

A Palermo faccio tappa anche da Modus Vivendi. È una delle librerie indipendenti più famose d’Italia. Non ho mai visto qui dentro una presentazione disertata dal pubblico. Spesso c’è gente fuori, anche se l’incontro con l’autore è fissato per le 10 del mattino di domenica. Quando un libro piace a Fabrizio Piazza, è capace di venderlo in centinaia di copie, senza nessun Centrale che possa mettersi di mezzo. Modus Vivendi vive di sete e altri tessuti pregiati, oltre che di libri. I proprietari Salvo Spitieri e Marcella Licata sono spesso in viaggio in India e in estremo oriente, da lì tornano carichi di cotone, lino, seta e cashmere che fanno capolino tra uno scaffale e l’altro, da comprare insieme ai libri.

Stamattina vedo arrivare in libreria altre due vecchie conoscenze. Uno è Andrea Libero Carbone. Nel 2004 è stato tra i fondatori della casa editrice :due punti, e in questo ottobre assolato sta organizzando ai Cantieri alla Zisa il Nuove Pratiche Fest, due giorni di incontri serrati dove si discuterà di management e nuove politiche culturali. L’altro è lo scrittore Giorgio Vasta.

Ora, non so se avete presente James Joyce, che andò via dall’Irlanda gonfio di aristocratico sdegno, convinto di esserne stato cacciato (nessun foglio di via a suo carico), e dunque, da quel momento in poi, non fece che scrivere di Dublino e della neve che “cadeva soffice sulla palude di Allen e più a ovest sulle nere, tumultuose onde dello Shannon”.

Ecco, dopo avere abbandonato Palermo per Torino, e poi per Roma, Vasta non ha fatto altro che raccontare Palermo e la Sicilia (una volta se n’è andato perfino da solo in Islanda per sentire più forte l’amore/odio per la sua terra d’origine, la parte per il tutto che è l’Italia) con due libri di grande importanza e molto tradotti all’estero (Il tempo materiale e Spaesamento), e ora anche con un film (Via Castellana Bandiera di Emma Dante l’ha scritto lui). Su Vasta vorrei scrivere volumi per squarciare il velo che alcune tonnellate di ore trascorse a discutere insieme negli ultimi otto anni non mi hanno concesso di fare. O almeno, non come l’attrazione emotiva e intellettuale che provo per lui vorrebbe.

Lo ritroverò tra qualche giorno, Giorgio Vasta come Andrea Libero Carbone come Matteo Di Gesù come Fabrizio Piazza. Adesso devo temporaneamente abbandonare Palermo per colmare una lacuna. Trapani. Non ci sono mai stato.

E quando una polla di luce mi arriva addosso di rimbalzo dalla facciata di palazzo Cavarretta, capisco pieno di vergogna cosa mi sono perso. Trapani è bellissima, oltre che affollata di gente. Molti anche i turisti. Merito della nuova tratta Ryanair e delle rotte delle navi da crociera, mi dicono nel centro storico.

Fuori degli archi della cattedrale di San Lorenzo trovo un gruppo di bambini diretti da un prete: cantano contro un microfono collegato a una piccola piramide di casse Marshall. Il mio obiettivo è un altro. La sua leggenda la precede. Di lei ho sentito parlare in modo poco meno che iperbolico a Palermo, da almeno tre diverse fonti non in contatto tra di loro. Tanto che mi son fatto l’idea che sia la Auxilio Lacouture del luogo. Qualcuno ricorderà il personaggio di Roberto Bolaño che compare inDetective selvaggi e Amuleto, il cui attacco (vado a braccio) è ormai un classico della letteratura dell’ultimo decennio: “Io sono la madre della poesia messicana. Io conosco tutti i poeti e tutti i poeti conoscono me. Io arrivai a Città del Messico nell’anno 1967 o forse nell’anno 1965 o 1962. Non mi ricordo più né le date né le peregrinazioni, l’unica cosa che so è che arrivai in Messico e non me ne andai più”.

“Ah, vai da Teresa Stefanelli?”, mi hanno detto per tre volte a Palermo.

Teresa Stefanelli gestisce a Trapani la Libreria del Corso, in corso Vittorio Emanuele 61. Approdò qui appena laureata e rilevò l’esercizio quando i vecchi proprietari decisero di mollare. Ci stringiamo la mano: è giovane, molto più di quanto immaginassi, tenendo conto di come ne parlano.

“Tu che sei pugliese”, mi dice un suo amico cinque minuti dopo,”hai presente quando ad Altamura MacDonald’s ebbe la sciagurata idea di aprire di fronte a uno dei migliori panifici del paese?”.

In quel caso il BigMac si schiantò contro la focaccia locale (il fast food chiuse per scarsa affluenza di clientela). Qui a Trapani pare sia successa una cosa molto simile. Qualche anno fa, una catena di megastore decise di sfidare la Stefanelli sul suo terreno. Aprì una filiale a pochi passi dalla Libreria del Corso, e fu costretta a chiudere poche stagioni dopo. Un’altra libreria di catena, a qualche traversa da qui, pare soffra molto. Davide e Golia. Ma chi è l’uno e chi l’altro in questo caso?

Qualche ora più tardi, dopo aver passeggiato lungo le mura di Tramontana al calar della sera – pescatori in chiacchiera sui legni, mentre nel cielo pulsa e si dilata una gigantesca macchia viola nella quale mi sembra di riconoscere il volto inquietante di Palmer Eldritch, il personaggio di Philip K. Dick – posso toccare con mano cosa succede alla Libreria del Corso quando c’è la presentazione di un libro. Mezzo paese radunato di fronte alle vetrine (fa talmente caldo che la presentazione è all’aperto). Lettori affezionati, passanti, membri di associazioni, a un certo punto lo scrittore e fumettista Marco Rizzo, poi qualche studente, un magistrato di quarant’anni con cui mi fermo a chiacchierare per mezz’ora.

I giorni successivi sono molto serrati. In Sicilia la rete ferroviaria fa schifo. Così mi affido ai pullman (viaggiare in pullman non mi piace, starmene incastrato tra i sedili polverosi a guardare il panorama mi dà la sensazione di essere al capolinea di una vita parallela in cui ho fatto ancora più errori che in quella attuale). A Siracusa visito la Libreria Gabò. Qui Luisa Fiandaca (ex Byblos) organizza gli eventi. Oltre a lei trovo il traduttore Mario Fillioley, Angelo Orlando Meloni (altro punto fermo della vita culturale cittadina, autore di libri per Del Vecchio), e faccio la conoscenza di Daniele Zito, scrittore e studioso di intelligenze artificiali.

Come si è evoluta l’informatica rispetto alla filosofia e alla letteratura contemporanee? La teoria delle reti può trovare soluzioni a qualche suo problema nelle pagine di Proust o in Il gioco del mondo (Rayuela) di Cortázar? Cerchiamo di capire però cosa significa risolvere un problema: la scoperta di un nuovo strumento d’indagine rischia di modificare, insieme con i mezzi, anche gli obiettivi? Parlare con Daniele è un’esperienza. Mi dà l’idea (poi confermata nel corso del mio viaggio) che umanisti e scienziati debbano parlarsi di più.

A Catania, scortato da Giuseppe Lorenti, visito Zo, una ex raffineria di zolfo trasformata in “centro per le arti”, dove si tengono concerti, si presentano libri, si allesticono mostre d’arte contemporanea e che ospita anche una radio privata. A Messina faccio invece conoscenza con Alessandra Morace, combattiva titolare della locale Libreria Mondadori, non proprio conciliante con la catena.

“Alessandra, ma sei sicura che posso scrivere tutto quello che mi stai dicendo?”.

“Se puoi scriverlo? Devi scriverlo!”.

“Non lo so, non vorrei crearti guai con la rete di franchising…”.

“Allora facciamo parlare i numeri. Lo sai quanti eventi ho organizzato nella mia libreria in questi ultimi anni?”.

“No”.

“Centotottantasei! E sai in quanti, di questi incontri, la catena ha interpellato la casa editrice per portarmi un autore?”.

“Quanti?”.

“Uno! Uno su 186!, ma ti pare?”.

“…”.

“Per esempio, guarda la carta da regalo che ci hanno mandato. È nera! Ma si può? Secondo loro dovremmo impacchettare i libri con questa!”.

“Brutta è brutta…”.

“Il problema sono i manager. Mettono al vertice di un sistema di librerie gente che fino al giorno prima si è occupata di scatolette. E i risultati si vedono”.A Messina c’è anche Francesco Musolino, anima di @Stoleggendo, progetto non profit (e in ascesa) per la diffusione della letteratura online. Sempre a Messina sarebbe d’obbligo una sosta da Colapesce. La libreria è gestita da Chiara Baffa e Filippo Nicosia. Di Nicosia si parlò molto qualche tempo fa, quando lanciò il bianciardiano progetto di Pianissimo, libri sulla strada. Su un furgone d’epoca trasformato in libreria itinerante, Nicosia e i suoi arrivavano nei comuni siciliani dove le librerie non c’erano più, o addirittura non c’erano mai state. A un certo punto troppo clamore, troppe pagine sui giornali: un atto di militanza rischiava di diventare la moda del momento. Così Nicosia ha mollato il furgone e ha aperto una vera libreria.

La bellezza di Noto intimidisce, tanto è potente. E Noto, in questi anni, sta vivendo un piccolo rinascimento. Il paese è tenuto molto bene, attira gente da lontano (da Torino, dalla Liguria, dalla Lombardia, anche dall’estero), uomini e donne ci vengono a vivere o aprono attività o piccole aziende legate all’arte, alla cultura, al turismo, alla ristorazione. Questo fa sì che all’ombra della Cattedrale (una delle più belle al mondo) si stia creando una comunità fatta di accenti, provenienze, esperienze diverse.

“Da queste parti ha preso casa Giorgio Agamben”. “Lì vive il direttore della Magnum almeno due mesi all’anno”, mi dicono. Giusi Farina, l’assessora alla cultura Cettina Raudino, la libreria liber liber, Barbara Fronterrè (titolare della libreria Liccamucciola nella vicina Marzamemi, dove anche il cibo e il vino svolgono un ruolo importante), il professor Enzo Papa… sono alcune delle persone che a Noto uniscono le forze per fare di questa terra un presidio culturale vivo e resistente.

Non si creda, tuttavia, che per me “piccolo” equivalga necessariamente a “bello”. Ci sono grandi agenzie culturali che sono luoghi d’eccellenza, meritano tutta la loro fama e dimensione. E poi ci sono librerie indipendenti che stanno ancora in piedi per miracolo – per quanto lavorano male. Per esempio (non farò nomi per non infierire) una che sta a metà strada tra Modica e Donnalucata, e che per confondere le acque chiamerò Mastro don-Gesualdo. Il sud: splendore a doppio taglio. Da una parte offre magnifiche sorprese senza fartelo pesare. Con la stessa disinvoltura può puntarti alla gola il coltello della peggiore arretratezza.

Il titolare della libreria Mastro don-Gesualdo mi si presenta dicendo: “Piacere! A me della letteratura contemporanea non me ne fotte una minchia”.

“Bene”, faccio, “e quali scrittori ti piacciono?”.

“Dostoevskij. Quello era fortissimo…”.

“Già. Cosa hai letto di Dostoevskij?”.

“Ricordi del sottosuolo. Incredibile, no?”.

“Solo Memorie del sottosuolo?”.

“No, anche Il giocatore. Quello lì era fuori di testa. Beveva. Era epilettico. Mi piace un fottìo”.

“Dostoevskij”.

“Il grande Fedor”.

“Ma tu in libreria vendi anche libri di narrativa contemporanea, giusto?”.

“Certo”.

“E mi avete chiamato qui per parlare stasera di letteratura contemporanea”.

“Che c’entra. Anche tu sei fortissimo”.

Ho un difetto atavico. Giuro che negli anni ci ho lavorato. Otto su dieci vince ancora lui. Quando danno il peggio inconsapevolmente, ricambio con un peggio consapevole.

“Conosci Alice Munro?”.

“No”.

“E Philip Roth?”.

“Never covered”.

“Saramago?”.

“Quello che scrive libri su Gesù… in libreria dobbiamo averne qualche copia”.

La sera, dopo l’incontro pubblico (gestito meglio della precedente chiacchierata), la socia del libraio mi porta a cena in un pub, insieme c’è il suo fidanzato, un ragazzone dai capelli rossi che per tutta la giornata non ha spiccicato parola. Ma finalmente adesso parla. E si rivolge a me.

“Senti un po’, tu…”, esordisce, “da quello che ho capito te ne stai spesso in giro”.

“Viaggio molto, in effetti. Quando scrivo posso starmene chiuso in casa anche quattro anni. Poi devo recuperare”, sorrido, “per esempio questi mesi”.

“Questi mesi, questi mesi… non solo questi mesi, ah! Prima hai detto che l’estate stai a Venezia”.

“Giugno e luglio. Al Lido. Selezioniamo i film per la mostra del cinema”.

“Due mesi, te ne stai lì. Oppure ho capito male?”.

“Ogni anno arrivano 1.500 film. E dobbiamo vederli tu…”, aggrotto le sopracciglia, “ma non capisco cosa mi vuoi di…”.

“Non ti voglio dire proprio niente. Ti voglio chiedere: che mi rappresenta che te ne stai in giro?”.

“Come?”. A questo punto credo ancora che il mio interlocutore stia scherzando.

“Che vita è la vita di uno che a casa ci sta così poco! Sei sposato, sì?”.

“Sì…”.

Non sta scherzando.

“E allora che mi rappresenta che te ne vai in giro in questo modo! Una vita di merda! A casa devi stare_, a casa_! Con la famigghia!”.

Sono allibito.

“Ma scusa”, sorrido, “completa il sillogismo”, brutto errore, penso mentre parlo, “se io non viaggiassi così tanto, non sarei potuto venire stasera alla libreria della tua fidanzata. Mi avete invitato voi”.

“Che c’entra”, fa lui sempre più nervoso, “tu non lo fai una volta ogni tanto. Lo fai per vizio!”.

“Però”, qui sorrido soavemente, altro errore, la funzione del balsamo sotto cui fingiamo di nascondere gli intenti canzonatori è percepibile ai canzonati, “scusa tanto”, dico, “però io non mi metto a giudicare le vite degli altri come stai facendo tu. E comunque potresti essere più tollerante. Potresti – ecco – avere una mentalità più aperta”.

A questo punto vedo la libraia sobbalzare. Sgrana gli occhi. Mi fa segno di azzittirmi. Troppo tardi.

“Minchia!”, fa il tizio sbattendo i pugni sul tavolo, “vaffangulo! E mo’ ti sei fatto i cazzi tuoi! Qui stai giocando fuori casa, ah! Attento che adesso rischi che ti fai male veramente! Qui siamo in Sicilia ed è meglio che inizi a farti il segno della croce”.

L’ho detto. Il peggio consapevole. Così alla fine sbrocco anch’io.

“Uè, trmon’! Vid’ ca so’ d’Bbar’! E c’mo’ nun d’ ste’ citt’, tea schatte’ u’ pallon’!”.

Traduzione: Ehi, mezzasega! Vedi che sono di Bari! E se ora non ti stai zitto, ti spaccherò la faccia! (letterale: ‘ti faccio scoppiare il pallone’).

Qui al lettore avvertito non saranno sfuggiti almeno tre indizi. Uno: come si vede non è difficile far venire fuori anche da me il “peggio inconsapevole”. Due: nel mio giocare di fioretto (l’armamentario linguistico progressista tutto allusioni e mine interrate sotto le sabbie delle buone cause) c’erano i cascami di una padronalità che detesto quando la trovo negli editoriali che officiano le messe del ceto medio riflessivo. Tre: poiché la natura ama nascondersi, scatenare l’aggressività altrui nel modo che ho fatto io, dovrebbe essere quasi un’occasione montaliana (al netto del delirio dell’aggressore – un ago con la punta di diamante nascosto in un pagliaio – perfino lì si può trovare una verità che ci riguarda). Perché mi sono messo in viaggio?

A Palermo ci torno il 17 ottobre. Lo faccio per ritrovare Giorgio Vasta e Andrea Libero Carbone, Federico Cerminara (factotum di Piccoli Maestri) e Antonio Sellerio, Christian Raimo e Franco Marineo, Andrea Inzerillo più altri uomini che lavorano con i libri per disputare una partita di pallone a villa Trabia. È la prima edizione del Memorial in vita Giordano Meacci, un torneo di nostra invenzione. Giordano Meacci è uno scrittore italiano. Come si evince dall’intestazione, Giordano Meacci è vivo. Solo, a quasi dieci anni dal suo esordio, non ha ancora pubblicato un secondo libro di narrativa. Dice di lavorarci molto. Accampa scuse. Rinvia continuamente l’uscita. E poiché noi amiamo molto ciò che scrive, abbiamo deciso di intestargli un Memorial, considerarlo punitivamente sospeso (vivo e morto) fino a quando non finirà di scrivere il suo romanzo.

In realtà la partita di villa Trabia ha anche un altro significato, più nascosto. Non ce lo diciamo, ma è un modo per stare insieme sotto un cielo che esplode di continuo tempestato da bombe di pura luce: immaginare che quello che veramente amiamo non ci sarà strappato troppo facilmente, nonostante i tempi siano difficili, e una durezza ulteriore a quella espressa dal contesto rischi di contagiarci tutti prima o poi. Restare umani. In un attimo di esaltazione (la giornata è davvero magnifica), avevo pensato di chiamare Franco Maresco, di far venire anche lui qui a villa Trabia. Poi ho rinunciato.

Nel mio sentire, Maresco è il vero spettro che si aggira per Palermo, una sorta di grande anima (mai riconosciuta) della città. L’estate scorsa ci sentivamo per telefono. Non è venuto personalmente a Venezia a presentare il suo Belluscone. Una storia siciliana. Non ci è venuto nemmeno quando il film ha vinto il Premio della giuria della sezione Orizzonti. “Nicola, in mezzo a tutta quella gente mi sentirei a disagio”. A Venezia a ritirare il premio ci ha mandato Rean Mazzone, suo produttore storico.

Potrei dire che l’autolesionismo di Maresco è pari al suo talento, se non fosse che il suo talento è troppo. Belluscone è il più importante film civile uscito in Italia negli ultimi anni (la mafia dei sottoproletari come malattia della borghesia siciliana, la Sicilia per l’Italia), così come Totò che visse due volte, realizzato con Daniele Ciprì, è il più profondo e commovente film religioso (e dunque fu sequestrato per vilipendio alla religione) che io ricordi dai tempi di Pasolini.

A Palermo mi capita ogni tanto di incontrare persone incazzate con Franco. Perché ti cerca e poi sparisce. Perché quando ci si imbarca in un progetto insieme a lui, non si sa mai in quali secche (o tempeste) si può finire. Perché la sua intransigenza sfocia in un’ossessione in cui sei prima catturato e poi coinvolto (ma l’ossessione è la sua, mai la tua).

Poi però vedi le sue opere e capisci che Maresco è uno dei più grandi artisti italiani viventi in un paese che sembra strutturato appositamente per sfiancare, indebolire, esasperare gli spiriti come il suo, per trasformare il genio in vittimismo, almeno fino a quando un colpo di reni non ribalti di nuovo la prospettiva. Ma è faticoso, è ingiusto che sia così.

Incontro con…

23 martedì Lug 2013

Posted by mlriccioli in Eventi culturali, Letteratura

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